Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-07943
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Atto n. 4-07943
Pubblicato il 12 luglio 2012, nella seduta n. 764
PERDUCA , PORETTI - Al Ministro della giustizia. -
Premesso che, a quanto risulta agli interroganti:
analizzando i primi risultati, tramite l'attività degli organismi di mediazione tra cui in particolare ISCO ADR, emerge, che l'istituto della mediazione ha soddisfatto le aspettative del legislatore il cui intento era quello di deflazionare le aule giudiziarie e, soprattutto, contenere i costi per la giustizia, riducendo i fattori negativi che impediscono la crescita del nostro Paese. Proprio per quest'ultimo motivo, l'8 marzo 2012, è stato istituito un tavolo permanente, presso il Ministero di giustizia, per il raggiungimento di tale obiettivo tra la Banca mondiale, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero di giustizia e altri soggetti dell'associazionismo, ponendo al centro la riforma del processo civile;
in Italia la durata media di un processo, in primo grado, è di 1.210 giorni, e di 47 giorni per il tentativo di mediazione (studio "Doing Business"), per un totale di 1.257 giorni in caso di ricorso al giudizio ordinario;
su oltre 90.000 mediazioni svolte dagli organismi accreditati tra marzo 2011 e marzo 2012, circa il 40 per cento vede la partecipazione della controparte. La metà di quelle che vede la partecipazione della controparte si risolve con accordo, producendo, rispetto al totale delle istanze iscritte, un volume di mediazioni concluse positivamente pari al 20 per cento. Quindi, se il 50 per cento degli incontri sostenuti si chiude con l'accordo, si può affermare che i risultati sono più che soddisfacenti. L'importante sembrerebbe perciò far partecipare le parti. Ipotizzando un obiettivo di partecipazione dell'80 per cento, conservando il coefficiente di successo, si arriverebbe al 40 per cento sul complessivo delle cause iscritte, con positive ricadute su tutta la "filiera" giudiziaria. In tale ipotesi la durata media di un processo, in primo grado, si riduce a 773 giorni incluso i tempi per l'esperimento del tentativo di mediazione;
lo studio "Doing Business", inoltre, ha individuato, per alcuni Stati membri, il punto al di sotto del quale la mediazione non risulta competitiva, una sorta di break even point; per l'Italia è emerso che per ottenere un risparmio sotto il profilo dei tempi è sufficiente superare la soglia del 4 per cento delle conclusioni positive (contro, ad esempio, il 7 per cento del Belgio) facendo affermare che anche un limitato uso della mediazione consente di risparmiare in modo significativo tempo e diminuire gli oneri per le strutture giudiziarie degli Stati membri. Questa considerazione tra l'altro, seppure in maniera più rigorosa, è stata riportata nella relazione del ministro Severino al plenum del CSM il 9 maggio 2012 a proposito dell'efficienza della giustizia civile, cogliendo un altro aspetto delicato a proposito della mediazione demandata che si limita, stranamente, al solo 3 per cento delle controversie. Il Ministro ha fatto presente che «Per i tentativi di mediazione cui ha aderito la controparte, il risultato è particolarmente confortante, dal momento che almeno nella metà dei casi si giunge all'accordo. Si tratta tuttavia di un dato relativo in quanto, per altro verso, i due terzi dei tentativi di mediazione non vedono purtroppo la partecipazione della controparte, cosicché lo strumento realizza i suoi effetti per il solo 35 per cento degli affari previsti. (...) In quest'ottica, è di fondamentale importanza il ruolo del giudice, nella possibilità di delegare l'accesso alla mediazione anche nelle materie non previste come obbligatorie, nelle quali uno degli effetti favorevoli per le parti è indubbiamente il risparmio delle spese processuali. Purtroppo si constata che la mediazione delegata si colloca a livelli bassissimi, nella misura del solo 3 per cento di quella complessiva. Appare quindi necessario sensibilizzare i magistrati del settore civile alla pratica della mediazione, sia attraverso specifiche azioni formative e sia valorizzando, a livello professionale, la definizione della controversia con strumenti alternativi alla tipica decisione giudiziaria»;
il decreto legislativo n. 28 del 2010 ha, fin dalla sua versione originaria, voluto fondare un obbligo di cooperazione in mediazione. Ciò emerge con evidenza dall'articolo 8, comma 5, in cui si stabilisce che solo un giustificato motivo può assolvere dall'obbligo di cooperare e si specifica, inoltre, che la mancata partecipazione alla mediazione senza quel giustificato motivo comporta la possibilità per il giudice di trarre argomenti di prova a carico di colui che appunto è risultato inadempiente al fronte del detto obbligo. Con l'intervento del decreto ministeriale n. 145 del 2011 e successive modifiche, alcune lacune sono state colmate e alcuni aspetti sono stati chiariti, favorendo una mediazione più giusta, equa e solidale anche per i soggetti svantaggiati, si pensi alla previsione del gratuito patrocinio (senza alcun rimborso per gli organismi né dall'erario né dall'amministrazione giudiziaria);
l'articolo 16, comma 9, del decreto ministeriale n. 180 del 2010 (integrato dal decreto ministeriale n. 145 del 2011) obbliga l'organismo di mediazione a garantire lo svolgimento dell'incontro, per le materie di cui all'art. 5, anche se le parti, o una di esse, non corrispondono l'indennità dovuta gravando in tal modo di non pochi oneri gli organismi. Altri aspetti sono da definire, altri da chiarire per evitare il caos interpretativo che inevitabilmente genera altre situazioni conflittuali da dirimere, paradossalmente, solo in un giudizio ordinario;
rilevato che:
l'organismo di mediazione ISCO ADR evidenzia che i giudici togati mostrano un atteggiamento favorevole nei confronti della mediazione, per gli enormi benefici che ne conseguono per la loro professione, in termini di maggiore qualità (e minore quantità) del loro operato; i giudici di pace, maggiormente in alcune zone del Paese, stanno viceversa opponendo resistenza come se fossero sottratti all'applicazione del decreto legislativo n. 28 del 2010 e dei decreti ministeriali n. 180 del 2010 e n. 145 del 2011, attribuendo a sé tali funzioni, in virtù di una contestata interpretazione legislativa degli artt. 320 e 322 del codice di procedura civile. Nello specifico si fa riferimento alla sentenza del 23 febbraio 2012 del giudice di pace di Napoli, sezione seconda, nella quale, in sintesi, si legge che una norma sul rito può riguardare il giudizio dinnanzi al giudice di pace solo se ciò è espressamente previsto; la mediazione obbligatoria, ex art. 5 decreto legislativo n. 28 del 2010, non va esperita, a condizione di procedibilità, nei giudizi davanti il giudice di pace. Il giudice di pace è giunto a tale conclusione disquisendo circa i principi generali che regolano la successione delle leggi;
tale decisione non appare convincente, al punto che il dottor Giancarlo Triscari, magistrato addetto alla Direzione generale della giustizia civile, avrebbe affermato che la pronuncia del giudice di pace di Napoli non è corretta e soprattutto che deve essere chiaro che il procedimento di conciliazione non contenzioso dinanzi al giudice di pace non è alternativo al procedimento di mediazione. Ciò significa che il giudice di pace non può esimersi dal rilevare l'improcedibilità dell'azione sostituendo il tentativo di mediazione con la facoltà prevista dall'art. 322 codice procedura civile, in quanto si tratterebbe di due procedimenti non alternativi. Questo comportamento ostativo, diventa addirittura pericoloso se tenuto dai tutori della legge. Bisogna prevedere meccanismi che impediscano agli avvocati delle opposte parti di iscrivere a ruolo cause aventi ad oggetto materie di cui all'art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010, senza esperire il tentativo obbligatorio di mediazione, con l'intesa che non eccepiranno l'improcedibilità nella prima udienza, confidando, quindi, nella mancata rilevazione d'ufficio da parte del giudice,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda adottare le opportune iniziative normative affinché siano superate le difficoltà interpretative e logistiche finora incontrate intervenendo con atto idoneo sul già previsto aspetto sanzionatorio, come previsto dalla direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo. Si ritiene infatti che se la sanzione dovesse essere comminata in un periodo successivo alla prima udienza del procedimento, si correrebbe il rischio di liquefarla nelle spese processuali e di assistenza legale, senza conservarne una precisa memoria. In tal senso si è già espresso il tribunale di Termini Imerese che ha condannato i convenuti al versamento in favore dell'erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato, applicando la sanzione prevista all'art. 8, comma 5, del decreto legislativo n. 28 del 2010 in prima udienza, così come previsto, originariamente, dal decreto-legge n. 212 del 2011, che sanciva che tale sanzione venisse irrogata nel successivo giudizio, alla prima udienza e con ordinanza non impugnabile. D'altro canto l'irrogazione della sanzione pecuniaria prescinde del tutto dall'esito del giudizio e tale irrogazione non può, pertanto, ritenersi necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia;
se non ritenga opportuno prevedere norme regolamentari di controllo circa la rilevazione d'ufficio dell'improcedibilità dell'azione, nell'ipotesi in cui sia stata disattesa la prescrizione di cui all'art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010;
se non ritenga opportuna la possibilità per il giudice di delegare l'accesso alla mediazione anche nelle materie non previste come obbligatorie in presenza di particolari circostanze, realizzando in tal modo un notevole risparmio delle spese processuali per le parti;
se, al fine di evitare la cosiddetta guerra dei prezzi tra gli organismi di mediazione, non intenda sanzionare le offerte rivolte a categorie di utenti o per determinate materie, come da ultimo accaduto per il risarcimento danno derivante da circolazione di veicoli, in quanto tali differenziazioni sfociano, inevitabilmente, in atti discriminatori. In pratica non dovrebbe essere consentito di applicare in maniera arbitraria e differenziata la tabella delle indennità, per altro già comunicata al Ministero, con l'impegno, quindi, di adottarla nel rispetto dei dettami ministeriali;
se non ritenga utile e opportuno aumentare il controllo delle attività da parte dei giudici non togati richiedendo puntuali statistiche anche per garantire l'esatta osservanza della norma.