Legislatura 16 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-02076
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Atto n. 4-02076
Pubblicato il 7 ottobre 2009
Seduta n. 264
CASSON - Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti. -
Premesso che:
la laguna di Venezia, con i suoi 55.000 ettari, è la zona umida più estesa d’Italia. Assieme alle lagune di Grado e di Marano, essa rimane a testimonianza della grande fascia lagunare e deltizia, che un tempo si estendeva lungo la costa nord-adriatica, da Monfalcone a Ravenna;
è sottoposta per natura, come ogni laguna, a forze contrastanti; quando prevalgono gli apporti dei fiumi del suo bacino scolante, avviene un progressivo interrimento e lo specchio d’acqua si trasforma in palude, se invece prevale l’erosione del mare, attraverso le bocche di porto, i sedimenti depositati nel tempo si disperdono e la laguna diventa un golfo;
è vitale per la laguna che le due forze concorrenti restino in equilibrio, in tal modo viene a crearsi un ambiente d’acqua “salmastra”, con strisce di terra che si elevano di poco, protette dalla furia del mare e con caratteristiche del tutto originali per la flora e per la fauna;
considerato che:
Venezia, nei secoli, applicando una saggia amministrazione della laguna, seppe rendere permanente un sistema che altrimenti la natura avrebbe estinto. Introdusse tutte quelle trasformazioni necessarie per vivere nell’ambiente lagunare che rappresentarono una fonte di ricchezza e di sicurezza. Ma ogni innovazione era attentamente valutata e sperimentata, attraverso una continua vigilanza ed un monitoraggio degli effetti;
purtroppo, opere moderne realizzate nel secolo scorso, introdussero elementi di perturbazione dell’equilibrio del sistema lagunare. Dapprima la costruzione dei moli foranei, i vasti interrimenti e l’arginatura di grandi aree, successivamente l’escavazione di canali di navigazione, sempre più profondi e larghi per garantire l’accesso al porto interno delle grandi navi moderne, hanno determinato una progressiva erosione dei fondali per l’interruzione dell’apporto di sedimenti dal mare e la loro contestuale perdita a mare. Lo stesso Magistrato delle acque ne ha calcolato una perdita di oltre un milione di metri cubi l’anno;
preso atto che "in nome" di un certo sviluppo economico e sociale è mancata la dovuta attenzione verso l’equilibrio e la salvaguardia dell’ambiente lagunare. Si è constatata una graduale sparizione di velme, ghebi, barene; inoltre l’abbassamento dei fondali ha contribuito notevolmente all’ingresso repentino della marea, nella fase crescente, e ad aumentare il moto ondoso, cosicché il quadro dell’attuale idrodinamica del sistema lagunare si sta evolvendo perlopiù verso una "baia" o un "braccio di mare";
considerato che:
da sempre le velme emergono durante le basse maree; quando altri sedimenti, depositandosi, ne elevano la quota fin oltre il livello del medio mare, esse si ricoprono di una vegetazione tipica: cespugli, ciuffi d’erba e arbusti (bari), e le velme si trasformano in barene, terreni di forma tabulare che le maree più elevate ricoprono periodicamente;
le barene presentano un suolo pesante, asfittico, scarsamente permeabile, di composizione argillosa, limosa e torbosa, definito "suolo salso" per l’elevata concentrazione di cloruri; consolidato da vegetazione "alofila", segnato da nord-est a sud-ovest della laguna, da piccole canalette meandriformi (rivoli o rigagnoli), chiamati ghebi;
le barene, in base alla loro formazione e all’evoluzione che hanno subìto, si distinguono: di bordo lagunare, delle aree interne, barene ai lati dell’antica immissione dei fiumi, ai bordi dei canali lagunari, oppure paleobarene; mentre al loro interno esse possono essere basse, medie, alte, ciascuna con caratteristiche botaniche proprie;
esse sono importantissime dal punto di vista ecologico: contribuiscono al ricambio idrico e moderano l’azione del moto ondoso; purtroppo, nel corso degli ultimi cento anni, la laguna di Venezia ha perso quasi il 70 per cento delle sue barene a causa delle modificazioni antropiche che ne hanno accelerato la scomparsa; in primo luogo il moto ondoso, dovuto alla crescita abnorme delle imbarcazioni a motore e ad altre concause generate dall’uomo, come l’eustatismo e la subsidenza, che ne hanno, di fatto, stravolto la conformazione fisica;
negli anni ’70, l’espansione del flusso turistico verso Burano e Torcello a mezzo di grossi natanti (lancioni) ha danneggiato seriamente le barene più vicine a queste isole, facendole arretrare di alcuni metri, specialmente durante i mesi estivi;
nel 2001, nell’ambito del progetto internazionale "Life barene", nella "Palude dei Laghi" (a nord di Burano) è stata realizzata un’importante opera di recupero mediante il risanamento e la protezione delle barene naturali preesistenti con interventi di ingegneria naturalistica, mirati a proteggerne i bordi, per guidare i processi di sedimentazione, accrescimento e vivificazione di bassi fondali e velme;
riscontrato che:
da alcuni mesi, come si è appreso dalla stampa locale, sembrerebbe che il consorzio Venezia Nuova, per conto del Magistrato delle acque, stesse arginando le due vaste aree della laguna Nord ai bordi del canale dei Marani, sulla curva davanti alle mura dell’Arsenale da un lato e fra Murano-Vignole-Sant’Erasmo dall’altro, per creare delle barriere artificiali, a mezzo di gabbie di rete cilindrica, riempite di pietrame, dette “burghe” e con altre palificazioni, allo scopo di fermare l’erosione dovuta al vento e per dissipare l’energia dell’onda;
tali argini sono posizionati a gradoni dal fondale alla superficie per delimitarne il perimetro delle aree stesse, dove verranno gettati 1,2 milioni di metri cubi di sabbie e fanghi, materiale che verrà dragato prossimamente nella vicina bocca di Lido-San Nicolò;
desta notevole sconcerto e perplessità assistere all’esecuzione di lavori che stravolgono sostanzialmente la fisionomia della laguna, che oggi esibisce alcuni chilometri di palificazioni e burghe, mentre, nell’immediato futuro, si evidenzieranno delle barene o pseudo-tali, in un tratto lagunare dove non c’è memoria storica di una loro esistenza, nemmeno nelle mappe idrografiche del 1811, 1822, 1901, 1931, 1942, sino ad oggi;
è del tutto evidente come questa tipologia d’intervento sia poco caratterizzata da tecniche di “ingegneria naturalistica”, per ricostruire la morfologia naturale ed integrarsi in breve con l’ambiente, come è accaduto per la protezione della palude dei Laghi, ma sia presumibilmente dettata da esigenze di dover scaricare, in un luogo abbastanza “vicino”, parte delle sabbie e fanghi provenienti appunto dai dragaggi a mare relativi al collocamento delle strutture in cemento del Mose;
considerati la forte preoccupazione ed il timore che l’intervento abbia un effetto negativo per l’intero ecosistema lagunare e che esso sia nato con caratteristiche di irreversibilità, come per gli alloggiamenti del Sistema Mose;
ritenuto che:
a giudizio dell'interrogante, è antieconomico procedere con artifici sugli effetti, trascurando di intervenire sulle cause (moto ondoso e altro);
a giudizio dell'interrogante, è riprovevole non ricostituire, almeno in parte, le barene effettivamente scomparse, ma sia ancor più riprovevole la costruzione di aree barenali dove non sono propriamente autoctone o naturali,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo ritengano che il progetto sia conforme ai dettami della legge speciale per Venezia, legge n. 171 del 1973, tuttora vigente che, per quanto attiene alle direttive da osservare nel comprensorio, all’articolo 3, lettera c), fa riferimento alle "limitazioni specificatamente preordinate alla tutela dell’ambiente naturale, alla preservazione della unità ecologica e fisica della laguna, alla preservazione delle barene ed all’esclusione di ulteriori opere di imbonimento, alla prevenzione dell’inquinamento atmosferico ed idrico e, in particolare, al divieto di insediamenti industriali inquinanti, ed ai prelievi e smaltimenti delle acque sopra e sotto suolo";
se si intendano monitorare gli effetti idrodinamici che i cosiddetti “imbonimenti” avranno nel contesto lagunare;
se esista un Piano morfologico generale della laguna che consenta di valutare la provenienza, la quantità e la tipologia dei materiali (limi, sabbie, o altro) e se detti interventi siano coerenti con il piano stesso;
se questo tipo di intervento sia funzionale all'eliminazione delle cause che hanno prodotto il degrado lagunare;
essendo noto che il consorzio Venezia Nuova dovrà smaltire un volume di oltre 5 milioni di metri cubi di sabbia e fanghi, in quale altro sito della laguna il consorzio intenda gettare la differenza dei volumi.