Legislatura 13ª - Disegno di legge N. 3783
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SENATO DELLA REPUBBLICA
———– XIII LEGISLATURA ———–
N. 3783
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa del senatore TOMASSINI
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 2 FEBBRAIO 1999
Riforma delle norme sulla elezione della Camera dei deputati
ONOREVOLI SENATORI. - Il sistema politico italiano sta nuovamente girando a vuoto, sugli assi tolemaici di troppi egoismi, di troppe "lungimiranti" astuzie, di troppe nostalgie interessate, di troppi giochi "a somma zero".
Non pare che il mandato principale affidato dal paese al Parlamento - regolare la transizione dal "vecchio" al "nuovo" - sia stato eseguito.
E non solo. Mentre nel paese cresce la domanda di governance , dal palazzo se ne diminuisce l'offerta.
Dai flussi migratori ai progressi scientifici premono, in realtà, e su scala vasta e crescente, fenomeni che postulano soluzioni politiche non casuali e non banali.
All'opposto, la politica italiana sta implodendo nel minimalismo e nel particularisme .
Due legislature, al posto di una. Sei governi in sette anni. Ouarantaquattro partiti ammessi al finanziamento pubblico. Quindici gruppi parlamentari. Un governo reso possibile dal sostegno di dieci diversi raggruppamenti politici. Due repentini ribaltamenti delle maggioranze parlamentari scelte dagli elettori (si legge sul Mulino: "un'operazione di rara violenza politica ha abbattuto il governo Prodi". E non solo!).
Oltre ai numeri assoluti, ció che in particolare impressiona é la proliferazione, l'evoluzione "darwinista" delle specie politiche: dai municipi-partito ai partiti-azienda, dai pubblici uffici capitalizzati come futures politici alle liste antropomorfe, dai movimenti personal-popolari (non un'enantiosemia) ai cartelli di potere, si stanno moltiplicando ed ibridando, su scala crescente, specie politiche di tipo "nuovo".
É cosí che il "laboratorio" italiano produce e presenta al paese una fenomenologia politica regressiva. Lo spettacolo di rappresentanze senza governo a fronte di governi senza rappresentanza, di deleghe senza convinzioni e di convinzioni senza deleghe.
In particolare, piú é forte la "vitalità" politica, piú é vuota l'agenda politica. In rapporto di proporzione inversa, piú si fa intenso il movimento delle specie politiche, piú si fa alto il numero delle cose non fatte, accantonate, fatte male.
É difficile pensare che tutto ció sia nell'interesse del paese. Soprattutto in questa fase storica.
In questi termini é stato ed é ancora straordinariamente e lucidamente significativo il messaggio inviato alle Camere dal Presidente Cossiga ("La richiesta di riforme istituzionali, di nuovi, moderni e piú efficienti ordinamenti e procedure, non é quindi una richiesta solo "politica" o tanto meno "di ingegneria costituzionale", ma é una richiesta civile, morale e sociale di governo, di libertà, di ordine, di progresso").
Un tempo si diceva che la guerra é, con altri mezzi "la prosecuzione della politica". Ora, nella nuova geopolitica del mondo, la politica prosegue con la politica.
La guerra é ormai scomparsa, almeno su vasta scala, tra grandi Stati-nazione, sostituita dalla competizione (che, almeno in questi termini sostitutivi, é cosa positiva).
Nella logica geopolitica della competizione, non é piú necessario conquistare il territorio degli altri, per conquistare la ricchezza.
Ma piuttosto é necessario attrezzare il proprio territorio, tanto per conservare la propria ricchezza, quanto per attrarre ricchezza da fuori.
E, in questa strategia, il fattore fondamentale é proprio il fattore istituzionale.
É soprattutto essenziale, per un paese, avere un ordinamento politico forte, capace di produrre e di offrire una governance efficace.
In assenza di questo fattore, un paese viene infatti sistematicamente e progressivamente spiazzato.
E, va notato, nello specifico del teatro europeo la competizione non é attenuata, ma anzi incrementata.
É proprio questo il rischio che si presenta, nel caso dell'Italia.
Un paese, l'Italia, che, come é stato giustamente notato (da Giovanni Sartori), ha il peggiore sistema politico che ci sia in Europa e sembra destinata a deteriorarlo ulteriormente: nel "caos democratico" e nel non governo "post-moderno", che consente a tutti gli altri poteri di rafforzarsi nelle forme oblique ed occulte dell'appropriazione indiretta dell'essenziale economico e sociale, lasciando alla "politica" solo i falsi obiettivi.
Rispetto a questa deriva, la proposta formulata ed articolata qui di seguito va in controtendenza: é mirata ad un obiettivo positivo di govenance , é realisticamente soggetta al vincolo costituzionale; ha (é) infine un'alternativa, rispetto al degrado atteso.
Nei seguenti termini:
a) l'obiettivo é anzitutto costituito dalla governance : un Governo eletto direttamente dal popolo e responsabile unicamente verso il popolo. Per questo, un Governo stabile e perció capace di produrre politiche forti, per il bene comune;
b) il vincolo é costituito dalla Costituzione vigente, che realisticamente si deve assumere invariata.
Una riforma costituzionale é infatti necessaria. Ma non é (purtroppo) possibile, almeno nel breve e nel medio andare.
Nel durante, il paese ha comunque bisogno di essere governato. É per questo che l'ipotesi di riforma formulata ed articolata qui di seguito é pragmaticamente strutturata a Costituzione invariata.
In specie, si tratta di una riforma che puó essere approvata velocemente, con una legge ordinaria;
c) infine l'alternativa é rispetto al referendum abrogativo in corso, mirato alla trasformazione del sistema elettorale italiano in senso radicalmente "uninominale-maggioritario".
L'effetto del referendum sarebbe in realtà l'introduzione in Italia di un sistema elettorale assolutamente unico, rispetto al resto dell'Europa. Cosí da accentuare, invece che ridurre, il "particularisme" politico italiano.
Se si scorre la mappa geopolitica dell'Europa, si nota che i sistemi elettorali hanno base "proporzionale" in ben 13 paesi.
Solo in 2 paesi, Inghilterra e Francia, i sistemi elettorali sono "uninominali-maggioritari". Ma con due specifiche differenziali, di enorme rilevanza.
In Inghilterra, é stata la storia (non il sistema elettorale) che, nel corso di almeno due secoli, ha normalizzato e semplificato la vita politica, rendendo cosí possibile il fascinoso e macchinoso funzionamento del sistema elettorale inglese.
Un sistema che si colloca su sfondi feudali e si sviluppa in intensi rituali di tipo sportivo, articolati nella forma ancestrale e primitiva dell' homo ludens .
Non per caso il sistema si chiama First past the post .
In sintesi, é il consolidamento storico dell'Inghilterra che consente un elevato tasso di folklore elettorale. É la forza della storia che influisce sulla meccanica politica inglese. Non l'opposto.
In ogni caso, proprio in Inghilterra, sua patria di origine, l'"uninominale-maggioritario" é ora fortemente discusso, ed é in specie già molto avanzata ed elaborata la proposta dl abbandonarlo, per passare ad un sistema a base proporzionale.
A prescindere dalle chances politiche d'effettivo cambiamento, ció prova il fatto che non si tratta di un modello "assoluto", dell'"ottimo" politico per definizione.
In Francia, il fattore-base (e/o il prius ) del meccanismo costituzionale é costituito dall'elezione diretta del Presidente della Repubblica. L'accessorio (e/o il posterius ), esclusivamente strumentale (e non costituzionale), é costituito dalla legge elettorale, contingentemente variabile (e storicamente variata) tra maggioritario e proporzionale. Non viceversa.
É dunque evidente che post-referendum si avrebbe, in Italia, un sistema elettorale solo apparentemente e/o superficialmente simile ai sistemi inglese francese.
In realtà si avrebbe un sistema del tutto atipico, perchè privo dei presupposti storici e politici, sistematici e costituzionali che hanno finora assicurato, ed ancora assicurano, la (relativa) funzionalità di quei sistemi politici, nel loro specifico contesto di origine.
Avremmo, in Italia, il sistema inglese, senza la storia inglese; il sistema francese, senza il Presidente francese.
In sintesi, post-referendum saremmo gli unici in Europa ad avere un sistema che (forse) soddisfa le "ragioni" formali della tecnica elettorale, ma non certo le ragioni costituzionali della politica sostanziale.
Un sistema che solo "tecnicamente", e perció solo superficialmente, puó essere considerato "autoapplicativo".
In realtà, un sistema dimezzato che si limita a disciplinare come si viene eletti, ma che non disciplina affatto cosa possono (cosa devono) fare gli eletti.
Dunque, un sistema piú vuoto che pieno, basato come sarebbe su di un'"economia politica" illusoria.
Sull'illusione "tecnica" che il mezzo (elettorale) possa assorbire e sostituire il fine costituzionale fondamentale (la governance ).
Un sistema che, é provato dall'esperienza di questi sette lunghi anni di politica "nuova", lascerebbe la scelta del Governo alla inventiva creatività e/o all'ambizione degli eletti, sottraendola agli elettori. In sostanziale violazione della logica e del patto costituzionale.
Nè pare ragionevole ipotizzare che post referendum , anzi pro pter referendum , il sistema politico italiano possa trovare al suo interno la forza per risanarsi, per normalizzarsi, per semplificarsi.
Infatti, delle due l'una: (i) o si pensa che il referendum sia fine a sé stesso, perchè la legge elettorale che ne deriva per abrogazione é già la legge "ottima", in quanto radicalmente "uninominale-maggioritaria"; (ii) o invece si pensa al referendum solo come ad uno strumento dialettico sperimentale, come ad uno stimolo-provocazione, per arrivare poi ad una successiva e finalmente decisiva riforma.
Entrambe queste due ipotesi sono presenti all'interno del movimento referendario. Un movimento che, in questi termini, si caratterizza per essere tanto numeroso quanto diviso.
In realtà, si tratta di due ipotesi contraddittorie, che hanno in comune un solo dato: sono entrambe sbagliate.
Come é evidente, nei termini che seguono:
A) l'ingovernabilità, dopo il referendum.
Dal referendum uscirà un sistema elettorale apparentemente "nuovissimo", ma in realtà vecchissimo, perchè post-abrogazione la legge elettorale generale italiana sarà sostanzialmente identica a quella per l'elezione del Senato.
Dunque, mentre si pensa di rimuoverla, si tornerebbe proprio alla "prima Repubblica".
Ma con una fortissima variante peggiorativa e negativa. Infatti (i) mentre il vecchio sistema era, nel bene o nel male (nel male certamente, almeno durante la seconda parte della "prima Repubblica") comunque un sistema strutturato, (ii) il "nuovo" sistema, senza partiti forti (come prima), senza storia (come in Inghilterra), senza un Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo (come in Francia), é un sistema destinato a sicura progressiva destrutturazione (per le ragioni esposte qui di seguito sub B).
Nè sembrano razionali ipotesi "alla Rousseau", basate sull'idea che il sistema elettorale "uninominale-maggioritario" abbia in sè la forza etica specifica necessaria per "educare" tanto le masse elettrici, quanto le èlites all'onesta efficienza intrinseca al "nuovo" modello politico.
Puó forse anche essere cosí (e certamente potrebbe essere cosí) nel lungo andare. Ma, nel frattempo, il paese va a rotoli;
B) nessuna "riforma", dopo il referendum.
Dopo un referendum che sarà plebiscitato da un voto anti-partiti ed anti-politica, il sistema politico italiano si troverà in una situazione di tipo day after .
Post referendum , il Parlamento attualmente eletto sarà infatti sostanzialmente delegittimato. Per due ragioni: perchè é stato eletto con la legge "vecchia"; perchè non é stato capace di produrre una legge "nuova".
Nè é prevedibile che le cose possano andare meglio con il "nuovo" Parlamento.
Le "istituzioni" italiane sono infatti molto diverse da quelle inglesi e francesi, la cui forma non é creata dall'"uninominale-maggioritario", ma all'opposto consente l'"uninominale-maggioritario".
Il nuovo Parlamento italiano sarà eletto in forma discontinua e casuale, antropomorfa.
Si avrà in Parlamento la proliferazione di guaritori, tribuni della plebe, atleti, disk jockey , giustizieri, visionari, cuochi, sciamani eccetera.
Dunque un Parlamento debole perchè composto ed anarchicamente "dominato" da queste personalità "forti".
Il Parlamento "nuovo" sarà dunque, a sua volta, incapace, oltre che di esprimere una governance , di votare una nuova, e finalmente efficiente, legge elettorale al servizio del paese.
A maggior (peggior) ragione, é infine da escludere che post referendum tanto il Parlamento attualmente eletto quanto il "nuovo" Parlamento possano addirittura varare una efficace riforma della Costituzione (che non si fa con maggioranze funzionali basate su forti leverage elettorali, come sono quelle espresse dall'"uninominale-maggioritario").
In questo contesto, anche il nuovo Presidente della Repubblica sarà eletto in condizioni di assoluto e drammatico vuoto politico.
Proseguirà dunque lo stato di fallimento della politica, che, dopo il tracollo della "prima Repubblica", poteva (puó) legittimarsi solo costruendo regole nuove.
In sintesi, lo sperimentalismo referendario non sembra capace di spingere il paese verso un grado accettabile di forza e di stabilità politica. Sembra piuttosto destinato ad immetterlo in un ciclo irreversibile di progressiva ingovernabilità.
In questi termini, é davvero difficile sostenere che la soluzione "ottima" possa essere costituita dal prossimo referendum "pro-maggioritario".
Infatti, un referendum di questo tipo (i) mirato alla trasformazione radicale del sistema elettorale italiano in sistema "uninominale-maggioritario", (ii) e magicamente identificato come un bene in sé (con indifferenza rispetto al fatto che si tratta di un sistema minoritario in Europa ed in via di superamento proprio nella sua terra di origine, l'Inghilterra), (iii) infine caricato di una fortissima valenza negativa, simbolica e propagandistica, anti-partiti ed anti-politica (e proprio per questo destinato ad essere plebiscitato, (iiii) porta in realtà con sè - per le ragioni che sono state esposte sopra - il rischio non marginale di un'accelerazione del processo degenerativo in atto all'interno della politica italiana.
In particolare:
a) se é vero che la conservazione tout court del sistema elettorale attuale (che scinde sistematicamente la rappresentanza dal governo) é in ogni caso inaccettabile;
b) é peró anche vero che inserendosi all'interno (di quel che resta) del sistema politico italiano, la radicalizzazione mag gioritaria prodotta dalla soluzione referendaria non costituisce affatto l'"ottimo" politico e neppure un accettabile second best .
Non é certo un caso che sui limiti della struttura puntiforme caratteristica dell'"uninominale-maggioritario", sui rischi di immoralità ed inefficienza tipici di un sistema elettorale cosí destrutturato, sulla artificialità dei risultati casualmente possibili collegio per collegio, si sia espressa con forza la parte maggiore e migliore del pensiero politico democratico, da Gobetti a Turati, da Salvemini a Sturzo.
All'opposto, non era forse Giolitti che le elezioni con il proporzionale "non le sapeva fare"?
Il referendum del 1993 é stato una geniale intuizione "demolitoria".
É naturale e tipica del resto, in strumenti di questo tipo, proprio la prevalenza della pars destruens sulla pars construens .
Ugualmente demolitorio, per le ragioni esposte appena qui sopra, sarà il referendum del 1999. Reso solo piú equivoco dal curiosum per cui un referendum presentato come anti-partiti ed anti-politica sembra essere "sponsorizzato" proprio da numerosi partiti.
E anche da vari ambienti, oscillanti tra avventurismo e cinismo, forse nell'illusione che plus ça chance, plus c'est la même chose .
In realtà, c'é un tempo per la passione e c'é un tempo per la ragione. C'é un tempo per la protesta e c'é un tempo per la proposta.
Questo tempo é arrivato e, purtroppo, é un tempo molto breve.
Tra un referendum ed una riforma, la differenza é in realtà la stessa differenza che c'é tra un grimaldello ed una chiave.
Il problema non é quello di entrare in una casa che si sente altrui, ma piuttosto quello di potere entrare in una casa che si vuole sia da tutti sentita come propria.
La soluzione non é neppure costituita dall'ipotesi di riforma appena abbozzata dal Governo. Una ipotesi ibrida che (purtroppo) sintetizza i difetti, senza pregi, dell'universo delle ipotesi in circolazione: manca programmaticamente l'obiettivo elementare di ogni legge elettorale (che vinca chi ha piú voti), non garantisce rappresentanza, spinge ad aggregazioni elettorali casuali (le cosiddette "ammucchiate"), non produce governabilità.
La proposta di riforma formulata ed articolata qui di seguito, sulla base del modello tedesco, costituisce dunque una alternativa, tanto rispetto al vecchio regime, quanto rispetto al referendum .
Entrambi incapaci di soddisfare l'interesse del paese alla governance e di offrire una prospettiva riformatrice.
Siamo consapevoli del fatto che, formulando questa proposta, si va in controtendenza, perchè il referendum é stato configurato e viene popolarmente percepito come la metafora moderna del cambiamento positivo, attiva all'interno di un meccano mentale che - si é già notato - la valorizza come il bene rispetto al male, come il nuovo rispetto all'antico, come l'onesto rispetto al disonesto, come il popolo rispetto ai partiti, come l'efficiente rispetto all'inefficiente.
E che non sia cosí sarà comunque evidente, appena dopo il referendum .
Basterà infatti aspettare poco tempo, per verificarlo. Quando, sparato l'ultimo colpo e finalmente eliminati i "nemici" (la "partitocrazia", la "politica"), sarà evidente che la "vittoria" non ha portato con sè gli effetti miracolosi e salvifici attesi e promessi.
Non ci vorrà molto tempo, per verificare che, nonostante le promesse, sono ulteriormente ed enormemente cresciuti la discrezionalità nell'esercizio del "mandato" politico, la deriva "antropomorfa", il tasso complessivo di ingovernabilità del paese.
Allora, dopo quelli del 1993 e del 1999, verrà certamente un "terzo referendum". Ma a rovescio.
Quando non ci saranno piú i vecchi "nemici", cui attribuire le colpe, allora saranno i cittadini a capire che, ancora una volta, sono stati strumentalizzati: chiamati solo a fare il political dressing di un corpo in decomposizione.
Sempre nella vecchia logica, per cui non é la politica al servizio dei cittadini, ma i cittadini al servizio della politica, per "nuova" che questa sia.
Saranno allora (ed a ragione) i cittadini ad individuare i "nuovi" colpevoli proprio nei "nuovi" politici.
E non sarà la rivoluzione. Sarà peggio. Sarà la dissoluzione.
L'astensionismo dal voto, che in Italia non é silenziosa fiducia nel sistema, ma all'opposto disgusto per il sistema, si trasformerà infatti in secessione dal voto.
E di qui in secessione dagli ideali e dall'idea stessa del paese.
Quella che segue, in alternativa, é invece una proposta positiva.
Il copione non prevede la salita sul Monte Sinai e la discesa con le tavole elettorali. Non esiste un sistema elettorale unico, universalmente applicabile.
Sono infatti le strutture sociali che portano ai (e postulano i) sistemi elettorali. Non viceversa. Sistemi elettorali e strutture sociali non sono variabili indipendenti.
In questi termini, non pare razionale l'idea di "modificare" le strutture sociali con "opportuni" sistemi elettorali. C'é infatti il rischio, non marginale, che questa tecnica produca effetti reali devastanti, opposti rispetto a quelli ideali programmati.
La proposta formulata ed articolata qui di seguito, sostanzialmente basata sul modello tedesco, non prescinde dalla realtà sociale italiana.
A differenza che in altri paesi europei, la società italiana é profondamente divisa e politicamente demotivata.
Per questo é da un lato facile piazzare ogni tipo di merce politica ad effetto illusorio, dall'altro lato é pericolosa per la democrazia la radicalizzazione nichilista del gioco politico.
In questo contesto, la "giusta" legge elettorale deve aggregare i moderati su due polarità fondamentali e non farli dipendere dagli estremisti.
Per questo, proponiamo una legge (i) capace di evitare il frazionismo (con una clausola di sbarramento) (ii) capace di garantire la governance (ogni coalizione deve presentarsi alle elezioni con un programma e con una squadra di governo), (iii) che, prevedendo tra l'altro sanzioni finanziarie e politiche antiribaltone, lasci lo scettro al popolo), cosí realizzando il bipolarismo (se il governo cade, si rivota).
Un caveat essenziale finale.
Per svilupparsi efficacemente, l'esercizio riformatore deve essere insieme neutrale e realistico.
Neutrale, nel senso che la legge elettorale "giusta" non puó essere una legge strumentale, al servizio dell'"interesse" elettorale di una parte.
In particolare, la "giusta" legge elettorale deve consentire, nel maggiore grado possibile, la espressione della oggettiva volontà popolare (che vinca chi ha piú voti). Non puó essere lo strumento per spiazzare e/o eliminare a tavolino, e perció artificialmente, la concorrenza politica.
Realistico, nel senso che non puó sovrapporre all'"essere" il "dover essere" (od il volere essere). Ció che va soprattutto evitato é la sovrapposizione alla realtà di "modelli" ideali astratti, tanto "scientifici" quanto "nostalgici".
Certamente si tratta di una proposta discutibile. Una sola cosa si chiede: che non sia vista e discussa strumentalmente.
Come nelle pagine di Maritain ("L'uomo e lo Stato"), l'incontro puó (deve) essere tra uomini di princípi diversi, anche opposti, ma animati dalla stessa "fede" secolare: il rispetto per la verità, per l'intelligenza, per la dignità umana, per la libertà. Come cemento l'amicizia civile e l'assegnazione di un valore assoluto al bene morale.
PARTE PRIMA
IL PROBLEMA DELLA "GOVERNANCE"
1. TESI: UN "DARWINISMO" POLITICO ECCESSIVO.
Come si é notato in premessa, stanno proliferando in Italia, dentro e fuori dal Parlamento, organismi politici eterogenei. Organismi che a volte organizzano il consenso muovendosi "democraticamente" dalla base verso il vertice; a volte, cercano addirittura di prescindere dal consenso, imponendosi come èlites costituite.
Si tratta dl una situazione non sostenibile. Per un doppio ordine di ragioni: perchè, come si é premesso, nella competizione internazionale il fattore istituzionale (l'offerta di un sistema politico stabile e credibile) é un fattore strategico essenziale; perchè gli eventi esterni, dai flussi migratori ai progressi scientifici, si manifestano su vasta scala e premono con forza crescente, postulando riflessioni etiche e soluzioni politiche non minime, non casuali e banali.
2. ANTITESI: LA SOLUZIONE NON É COSTITUITA DAL REFERENDUM "PRO MAGGIORITARIO".
Per le ragioni esposte in premessa, la soluzione non é costituita dal referendum , che non migliora ma peggiora (se possibile) la situazione in essere.
3. SINTESI: ALLA DOMANDA DI "GOVERNANCE" CHE VIENE DAL PAESE PUÓ (DEVE) INVECE ESSERE DATA UNA RISPOSTA DIVERSA, CON UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE.
Il Parlamento ha comunque - come si é premesso - un ultima chance : puó (deve) votare una nuova legge elettorale, (i) fattibile rapidamente, perchè possibile a Costituzione vigente invariata e (ii) mirata a combinare insieme il piú alto grado possibile di rappresentanza elettorale con il piú alto grado possibile di efficienza e trasparenza nell'azione di governo (ció che appunto costituisce l'essenza democratica della governance.BFT).
É certo vero che sul sistema "maggioritario" si concentra attualmente un elevatissimo grado di "popolarità", all'interno di uno schematismo pitagorico che oppone il "maggioritario" agli altri sistemi elettorali, come il bene si oppone al male, eccetera.
Ma non é cosí. Si tratta solo di "idola tribus ".
Nel primo dopoguerra la colpa del collasso democratico fu attribuita al "proporzionale" (la sovrastruttura politica), invece che ai fondamentali sottostanti (il suffragio universale e, soprattutto, l'avvento delle masse, prodotto e portato dalla guerra, come fu correttamente notato da Salvemini e da Sturzo).
Cosí ora un meccano mentale piú superstizioso che razionale attribuisce al "proporzionale" una "colpa" che assolutamente non ha.
É vero che il proporzionale é stato il sistema elettorale della "prima Repubblica". Ma non é affatto vero che é stato la causa della degenerazione della "prima Repubblica".
La ragione non consente infatti l'uso di argomenti logicamente falsi, di tipo post hoc, ergo propter hoc .
Il fattore principale di corruzione politica e morale attivo nella seconda parte della "prima Repubblica" (in specie, attivo a partire dagli anni '70) é stato infatti essenzialmente il ricorso quasi illimitato al debito pubblico che, per circa un ventennio, ha consentito dl disapplicare la regola costituzionale fondamentale in democrazia: " no taxation, without representation ".
É stato questo (l'uso su vastissima scala del debito pubblico) il fattore-chiave che ha trasformato una democrazia originariamente "bloccata", per ragioni ideologiche, nel contromodello costituito da una "democrazia del deficit ".
La cascata dei fenomeni di crisi é stata dunque, ed in realtà, molto piú profonda ed intensa di quel che comunemente si crede (e si fa credere).
Nella prima parte della "prima Repubblica" (in specie, nel segmento di storia che va dalla Costituente al principio degli anni '70) il "proporzionale" ha consentito lo sviluppo democratico di politiche forti e trasparenti
E, in questa specifica fase storica, il "bipolarismo" certo mancava. Ma non per effetto del "proporzionale". Piuttosto, per effetto della "democrazia bloccata".
Ora lo scenario é radicalmente cambiato
a) la caduta delle ideologie ha rimosso il "blocco" interno alla democrazia italiana, rendendo possibile una reale alternanza nella funzione di governo;
b) il rigore finanziario imposto (importato) dall'Europa rende assolutamente irripetibili politiche degenerative di " deficit spending.BFT";
c) lo scenario europeo offre infine ampia evidenza, tanto in ordine alla necessità di " governance ", quanto in ordine alla possibilità di costruire efficienti meccanismi di " governance ".
Come é soprattutto evidente (e si esporrà comunque piú analiticamente qui di seguito) nel caso della Germania.
In sintesi, rimossi tutti i fattori negativi originari, non ci si puó ancora ostinare in un atteggiamento negativo di tipo inerziale, come se questi fossero invece ancora tutti presenti ed attivi.
All'opposto, non c'é alcuna ragione per continuare a proiettare sul futuro il (male del) passato.
E non c'é alcuna ragione per ripetere l'errore della Costituente: depotenziare la funzione di governo, per paura del fascismo. Come ora sarebbe: rinunciare ad un sistema di tipo tedesco, in odio ai fantasmi della "prima Repubblica".
Nel 1993 il referendum "anti-proporzionale" é stato - si ripete - essenzialmente una geniale intuizione protestataria (un grimaldello, appunto).
Ora é invece tempo (l'ultimo tempo) per passare dalla protesta alla proposta.
4. UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE.
4.1. Le ragioni di una nuova legge elettorale.
La legge elettorale attualmente vigente in Italia ha un doppio limite strutturale: (i) non solo é "mista", cosí da presentare i difetti del maggioritario senza i pregi del proporzionale; (ii) soprattutto, non risolve il problema della " governance ".
Come si é infatti notato, si tratta di una legge che disciplina la rappresentanza, ma non il governo. In specie, si tratta di una legge che regola come si viene eletti, ma non cosa devono fare gli eletti.
I tentativi "creativi" compiuti empiricamente nel quinquennio 1994-1998 per colmare questa "lacuna" sono, con tutta evidenza, falliti.
Prima (durante la "prima Repubblica") la variabilità dei Governi era almeno compensata dalla stabilità politica (ci sono stati cinquanta Governi in cinquanta anni. Ma c'é stato un solo partito egemone, per cinquanta anni). Ora anche questo equilibrio di squilibri si é rotto: infatti é la instabilità politica che causa sistematicamente la instabilità dei Governi. E viceversa.
4.2. La scelta, tra le diverse opzioni possibili, della "giusta" legge elettorale.
Storia e struttura, economia e morale proprie di ciascun paese sono fortemente variabili, nello spazio e nel tempo.
É per questo che non esiste un modello elettorale "ottimo", storicamente dato e geometricamente funzionale. Ma, piuttosto, esiste una gamma vasta e variabile di modelli empirici.
In termini essenziali, va comunque notato che la parte maggiore dei (vari) modelli elettorali si estende in una specie compresa tra due estremi significativi tipici: il modello inglese, il modello tedesco.
I due modelli hanno un carattere comune: entrambi si sono dimostrati capaci di garantire il bipolarismo.
Ma si differenziano per molti altri aspetti. In specie:
a) il modello inglese uninominale e/o maggioritario é basato (i) oltre che sul particularisme fascinoso tipico di una tradizione storica specifica, in cui - come si é già notato - si sommano residui del mondo feudale ed intensi originari rituali sportivi, (ii) soprattutto, sulla possibilità di introdurre nel sistema un altissimo grado di finzione e/o di leverage politico.
Nell'ambiente politico britannico é infatti talmente alto il grado del consenso popolare verso le istituzioni politiche; ancora, é talmente forte l'omogeneità politica (causa questa, a sua volta, di una naturale progressiva riduzione del numero dei partiti), infine é (simmetricamente) talmente bassa la "cifra" politica implicata dai problemi in discussione, che la massa é disposta a depotenziare il proprio voto: purché ci sia un Governo, si consente che quella che in realtà é una minoranza nel paese, sia comunque "artificialmente" trasformata in una maggioranza parlamentare funzionale.
É proprio in questi termini che funziona il paradosso del "maggioritario". Il maggioritario (che in realtà é minoritario) é in specie un sistema elettorale inventato per il "governo della normalità" e possibile solo per questa.
Si tratta di un sistema che funziona relativamente bene, se il problema politico é costituito dalla (circoscritto all') ordinaria amministrazione di una società per suo conto già bene ordinata.
Non per caso, il sistema é stato sostanzialmente sospeso, e sostituito da una politica "bipartigiana", durante la seconda guerra mondiale.
Nell'economia politica originaria e propria del "maggioritario-uninominale", la normalità é dunque il prius , il "maggioritario uninominale" é il posterius . Non viceversa.
É perció assurdo pensare che il maggioritario crei la normalità e che possa funzionare magicamente come fattore di normalizzazione della realtà politica italiana. Vero invece l'opposto;
b) il modello "proporzionale" tedesco ha caratteristiche strutturali, e specifiche di funzionamento, specularmente diverse.
Si basa infatti sul "proporzionale", ma con la soglia di sbarramento evita il frazionismo politico e, con la tecnica della sfiducia "costruttiva", lascia lo "scettro al popolo".
4.3. I partiti politici e le ragioni della politica.
Nessun sistema elettorale vive una vita propria. Tutti si rapportano (in positivo od in negativo) al sistema dei partiti politici.
In specie, mentre il "maggioritario" tende a destrutturare i partiti politici, il sistema "proporzionale" assegna (conserva) ai partiti politici un ruolo-chiave.
Ció é pour cause e per chi scrive non é affatto un male, soprattutto se si crede che, nonostante tutto, i partiti possano (debbano) rinnovarsi assumendo una proiezione europea, sovra-nazionale. Per le ragioni che seguono.
C'é stato un periodo - un'era storica - in cui i partiti occupavano le "istituzioni". Fino ad arrivare al punto tipico di evoluzione negativa della loro specie. Fino al "punto del dinosauro": troppo grandi e troppo stupidi (ció anche per effetto dell'ambiente politico artificiale che si era creato loro intorno, per effetto del debito pubblico).
Ma ora il ciclo politico sembra rovesciarsi: sono le "istituzioni" ad occupare lo spazio politico proprio dei partiti.
L'effetto prodotto é la sostanziale, tendenziale alterazione della struttura democratica classica, retta dalla catena: consenso-partiti-voti-potere-consenso o dissenso.
Molte delle nuove strutture che appaiono sulla scena politica presentano infatti una sequenza invertita: non i voti che generano il potere; é il potere che cerca voti per le sue nuove forme politiche, o che sostituisce i voti con forme diverse di "legittimazione".
In queste nuove morfologie politiche, i voti non sono dunque un prius , necessario, ma un posterius , opzionale.
L'anello che rischia di mancare, in queste nuove catene politiche, é la democrazia, intesa come forma di rappresentanza generale degli interessi.
Non si tratta di fenomenologia semplice. Non tutto é infatti causato da fattori di ordine "antropomorfo" (per esempio, non tutto é dovuto alla naturale tendenza dei sindaci a perpetuarsi politicamente, anche dopo la scadenza del loro mandato). E l'universo dei nuovi soggetti politici certamente non si esaurisce (come si cercherà di esporre qui di seguito) nel "bestiario" indicato in epigrafe. Si tratta di fenomeni notevolmente complessi. Non domestici, tipici cioé dell'ambiente politico italiano (che pure é laboratorio politico non marginale), ma generali.
Fenomeni di latitudine storica generale, che si stilizzano nella seguente tabella:
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E che si manifestano all'interno di una vasta cascata di fattori, che va dalla caduta delle ideologie fino alla nuova geopolitica, dall'avvento dell'economia-mondo fino alla conseguente erosione della base di potere originaria e tipica dello Stato-nazione, basato sul principio del dominio territoriale chiuso. Un principio che da Westfalia, passando attraverso le costruzioni giacobine "moderne", arriva fino a questa fine di secolo.
La casistica in cui empiricamente si manifesta tutto questo darwinismo politico puó essere sintetizzata in tre classi generali:
A) "Istituzioni" che occupano il vuoto politico. La meccanica politica che caratterizza questo processo é la "sussidiarietà" (anche nella variante del federalismo). Le figure emergenti sono le "comunità" (dalle comunità locali alle governmental organizations . Le figure riemergenti sono le "comunità" (dalle comunità locali alle cellule familiari). Il fenomeno é causato da un doppio movimento: gli Stati arretrano; la realtà avanza sopra, a lato, sotto gli Stati. I flussi e le nuove concentrazioni di potere sono stilizzati e censiti nello schema precedentemente riportato;
B) "Istituzioni" create dalla politica per l'esercizio di funzioni sostitutive.
Tipiche all'interno di questa classe sono tanto la figura storica della Banca Centrale quanto figure esoteriche, come le cosiddette Authorities .
Organismi questi che concentrano frazioni dei tre poteri sovrani, ibridando, in un microcosmo compiuto di competenza settoriale, funzioni normative-esecutive-giudiziarie.
Inventate per sostituire la politica in settori tecnici specifici, le Authorities non fanno politica in senso attivo. Ma la fanno in senso negativo: nel senso che svuotano la politica. O la surrogano (anche attraverso processi di osmosi di personale politico).
Nello specifico del caso italiano, si tratta di corpi:
a) troppo numerosi, in termini quantitativi (attualmente le Authorities sono circa 14, ma in continuo divenire);
b) impropri, in termini qualitativi, per il loro meccanismo genetico (in parte sono nominati dal Parlamento, in parte sono nominati dal Governo e, in definitiva, prevale evidentemente la componente autoritaria discrezionale sulla funzione di garanzia);
C) "Istituzioni" che strumentalizzano in modo creativo ed innovativo il loro potere, cercando empiricamente di fare ció che invece dovrebbero ancora fare tanto lo Stato, nelle sue varie (residue) articolazioni, quanto la politica. É questa certamente la casistica piú stravagante, sviluppata su di una gamma che - si é premesso - va dai municipi-partito fino ai partiti-azienda, passando attraverso le liste carismatiche, movimenti personali-popolari, eccetera.
La classe A) é perfettamente "fisiologica". É il futuro della politica o, se si vuole, é la politica futura. Non é corretto, non ha senso negarne la legittimazione politica o cercare di contrastarla. Piuttosto, é necessario capirne l'essenza, costituita dalla prevalenza del "contratto" (liberamente stipulato) sulla "legge" (imposta dallo Stato). La filosofia é aristotelica e cristiana. Il senso profondo é il ritorno ai valori, insieme storici e trascendenti.
Le classi B) e C) sono invece "patologiche". Si manifestano e si spiegano in fase di transizione. Ma il loro sviluppo va osservato e controllato.
Fermo un punto: la vitalità di questi soggetti é (ancora) alta, ma solo perchè la politica é bassa.
Dunque la soluzione non si trova tanto nella applicazione di terapie o di interventi di tipi negativo e/o demolitorio (che farebbero, tra l'altro il loro gioco). Quanto piuttosto, in positivo, nella riemersione della politica.
E la politica puó riemergere, se lascia dietro di sè le "nuove" filosofie: la cultura oggettuale, la generalizzazione del particolare, la prevalenza dell'orizzontale sul verticale, la memoria che deglutisce il passato, l'assolutizzazione dell'attuale, la banalizzazione dell'esistente.
In questo contesto, i corpi politici (soprattutto i partiti politici) hanno (possono nuovamente avere) un ruolo positivo essenziale. Soprattutto se (si ripete) hanno la possibilità e la forza per proiettarsi fuori dai confini domestici, assumendo sempre piú una configurazione sovranazionale (europea).
PARTE SECONDA. - LA PROPOSTA
1. IL "DEFICIT" ELETTORALE.
Sono mesi e mesi che viene sistematicamente ripetuto: con la vittoria dei "sí", e con la "nuova" legge elettorale che ne deriverà, avremo finalmente un "ordine nuovo": vero bipolarismo, vere maggioranze parlamentari, governi piú stabili, drastica riduzione dei partiti (il cosiddetto bipartitismo), in definitiva una piú forte sovranità dei cittadini.
Ma le cose stanno realmente cosí? Purtroppo no, e basta poco per verificare che l'eventuale nuovo sistema elettorale non potrebbe produrre nessuno di questi risultati.
Nei seguenti termini:
a) la questione del bipolarismo.
É abbastanza logico presumere che, al momento delle elezioni, siano in gara due sole "coalizioni".
Per una ragione abbastanza semplice: nessuno dei partiti attuali avrebbe possibilità di vincere nei collegi elettorali, ottenendo da solo percentuali mediamente non eccedenti il 30 per cento.
Ma di quale unione si tratterebbe? Per l'appunto, di un'unione puramente "elettorale".
Dunque, un'unione opportunistica, strumentale, prevedibilmente ricattatoria (io controllo l'x per cento dei voti; se non candidate me, passo al campo avversario e voi perdete il seggio).
In ogni caso, un'unione del tutto provvisoria: oggi alleati, ma domani in Parlamento, di nuovo ciascuno con le sue truppe (per contare di piú nella formazione di Governi e nelle decisioni legislative quotidiane) In sintesi: un bipolarismo puramente, semplicemente, dichiaratamente, geneticamente elettoralistico.
Che finirebbe per configurarsi come l'ambiente di coltura ideale del multifazionismo parlamentare. Con fazioni di tutti i generi, ma sempre "decisive" per la scelta delle candidature. Fazioni partitiche, ma anche localistiche, sindacali, clientelari, eccetera;
b) la questione della governance .
Forse, dai bussolotti del sistema postreferendario potrebbe anche uscire una qualche maggioranza numerica. Ma non certo una maggioranza politica.
Verso questa ipotesi negativa spingono poche considerazioni, di buon senso.
Puó essere opportuno ignorare certe incredibili "simulazioni" apparse in questi giorni sui giornali. Lasciamole perdere, per l'assoluta inattendibilità che le contraddistingue (come si fa, infatti, ad immaginare una distribuzione dei voti partendo dai risultati del 1996, quando é chiaro che, col nuovo sistema, cambierebbero inevitabilmente anche candidati e comportamenti elettorali, cambierebbe cioé tanto l'offerta quanto la stessa domanda politica).
Facciamo invece un ragionamento piú serio. Per chi voterebbero gli elettori, con il nuovo sistema? Solo e unicamente per candidati del proprio collegio, con la "logica", precedentemente descritta, di formazione di candidature manipolate "collegio per collegio". Dunque, non per il governo;
c) la questione del bipolarismo.
Certo, in sede elettorale il numero delle "coalizioni" dei contendenti si abbatterebbe a due soltanto (o giú di lí), per le ragioni di convenienza elettoralistica esposte appena qui sopra sub a).
Ma, dopo le elezioni? Il numero dei partiti, delle fazioni e dei partitelli finirebbe invece con l'aumentare a dismisura in sede parlamentare, proprio per le citate ragioni genetiche che accompagnerebbero il nascere di alleanze elettorali, all'insegna esclusiva dell'opportunismo momentaneo.
Allora, dove sarebbe il guadagno per cittadini?
Si avrebbe solo il passaggio dalla padella (attuale) alla brace dei mille gruppuscoli, incentivati e non scoraggiati proprio dalle peculiarità del nuovo maggioritario secco.
In sintesi, non ci sarebbe per i cittadini alcun autentico incremento di "sovranità elettorale".
Infatti, quando la scelta elettorale nei collegi uninominali viene presentata come "scelta dei Governi", ció che in realtà si fa é solo creare un'illusione: in ragione della logica di formazione "collegio per collegio" delle coalizioni elettorali, finirebbe infatti per sprigionarsi il "peggio del peggio" della politica italiana di sempre: opportunismo, cinismo, ricatti, trasformismo, clientelismo, campanilismo.
Francamente tutto ció é un po' diverso dalla nuova cittadinanza europea che gli italiani hanno invece il diritto di avere. Per cambiare, é necessaria un'ulteriore riflessione.
2. DEMOCRAZIA E MODERAZIONE.
Sistemi elettorali e strutture sociali non sono - si é già notato - variabili indipendenti.
Non esiste un sistema elettorale unico, universalmente applicabile a società diverse.
Nè ha senso pensare (l'esperienza empirica e/o storica lo esclude) che il sistema elettorale serva per cambiare le strutture sociali.
Ció che funziona, in tutte le democrazie mature, é in realtà una competizione politica tra forze non troppo dissimili l'una dall'altra, cosí da garantire congiuntamente tanto il ricambio, quanto una ragionevole continuità nel perseguimento degli interessi generali del paese.
E questo per una ragione essenziale: perchè una vera democrazia ha bisogno tanto di impulsi al cambiamento quanto di legami unificanti.
Se mancano i primi, c'é pericolo di stagnazione. Se mancano i secondi, si pregiudica seriamente la stessa convivenza civile.
Quando si parlava di "bipolarismo", era dl tutto questo che si sentiva il bisogno.
E che cosa abbiamo invece ottenuto?
Cerchiamo di essere realisti. Fin qui ne abbiamo avuto solo una copia molto brutta e assai poco rassomigliante ai modelli ideali.
Anzitutto, i "poli" sono almeno quattro o cinque. Poi, presentano al loro interno (pur se in gradi e percentuali diverse) un ventaglio di orientamenti fortemente eterogeneo, spesso arlecchinesco.
Infine, quanto al tipo della competizione reciproca cui i "poli" hanno finora dato vita, é facile purtroppo constatare come questa assomigli molto piú a quella degli Orazi-Curazi o dei Guelfi-Ghibellini, che non a quella tipica delle democrazie occidentali.
Il risultato? É quello che ogni giorno abbiamo sotto gli occhi: un bipolarismo iperconflittuale, incapace, indeciso su tutto, ipertrasformistico.
Tutto ció é accaduto perchè abbiamo ricercato il bipolarismo "dei moderati", ma somministrando al malato la medicina "degli estremisti". Ció é accaduto perchè abbiamo associato l'obiettivo del bipolarismo ad un sistema maggioritario (figlio del precedente referendum).
Un sistema che, invece di aggregare i moderati, li fa dipendere dagli estremisti.
Come in medicina, quando si sbagliano grossolanamente le dosi, le condizioni del malato non migliorano ma peggiorano.
É proprio ció che é accaduto nel nostro paese dove, sotto l'euforia "mitologica" del "nuovo" sistema elettorale, abbiamo finito col perdere di vista un dato fondamentale.
E cioé che in tutti i paesi d'Europa (con la sola eccezione di Inghilterra e Francia, diverse per le ragioni esposte sopra) il bipolarismo politico é stato sempre accompagnato da leggi elettorali di tipo proporzionale!
Oggi in Europa (Italia esclusa) i paesi bipolari per effetto del "proporzionale" sono la regola (dodici su quattordici). L'eccezione é invece l'uninominale-maggioritario (due su quattordici).
E allora? Da dove viene l'incredibile errore, per cui il bipolarismo "esigerebbe" un sistema maggioritario?
É vero il contrario. E per una ragione molto semplice: perchè nelle democrazie pluralistiche i sistemi maggioritari tendono a "forzare" gli orientamenti spontanei dei cittadini, in modo tale da provocare veri e propri rigetti.
L'abbiamo già notato. Il fatto é che il maggioritario non puó e non deve essere assunto come una formula salvifica, come un onnipotente passepartout.BFT.
Per almeno due ordini di motivi.
Primo, perchè di sistemi maggioritari ne esistono nel mondo in quantità enorme e con enormi differenze l'uno dall'altro.
Secondo, perchè contano soprattutto le condizioni del paziente, a cui si somministra il farmaco. Se il farmaco viene somministrato ad una società priva di vere divisioni sociali e culturali (é questo, ad esempio, il caso dell'Inghilterra), i sistemi maggioritari consentono di produrre maggioranze politiche, in grado di prendere decisioni pubbliche.
Ma se lo applichiamo ad una società profondamente divisa al proprio interno (é questo, evidentemente, il caso dell'Italia), allora é l'opposto.
Perchè domina la necessita di mettere assieme in forma necessariamente, strutturalmente contraddittoria, il piú alto numero possibile di "alleati".
Con l'inevitabile conseguenza di mancare l'obiettivo essenziale della governance : si producono maggioranze incapaci di prendere decisioni pubbliche dotate di un minimo di coerenza (e quindi di efficacia).
Nè varrebbe notare che il sistema maggioritario sta pur sempre funzionando per l'elezione dei "governi locali" (Sindaci, Presidenti di province e domani per gli stessi Presidenti Regionali).
Infatti, i governi locali sono una cosa molto diversa dal Governo nazionale. Soprattutto sono diverse le esigenze e le ragioni del pluralismo sociale e della rappresentatività democratica
É proprio per questa ragione che pare irrazionale proiettare il particolare sul generale, assumendo automaticamente ed acriticamente che ció va bene nel particolare debba (possa) andare bene anche in generale. L'esperienza dimostra, e con tutta evidenza, l'esatto opposto.
In Italia, dal 1993 in poi abbiamo via via negativamente sperimentato forme atipiche e/o improprie di bipolarismo.
É bene che ce ne rendiamo conto fino in fondo: il "bipolarismo dei 44 partiti" cosí come "l'alternanza dei ribaltoni ricorrenti" fino al "maggioritario privo di maggioranze capaci di governare" sono solo le caricature di una politica moderna. Che non puó essere prodotta neppure dal referendum .
3. LA PROPOSTA.
In questi termini, per ricostruire l'attuale sistema politico italiano, le priorità sono le seguenti:
a) ridurre la frammentazione della rappresentanza politica, attraverso disincentivi istituzionali (barriere di accesso) che siano tanto realistici quanto equi;
b) garantire tuttavia l'elezione di un Parlamento che sia ragionevolmente rappresentativo delle principali forze politiche presenti nella società italiana.
Non si tratta di "rappresentare tutti" (soluzione velleitaria e controproducente, per chè incentiverebbe pericolosamente la polverizzazione politica).
Si tratta piuttosto di evitare che nel Parlamento siano "assenti" le diversità principali, le diversità che contano. Perchè, altrimenti, il deficit di rappresentatività minerebbe alla base la legittimità stessa del Parlamento;
c) favorire la formazione di una moderna competizione bipolare fra due coalizioni alternative di Governo, caratterizzate dalla netta prevalenza di orientamenti programmatici, che siano al contempo moderati e costruttivi, consapevoli degli interessi che entrambe le alleanze devono porre in testa ai rispettivi programmi;
d) favorire e premiare la formazione di Governi che siano quanto piú possibile politicamente responsabili verso i propri elettori, nell'osservanza degli impegni programmatici assunti nelle varie occasioni elettorali. All'opposto, scoraggiare e punire la formazione di Governi "parlamentari" alternativi rispetto a quello eletto dal popolo.
In questa logica, la proposta formulata ed articolata qui di seguito si basa essenzialmente sul modello applicato nella Repubblica Federale Tedesca.
La struttura portante del modello tedesco é data, come già notato, dal ricorso a un criterio di rappresentatività popolare basato sulla proporzionale.
In base a questo criterio vengono eletti i membri della "Camera bassa": metà attraverso lo scrutinio di lista (senza preferenze) e metà attraverso collegi uninominali su base regionale.
A correzione della logica proporzionalistica e parlamentare intervengono due importanti istituti.
Il primo é quello della "clausola dl esclusione" dal computo di assegnazione dei seggi di tutte le liste (partiti) che non superano la soglia del 5 per cento dei voti validamente espressi.
Il secondo é quello della cosiddetta "sfiducia costruttiva". Un istituto che, consentendo al Parlamento di sostituire un Governo soltanto attraverso l'elezione di un altro e nuovo Governo, combatte nel modo piú efficace eventuali "vuoti di potere" che si potrebbero produrre nella conduzione della politica nazionale.
Riassumendo, il modello tedesco é in questo modo capace di centrare congiuntamente tre fondamentali obiettivi politici: il massimo di rappresentatività parlamentare; il massimo di stabilità governativa; il minimo di frammentazione delle forze politiche (compatibile con la salvaguardia del pluralismo democratico).
In Germania, nel corso degli ultimi cinquanta anni, questo modello ha funzionato bene. La nostra proposta é semplicemente quella di introdurre in Italia un complesso di istituzioni che, compatibilmente con la nostra storia politica, con la nostra realtà sociale, con la nostra Costituzione, consentano comunque di produrre un pari effetto di " governance ".
La proposta che segue ha, in specie, in coerenza al modello tedesco, tre caratteristiche specifiche essenziali:
a) evita ogni eccesso di polverizzazione e/o di frazionismo politico, lasciando tuttavia ampio spazio alle diversità. Tale scopo é principalmente ottenuto con la clausola di sbarramento al 5 per cento;
b) restituisce lo "scettro" al popolo e garantisce il "bipolarismo".
Infatti, nell'economia di questa ipotesi, é il popolo che vota direttamente le coalizioni che si candidano al Governo. In specie, é il popolo che vota sui programmi di Governo, sul capo del Governo e sulle squadre di Governo.
In caso di fallimento, scatta un effetto automatico: il Governo cade e si rivota, senza possibilità di soluzioni "parlamentari" alternative.
A rigore, per produrre costituzionalmente questo effetto é sufficiente che la nuova legge elettorale sia chiara e non "mista" come l'attuale (nel '94 e nel '98 i "ribaltoni" sono stati infatti "giustificati" proprio in base al carattere non chiaro della legge elettorale).
Una legge elettorale chiara é infatti di per sè pienamente sufficiente per generare l'obbligo costituzionale di scioglimento del Parlamento (come é stato scritto dalla migliore dottrina).
Ma é evidente che, per varie ragioni, questo elemento sistematico puó essere considerato insufficiente. Per questo, si prevedono due ulteriori meccanismi di tutela della sovranità popolare, specificamente costituiti da:
(i) revoca (+ forte sanzione pecuniaria) del finanziamento pubblico ai partiti politici che votano o sostengono maggioranze "ribaltiste";
(ii) preclusione agli stessi partiti della possibilità di presentarsi con gli stessi simboli e contrassegni alle successive elezioni.
In particolare, pare ragionevole assumere che si tratti di strumenti non solo politicamente opportuni (per dare al paese un messaggio di garanzia in ordine al valore decisivo del voto popolare, non impunemente espropriabile da parte dei partiti), ma anche costituzionalmente legittimi.
Nè varrebbe sostenere qualcosa di diverso, focalizzando la lettura del testo costituzionale solo sulle norme che garantiscono le "libertà" parlamentari. Infatti il testo costituzionale, come tutti i testi normativi, va letto nel suo insieme, e non per parti staccate.
Tra l'altro, neppure avrebbe senso sostenere che la legge elettorale non é la sede "adatta" per introdurre questi istituti. Per due ragioni. Perchè é comunque una legge. Perchè é anzi una legge che applica la Costituzione (e perció non una legge qualsiasi). Dunque, se il suo contenuto é sostanzialmente conforme alla Costituzione (nel caso, lo é), la legge elettorale é lo strumento legittimo per introdurre strumenti come quelli che qui si propongono;
c) non allontana ulteriormente il popolo dalla politica.
La nuova meccanica elettorale é infatti assolutamente semplificata: una scheda semplice, un solo giorno di votazione, minime possibilità di broglio.
É cosí che si evitano molte di quelle complessità "tecniche", rituali e/o artificiali, molte di quelle "sorprese", che sono state e sono causa di crescente repulsione dei cittadini per la politica.
Concludiamo infine con una rilevante precisazione. L'articolato normativo che viene qui presentato richiederà ovviamente un lavoro rivolto a coordinare al meglio la puntuale definizione legislativa del testo, operazione per la quale attendiamo sin d'ora il contributo di tutti i Colleghi parlamentari che vorranno condividere l'impostazione politica generale delle proposte qui illustrate.
DISEGNO DI LEGGE |
Art. 1. 1. La Camera dei deputati é eletta a suffragio universale, con voto diretto, libero e segreto, secondo i seguenti criteri. |
Art. 2. 1. In ognuna delle circoscrizioni elettorali regionali o interregionali di cui alla citata tabella A, sono costituiti tanti collegi quanti sono i seggi assegnati alla circoscrizione ai sensi del comma 2 dell'articolo 3. |
Art. 3. 1. L'assegnazione del numero complessivo dei seggi alle singole circoscrizioni elettorali, di cui alla tabella A, allegata al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, é effettuata - ai sensi del terzo comma dell'articolo 56 della Costituzione e sulla base dei dati dell'ultimo censimento generale della popolazione - con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare contemporaneamente al decreto di convocazione dei comizi. |
Art. 4. 1. Ogni elettore dispone di due voti: un primo voto per l'elezione del deputato che rappresenterà il collegio, ed un secondo voto per una delle liste concorrenti nella circoscrizione elettorale. |
Art. 5. 1. Presso le Corti d'appello sono costituiti, entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi, gli Uffici centrali circoscrizionali, ciascuno composto da tre magistrati, dei quali uno con funzioni di presidente, scelti dal Presidente della Corte d'appello. |
Art. 6. 1. Il primo periodo del primo comma dell'articolo 14 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, é sostituito dal seguente: "I partiti o gruppi politici organizzati, che intendono presentare candidature individuali nei collegi uninominali o liste circoscrizionali di candidati, debbono depositare, presso il Ministero dell'interno, il contrassegno col quale dichiarano di voler distinguere le candidature individuali nei singoli collegi e le liste medesime nelle singole circoscrizioni". |
Art. 7. 1. All'atto del deposito del contrassegno presso il Ministero dell'interno i partiti o gruppi politici organizzati debbono presentare la designazione, per ciascuna circoscrizione, di un rappresentante effettivo e di uno supplente del partito o del gruppo incaricati di effettuare il deposito, al rispettivo Ufficio centrale circoscrizionale, delle candidature individuali nei collegi delle circoscrizioni, della lista circoscrizionale e dei relativi documenti. |
Art. 8. 1. Le candidature nei collegi uninominali devono essere presentate all'Ufficio centrale circoscrizionale, secondo le modalità prescritte dall'articolo 11, con dichiarazione sottoscritta da non meno di 500 e non piú di 1.000 elettori iscritti nelle liste elettorali del collegio; se presentate da un partito o gruppo politico organizzato, devono indicare anche il contrassegno di cui al numero 5) del primo comma dell'articolo 24 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel testo modificato dall'articolo 14 della presente legge. |
Art. 9. 1. Le liste dei candidati per ogni circoscrizione devono essere presentate da non meno di 500 e non piú di 1.000 elettori iscritti nelle liste elettorali della circoscrizione. |
Art. 10. 1. Nessuno puó essere candidato in piú di tre collegi uninominali, nè in piú di due liste circoscrizionali, pena la nullità della sua elezione. |
Art. 11. 1. Le candidature individuali nei collegi uninominali e le liste dei candidati nell'ambito delle circoscrizioni elettorali devono essere presentate, per ciascuna circoscrizione, alla cancelleria della Corte di appello indicata nella tabella A, allegata al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, dalle ore 8 del cinquantesimo giorno alle ore 20 del cinquantesimo giorno antecedenti quello della votazione; a tale scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria della Corte di appello rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20. Insieme con le candidature individuali e le liste circoscrizionali devono essere presentati gli atti di accettazione delle candidature, i certificati di nascita o documenti equipollenti, i certificati di iscrizione nelle liste elettorali dei candidati, nonchè le dichiarazioni di presentazione delle candidature e delle liste medesime. Tali dichiarazioni devono essere corredate dei certificati, anche collettivi, dei sindaci dei singoli comuni, ai quali appartengono sottoscrittori, che ne attestino l'iscrizione nelle liste elettorali del collegio o della circoscrizione. |
Art. 12. 1. La cancelleria della Corte d'appello circoscrizionale accerta l'identità personale del depositante e ne fa esplicita menzione nel verbale di ricevuta degli atti, di cui una copia é consegnata immediatamente al presentatore. |
Art. 13. 1. L'Ufficio centrale circoscrizionale entro cinque giorni dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle candidature individuali e delle liste circoscrizionali: a) ricusa le candidature individuali o le liste circoscrizionali presentate da persone diverse da quelle individuate ai sensi dell'articolo 7 della presente legge; |
Art. 14. 1. I numeri 1) e 2) del primo comma dell'articolo 24 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, sono sostituiti dai seguenti: "1) assegna un numero a ciascuna candidatura individuale ammessa, secondo l'ordine di presentazione della relativa lista, o, se la candidatura individuale non é collegata ad alcuna lista, della candidatura stessa; 2. I numeri 4 e 5 del primo comma dell'articolo 24 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, sono sostituiti dai seguenti: "4) trasmette immediatamente alle prefetture dei capoluoghi di regione compresi nell'ambito della circoscrizione le candidature definitive di ogni collegio con i relativi contrassegni di lista, per la stampa delle schede di votazione e per l'adempimento di cui al numero 5); |
Art. 15. 1. Il numero 4) del primo comma dell'articolo 30 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, é sostituito dal seguente: "4) due copie del manifesto contenente le liste circoscrizionali dei candidati da affiggersi nella sala della votazione". |
Art. 16. 1. Le schede sono di carta consistente, di tipo unico e di identico colore per ogni circoscrizione; sono fornite a cura del Ministero dell'interno con le caratteristiche essenziali del modello descritto nelle tabelle B, C, ed H allegate al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, e riproducono, per ogni collegio, i nominativi dei candidati ed, eventualmente, i relativi contrassegni di lista, secondo il numero progressivo di cui all'articolo 24, numero 1) del citato testo unico, come modificato dal comma 1 dell'articolo 14 della presente legge. |
Art. 17. 1. I primi due periodi del secondo comma dell'articolo 58 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, sono sostituiti dal seguente: "L'elettore deve recarsi ad uno degli appositi tavoli e, senza che sia avvicinato da alcuno, votare tracciando sulla scheda, con la matita, un segno nel rettangolo che contiene il nominativo del candidato da lui prescelto, ed un altro sul contrassegno corrispondente alla lista prescelta". |
Art. 18. 1. Gli articoli 59, 60 e 61 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, sono abrogati. |
Art. 19. 1. Il terzo e il quarto periodo del comma 1 dell'articolo 68 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, sono sostituiti dai seguenti: "Questi enuncia ad alta voce il nome del candidato e, ove occorra, il contrassegno della lista; passa, poi, la scheda ad un altro scrutatore, il quale, insieme con il segretario, prende nota del numero dei voti di ciascun candidato e di ciascuna lista. Il segretario proclama ad alta voce i voti individuali e quelli di lista". |
Art. 20. 1. Il numero 2) del primo comma dell'articolo 71 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, é sostituito dal seguente: "2) decide, in via provvisoria, sull'assegnazione o meno dei voti contestati per qualsiasi causa e, nel dichiarare il risultato dello scrutinio, dà atto del numero dei voti contestati ed assegnati provvisoriamente e di quello dei voti contestati e provvisoriamente non assegnati, ai fini dell'ulteriore esame da compiersi dall'Ufficio centrale circoscrizionale ai sensi del numero 2) del primo comma dell'articolo 76". 2. Il secondo comma dell'articolo 71 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, é sostituito dal seguente: "I voti contestati debbono essere raggruppati a seconda dei motivi di contestazione che debbono essere dettagliatamente descritti". |
Art. 21. 1. L'Ufficio centrale circoscrizionale, determina per ogni collegio la cifra individuale di ogni candidato. La cifra individuale di ogni candidato é data dalla somma dei voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni del collegio. |
Art. 22. 1. Dopo l'articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, sono inseriti i seguenti: "Art. 77- bis. - 1. L'Ufficio centrale circoscrizionale, ricevuta la comunicazione di cui all'articolo 77: a) sottrae dal numero totale dei seggi assegnati alla circoscrizione elettorale un numero di seggi uguale al numero dei candidati indipendenti o proposti da un partito o gruppo politico non ammesso alla ripartizione dei seggi ai sensi dell'articolo 77, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti individuali in uno dei collegi della circoscrizione; 1) divide ciascuna cifra elettorale per successivi numeri positivi interi, a partire dall'uno e fino alla concorrenza del numero dei deputati da eleggere; 2. Se i seggi ottenuti nei collegi uninominali dai candidati presentatisi con il medesimo contrassegno superano il numero complessivo dei seggi spettanti, nella circoscrizione, alla lista caratterizzata dallo stesso contrassegno, l'Ufficio circoscrizionale stabilisce per medesimi candidati, una graduatoria decrescente, ottenuta dividendo, per ciascuno di essi, la cifra individuale dei voti ottenuti per il numero totale dei voti espressi nel collegio. "Art. 77- ter. - 1. Terminate le operazioni di cui all'articolo 77- bis , in conformità dei risultati accertati, il presidente dell'Ufficio centrale circoscrizionale proclama eletti, in rappresentanza di ciascun collegio, i candidati che hanno ottenuto nel collegio il mag gior numero di voti individuali. Nel caso di cui al comma 2 dell'articolo 77- bis , proclama eletti candidati nell'ordine stabilito dalla graduatoria formata ai sensi della medesima disposizione, fino a coprire tutti i seggi assegnati alla lista nella circoscrizione. |
Art. 23. 1. Il deputato eletto in piú collegi o in piú circoscrizioni deve dichiarare alla Presidenza della Camera dei deputati, entro otto giorni dalla convalida delle elezioni, quale collegio o circoscrizione prescelga. Mancando l'opzione, si procede mediante sorteggio. |
Art. 24. 1. Il comma 1 dell'articolo 86 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, é sostituito dal seguente: " 1. Il seggio che rimane vacante per qualsiasi causa, anche se sopravvenuta, é attribuito al candidato che, nella stessa lista e circoscrizione, segue immediatamente l'ultimo eletto nell'ordine indicato dalla lista medesima". 2. Il comma 1- bis dell'articolo 86 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, é abrogato. |