Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00462

Atto n. 3-00462

Pubblicato il 13 marzo 2007
Seduta n. 122

PISTORIO - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri degli affari esteri e dell'economia e delle finanze. -

Premesso che:

il 7 dicembre 2006 quattro addetti alla stazione di pompaggio dell'Eni-Agip, tre italiani ed un libanese, nei pressi del terminal di Brass, nello stato di Bayelsa, nella regione petrolifera della Nigeria, sono stati rapiti dal Movimento per l'Emancipazione del Delta del Niger (Mend);

le richieste del Mend, sottoposte all'Eni-Agip e al Governo italiano come condizione per la liberazione degli ostaggi, sono il risarcimento dei danni apportati all'ecosistema dall'attività estrattiva della multinazionale, l'investimento in infrastrutture che consentano di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali, una maggiore partecipazione alle risorse estratte, il rilascio di alcuni prigionieri politici detenuti nelle prigioni nigeriane;

il Mend, movimento molto politicizzato e con forte radicamento nella società del Delta, ha accusato la società petrolifera italiana di aver corrotto con i soldi e attraverso l'azione di alcuni mediatori locali, un pezzo del Movimento, e per questo minaccia di far pagare all'Eni e agli italiani "un prezzo molto alto per tale affronto". E a questo modus agendi, tipico delle multinazionali, alludeva anche il Vice Ministro degli affari esteri, Franco Danieli, in una dichiarazione a seguito del rilascio dell'ostaggio libanese;

al momento rimangono nelle mani del Mend due italiani: i tecnici Francesco Arena, dell'Eni, e Cosma Russo, contrattista della NOAC, società controllata dall'Eni.

la Nigeria dal 1956, anno in cui vennero scoperti sotto le paludi del Niger giacimenti di petrolio per circa 34 miliardi di barili, è divenuta centro nevralgico del black business mondiale;

a metà degli anni '70, la Nigeria faceva già parte dell'OPEC, ed attualmente è il sesto Paese esportatore di petrolio al mondo e il primo produttore africano;

l'attività connessa all'estrazione del greggio si è caratterizzata negli anni come disordinata ed invasiva per il territorio e la popolazione;

cinque multinazionali (Royal Dutch Shell, Total Fina Elf, Eni-Agip, ExxonMobil e Chevron) hanno con la loro attività "convertito" una riserva naturale, fatta di labirinti di mangrovie e rivoli paludosi, in cui antiche etnie vivevano di pesca e agricoltura, in una "riserva industriale", fatta di più di 7.000 chilometri di oleodotti, 159 campi petroliferi e 275 stazioni di pompaggio;

la Costituzione nigeriana afferma che poco meno del 50% dei proventi del petrolio devono restare in patria e un 13% supplementare deve andare agli stati del Delta dove avviene il grosso dell'estrazione. Nella pratica, questa ricchezza viene polverizzata nella mani dei governatori, di cui da un'indagine recente è emerso che solo 5 sui 36 totali non risultano corrotti. Più del 70% della popolazione vive infatti con meno di un dollaro al giorno;

fino al 1988 nessuna agenzia governativa era preposta alla protezione dell'ecositema, e le valutazioni d'impatto ambientale sono state commissionate solo a partire dal 1992 a seguito dei danni prodotti dal ricorso incontrollato al gas flaring;

centinaia di torce per il gas bruciano dunque, ininterrottamente da decenni, rilasciando gas serra e causando piogge acide;

l'Eni è presente nel settore dell'esplorazione e produzione degli idrocarburi in Nigeria dal 1962. Attualmente l'Eni vi opera attraverso la Nigerian Agip Oil Company (NAOC), l'Agip Energy and Natural Resources (AENR) e la Nigerian Agip Exploration Ltd (NAE), società interamente controllate, mentre partecipa, con una quota del 5 per cento, nella NASE, principale joint-venture petrolifera del Paese;

la produzione di petrolio e gas naturale in quota Eni in Nigeria, è stata di circa 152.000 barili di olio equivalente al giorno;

malgrado l'Eni affermi di aver adottato un codice di comportamento che rispetta i principali standard di lavoro e protezione ambientale, e affermi di avere aderito, nel 2001, all'iniziativa Global Compact, promossa dall'ONU, che stabilisce principi in materia di sicurezza sul lavoro, diritti umani e tutela ambientale, tuttavia nel 2005 l'Eni si è vista rifiutare la certificazione dell'indice azionario per l'investimento socialmente responsabile denominato "FTSE 4 GOOD". Il mancato riconoscimento di tale titolo è stato dovuto al non soddisfacimento dei criteri riguardanti i diritti umani, quali quello di perseguire una politica aziendale sui diritti dell'uomo, di consultare le comunità locali, di prevedere risarcimenti per la mancata ottemperanza a tali criteri, di attenersi alle norme ONU per quanto riguarda l'uso della forza e delle armi da parte di forze di sicurezza, e promuovere il rispetto dei popoli indigeni;

per quanto riguarda la salvaguardia ambientale, nonostante le buone intenzioni pubblicizzate in alcuni programmi di tutela dell'ecosistema, l'Eni non applica le migliori tecnologie nelle tecniche estrattive del greggio: i famigerati gas flaring bruciano nell'atmosfera invece di essere imbrigliati e neutralizzati con grave danno per la regione del Delta e per la salute della popolazione. L'Eni, insieme ad altre compagnie petrolifere, nel novembre 2005, è stata denunciata per l'impatto ambientale del gas flaring all'Alta Corte federale della Nigeria, che, con una sentenza, ha stabilito che il ricorso alla combustione diretta dei gas debba essere dismessa perché viola il diritto umano e costituzionale della popolazione alla vita e alla dignità: le comunità lamentano da anni la corrosione dei tetti delle case, danni ai raccolti e malattie respiratorie;

per ciò che riguarda invece il programma di sostegno agricolo "Green River Project", dal 1998, l'Eni ha stanziato la irrisoria cifra di 17 milioni di euro: meno di un decimo di quanto la major petrolifera italiana investe in pubblicità,

si chiede di sapere:

se il Governo sia impegnato, e in quali modi, per la liberazione dei due tecnici italiani ancora ostaggi del Mend;

se il Ministro dell'economia e delle finanze, in qualità di maggiore azionista della multinazionale, non ritenga opportuno intervenire affinché vengano convertite le modalità di gestione della politica industriale dell'Eni a favore della promozione del benessere socio-economico delle comunità indigene interessate dall'attività estrattiva della major petrolifera italiana;

se il Ministro degli affari esteri intenda chiedere contezza degli standard di sicurezza applicati in tutti paesi in cui opera la multinazionale italiana dell'Energia, e se la compagnia in questione operi rispettando i diritti umani nella zona del Delta e quali sistemi siano adottati per la protezione del personale operativo in loco.