Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00271
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Atto n. 3-00271
Pubblicato il 23 novembre 2006
Seduta n. 81
BOCCIA - Al Ministro della giustizia. -
Risultando all'interrogante che:
sulla base di numerose lettere pervenute da parte di detenuti in diverse case circondariali, di dichiarazioni di associazioni di volontari impegnati nel lavoro nelle carceri, nonché di un’analisi generale dell’applicazione della normativa sull’ordinamento penitenziario da parte del DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), che i detenuti, sia in regime ordinario, sia soprattutto in regime Eivc (elevato indice di vigilanza cautelativa) o As (alta sorveglianza), incontrano notevoli difficoltà nell’accoglimento delle istanze di trasferimento in istituti di pena che consentano loro di completare il ciclo di studi, molto spesso iniziato durante il periodo di detenzione, nel quadro di un programma di più ampio ed effettivo “recupero” e del processo rieducativo e di risocializzazione cui la pena, per espresso disposto dell’articolo 27, comma 3, della Costituzione, deve tendere;
in tal senso appare emblematico il caso di Carmelo Musumeci, condannato all’ergastolo, che dopo 14 anni di assegnazione al regime di cui all’art. 41-bisdell'ordinamento penitenziario, durante i quali ha conseguito a pieni voti la laurea triennale in giurisprudenza presso l’Università di Firenze, si trova ora nell’assoluta impossibilità di conseguire la laurea specialistica, in ragione non soltanto del costante diniego, da parte della Direzione del carcere di Nuoro - presso cui è ristretto - di usufruire di una biblioteca o di un computer, come invece auspicato più volte dal Magistrato di sorveglianza, ma anche del rigetto da parte del DAP delle sue istanze di trasferimento in altro istituto di pena, compatibile con le sue esigenze di studio;
le case circondariali dotate di poli universitari o comunque di strutture (biblioteche, sale per la consultazione di testi o di computer) idonee a consentire ai detenuti il diritto allo studio, sono decisamente esigue su tutto il territorio nazionale, ed in numero insufficiente a soddisfare le richieste, fondate sull’esigenza del riconoscimento del diritto allo studio, sancito dall’articolo 34 della Costituzione;
in via generale, il sistematico rigetto, da parte del DAP, delle istanze di trasferimento per ragioni di studio si dimostra nella maggior parte dei casi carente di alcuna motivazione in riferimento ai detenuti in regime ordinario, non ostandovi ragioni cautelari o di sicurezza;
anche in relazione ai detenuti in regime Eivc o As, il costante diniego del trasferimento in poli universitari o in altri istituti di pena compatibili con le esigenze di studio non sembra del resto potersi giustificare sulla base di presupposti di legittimazione realmente conformi ai principi costituzionali ed alla legislazione sull’ordinamento penitenziario;
a sostegno di tale sistematico diniego si adduce infatti l’esclusione - dai benefici trattamentali e dalla concessione di trasferimenti per ragioni di studio - prevista da alcune circolari del DAP (in particolare, la n. 3359/5809 del 1993 e la n. 3479/5929 del 1998), che, a giudizio dell'interrogante, hanno di fatto istituito, più contra che praeter legem, i circuiti penitenziari differenziali dell’Eivc ed As, cui sono assegnate particolari categorie di detenuti asseritamente pericolosi, come tali sottoposti ad un regime carcerario ancora più restrittivo ed equiparabile - quanto a limitazione di benefici penitenziari, ma ancor prima di diritti umani fondamentali - a quello, disciplinato invece dalla legge, di cui all’art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Il provvedimento amministrativo di classificazione Eiv (elevato indice di vigilanza) costituisce, pertanto, per il detenuto una misura fortemente restrittiva dei suoi diritti, avverso la quale non è concessa all’interessato la possibilità di ricorrere all’autorità giurisdizionale, dal momento che l’istanza di declassificazione si esaurisce in un ulteriore procedimento amministrativo, privo come tale delle garanzie del processo giurisdizionale, dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale, così violandosi il principio di riserva di giurisdizione in materia di misure restrittive della libertà personale;
si determina così di fatto un’irragionevole disparità di trattamento - stigmatizzata peraltro dalla Consulta - in danno dei detenuti sottoposti al regime di Eiv o As, i quali, pur privati alla stregua dei soggetti assegnati al 41-bis, della possibilità di accesso ai benefici penitenziari anche qualora ne sussistano i requisiti di buona condotta penitenziaria e negatività della prognosi di recidiva, non sono tuttavia ammessi a chiedere un vaglio giudiziale in ordine alla legittimità dell’assegnazione al regime speciale di detenzione in questione, diversamente da quanto consentito ai detenuti in regime di 41-bis;
il diniego del trasferimento per motivi di studio nei confronti dei detenuti classificati come Eivc rappresenta non soltanto una palese violazione del diritto allo studio, ma anche e soprattutto un’inammissibile discriminazione fondata sul “titolo del reato” e sul “tipo d’autore”, sulla colpevolezza d’autore e non per il fatto commesso, sul regime carcerario applicato e non sull’osservazione del singolo detenuto e dei percorsi riabilitativi intrapresi, in netto contrasto quindi con gli artt. 3 e 27 della Costituzione;
a giudizio dell’interrogante, la violazione del diritto allo studio dei detenuti dimostra significativamente come alla pena si attribuisca una funzione di mera incapacitazione e neutralizzazione del reo, priva dei contenuti rieducativi e di reinserimento sociale cui invece l’art. 27, comma 3, Cost., subordina la legittimità della sanzione penale;
considerato, inoltre, che:
l’art. 27, comma 3, della Costituzione, prevede che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, processo di cui una delle componenti essenziali è rappresentata proprio dalla formazione culturale e dallo studio;
il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli artt. 2 e 3 della Costituzione; dagli artt. 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000; dagli artt. 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli artt. 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli artt. 1, 2 e 3 della Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa del 12 febbraio 1987, recante “Regole minime per il trattamento dei detenuti” e dall’art. 1 della Raccomandazione (2006)2 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa dell’11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo; tale garanzia è ribadita dall’art. 1, commi 1 e 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prescrive che “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”, dovendo altresì essere attuato “secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti”;
l’art. 15, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 prescrive che “il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia”;
l’art. 18, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354 sancisce espressamente che “i detenuti e gli internati sono autorizzati ad avvalersi” anche “dei mezzi di informazione” diversi dalla stampa periodica,
si chiede di conoscere:
quali siano gli orientamenti del Ministro in indirizzo in ordine alle condizioni di ammissibilità delle istanze di trasferimento dei detenuti per comprovate e legittime esigenze di studio;
se il Ministro non intenda, ai sensi dell’art. 95 della Costituzione, in attesa di una regolamentazione legislativa dei regimi Eivc e As, dettare nuove direttive volte all’utilizzo di criteri più rispondenti ai principi costituzionali, in merito ai parametri, alle modalità ed ai requisiti di legittimazione del circuito penitenziario differenziale in analisi;
se il Ministro non ritenga opportuno assumere ulteriori informazioni in merito alle modalità di applicazione della normativa sull’ordinamento penitenziario da parte del DAP, anche al fine di verificarne la legittimità e di evitare che provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria avverso i quali non è prevista alcuna impugnativa in sede giurisdizionale, si traducano in ipotesi di illegittima violazione dei diritti umani fondamentali.