Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-00303

Atto n. 4-00303

Pubblicato il 18 luglio 2006
Seduta n. 19

BIANCONI - Al Ministro della giustizia. -

Premesso che:

la Corte di cassazione ha stabilito in linea di principio che non sempre è stupro un rapporto iniziato con l'assenso di entrambi i partner ma non interrotto su richiesta di uno dei due, annullando così la condanna del Tribunale di Latina e della Corte d'appello di Roma a quattro anni di reclusione per un giovane ventenne, accusato di violenza su una minorenne;

la storia risale al 2000, quando i due fidanzati si erano appartati per scambiarsi effusioni, sfociate in un rapporto completo. La ragazza aveva allora 16 anni e poco dopo la sua prima volta ha denunciato il fidanzato, perché dopo un primo consenso avrebbe chiesto invano al partner di fermarsi, senza, però, essere ascoltata;

dopo le due sentenze di condanna l'imputato ha proposto ricorso in Cassazione denunciando vizi di motivazione e, in particolare, un’erronea ricostruzione dei fatti e l'inattendibilità della minorenne;

con la sentenza 24061 (12 luglio 2006) la Corte ha dato ragione al ragazzo adducendo quale motivazione proprio quel “sì” iniziale della ex fidanzata;

secondo la Corte di cassazione, accogliendo la richiesta della difesa, non sussisterebbe la violenza nel caso in cui il ragazzo non abbia percepito il dissenso della partner. I giudici hanno accettato la tesi "innocentista", che evidenziava come la giovane si sarebbe indotta a denunciare il fatto, perché in perfetta buona fede riteneva di non avere voluto quel rapporto o di averlo desiderato in maniera diversa, sottolineando che i magistrati di primo grado avrebbero omesso di valutare se questo dissenso poteva essere stato percepito dal compagno. In proposito, la suprema Corte ha sottolineato che i giudici, nel condannare il ragazzo, avrebbero dovuto "specificare come il racconto della ragazza, secondo il quale la stessa si sarebbe opposta decisamente nel momento in cui aveva iniziato a sentire forti dolori (...) si fosse realmente obiettato con dati di concretezza e non si fosse tradotto semplicemente in una mera riserva mentale”. Particolare importante per la Cassazione, "perché in questo caso l'imputato, che agiva nella certezza di avere un rapporto consentito, poteva non avere percepito quel disagio che la ragazza avrebbe successivamente manifestato";

sarà ora la Corte d'appello di Roma, cui la Cassazione ha rinviato il caso, a vedere se il ragazzo effettivamente avesse percepito il rifiuto della fidanzata perché “diversamente al di là dell'asserito presentimento di pensare che l'imputato volesse chiederle scusa per il fatto del giorno precedente, non ci si saprebbe dare una spiegazione persuasiva del fatto che, dopo quello che era successo il giorno precedente, la parte offesa si era nuovamente accompagnata con lo stesso imputato in macchina”;

già nel 1999 ci fu il cosiddetto «caso dei jeans» ed i magistrati stabilirono che, nel caso di una donna che indossa i jeans e viene violentata, non si può parlare di stupro perché “dato di comune esperienza che questo tipo di pantaloni non si possono sfilare nemmeno in parte, senza la fattiva collaborazione di chi li porta”,

si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo non intendano prendere urgentemente iniziative, anche alla luce della delicata vicenda sopra descritta, volte a tutelare maggiormente la donna.