Legislatura 15 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-00159

Atto n. 4-00159

Pubblicato il 27 giugno 2006
Seduta n. 9

FERRANTE - Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, della salute e dello sviluppo economico. -

Premesso che:

il mercurio è ancora utilizzato per estrarre l’oro dalle miniere, per le otturazioni dentali, negli strumenti di misurazione della temperatura e pressione, ma anche per la produzione delle lampade fluorescenti a basso consumo. Si consumano nel mondo ancora oltre 3.200 tonnellate all’anno di mercurio, domanda soddisfatta soprattutto grazie all’estrazione dalle miniere (1.830 tonnellate nel 2004, di cui 625 solo da quella spagnola di Almaden) ma anche all’approvvigionamento derivante dal riciclaggio (650) o recuperandolo dai sottoprodotti industriali (550);

il mercurio è un metallo pesante che resta ancora oggi un problema ambientale e sanitario, di fatto planetario, che non risparmia nessun paese, in via di sviluppo o industrializzato, e che ha portato l’Unione europea nel gennaio 2005 ad approvare una Strategia comunitaria con l’obiettivo di ridurne la domanda, l’offerta e ovviamente le emissioni nell’ambiente e l’esposizione dell’uomo;

stando a quanto emerge dall’Eper, il registro europeo sulle emissioni inquinanti, vengono smaltite nell’ambiente ancora quantità veramente spaventose di mercurio: sono state 26 le tonnellate emesse in Europa nel 2001, di cui 24 in atmosfera (di queste oltre 7, pari al 31% del totale, sono state emesse dai grandi impianti di combustione e circa 5, pari al 20% circa del totale, dall’industria metallurgica), mentre 2 sono quelle sversate in acqua. Lo Stato che ha emesso più mercurio in atmosfera è stata la Germania (7,3 tonnellate, pari a oltre il 30% del totale), mentre l’Italia ne ha invece emesse 2,9 tonnellate, pari al 12% del totale europeo in aria, ma ne ha sversati in acqua più di ogni altro Stato europeo (699 kg, tra emissioni dirette e indirette, pari a oltre il 31% del totale europeo), seguita “a distanza” dalla Francia (389 kg, 17%);

uno degli usi più classici del mercurio è nella cella elettrolitica per la produzione industriale del cloro e della soda: nel 2001 in Europa erano ancora 50 i siti chimici che utilizzavano questo metallo come catodo nel processo produttivo di quasi 6 milioni di tonnellate di cloro, coprendo di fatto oltre il 50% della produzione totale europea. Con impatti più che evidenti: sono state infatti 4 le tonnellate emesse in aria dagli impianti cloro-soda europei nel 2001 (pari al 17% del totale), terza fonte di inquinamento atmosferico dopo centrali termoelettriche e impianti della metallurgia e prima fonte inquinante delle acque con 670 kg emessi (pari al 30% dei reflui liquidi emessi dall’industria europea);

in questo contesto generale di serio inquinamento da mercurio l’Italia gioca un ruolo purtroppo importante. Stando ai dati pubblicati dall’Ines, la versione italiana dell’Eper curata dall'Agenzia per la protezione dell'ambiente e del territorio, nel 2004 sono state emesse in atmosfera 2,16 tonnellate di mercurio, di cui 1,13 tonnellate (pari al 52% del totale) emesse dal settore metallurgico, 552 kg (26%) dagli impianti della chimica inorganica, 174 kg (8%) dai cementifici e 154 (7%) dalle centrali termoelettriche;

in Italia sono 10 gli impianti cloro-soda censiti da Eurochlor, l’associazione europea dei produttori di cloro, e da Federchimica, per un capacità complessiva di circa 982.000 tonnellate di cloro all’anno. Di questi 10, solo l’impianto di Assemini, in provincia di Cagliari, da 170.000 tonnellate annue di cloro, è stato riconvertito alla tecnologia più sostenibile oggi disponibile sul mercato, e cioè quella a membrana. Dei 9 impianti cloro-soda che utilizzano il mercurio solo 7 sono realmente operativi - perché i siti di Porto Torres e Priolo sono fermi da tempo - e questi sette impianti hanno emesso nell’ambiente nel 2001 ben 765 kg di mercurio su un totale nazionale di 3,6 tonnellate (pari al 21% del totale), di cui 637 kg in aria (22%) e 128 in acqua (18%);

entrando nel dettaglio dei singoli impianti, solo l’Ilva di Taranto, stando a quanto riportato nell’Eper, ha emesso in atmosfera oltre 1 tonnellata di mercurio su 2,9 nel 2001, pari al 36% del totale nazionale. Lo stesso stabilimento siderurgico tarantino ha sversato in via diretta in acqua 118 kg di mercurio, su un totale nazionale di 660 kg, pari a quasi il 18%;

analogamente gli impianti cloro-soda italiani non “sfigurano” nella classifica delle emissioni di mercurio;

Legambiente ha presentato nei giorni scorsi un dettagliato dossier intitolato “Stop al Mercurio”. Questo dossier è una delle iniziative che Legambiente ha organizzato per realizzare la campagna “Stop al mercurio” nata nell’ambito del progetto europeo “Zero Mercury”, promossa dall’European environmental bureau (Eeb), in collaborazione con il Gruppo di lavoro per il bando del mercurio, la Rete ambientale dell’alleanza europea per la sanità pubblica e l’Associazione europea per la cura della salute senza danni per l’ambiente, volta a sensibilizzare l’opinione pubblica, la politica, i lavoratori e le aziende sui gravi rischi legati all’inquinamento da mercurio;

il quadro che emerge dal dossier è di sostanziale smobilitazione, seppur con qualche incoraggiante eccezione: dei 9 impianti che producono cloro e soda utilizzando le celle al mercurio, uno è fermo dal 2002 (Porto Torres), un altro (Priolo) è ufficialmente fermo per manutenzione straordinaria ma probabilmente andrà in dismissione definitiva, altri (Porto Marghera e Torviscosa) sono in attesa, senza grande fretta, che si completi l’iter autorizzativo della riconversione, altri ancora (Pieve Vergonte) hanno iniziato la procedura per cambiare tecnologia senza concluderla, facendo intendere che l’impianto andrà in chiusura e le produzioni trasferite in Paesi meno esigenti sotto tutti i punti di vista, a partire da quelli più strettamente ambientali e sociali;

in questo scenario non certo ottimistico un’eccezione positiva c’è, e riguarda l’impianto Solvay di Rosignano. È infatti della settimana tra il 12 e il 18 giugno 2006 la notizia che, anche se con ritardo rispetto ai tempi previsti nell’Accordo di programma locale, stanno finalmente iniziando i lavori per la riconversione a membrana dell’impianto cloro-soda. Un impianto che ha trasformato il litorale di Rosignano quasi in una spiaggia caraibica per la consistenza e il colore della sabbia, ma che in realtà grazie alle stimate 500 tonnellate di mercurio depositate lungo le spiagge bianche è stato classificato dall’Unep fra le 15 località costiere più inquinate d’Italia;

una buona notizia che conferma, oggi come ieri, che abbandonare una tecnologia che ha creato tanti danni ambientali all’Italia, che consuma una quantità enorme di energia e che non sta più sul mercato globale, è un’operazione praticabile;

altra notizia positiva è lo studio di fattibilità che Solvay sta elaborando sulla riconversione dell’impianto di Bussi (Pescara) nell’ambito delle iniziative promosse dall’Osservatorio locale sulla chimica coordinato dalla Provincia di Pescara per rilanciare l’area industriale sul fiume Tirino;

inoltre sempre nell’ambito dell’iniziativa “Stop al Mercurio” Legambiente ha organizzato, sabato 17 giugno 2006, presso il sito industriale Solvay Solexis di Bussi provincia di Pescara (Abruzzo), una manifestazione per chiedere immediatamente la riconversione degli impianti cloro-soda, che utilizzano celle a catodo di mercurio, provocando la dispersione nell’ambiente del metallo, con gravi rischi sanitari. Si evidenzia che questo impianto su un totale di 637 kg di mercurio emesso in atmosfera nel 2001 dagli impianti cloro-soda italiani ha emesso in atmosfera 44 kg pari al 7% del totale, e 22 kg, in acqua, pari al 19% del totale;

l’industria chimica italiana deve affrontare una importante sfida: quella della competitività che non si può sostenere se non attraverso la realizzazione di materiali e prodotti innovativi (come ad esempio le plastiche biodegradabili e i biocarburanti per autotrazione);

bisogna, però, tenere presente che l’obiettivo da raggiungere è minimizzare la concentrazione del mercurio nell’ambiente, riducendone emissioni, domanda ed offerta; questo perché, una volta emesso, il mercurio non ha confini nazionali o regionali, viaggiando in atmosfera e contaminando le scorte alimentari globali. I livelli di mercurio sono triplicati negli ultimi 150 anni a causa delle attività antropiche,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo intendano realizzare la riconversione delle celle al mercurio degli impianti cloro-soda italiani entro il 2010 - firmando in tempi brevi le “Linee Guida per la riconversione degli impianti cloro soda” elaborate dal Gruppo tecnico ristretto sugli impianti di trasformazione chimica – un obiettivo realistico visto che tale data è la stessa raccomandata dalla Decisione Ospar 90/3 del 14 giugno 1990 sulla riduzione delle emissioni atmosferiche da questi impianti, scaturita nell’ambito delle attività previste dalla Convenzione di Parigi sulla prevenzione dell’inquinamento marino da fonti terrestri, anticipando così la scadenza del 2020 sancita dall’accordo volontario di Madrid firmato nel 1999 da Commissione europea ed Eurochlor;

se non si reputi di modificare o integrare immediatamente la parte relativa alle bonifiche (fondata solo ed esclusivamente sull’analisi di rischio) del nuovo Codice dell’ambiente, approvato dal precedente Governo, perché con l’attuale formulazione si rischia pesantemente di arrestare il già lento processo di risanamento ambientale del Paese avviato con il Programma nazionale di bonifica;

se, anche alla luce dei dati che emergono dagli studi epidemiologici che vengono pubblicati sulle aree a rischio di crisi ambientale e sui siti di interesse nazionale da bonificare, non si intenda immediatamente finanziare altri monitoraggi sulle interazioni tra inquinamento e salute, a partire da queste aree dove è maggiore il degrado ambientale;

se non si intenda attraverso una concreta azione politica, anche attraverso un serio confronto con il sistema imprenditoriale e in particolare con quello relativo alle produzioni chimiche, di rilanciare il settore della chimica di base italiana attraverso una riconversione delle tecnologie di produzione, che rischia altrimenti di restare ai margini del mercato globale;

se non si ritenga urgente attivare azioni concrete affinché in Italia si inizi veramente ad investire sempre più risorse, pubbliche e private, in ricerca e innovazione tecnologica, anche per allungare il passo nei confronti dei Paesi con economie emergenti, come Cina e India, che non preoccupandosi né dell’impatto ambientale né di quello sociale delle loro lavorazioni industriali, agiscono sui mercati internazionali facendo sempre più concorrenza nei confronti dei paesi occidentali.