Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-02291

Atto n. 3-02291

Pubblicato il 10 dicembre 2025, nella seduta n. 368

VALENTE, D'ELIA, SENSI, MALPEZZI, RANDO, CAMUSSO, ROJC - Ai Ministri della giustizia e per la famiglia, la natalità e le pari opportunità. -

Premesso che:

il “best interest of the child”, cioè il superiore interesse del minore, rappresenta il principio cardine di tutta la normativa a tutela del fanciullo, sancito nella Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 1991 e ribadito da un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità nel nostro Paese, che in alcuni procedimenti di collocamento di minori in casa famiglia ha ribadito che in tutte le decisioni che lo riguardano il giudice deve tenere in considerazione il benessere psicofisico del bambino e privilegiare l’assetto di interessi più favorevole a una sua crescita e maturazione equilibrata e sana; di conseguenza i diritti degli adulti devono cedere dinnanzi ai diritti del fanciullo, con l’ulteriore corollario che essi stessi trovano tutela solo nel caso in cui questa coincida con la protezione della prole; inoltre, nel caso di esecuzione coattiva dell’allontanamento del minore, la Corte di cassazione ,nell’ordinanza n. 9691/2022, ha precisato che “l’ordinata esecuzione coattiva (...) consistente nell'uso di una certa forza fisica diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiede con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia, non appare misura conforme ai principi dello Stato di diritto e potrebbe cagionare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare, ponendo seri problemi, non sufficientemente approfonditi, anche in ordine alla sua compatibilità con la tutela della dignità della persona”;

tali principi, così nettamente ribaditi dalla suprema Corte nelle sue pronunce, non sempre si rinvengono nella soluzione di identiche controversie da parte dei giudici ordinari; a tale proposito, la vicenda di una minore di anni 8 allontanata dalla casa materna e collocata in una struttura dei servizi sociali per più di 9 mesi appare esemplificativa di quanto affermato;

nel mese di luglio 2024 la Cassazione si è pronunciata cassando la decisione della Corte di appello di Trieste di sospensione della responsabilità della madre e affidamento della minore in via esclusiva al padre, peraltro già soggetto ad indagini per presunti abusi nei confronti della figlia; nello scorso mese di febbraio il Tribunale di Trieste, disattendendo quanto previsto dalla Cassazione, che aveva disposto un’approfondita indagine peritale per verificare l’eventuale pregiudizio per la minore derivante dal collocamento presso uno o l’altro dei genitori, ha disposto un prelievo coatto della minore presso la scuola, affidandola al servizio sociale e collocandola in una struttura per 4 mesi, scelta confermata in agosto dalla decisione in sede di rinvio della Corte di appello di Trieste, ma senza porre termine di durata al collocamento e disponendo per la minore incontri protetti con ciascuno dei genitori, che devono avvenire alla presenza di “operatore specializzato nella riattivazione del legame”, ma soltanto per il padre;

inoltre, la responsabile della comunità socio-educativa in cui si trova la minore, in evidente conflitto di interessi con il suo ruolo di custode, ha presentato un’inammissibile “istanza” al Tribunale, formulando “richiesta di tenere aperte tutte le possibilità di incontro con il padre” e, al contrario, di “frenare l’apertura di incontri protetti con la madre”, ciò in assoluto contrasto con i provvedimenti allo stato vigenti;

il collocamento della minore presso la struttura si è prolungato di fatto più del doppio di quanto disposto dal Tribunale ordinario e il servizio sociale non ha organizzato alcun incontro in presenza con la madre ma, dopo 7 mesi, soltanto un incontro da remoto, senza dare esecuzione ai citati provvedimenti; la minore, che ha compiuto 8 anni nella struttura, sta sperimentando con sofferenza un vissuto abbandonico per la mancanza dei suoi affetti più cari, che lascerà sicuramente un profondo segno sulla sua integrità psicofisica e sul suo sviluppo;

considerato che:

il prolungamento di fatto della permanenza della minorenne in struttura, per più del doppio del tempo previsto dal Tribunale, in provincia diversa da quella di residenza, con minori di diverse nazionalità, sia maschi che femmine, dai 12 ai 14 anni, con un completo sradicamento dal suo habitat familiare, scolastico e amicale, appare contrario alla dignità della persona, ai principi che tutelano il supremo interesse del minore e al diritto alla vita privata e familiare sancito dall’articolo 8 della CEDU, per la totale deprivazione dei rapporti della minore con la madre e tutto il ramo materno, compresi i nonni, il fratellino e le sorelline;

inoltre, a giudizio degli interroganti, il collocamento della minore di 8 anni da più di 9 mesi in una struttura forzandola ad accettare ad ogni costo il genitore rifiutato, operando un vero e proprio reset della volontà della minore secondo la worst practice dell’alienazione parentale, può considerarsi altresì un trattamento disumano e degradante ai sensi dell’art. 3 della CEDU,

si chiede di sapere:

se i Ministri in indirizzo ritengano che sulla base dei fatti esposti sia tutelato il preminente superiore interesse della minore in questione secondo i principi chiariti in premessa;

se siano a conoscenza dei fatti esposti e se non ritengano necessario e urgente assumere iniziative di carattere ispettivo presso il tribunale competente, il servizio sociale affidatario e la struttura socio-educativa che ospita la minore.