Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 7-00027
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Atto n. 7-00027 (in 3ª Commissione)
Pubblicato il 10 luglio 2025, nella seduta n. 327
CRAXI
La 3ª Commissione (Affari esteri e difesa) del Senato,
premesso che:
il 1° febbraio 2021 il colpo di Stato dei militari in Myanmar ha interrotto la transizione del Paese asiatico verso la democrazia, dopo che le elezioni politiche dell’8 novembre 2020, come riconosciuto dagli osservatori internazionali, avevano sancito la vittoria schiacciante, con l’86 per cento delle preferenze, della Lega nazionale per la democrazia (NLD), il partito di Aung San Suu Kyi;
dal 2021 la comunità internazionale non ha riconosciuto legittimità al Consiglio di amministrazione dello Stato (SAC), l’organismo di governo della giunta militare, presieduto dal comandante in capo delle forze armate generale Min Aung Hlaing, imponendo sanzioni al vertice del regime militare;
la popolazione del Myanmar, già provata da una lunga guerra civile che ha provocato nel corso degli anni migliaia di morti, 3 milioni e mezzo di sfollati interni e costretto quasi 20 milioni di persone a vivere sotto la soglia di povertà, ha reagito al colpo di Stato con coraggio e determinazione, dando vita a manifestazioni pacifiche e ad organismi rappresentativi quali il Committee representing Pyidaungsu Hluttaw (CRPH), il National unity government (NUG) e il National unity consultative council (NUCC), che con le loro azioni hanno impedito alla giunta militare del Myanmar di prendere il totale controllo del Paese;
il regime peraltro ha a sua volta reagito con brutalità e fermezza a tale attivismo, imprigionando non solo la consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, il presidente U Win Myint e numerosi attivisti democratici, ma colpendo la stessa popolazione civile con migliaia di arresti, incarcerazioni, condanne a morte, processi farsa, violenze, stupri, torture, bombardamenti su villaggi, ospedali, chiese, scuole, musei e siti archeologici, violando sistematicamente i diritti umani;
nel 2024 il Myanmar è stato annoverato dal “World justice project” quale peggior Paese al mondo per il rispetto dei diritti umani, nonché considerato dall’autorevole organizzazione non governativa statunitense “Armed conflict location and event data” (ACLED) come il secondo Paese più violento al mondo dopo la Palestina e infine ritenuto dal democracy index dell’Economist group il secondo Paese meno democratico sul pianeta dopo l’Afghanistan;
sempre nel corso del 2024, il procuratore della Corte penale internazionale ha annunciato di aver depositato una richiesta di arresto nei confronti del presidente ad interim del Paese, Min Aung Hlaing, per crimini di deportazione e persecuzione nei confronti dei Rohingya;
ricordato altresì che:
il devastante terremoto del 28 marzo 2025, che ha causato migliaia di vittime in Myanmar, ha aggravato ulteriormente la sofferenza della popolazione locale, già provata dalle tensioni interne e sottoposta a ulteriori bombardamenti ad opera del regime, persino nelle aree terremotate;
la giunta militare, peraltro, ha tentato di utilizzare strumentalmente il sisma per accreditarsi nel contesto internazionale e assicurarsi la gestione degli aiuti umanitari, aprendo contestualmente alla possibilità di indire nuove elezioni politiche in un periodo compreso tra dicembre 2025 e gennaio 2026;
la richiesta di aiuti internazionali da parte del governo militare, completamente isolato sul piano internazionale salvo che per la disponibilità da parte della Russia e della Cina a rifornirlo di aiuti economici e militari, ha messo in allarme la resistenza democratica e il NUG, il “governo ombra” in esilio;
a seguito di questi accadimenti il Myanmar è precipitato in un’ulteriore e drammatica crisi umanitaria, resa ancora più grave dal fatto che i militari hanno impedito l’accesso agli aiuti, come già in passato, causando il tracollo economico e l’isolamento del Paese dal contesto internazionale, il venir meno dei servizi educativi e sanitari e il conseguente abbandono dell’istruzione e delle università controllate dal regime da parte degli studenti e dei docenti;
preoccupante è altresì il fatto che la crisi e l’instabilità del Paese hanno determinato una forte espansione delle attività criminali legate agli stupefacenti, considerato che già nel 2023 il Myanmar era tornato ad essere il primo produttore di oppio al mondo;
la recente liberazione di quasi 5.000 detenuti da parte della giunta militare in occasione dell’inizio del nuovo anno nel calendario tradizionale birmano, giustificata con il proposito di concorrere al processo di costruzione del Paese e a motivo di “compassione”, pur se apprezzabile sul piano del merito, non cambia l’approccio fortemente autoritario imposto dai militari;
come denunciato anche dall'alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, dopo le forti scosse di terremoto del marzo 2025, l'esercito del Myanmar ha lanciato almeno 243 attacchi, tra cui 171 raid aerei, la maggior parte dei quali dopo il 2 aprile, nonostante l'esercito avesse annunciato il cessate il fuoco unilaterale;
nell’opposizione al regime si è determinato un percorso di unità di tutte le forze democratiche, tra gli organismi rappresentativi del popolo e i gruppi etnici, che ha dato vita anche a gruppi di difesa del popolo, il People defence force (PDF), che ha portato alla progressiva liberazione di larga parte del territorio del Paese;
tenuto conto che:
il 21 dicembre 2022 il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha approvato la risoluzione n. 2669, che chiede, tra l’altro, la cessazione immediata di tutte le forme di violenza, la liberazione di tutti i prigionieri politici arbitrariamente in carcere, a partire dal presidente U Win Myint e dalla consigliera di Stato Aung San Suu Kyi;
l’8 novembre 2023 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato una risoluzione sulla situazione dei diritti umani dei musulmani Rohingya e delle altre minoranze in Myanmar che, tra l’altro, condanna con la massima fermezza tutte le violazioni e gli abusi dei diritti umani contro i civili, compresi i Rohingya e altre minoranze, prima e dopo la dichiarazione ingiustificata dello stato di emergenza il 1° febbraio 2021, e invita le forze armate e di sicurezza del Myanmar a rispettare le norme, la volontà e le aspirazioni democratiche del popolo, a porre fine alla violenza e a rispettare pienamente i diritti umani, le libertà fondamentali e lo Stato di diritto e, infine, a dichiarare la cessazione dello stato di emergenza;
la Commissione europea, oltre alle misure restrittive nei confronti di singole persone, fisiche e giuridiche, ha disposto altresì l’embargo su armi, attrezzature e beni a duplice uso destinati all’esercito e alla polizia di frontiera, nonché imposto il divieto di addestramento militare e cooperazione con l’esercito birmano e restrizioni all’esportazione di attrezzature per il monitoraggio di comunicazioni che potrebbero essere utilizzate a fini di repressione interna;
rilevato che:
a più di quattro anni dal colpo di Stato, è doveroso rompere il silenzio che circonda il Myanmar con un’iniziativa politica e umanitaria della comunità internazionale per salvare il popolo e sostenere la sua legittima scelta democratica per il futuro del Paese;
la nuova fase che sembra aprirsi in Myanmar, grazie alla sistematica e totale resilienza del popolo e dei suoi rappresentanti, esige che la comunità internazionale ne sostenga gli sforzi;
la drammatica situazione dei Rohingya, che sta a cuore all’intera comunità internazionale, può trovare soluzione in un Myanmar democratico, federale, stabile e inclusivo;
occorre affrontare al più presto la crisi umanitaria, ponendo fine alle sofferenze intollerabili della popolazione, che vive tra le macerie del terremoto, in particolar modo dei bambini, degli anziani, delle donne, sfollati nella giungla o rifugiati nei Paesi vicini, anche con aiuti umanitari transfrontalieri, non sotto il controllo dei militari;
considerato, inoltre, che:
la soluzione del problema del Myanmar non può che essere politica, nel pieno rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani universali;
il Parlamento italiano in questi ultimi due decenni ha seguito con partecipazione l’intera situazione del Myanmar nel suo cammino verso la democrazia, ha dato vita all’Associazione parlamentari amici della Birmania, ricostituita nella presente XIX Legislatura, ha ospitato in un evento parlamentare nel 2017 Aung San Suu Kyi, ha inviato una delegazione parlamentare in Myanmar nel settembre 2016, e dialoga con associazioni, università, organizzazioni della società civile italiana che alimentano un grande e diffuso rapporto di amicizia e cooperazione con il Myanmar. Si accinge altresì a promuovere una conferenza interparlamentare di dialogo con gli attori interni di Myanmar e la comunità internazionale;
l’Italia accoglie rifugiati politici dal Myanmar e dialoga con i rappresentanti del NUG, mentre decine di studenti birmani sono accolti nelle università italiane;
l’Italia, che figura tra i pochi Paesi europei che hanno sempre mantenuto aperta l’ambasciata a Yangon, svolgendo un ruolo attivo nel processo di transizione democratica in Myanmar, dal 2021 ha reiteratamente chiesto il rilascio incondizionato dei detenuti politici, la cessazione della repressione e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e il ripristino del processo di transizione democratica e dello Stato di diritto,
impegna il Governo:
1) ad adoperarsi in occasione dei prossimi vertici internazionali, a partire dall'80ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che si aprirà il prossimo 9 settembre 2025, perché si raggiunga la cessazione della violenza in Myanmar, la liberazione di tutti i prigionieri politici, di Aung San Suu Kyi e del presidente U Win Myint, e venga assicurato il pieno ripristino della democrazia;
2) a promuovere nell’ambito dell’Unione europea una strategia più efficace per favorire una pacifica transizione democratica in Myanmar;
3) ad adoperarsi nelle sedi internazionali al fine di sostenere il riconoscimento presso la comunità internazionale del Governo di unità nazionale;
4) ad intraprendere ogni iniziativa utile perché l’Unione europea adotti con urgenza programmi di sostegno alle organizzazioni della società civile, ai media indipendenti e ai giornalisti che denunciano le iniziative illecite e i crimini commessi dalla giunta e che diffondono informazioni qualificate sulla realtà del Myanmar;
5) a sostenere le iniziative di cooperazione delle istituzioni italiane, delle città, delle università e della società civile per il Myanmar, nonché a favorire il dialogo interreligioso.