Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 4-01766
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Atto n. 4-01766
(già n. 3-00494)
Pubblicato il 28 gennaio 2025, nella seduta n. 267
MISIANI, MARTELLA, GIACOBBE, ZAMBITO, CAMUSSO, FURLAN, D'ELIA, RANDO, ZAMPA, ALFIERI, LORENZIN, ROJC, VALENTE, VERDUCCI, LOSACCO, IRTO, GIORGIS, ROSSOMANDO, NICITA, PARRINI, BASSO, MANCA, TAJANI - Ai Ministri delle imprese e del made in Italy, dell'economia e delle finanze e per gli affari europei, il PNRR e le politiche di coesione. -
Premesso che:
l’ultimo intervento statale per sostenere il comparto siderurgico italiano risale a qualche mese addietro, con il decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 marzo 2023, n. 17, che, al fine di assicurare la continuità del funzionamento produttivo dell'impianto siderurgico di Taranto ex ILVA, garantisce che possano proseguire le misure di rafforzamento patrimoniale già previste per lo stabilimento di interesse strategico nazionale, anche in costanza di provvedimenti di sequestro o confisca degli impianti, e che l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.-Invitalia possa sottoscrivere aumenti di capitale sociale o erogare finanziamenti in conto soci convertibili in aumento di capitale sociale su richiesta della medesima;
a fine gennaio, in effetti, Invitalia ha potuto investire 680 milioni di euro in Acciaierie d’Italia, che gestisce lo stabilimento siderurgico, così da permettere, oltre che di fronteggiare la situazione debitoria nei confronti dei fornitori di materie prime e di energia, investimenti di natura industriale finalizzati alla crescita produttiva e occupazionale; la finalità era garantire nel 2023 una produzione di almeno 4 milioni di tonnellate di acciaio, con l'obiettivo di arrivare a 5 nel 2024, nonché la necessaria transizione tecnologica per la sostenibilità ambientale e la progressiva decarbonizzazione degli impianti di Taranto;
la situazione dello stabilimento siderurgico resta nonostante questi interventi estremamente complicata e non si attenuano le tensioni in Acciaierie d’Italia tra socio pubblico e privato (Arcelor Mittal) in merito alla sua gestione;
in particolare, risultano di difficile comprensione alcune scelte operate dall’amministratrice delegata, Lucia Morselli, sia in merito al continuo ricorso alla cassa integrazione (che contrasta con la previsione di un innalzamento in corso d’anno dei livelli produttivi e l’annuncio di nuovi ordini e con la ripartenza dell’altoforno 2, e che interessa anche personale della manutenzione col rischio di incidenti e maggiori emissioni inquinanti) sia alla sua opposizione alla costruzione degli impianti di DRI d’Italia, società di Invitalia che dovrebbe produrre il “pre ridotto” di ferro (direct reduced iron, DRI) che permette di alimentare i futuri forni ibridi elettrici degli impianti di Taranto, ridurre le emissioni e garantire il primo passo del piano di decarbonizzazione che dovrebbe concludersi in 10 anni; il contrasto tra socio pubblico e privato si è dunque acuito;
l’amministratrice delegata ha chiarito la propria posizione in merito con una lettera inviata a DRI d'Italia, a Ilva in amministrazione straordinaria (società proprietaria degli impianti dati in affitto ad Acciaierie d’Italia) e ai Ministri delle imprese e del made in Italy e per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR: non una contrarietà all’utilizzo del “pre ridotto”, ma al suo acquisto dalla società DRI, potendo questo essere prodotto direttamente da Acciaierie d’Italia, che ha le capacità tecniche ed operative per la realizzazione dell'impianto, oltre che la responsabilità gestionale dello stabilimento in cui l'impianto dovrà insistere ed in particolare del forno SAF con cui l'impianto dovrà essere integrato;
considerato che:
la società DRI d’Italia fa parte di un programma di investimenti tramite i quali si intende favorire la transizione ecologica della siderurgia italiana, permettendo di rafforzare l’investimento nell’ex ILVA: nata nel gennaio 2022 allo scopo di verificare la fattibilità di impianti di produzione di direct reduced iron e di procedere alla loro realizzazione e gestione, anche con l’utilizzo di fondi PNRR destinati ai settori “hard to abate”, e identificata come soggetto attuatore del processo di decarbonizzazione del settore siderurgico italiano, prevedeva la costruzione di due impianti da 2 milioni di tonnellate annue ciascuno di “pre ridotto”, le prime destinate a Taranto, le seconde alle acciaierie del Nord; gli impianti dovrebbero essere realizzati nell’area dell’ex ILVA e Acciaierie d’Italia avrebbe dovuto impegnarsi ad acquistare il prodotto;
dato che l’avvio del programma era previsto per il mese di giugno 2023, la volontà espressa dall’amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia di procedere in autonomia rischia di mettere a repentaglio un progetto consistente, viste anche le risorse stanziate per DRI (circa un miliardo di euro sui 2 destinati dal PNRR all’hard to abate), nonché l’evidente vantaggio in termini economici e ambientali che ne sarebbero scaturiti, anche per l’ex ILVA;
in base agli accordi tra Invitalia e Arcelor Mittal, entro il 2024 si sarebbe dovuto procedere con la modifica dell’assetto azionario di Acciaierie d’Italia, con il passaggio della maggioranza (60 per cento) a Invitalia stessa; il tentativo di anticipare questa salita, anche grazie alla norma del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, che permette di convertire in capitale i 680 milioni investiti ad inizio anno, sembra allontanarsi sia a causa dell’opposizione dei vertici di Mittal a partecipare alla ricapitalizzazione, sia di perduranti contrasti in seno al Governo in merito all’operazione;
la gravità della situazione dello stabilimento siderurgico di Taranto e i contrasti tra Arcelor Mittal e il socio pubblico sembrano riflettere la scarsa volontà del socio privato di rilanciare la produzione e ancor meno di trasformare l’acciaieria in un sito siderurgico green, rinfocolando i timori che l’acquisto compiuto da Arcelor Mittal nel 2017 sia stato motivato più dal tentativo di ridimensionare il settore siderurgico italiano che rimettere in sesto l’impresa; altrettanto preoccupante risulta la situazione negli stabilimenti ex ILVA di Genova Cornigliano, che ha oltre 1.000 dipendenti, e Novi Ligure (Alessandria), che ne ha 600, dove si è registrato anche recentemente un aumento della cassa integrazione, effetto della mancanza di un piano industriale serio, nonostante le ripetute dichiarazioni fatte al riguardo;
l’accordo di programma con la Regione Puglia e il Comune di Taranto, annunciato tra gennaio e febbraio 2023 dal Ministro delle imprese per disciplinare il cronoprogramma degli investimenti industriali per la riconversione green e le iniziative funzionali a rilanciare il territorio, risulta ad oggi lettera morta,
si chiede di sapere:
quali siano le valutazioni dei Ministri in indirizzo in merito alla vicenda relativa alla produzione di “pre ridotto” e all’evidente contrasto tra interessi pubblici e privati;
quali conseguenze produttive ed occupazionali sullo stabilimento siderurgico di Taranto risultino dalle scelte operate dall’amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia sul ricorso intensivo alla cassa integrazione nonché dai contrasti con DRI d’Italia, e quali interventi di propria competenza intendano porre in essere affinché produzione e occupazione non ne siano danneggiati;
quali siano gli investimenti e i piani industriali relativi agli stabilimenti ex ILVA di Genova e Novi Ligure, anche ai fini della tutela dell’occupazione;
se si intenda procedere e in quali tempi alla modifica dell’assetto azionario di Acciaierie d’Italia, anche al fine di garantire il settore siderurgico italiano, i livelli occupazionali dell’area di Taranto e la completa decarbonizzazione degli impianti, anche ai fini della tutela della salute e dell’ambiente;
quale sia lo stato dell’arte dell’accordo di programma annunciato da alcuni mesi e quali urgenti azioni intendano porre in essere al fine di garantire che esso sia attuato.