Legislatura 19ª - Atto di Sindacato Ispettivo n. 3-01482

Atto n. 3-01482

Pubblicato il 20 novembre 2024, nella seduta n. 243

BILOTTI, LICHERI Ettore Antonio - Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. -

Premesso che:

il 12 aprile 2024, l’associazione britannica “Action on armed violence” (AOAV) ha pubblicato un report, intitolato “Chi sta armando Israele” (“Who is arming Israel”), in cui veniva documentato il ruolo cruciale svolto dall’Italia nelle esportazioni militari verso Israele. Nello specifico, si legge nel report che: “L'Italia si posiziona come il terzo maggiore fornitore di equipaggiamento militare a Israele, contribuendo per lo 0,9% alle importazioni totali di armi di Israele dal 2019 al 2023. Le esportazioni hanno riguardato principalmente elicotteri e artiglieria navale. Secondo l'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), il valore di queste vendite di armi ha raggiunto i 13,7 milioni di euro lo scorso anno. In particolare, tra ottobre e dicembre, l'Italia ha approvato esportazioni per un valore di 2,1 milioni di euro, nonostante le precedenti dichiarazioni del governo che suggerivano una sospensione delle vendite di armi verso paesi coinvolti in conflitti o accusati di violazioni dei diritti umani. Il Ministro della Difesa Guido Crosetto ha chiarito al parlamento che l'Italia ha continuato a rispettare i contratti esistenti dopo attente revisioni e che ogni contratto è stato valutato singolarmente per garantire che i materiali esportati non potessero essere utilizzati contro le popolazioni civili, in linea con il quadro normativo italiano sulle esportazioni di armi. I dati di CAAT [Campaign against arms trade] mostrano che tra il 2014 e il 2022, il valore delle licenze di esportazione dall'Italia a Israele ha totalizzato 114 milioni di euro, incluse licenze relative a navi da guerra, armi leggere/artiglieria, velivoli e munizioni”;

il 5 novembre 2024, la stessa AOAV ha pubblicato un'indagine intitolata “La sporca dozzina di Israele: le armi dell’IDF più letali a Gaza” ("Israel’s dirty dozen: the IDF’s most lethal weapons in Gaza"), che mette in luce l'impiego di armi avanzate da parte delle forze di difesa israeliane (IDF) nei bombardamenti a Gaza;

l’uso di munizioni come il GBU-39 e sistemi di artiglieria avanzati, responsabili di gravi conseguenze umanitarie e di un elevato numero di vittime civili, solleva ulteriori e importanti questioni etiche e legali sul rispetto del diritto internazionale umanitario rispetto alla guerra che Israele sta continuando a portare avanti a Gaza;

considerato che in risposta all’interrogazione 4-02518, presentata alla Camera dei deputati in data 18 marzo 2024, il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha giustificato tali esportazioni, dichiarando che l'Italia avrebbe rispettato i contratti preesistenti, senza sottoscriverne di nuovi a partire dall’ottobre 2023, e che ciascun contratto sarebbe stato valutato per garantire che i materiali esportati non potessero essere usati contro le popolazioni civili, in linea con il quadro normativo nazionale sulle esportazioni di armi. Tuttavia, come ricordato, secondo i dati dell’associazione britannica “Campaign against arms trade”, tra le licenze di esportazioni ve ne erano relative a navi da guerra, armi leggere e artiglieria, velivoli e munizioni, che non è davvero comprensibile come possano essere giudicate tali da non contribuire al disastro che si è abbattuto sui civili di Gaza,

si chiede di sapere:

quali siano stati i criteri utilizzati nelle valutazioni rispetto alla presunta impossibilità di uso contro i civili che hanno consentito il prosieguo delle esportazioni militari verso Israele;

se, alla luce anche del rapporto citato rispetto alle armi utilizzate dall’IDF e ai loro terribili effetti sui civili, il Governo intenda rivedere la propria posizione e valutare l’immediata sospensione di qualsiasi esportazione di armi verso Israele;

se, data la situazione che si aggrava di giorno in giorno nella striscia di Gaza, così come nel resto dei territori palestinesi, intenda adottare azioni concrete per facilitare un dialogo di pace tra la Palestina e Israele, a partire dal riconoscimento dello Stato di Palestina, alla stregua di quanto fatto da ben 146 Stati in tutto il mondo, incluse nazioni estremamente vicine all’Italia come la Spagna, la Slovenia, la Norvegia e l’Irlanda, oltre alla Città del Vaticano.