Legislatura 13ª - Disegno di legge N. 1243
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SENATO DELLA REPUBBLICA
———– XIII LEGISLATURA ———–
N. 1243
DISEGNO DI LEGGE
presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri
(PRODI)
e dal Ministro di grazia e giustizia
(FLICK)
di concerto col Ministro dell'ambiente
(RONCHI)
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 10 SETTEMBRE 1996
Conversione in legge del decreto-legge 6 settembre 1996, n. 464, recante disposizioni in tema di incompatibilità dei magistrati e di proroga dell'utilizzazione per finalità di detenzione degli istituti penitenziari di Pianosa e dell'Asinara
- RELAZIONE
- DISEGNO DI LEGGE
- Decreto-legge 6 settembre 1996, n. 464, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 211 del 9 settembre 1996
ONOREVOLI SENATORI. - Il presente decreto-legge costituisce reiterazione del decreto-legge 8 luglio 1996, n. 355, decaduto per mancata conversione nel termine costituzionale.
Il provvedimento tiene conto delle indicazioni emerse in sede di esame del precedente decreto-legge 10 maggio 1996, n. 250 (di cui all'atto Senato n. 332) nell'ambito della Commissione giustizia del Senato, indicazioni alle quali il Governo ha ritenuto di doversi allineare, manifestando fin da ora la disponibilità ad una rimeditazione delle singole tematiche in corrispondenza degli orientamenti che dovessero emergere nel corso dei nuovi lavori parlamentari.
Resta inalterata, invero, la ragione che aveva indotto a ricorrere allo strumento della decretazione d'urgenza, rappresentata dalla necessità di evitare che dalla sentenza della Corte Costituzionale 17-24 aprile 1996, n. 131, scaturiscano effetti idonei a compromettere lo svolgimento dei processi in corso e a paralizzare l'esercizio della giurisdizione penale.
É noto che la sentenza della Corte, dichiarativa della parziale incostituzionalità dell'articolo 34, comma 2, del codice di procedura penale, ha di fatto introdotto nell'ordinamento processuale penale una ulteriore ipotesi di incompatibilità. Essa si determina quando venga chiamato ad esercitare funzioni di giudizio un giudice che si é pronunciato, come componente del tribunale del riesame o del tribunale d'appello (salvo che, in quest'ultimo caso, la pronuncia abbia riguardato esclusivamente aspetti formali), su una misura cautelare personale adottata nei confronti dello stesso imputato.
In sostanza, per effetto della pronuncia, il giudice del dibattimento che, nella veste di componente del cosiddetto "tribunale della libertà", abbia partecipato ad uno dei procedimenti di impugnazione della misura cautelare (articoli 309 e 310 del codice di procedura penale) deve necessariamente astenersi dal giudicare (articolo 36, comma 1, lettera g ), del codice di procedura penale), esponendosi, in caso contrario, alla ricusazione (articolo 37, comma 1, lettera a ) del codice di procedura penale) ed a sanzioni disciplinari.
Le ripercussioni della pronuncia sull'organizzazione della giustizia penale appaiono di notevole gravità. Da un lato, infatti, a fronte della nuova situazione di incompatibilità e della conseguente astensione di uno o piú componenti del collegio, i dibattimenti in corso dovranno essere rinnovati, con conseguente vanificazione dell'attività di istruzione dibattimentale in precedenza compiuta; dall'altro, i futuri dibattimenti dovranno essere "organizzati" in modo tale da evitare le predette situazioni di incompatibilità: problema, quest'ultimo, di soluzione tutt'altro che agevole, ove si considerino le attuali carenze di organico di magistrati e la dislocazione dei medesimi sul territorio, allo stato caratterizzata dall'esistenza di un elevato numero di tribunali di capoluogo di provincia con pochi magistrati in pianta, nell'ambito dei quali, quindi, era stato sino ad oggi frequente il "cumulo" delle funzioni di giudice del "tribunale della libertà" e di giudice del dibattimento.
La stessa Corte costituzionale, nella consapevolezza dell'"impatto" della sua pronuncia, ha rivolto nella sentenza un "pressante invito agli organi competenti" perché pongano rimedio, "con appropriati interventi e riforme di ordine normativo e organizzativo", alle prevedibili difficoltà pratiche che la pronuncia stessa é suscettiva di generare, specie per quanto attiene alla formazione concreta degli organi giudicanti.
Con il presente provvedimento il Governo intende farsi carico dell'invito della Corte, prendendo atto anche delle emergenze sottolineate dal procuratore nazionale antimafia e dai procuratori distrettuali circa gli effetti che, a causa delle nuove incompatibilità, potranno crearsi nell'immediato futuro relativamente a procedimenti nei quali compaiono in stato di detenzione numerosi imputati di delitti di criminalità organizzata.
Per le sue stesse caratteristiche d'urgenza, l'intervento non puó che limitarsi a porre le premesse per consentire nell'immediato futuro una piú agevole celebrazione dei dibattimenti; spetterà, invece, al Parlamento, in un ampio spirito di confronto e collaborazione con tutti gli organi istituzionali interessati, cogliere l'occasione per porre mano ad una organica e profonda riforma del sistema ordinamentale, che preveda anzitutto la redistribuzione di magistrati sul territorio e piú opportuni assetti giudiziari. Fin da ora il Governo si impegna comunque a presentare nell'immediato futuro provvedinenti che, in linea con le prospettazioni proposte da illustri studiosi, consentano di redistribuire i poteri del giudice per le indagini e quelli del giudice della responsabilità e che agevolino la ripartizione delle relative funzioni, per un verso evitando il pericolo delle incompatibilità e, per l'altro, spianando la strada alla figura del giudice unico e monocratico di primo grado (pur con ampie riserve di collegialità).
L'articolo 1, inserito nel Capo I, é diretto ad evitare l'"azzeramento" dei dibattimenti in corso (con il recupero degli atti già compiuti) e a scongiurare il connesso rischio delle scarcerazioni (prevedendo una sospensione, temporalmente circoscritta, dei termini di custodia relativi alla fase dibattimentale).
Le misure introdotte riguardano esclusivamente i procedimenti in corso in cui si sia verificata una delle situazioni di incompatibilità indicate nell'articolo 34, comma 2, del codice di procedura penale (articolo 1, comma 1), tra cui é ricompresa anche quella introdotta nell'ordinamento processuale dalla sentenza n. 131 del 1996.
Il comma 2 dell'articolo 1 prevede, in particolare, che gli atti compiuti anteriormente al provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione conservino efficacia.
Al riguardo, va osservato che la disciplina generale dettata dal codice di procedura penale già consente, entro certi limiti, il recupero di tali atti: l'articolo 42, comma 2, del codice di procedura penale attribuisce infatti al giudice, chiamato a decidere sulla dichiarazione di astensione o di ricusazione, il potere di indicare quali fra gli atti compiuti conservino efficacia ed in che misura.
La disposizione del decreto si discosta da quella codicistica anzitutto perché fa derivare direttamente dalla legge la conservazione dell'efficacia degli atti. La diversa modalità di recupero di questi ultimi si giustifica - ragionevolmente - a fronte delle peculiari caratteristiche delle situazioni considerate nel comma 2 dell'articolo 34 del codice di procedura penale richiamato dall'articolo 1 in esame. Si tratta, infatti, di incompatibilità che, secondo quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 131 del 1996, sono dirette ad "evitare che condizionamenti, o apparenze di condizionamenti, derivanti da precedenti valutazioni cui il giudice sia stato chiamato nell'ambito del medesimo procedimento, possano pregiudicare o far apparire pregiudicata l'attività di "giudizio" (non anche altre attività processuali anteriori o propedeutiche al giudizio)" (vedi anche ordinanza n. 24 del 1996; sentenza n. 401 del 1991). Secondo la Corte, quindi, l'esigenza di imparzialità del giudice, funzionale alla realizzazione del "giusto processo", é assicurata evitando che il giudice, il quale versi in una delle situazioni di incompatibilità previste dall'articolo 34, comma 2, del codice di procedura penale, partecipi al giudizio, ferma restando la validità delle attività processuali svolte in precedenza, e in particolare degli atti formatisi nel corso della istruttoria dibattimentale. Siffatta incompatibilità é sancita, in altri termini, in vista dell'imparzialità del giudizio sulla colpevolezza dell'imputato, quale momento valutativo e decisionale, ma non riguarda, invece, i singoli atti che sono stati formati in precedenza, e cioé il momento di acquisizione del materiale probatorio da utilizzare ai fini della decisione. In tale ambito non vi é spazio per una cernita, ad opera del giudice, degli atti che possono conservare la loro efficacia, semplicemente perché non vi é ragione di escludere dal materiale utilizzabile ai fini della decisione alcun atto precedentemente formato.
Sulla scia di tale indirizzo, la Corte costituzionale ha quindi recentemente sostenuto, con riferimento a fattispecie analoghe, che la pregressa fase processuale non perde il carattere di attività legittimamente compiuta solo perché é sopraggiunto un mutamento nella composizione del giudice, e dunque é sorta la necessità di procedere alla rinnovazione del dibattimento. In particolare, ha affermato (sentenza n. 101 del 1994; sentenza n. 17 del 1994; ordinanza n. 99 del 1996, proprio in tema di astensione per incompatibilità) che "non é irragionevole, né lesivo dei principi di oralità e immediatezza del dibattimento" che l'attività precedentemente svolta venga recuperata ai fini della decisione.
Sotto diverso profilo, poi, derogando alla disciplina generale di cui all'articolo 511, comma 2, del codice di procedura penale, la disposizione del comma 2 dell'articolo 1 del decreto consente l'utilizzazione degli atti in parola da parte del nuovo giudice tramite il meccanismo della sola lettura (o della indicazione ex articolo 511, comma 5), senza che occorra, quindi - ove si tratti di verbali di dichiarazioni - procedere ad un preventivo nuovo esame della persona che le ha rese; salvo, peraltro, il potere del giudice medesimo di disporne la rinnovazione, totale o parziale, quante volte ne ravvisi la necessità.
La norma di cui al comma 3 dell'articolo in esame mira, per converso, in maniera diretta a contenere il rischio di scarcerazioni per decorrenza dei termini, già notevolmente attenuato, peraltro, dal drastico contenimento delle ipotesi di rinnovazione delle attività dibattimentali operata dal comma 2.
A tal fine viene introdotto uno specifico meccanismo di "congelamento" dei termini previsti dall'articolo 303, comma 1, del codice di procedura penale durante il periodo occorrente per riportare il dibattimento davanti al nuovo giudice nello stato in cui si trovava allorché é intervenuta la dichiarazione di astensione o di ricusazione. Onde escludere una eccessiva dilatazione, vengono peraltro fissati, nel comma 4, limiti temporali massimi al periodo di sospensione, differenziati in rapporto al tipo di reati per cui si procede (novanta giorni per i reati di tipo mafioso, sessanta giorni negli altri casi). La stessa disposizione prevede, altresí, che ove il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione sia anteriore alla data di entrata in vigore del decreto, tali limiti massimi decorrano da quest'ultima data: e ció ad evitare il pericolo che i limiti stessi risultino già integralmente "consumati", o quasi, in rapporto a cadenze processuali suggerite dal diverso e piú rigoroso meccanismo di rinnovazione dei termini di custodia adottato nel precedente decreto-legge n. 250 del 1996.
Il comma 5 precisa, infine, che del periodo di sospensione non si tiene conto nel computo dei termini di cui all'articolo 304, comma 6, del codice di procedura penale, salvo per quanto attiene al limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare.
Con gli articoli 2, 3, 4 e 5 vengono presi in considerazione i processi futuri.
La scelta di attribuire ai tribunali distrettuali o del luogo in cui hanno sede le sezioni distaccate delle corti di appello la competenza a decidere sul riesame e sull'appello relativi alle misure cautelari, già localizzata a livello provinciale, é apparsa la piú ragionevole, oltre che quella piú facilmente praticabile. Essa contribuisce infatti a ridurre sensibilmente i casi di incompatibilità, soprattutto nei tribunali medio-piccoli, agevolando la celebrazione dei dibattimenti e incentivando, al tempo stesso, la formazione di professionalità specifiche in materia cautelare e l'uniformità giurisprudenziale in un piú vasto ambito territoriale.
La soluzione in discorso - a favore della quale si é pronunciata anche la Commissione per la revisione del codice di procedura penale, specificamente interpellata sul pun to - é stata d'altro canto preferita all'altra, da taluno proposta, di affidare la competenza in materia di impugnazioni de libertate alle corti di appello, per due fondamentali ragioni: quella di evitare una sorta di ingiustificato ricorso per saltum dal primo al secondo grado del giudizio e quella di prevenire la creazione di altre incompatibilità tra il giudice del riesame e il giudice del dibattimento di appello. Con riferimento a quest'ultimo aspetto, deve rilevarsi, infatti, che lo spostamento del "tribunale della libertà" in corte d'appello comporterebbe un aumento del "rischio di incompatibilità", in quanto in quella sede potrebbero confluire, successivamente, tutti gli appelli avverso le sentenze pronunciate da qualsiasi tribunale del distretto.
Va da sé che il nuovo assetto delle competenze comporta un aggravamento del carico di lavoro dei tribunali distrettuali, del cui organico dovrà quindi necessariamente prevedersi il potenziamento, segnatamente a mezzo di una piú razionale redistribuzione dei magistrati sul territorio. A tal fine, non potrà verosimilmente prescindersi, in una prospettiva di ampio respiro, da un intervento sulle circoscrizioni giudiziarie: soluzione, questa, auspicata anche dal Consiglio superiore della magistratura e che il Governo ha già in via di avanzata predisposizione.
Nell'immediato, i disagi organizzativi che si dovessero verificare potranno essere fronteggiati facendo ricorso all'istituto dell'applicazione dei magistrati che prestano servizio in altri uffici.
Il contenuto della sentenza n. 131 del 1996 ha consentito, comunque, di limitare la distrettualizzazione alle ipotesi di impugnazione delle misure cautelari personali, pur rimanendo il Governo disponibile a valutare l'opportunità di una estensione della disciplina anche alle misure cautelari reali.
L'attribuzione al tribunale distrettuale della competenza in materia di impugnazioni de libertate ha notevolmente accentuato, per diverso rispetto, l'esigenza - già in precedenza avvertita - di garantire l'effettività del contraddittorio davanti al giudice del riesame, segnatamente in rapporto alle comprensibili difficoltà che il pubblico ministero distrettuale, ove diverso da quello che ha richiesto l'applicazione della misura, puó incontrare -- specie nei procedimenti maggiormente complessi - per sostenere con piena cognizione di causa le ragioni dell'accusa nei tempi ristretti della procedura. A fronte di ció, l'articolo 2 del decreto prevede, alla lettera b), che il pubblico ministero che ha richiesto il provvedimento possa partecipare all'udienza davanti al "tribunale della libertà" in luogo del pubblico ministero distrettuale. In proposito, si é scartata, invero, data l'evidente diversità di situazioni, l'idea di introdurre un meccanismo omologo a quello disegnato dall'articolo 570, comma 3, del codice di procedura penale in rapporto al giudizio di appello - nel senso, cioé, di attribuire al procuratore della Repubblica presso il tribunale distrettuale il potere di consentire o meno al pubblico ministero richiedente la misura di partecipare in propria vece all'udienza - e si é affermata, al contrario, l'opposta regola della prevalenza della manifestata volontà di quest'ultimo, riconoscendo, in sostanza, al pubblico ministero in questione, quale organo direttivo della fase delle indagini preliminari (nell'ambito della quale il procedimento incidentale de libertate normalmente si colloca) una naturale "vocazione" a patrocinare le ragioni dell'accusa. Alla facoltà di partecipazione all'udienza si correla altresí logicamente l'attribuzione della legittimazione a presentare ricorso per cassazione contro la decisione del "tribunale della libertà", sancita dall'articolo 3 del decreto, salva la legittimazione concorrente del pubblico ministero distrettuale.
L'articolo 4 aggiunge un comma all'articolo 322- bis del codice di procedura penale al fine di mantenere espressamente ferma la competenza del tribunale del capoluogo di provincia sull'appello contro i provvedimenti in materia di sequestro preventivo, evitando cosí che tale impugnazione venga attratta, a seguito del rinvio all'articolo 310 operato dal comma 2 dello stesso articolo 322- bis, nella competenza del tribunale distrettuale.
L'articolo 5 detta, infine, una disposizione specifica per il processo penale militare. Rispetto a quest'ultimo si profila infatti l'esigenza - sottolineata anche dal Consiglio della Magistratura militare - di evitare l'inopportuna concentrazione di tutte le impugnazioni de libertate presso il tribunale militare di Roma, ove ha sede l'unica Corte di appello militare. Al riguardo, il decreto recepisce la soluzione proposta dallo stesso Consiglio della Magistratura militare, distribuendo la competenza presso tre diversi tribunali militari, specificamente individuati, con competenza rispettivamente per il nord, il centro ed il sud.
Va sottolineato, ad ogni modo, che la pronuncia della Corte costituzionale sollecita una piú ampia riflessione sul complessivo assetto dei procedimenti cautelari, anche per ció che attiene, ad esempio, al luogo di presentazione della richiesta di riesame, ovvero ai termini per la relativa decisione. In pari tempo, occorrerà valutare l'opportunità di estendere la nuova disciplina anche ai tribunali per i minorenni ed ai collegi competenti per i reati ministeriali, con gli opportuni adattamenti resi necessari dalle rispettive e specifiche esigenze procedimentali.
La scadenza del termine di utilizzazione degli istituti penitenziari di Pianosa e dell'Asinara per finalità di detenzione, già fissata per il 31 dicembre 1995, pone l'indifferibile necessità ed urgenza di un intervento normativo che consenta di prorogare per un breve termine tale utilizzazione.
Questa esigenza é già stata valutata e condivisa dal Senato della Repubblica, il quale, il 19 dicembre 1995, ha approvato un testo (atto Senato n. 923, poi atto Camera n. 3590) pressoché identico a quello che si propone con la seconda parte del presente decreto.
In assenza di un intervento normativo urgente, si determinerebbero irragionevoli effetti che porterebbero all'immediata interruzione dell'utilizzazione a fini di detenzione dei citati istituti, con ovvi riflessi sull'insieme del sistema penitenziario utilizzato per la custodia di detenuti pericolosi.
Il temporaneo differimento dell'impiego a fini custodiali degli istituti ubicati nelle predette isole é collegato alla nota proroga dell'efficacia delle disposizioni di cui all'articolo 41 -bis dell'ordinamento penitenziario, disposta con legge 16 febbraio 1995, n. 36.
La considerazione dell'interesse pubblico sotteso alla lotta contro la criminalità organizzata non ha impedito di tener conto delle esigenze rappresentate, anche dalle competenti amministrazioni locali, riguardo alla tematica ambientale.
Su questa base, l'articolo 6 del provvedimento, compreso nel Capo II, si limita a prorogare il termine previsto dall'articolo 2, comma 1- ter , del decreto-legge 1º settembre 1992, n. 369, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 1992, n. 422, simmetricamente alla proroga disposta dalla citata legge n. 36 del 1995 tenendo conto delle indicazioni emerse nel seno del dibattito relativo al decreto-legge 26 aprile 1996, n. 218 (atto Senato n. 2612).
Il termine finale per la cessazione dell'utilizzazione dei predetti istituti é anticipato, quindi, al 30 giugno 1998 (anziché al 31 dicembre 1999) e già prima di tale data l'utilizzazione potrà cessare gradualmente.
L'articolo 7 regola l'entrata in vigore del decreto-legge.
DISEGNO DI LEGGE |
Art. 1 1. É convertito in legge il decreto-legge 6 settembre 1996, n. 464, recante disposizioni in tema di incompatibilità dei magistrati e di proroga dell'utilizzazione per finalità di detenzione degli istituti penitenziari di Pianosa e dell'Asinara. |
Decreto-legge 6 settembre 1996, n. 464, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 211 del 9 settembre 1996
Disposizioni in tema di incompatibilità dei magistrati e di proroga dell'utilizzazione per finalità di detenzione degli istituti penitenziari di Pianosa e dell'Asinara
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;
Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di intervenire con misure di ordine normativo per prevenire le difficoltà pratiche conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale 17-24 aprile 1996, n. 131, in tema di incompatibilità dei giudici;
Ritenuta altresí, la straordinaria necessità ed urgenza di differire il termine di utilizzazione per finalità di detenzione di alcuni istituti penitenziari;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6 settembre 1996;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell'ambiente;
EMANA
il seguente decreto legge:
CAPO I
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INCOMPATIBILITÁ
Articolo 1.
1. Quando venga accolta la dichiarazione di astensione o di ricusazione del giudice per la sussistenza di taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dall'articolo 34, comma 2, del codice di procedura penale in procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, é già stata dichiarata l'apertura del dibattimento, si applicano le disposizioni di cui ai commi che seguono.
2. Gli atti compiuti anteriormente al provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione conservano efficacia. Salvo che ritenga necessario rinnovarli in tutto o in parte, il giudice li utilizza ai fini della decisione mediante la sola lettura, ovvero mediante indicazione a norma dell'articolo 511, comma 5, del codice di procedura penale.
3. I termini previsti dall'articolo 303, comma 1, del codice di procedura penale sono sospesi dalla data del provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione a quella in cui il dibattimento davanti al nuovo giudice perviene allo stato in cui si trovava allorché é intervenuta la dichiarazione di astensione o di ricusazione.
4. La sospensione di cui al comma 3 non puó comunque superare il termine di novanta giorni, se si tratta di procedimento per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51, comma 3- bis, del codice di procedura penale, ovvero il termine di sessanta giorni negli altri casi. Il termine decorre dalla data del provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione, ovvero, se il provvedimento é anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto, da quest'ultima data.
5. Nel computo dei termini di cui all'articolo 304, comma 6, del codice di procedura penale, salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare, non si tiene conto del periodo di sospensione di cui ai commi 3 e 4.
Articolo 2.
1. L'articolo 309 del codice di procedura penale é cosí modificato:
a) il comma 7 é sostituito dal seguente:
" 7. Sulla richiesta di riesame decide il tribunale del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello nella cui circoscrizione é compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza";
b) il comma 8 é sostituito dai seguenti:
" 8. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'articolo 127. L'avviso della data fissata per l'udienza é comunicato, almeno tre giorni prima, al pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 e, se diverso, a quello che ha richiesto l'applicazione della misura; esso é notificato, altresí, entro lo stesso termine, all'imputato ed al suo difensore. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia.
8- bis. Il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura puó partecipare all'udienza in luogo del pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7".
Articolo 3.
1. Il comma 1 dell'articolo 311 del codice di procedura penale é sostituito dal seguente:
" 1. Contro le decisioni emesse a norma degli articoli 309 e 310, il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura, l'imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento. Il ricorso puó essere proposto anche dal pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 dell'articolo 309".
Articolo 4.
1. Dopo il comma 1 dell'articolo 322- bis del codice di procedura penale é aggiunto il seguente:
" 1- bis. Sull'appello decide il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento".
Articolo 5.
1. Sulle impugnazioni, diverse dal ricorso per cassazione, dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali emessi dall'autorità giudiziaria militare decidono i tribunali militari di Verona, Roma e Napoli, con competenza sui provvedimenti emessi, rispettivamente, dagli uffici giudiziari militari di Torino, Verona e Padova, dagli uffici giudiziari militari di La Spezia, Roma e Cagliari e dagli uffici giudiziari militari di Napoli, Bari e Palermo.
PROROGA DELL'UTILIZZAZIONE PER FINALITÁ DI DETENZIONE DEGLI ISTITUTI PENITENZIA RI DI PIANOSA E ASINARA
Articolo 6.
1. Il comma 1- ter dell'articolo 2 del decreto-legge 1º settembre 1992, n. 369, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 1992, n. 422, é sostituito dal seguente:
" 1- ter. L'utilizzazione, per finalità di detenzione, degli istituti penitenziari di Pianosa e dell'Asinara, ristrutturati in esecuzione del presente decreto, ha carattere provvisorio e cessa, anche gradualmente per la realizzazione del Parco nazionale dell'Asinara, non oltre la data del 30 giugno 1998".
Articolo 7.
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. É fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addí 6 settembre 1996.
PRODI - FLICK - RONCHI
Visto, il Guardasigilli : FLICK