Senato della Repubblica | XIX LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 3 APRILE 2024
Modifica all'articolo 158 del codice penale, in materia di decorrenza del termine della prescrizione
Onorevoli Senatori. – L'articolo 158 del codice penale prevede i criteri che individuano il dies a quo per il decorso del termine prescrizionale. Esso precisa, inter alia, che la prescrizione decorre dal giorno della consumazione del reato o, nel caso di condizioni obiettive di punibilità, dall'avverarsi dell'evento dedotto in condizione. Accade così sovente che la condotta criminosa e l'evento dedotto in condizione siano distanziati nel tempo, il che comporta una divaricazione tra il fatto-reato e ulteriori eventi, oggettivamente non riconducibili al reo, che possono verificarsi anche molti anni più tardi, con l'effetto di prolungare oltremodo il decorso prescrizionale.
Eppure, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 143 del 28 maggio 2014, ha chiarito che: « Sebbene possa proiettarsi anche sul piano processuale – concorrendo, in specie, a realizzare la garanzia della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) – la prescrizione costituisce, nell'attuale configurazione, un istituto di natura sostanziale (ex plurimis, sentenze n. 324 del 2008 e n. 393 del 2006), la cui ratio si collega preminentemente, da un lato, all’“interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato [...] l'allarme della coscienza comune” (sentenze n. 393 del 2006 e n. 202 del 1971, ordinanza n. 337 del 1999); dall'altro, “al ‘diritto all'oblio’ dei cittadini, quando il reato non sia così grave da escludere tale tutela” (sentenza n. 23 del 2013) ».
La prescrizione ha dunque natura sostanziale e contribuisce a formare il compendio sanzionatorio a carico dell'autore del reato. L'indeterminatezza che si lega all'avverarsi di accadimenti privi di relazione eziologica e psicologica con l'agente sembra dunque collidere col principio di personalità della responsabilità penale (articolo 27 della Costituzione) sul quale la Consulta è più volte intervenuta (ad esempio, con le note sentenze n. 364 e n. 1085 del 1988) attribuendo rango costituzionale a tutte le sue implicazioni. Inoltre, la mancanza di indicazioni normative sull'applicazione dell'articolo 158, secondo comma, del codice penale a varie fattispecie legali che nulla dicono sull'esistenza, al loro interno, di una condizione di punibilità, legittima un'applicazione interpretativa, da parte della giurisprudenza, in evidente contrasto con il principio di tassatività della norma penale, contemplato all'articolo 25 della Costituzione.
È il caso, ad esempio, dell'articolo 216, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il quale non attribuisce al fallimento la natura di « condizione di punibilità » all'interno della fattispecie legale di bancarotta fraudolenta prefallimentare, limitandosi ad asserire che: « È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se dichiarato fallito, l'imprenditore che.. ». L'articolo 158, secondo comma, del codice penale, richiede invece che sia la legge a far « dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione ». Ma non essendo la norma chiara sul punto, la qualificazione della sentenza dichiarativa del fallimento come condizione di punibilità è stata adottata dalla giurisprudenza, con la nota sentenza Santoro (Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 13910 del 22 marzo 2017), in ampia discontinuità rispetto a divergenti orientamenti del passato.
Il revirement giurisprudenziale della Cassazione, che prima riteneva il fallimento elemento costitutivo del reato, è l'emblematica dimostrazione dell'incertezza che promana dalla legge penale. E ciò, come ha recentemente rimarcato la Consulta nella nota ordinanza Taricco (n. 24 del 26 gennaio 2017), collide con il nostro sistema delle fonti, poiché: « l'attività del giudice [...] deve dipendere da disposizioni legali sufficientemente determinate. In questo principio si coglie un tratto costitutivo degli ordinamenti costituzionali degli Stati di civil law. Essi non affidano al giudice il potere di creare un regime legale penale, in luogo di quello realizzato dalla legge approvata dal Parlamento, e in ogni caso ripudiano l'idea che i tribunali penali siano incaricati di raggiungere uno scopo, pur legalmente predefinito, senza che la legge specifichi con quali mezzi e in quali limiti ciò possa avvenire ». Per poi aggiungere che ai giudici: « non possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale. In particolare il tempo necessario per la prescrizione di un reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell'applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate. In caso contrario, il contenuto di queste regole sarebbe deciso da un tribunale caso per caso, cosa che è senza dubbio vietata dal principio di separazione dei poteri di cui l'art. 25, secondo comma, Cost. declina una versione particolarmente rigida nella materia penale ».
L'applicazione dell'articolo 158, secondo comma, del codice penale comporta inoltre ulteriori, non trascurabili discrasie anche in ordine ad altri istituti, come l'amnistia. Quest'ultima, com'è noto, è infatti una causa di estinzione del reato la cui disciplina è rinvenibile dal combinato disposto dell'articolo 79, terzo comma, della Costituzione, così come riformato dalla legge costituzionale 6 marzo 1992, n. 1, e dell'articolo 151 del codice penale, il quale stabilisce che l'effetto estintivo riguarda esclusivamente i « reati commessi a tutto il giorno precedente la data del decreto ». Pertanto, se la consumazione del reato si fa coincidere con l'evento dedotto in condizione, la causa estintiva non travolgerà quei reati per i quali, nonostante sussista l'offesa all'interesse tutelato, la condizione oggettiva di punibilità (accadimento del tutto estraneo al soggetto agente) pervenga dopo il periodo beneficiato dall'amnistia; di contro, se il momento di consumazione del reato si fa coincidere con l'offesa agli interessi tutelati, si estenderebbe l'applicabilità del provvedimento clemenziale anche al fatto criminoso privo della condizione di punibilità, non avveratasi nel periodo beneficiato dall'amnistia.
Altro paradosso conseguente all'articolo 158, secondo comma, del codice penale attiene all'individuazione del tempus commissi delicti in ordine alla disciplina della successione delle leggi penali nel tempo. Infatti nel caso di incriminazione per un fatto di reato, la cui punibilità sia subordinata alla verifica di un quid pluris, se il fatto fu commesso in un momento storico nel quale la legislazione non lo prevedeva come reato, ma l'evento dedotto in condizione si è, in concreto, verificato in vigenza della nuova legge, si ricade tout court sotto l'operatività del divieto di retroattività della legge penale sfavorevole ex articolo 25, secondo comma, della Costituzione e articolo 2, primo comma, del codice penale.
Insomma, le evidenti discrasie legate all'applicazione dell'articolo 158, secondo comma, del codice penale, di dubbia conformità costituzionale, inducono a intervenire, sul piano normativo, stabilendo un limite che comprima la divaricazione temporale tra condotta offensiva e condizione di punibilità entro un massimo di un anno, oltrepassato il quale il momento consumativo del reato, e quindi il decorso della prescrizione, coincidono con la condotta criminosa.
Art. 1.
1. All'articolo 158 del codice penale, il secondo comma è sostituito dal seguente:
« Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata. Nondimeno, nei reati punibili a querela, istanza o richiesta o nei casi in cui la condizione obiettiva di punibilità intervenga ad oltre un anno dal giorno del commesso reato, la prescrizione decorre da quest'ultimo giorno ».