Senato della RepubblicaXIX LEGISLATURA
N. 111
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori D'ELIA e FINA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 13 OTTOBRE 2022

Disposizioni in materia di tutela delle relazioni affettive intime delle persone detenute

Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge, che riproduce per intero il testo presentato nel corso della XVIII legislatura dal Consiglio regionale della Toscana (atto Senato 1876), nasce dall'esigenza di dare uno sbocco normativo al dibattito politico e legislativo, da anni in corso, sul tema del riconoscimento del diritto soggettivo all'affettività e alla sessualità delle persone detenute. Nel perseguire tale intento si recupera l'impostazione generale della proposta di legge presentata il 28 aprile 2006 (atto Camera n. 32) dai deputati Boato, Ruggeri, Buemi e Balducci, rivista alla luce delle riflessioni emerse a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 301 del 2012 e delle proposte elaborate dagli Stati generali dell'esecuzione penale. « Vogliamo tenere assieme cose che possono apparire impossibili, ma non devono esserlo, cioè un carcere vivibile in cui la pena non abbia nulla di afflittivo oltre la perdita della libertà ». Queste sono le parole pronunciate dall'allora direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Alessandro Margara, durante l'audizione alla II Commissione giustizia, in ordine al nuovo regolamento di attuazione dell'ordinamento penitenziario. Era l'11 marzo del 1999 e il progetto di riforma del regolamento, elaborato sotto la responsabilità del Sottosegretario alla giustizia Franco Corleone e del dottor Margara, riconosceva all'articolo 58 il tema dell'affettività « nell'ambito dei rapporti con la famiglia, uno degli elementi del trattamento previsto dall'articolo 28 della legge penitenziaria », introducendo, nel quadro di tali rapporti, la possibilità per i detenuti di trascorrere con i propri familiari fino a ventiquattro ore consecutive in apposite unità abitative realizzate all'interno dell'istituto penitenziario. Com'è noto, dopo il parere del Consiglio di Stato n. 61 del 2000, la soluzione normativa trovata dai proponenti fu stralciata dal testo definitivo del regolamento approvato dal Consiglio dei ministri nel giugno 2000 poiché ritenuta contra legem: secondo il Consiglio di Stato, infatti, solo al legislatore spettava il potere di adeguare sul punto la normativa penitenziaria attraverso « il contemperamento tra i diritti più intimi della persona da un lato e la configurazione di fondo del trattamento penitenziario dall'altro ». A tale argomentazione si aggiungeva inoltre il « forte divario fra modello trattamentale teorico » prefigurato nel testo del nuovo regolamento penitenziario e « l'inadeguatezza del carcere reale ». Come osserva Andrea Pugiotto nel saggio « Della castrazione di un diritto. La proibizione della sessualità in carcere come problema di legalità costituzionale », pubblicato in Giurisprudenza penale 2019 2-bis, la vicenda, « comunemente ricostruita come un episodio di eccesso di potere regolamentare, testimonia piuttosto l'esistenza di un implicito divieto normativo di rango primario che proibisce qualsiasi autorizzazione a rapporti sessuali inframurari ». « Nel momento in cui il silenzio della legge n. 351 del 1975 trova la sua traduzione concreta – prosegue Pugiotto – si rileva per ciò che realmente è: [ ... ] l'apparente anomia in tema di diritto alla sessualità intramuraria cela, in realtà, un operante dispositivo proibizionista ». Da allora, infatti, il tentativo di dare riconoscimento normativo al tema del diritto all'affettività e della sessualità inframuraria è stato oggetto di numerosi disegni di legge elaborati da Camera e Senato nelle scorse legislature, senza tuttavia trovare esito positivo. Ma basta volgere lo sguardo al di là della nostra penisola perché il tema del diritto all'affettività e alla sessualità diventi ambito effettivo, disciplinato in un numero sempre crescente di Stati (si veda tra gli altri: Albania, Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Finlandia, Germania, Norvegia, Olanda, Spagna, Svezia, Svizzera) e riconosciuto come vero e proprio diritto soggettivo in numerosi atti sovranazionali (raccomandazione n. 1340 del 1997 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa sugli effetti sociali e familiari della detenzione, raccomandazione del Parlamento europeo n. 2003/2188(INI) sui diritti dei detenuti nell'Unione europea e, ancora, raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, sulle regole penitenziarie europee). « Una volta all'anno, in media, parlano dell'eventualità di lasciarli accoppiare – scrive Adriano Sofri nella prefazione al libro Uomini come bestie. Il medico degli ultimi di Francesco Ceraudo – altrove lo fanno, e non vogliamo restare indietro. Siccome la nostra società, che ha finito di trattare il sesso nei giorni feriali, come un bicchiere di acqua sporca, continua a vergognarsene nelle feste comandate, allora preferisce parlare, piuttosto che di rapporti sessuali, di rapporti affettivi – affettività, parola profilattica – madri che possono abbracciare i figli, famiglie che possono incontrarsi fuori dagli occhi dei guardiani. In effetti, oggi non possono farlo. Ma poi c'è il sesso: la nuda possibilità che un uomo o una donna in gabbia incontri per fare l'amore una persona che lo desideri e consenta: Sarebbe giusto? È perfino offensivo rispondere: certo che sì ». E non potrebbe essere altrimenti, basti pensare che il diritto all'affettività – di cui l'attività sessuale è « indispensabile completamento e piena manifestazione » – rappresenta « uno degli essenziali modi di espressione della persona umana [...] che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'articolo 2 della Costituzione impone di garantire » (Corte costituzionale, sentenza n. 561 del 1987).
Ed è la stessa Corte costituzionale che nella sentenza n. 301 del 2012, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal magistrato di sorveglianza di Firenze relativa all'articolo 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, richiama l'attenzione del legislatore al tema del riconoscimento normativo del diritto all'affettività e alla sessualità delle persone detenute. La possibilità per la persona sottoposta a restrizione della libertà personale di continuare a mantenere, durante l'esecuzione della pena, rapporti affettivi anche a carattere sessuale; possibilità che oltre ad essere « esigenza reale e fortemente avvertita » corrisponde ad un vero e proprio diritto soggettivo da riconoscersi ad ogni detenuto. Al magistrato di sorveglianza di Firenze in quella occasione venne imputato l'errore, scontato con l'inammissibilità della questione, di aver omesso di descrivere la fattispecie concreta e di aver chiesto alla Corte un intervento semplicemente ablativo della disposizione del controllo visivo prevista dall'articolo 18, secondo comma, della legge n. 354 del 1975, che non avrebbe comunque garantito la tutela del diritto all'affettività e alla sessualità delle persone detenute.
Né, d'altra parte, il problema poteva essere superato attraverso una sentenza additiva « di principio » che demandasse al legislatore il compito di definire modi e limiti dell'esercizio del diritto alla affettività e alla sessualità inframuraria. La sentenza additiva « di principio » – rileva la Consulta – risulterebbe, infatti, nell'ipotesi in esame « essa stessa espressiva di una scelta di fondo » di esclusiva spettanza del legislatore. « Il monito della Corte – osserva ancora Pugiotto – scavalca la mera sollecitazione rivolta al legislatore affinché superi le proprie pigrizie e le proprie reticenze » poiché attesta « l'insufficienza del dato normativo vigente che collocando in una dimensione esclusivamente extra muraria la risposta di un bisogno primario, finisce per negarlo a quella larga parte della popolazione carceraria cui de jure e de facto è preclusa la fruizione dei permessi premio ». Partendo dal dato costituzionale dunque la possibilità per la persona detenuta di mantenere relazioni affettive, comprese quelle a carattere sessuale, assurge a vera e propria posizione soggettiva costituzionalmente riconosciuta che, pur sottoposta ai limiti inerenti alla restrizione della libertà personale, non è affatto annullata da tale condizione. (Corte costituzionale, sentenza n. 26 del 1999). Il tema, così ricostruito, ha fatto emergere la necessità di intervenire attraverso fonte primaria sull'attuale disciplina al fine di garantire al detenuto l'effettivo esercizio del diritto all'affettività e alla sessualità. Oltre ai numerosi disegni di legge presentati da Camera e Senato nelle scorse legislature e alla proposta elaborata dalla Commissione ministeriale incaricata di elaborare il decreto legislativo delegato per la riforma dell'ordinamento penitenziario nel suo complesso, in attuazione della legge 23 giugno 2017, n. 103, ampia e profonda riflessione sul tema è stata quella portata avanti dagli Stati generali dell'esecuzione penale e, in particolar modo, dal tavolo 6 « Mondo degli affetti e territorializzazione della pena » e dal tavolo 14 « Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali ». E non è un caso che nel documento finale del Comitato il paragrafo titolato « Il nocciolo duro della dignità » introduca, tra le varie sezioni dei « bisogni » della popolazione detenuta non adeguatamente riconosciuti, il tema delle relazioni affettive e in particolar modo della sessualità evidenziandone la difficoltà della loro emersione nei termini di diritti fondamentali. « Il rispetto della dignità della persona, infatti, non implica soltanto che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, ma impone che l'esecuzione della sanzione sia concepita e realizzata in modo da consentire l'espressione della personalità dell'individuo e l'attivazione di un processo di socializzazione che si presume essere stato interrotto con la commissione del fatto di reato ». Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti potranno, dunque, essere imposti solo se risulteranno essere strettamente necessari alle esigenze di ordine e sicurezza correlate allo stato detentivo. In caso contrario acquisterebbero « unicamente un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale », come tale incompatibile con la finalità rieducativa sancita all'articolo 27 della nostra Costituzione (Corte costituzionale, sentenza n. 135 del 2013). È dalla necessità di « creare istituzioni decenti che non umiliano le persone » postulata dal filosofo israeliano Avishai Maralit e di ridare slancio al tema dei diritti dentro e fuori dal carcere, che il Comitato ha fatto proprie, per quanto riguarda il tema che qui ci impegna, quelle proposte normative elaborate dai tavoli tese a promuovere il contatto con il mondo esterno e le relazioni affettive, comprese quelle a carattere sessuale, della persona detenuta. In tal senso vanno lette, tra le altre, la proposta di modifica della disciplina del permesso per « gravi motivi » o « di necessità » (comma 2 dell'articolo 30 dell'ordinamento penitenziario) tesa ad eliminare il requisito della « eccezionalità » tra i presupposti per la concessione del beneficio e la sostituzione del requisito della « gravità » con quello della « rilevanza » e la previsione dell'istituto ad hoc della « visita » all'interno di apposite unità abitative collocate all'interno dell'istituto consentendo l'incontro con chi è autorizzato ai colloqui in assenza di controllo visivo o auditivo da parte del personale di sorveglianza. Questa proposta richiederebbe un intervento legislativo innovativo che, seguendo il sentiero già tracciato dalla stessa Consulta nella sentenza n. 301 del 2012, disciplinasse « i termini e le modalità di esplicazione del diritto di cui si discute » attraverso l'individuazione dei destinatari interni ed esterni, dei presupposti comportamentali per la concessione delle visite, del loro numero, della loro durata e delle misure organizzative volte a rendere effettivo l'esercizio di tale diritto. Occorrerebbe, poi, una graduale messa a regime della soluzione normativa prescelta attraverso un ripensamento degli attuali spazi e tempi dell'esecuzione penale, anche sulla base dell'esperienza comparatistica in materia (si veda in tal senso la proposta elaborata, in seno al tavolo 14, dalla prof.ssa Della Bella ispirata all'esperienza francese). « Tutta l'intelligenza e l'organizzazione carceraria è regolata sulla segregazione ferrata dei corpi – scrive Adriano Sofri – Sa fare questo, aprire, chiudere, sbattere: e vuole continuare a farlo. Che provi in un punto a fare altro. Non abbia paura di chiamare le cose con il loro nome. Torni a vedere il nido del cuculo; e possa dire alla fine: almeno io ci ho provato ».
All'articolo 1 si modifica l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, che riguarda i rapporti con la famiglia (« Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o stabilire le relazioni dei detenuti con le famiglie »).
Al proposito, si ritiene debba essere considerata anche l'affettività in senso più ampio. Pertanto, alla rubrica dell'articolo (« Rapporti con la famiglia »), si è proposto di aggiungere « e diritto all'affettività ».
Si propone, inoltre, di introdurre un nuovo comma, che recita: « Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in apposite unità abitative appositamente attrezzate all'interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi ».
In questo modo si lascia un ampio spazio alla definizione della natura di quelli che possono essere i « rapporti affettivi »: con un familiare, un convivente, o anche di amicizia. Così ricostruito, l'esercizio del diritto all'affettività e alla sessualità potrà essere effettuato da tutte le persone autorizzate ai colloqui senza distinzioni tra familiari, conviventi e « terze persone »: limitare la tutela ai rapporti affettivi familiari o coniugali, avverte la Consulta con la sentenza n. 301 del 2012, non solo non è l'unica soluzione ipotizzabile ma non appare neppure coerente con larga parte dei parametri costituzionali. Le unità abitative sono pensate come luoghi adatti alla relazione personale e familiare e non solo all'incontro fisico, un tempo troppo breve infatti rischia di far tramutare la visita in esperienza umiliante e artificiale. Per tale ragione si è inteso prevedere che la visita possa svolgersi all'interno di un lasso di tempo sufficientemente ampio. L'assenza dei controlli visivi e auditivi serve a garantire la riservatezza dell'incontro.
All'articolo 2 si interviene sull'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, che prevede i cosiddetti « permessi di necessità », attualmente concessi solo in caso di morte o di malattie gravissime dei familiari. Si propone di sostituire il secondo comma (« Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità ») con il seguente: « Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza », quindi eliminando sia il presupposto della « eccezionalità » sia quello della « gravità », sempre interpretato come attinente ad eventi luttuosi o comunque inerenti allo stato di salute dei familiari del detenuto. Con la modifica introdotta si intende fare riconoscere che anche gli eventi non traumatici hanno una « particolare rilevanza » nella vita di una famiglia, quindi rappresentano un fondato motivo perché la persona detenuta vi sia partecipe.
All'articolo 3 si interviene sulle modalità attuative del diritto alla corrispondenza telefonica, modificando la norma regolamentare nella frequenza e nella durata dei colloqui telefonici, che potranno essere svolti quotidianamente da tutti i detenuti e per una durata massima raddoppiata, non superiore ai venti minuti. Si propone, infine, di superare le ingiustificate restrizioni, nel numero dei colloqui telefonici, riservate ai detenuti del circuito di alta sicurezza.
È infine auspicabile che, nelle more dell'applicazione della legge, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria dia avvio ad interventi di sperimentazione e di adeguamento delle strutture penitenziarie presenti sul territorio nazionale al fine di garantire, con l'entrata in vigore della presente legge (articolo 4), il diritto alla visita in almeno un istituto per regione, con l'obiettivo di rendere effettivo tale diritto in tutti gli istituti penitenziari entro l'arco temporale di sei mesi.
In relazione agli aspetti finanziari, il disegno di legge prevede alcune norme che non comportano oneri finanziari, come quelle che ampliano la durata e la frequenza delle telefonate e la tipologia di motivazione per accedere ai permessi ai sensi dell'articolo 30 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).
La modifica dell'articolo 28 dell'ordinamento penitenziario, prevedendo una visita mensile da trascorrere « in apposite unità abitative appositamente attrezzate all'interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi », comporta la realizzazione di tali strutture.
A tale scopo il disegno di legge prevede un'attuazione in due fasi:

1) una prima fase in cui si dovrà garantire il diritto alle visite in almeno un istituto per regione (20 istituti);

2) una seconda fase, dai sei mesi successivi all'entrata in vigore, in cui si dovrà garantire il diritto di visita in tutti gli istituti (quindi anche nei restanti 170 istituti).

Durante la prima fase potrà essere affidata all'ufficio tecnico del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria l'attività di ricognizione delle strutture esistenti negli istituti penitenziari, in modo da individuare gli immobili da destinare all'esercizio del diritto di visita (case dell'affettività). Questi saranno individuati prioritariamente nell'intercinta, lo spazio tra l'area detentiva interna e le mura perimetrali, e possibilmente recuperando strutture già esistenti, modificandone la destinazione d'uso.
All'attività di ricognizione seguirà quella di progettazione esecutiva dei lavori, da effettuare sempre a cura dell'ufficio tecnico del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
I fondi per realizzare gli interventi saranno reperiti nell'ambito dei fondi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, destinati ai lavori sugli immobili pubblici, per i quali esiste una specifica programmazione dedicata all'edilizia penitenziaria (fondi previsti per la prima volta con la legge 12 dicembre 1971, n. 1133, integrati dalla legge 1° luglio 1977, n. 404, integrati con fondi provenienti dalla Cassa delle ammende nel 2009 con il Piano carceri, riprogrammati dal decreto interministeriale 10 ottobre 2014, e con integrazioni dal 2018 sui capitoli 1687 per la manutenzione ordinaria e 7301 per la manutenzione straordinaria).

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Modifiche all'articolo 28 della legge n. 354 del 1975 in materia di rapporti con la famiglia)

1. All'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

« Particolare cura è altresì dedicata a coltivare i rapporti affettivi. A tale fine i detenuti e gli internati hanno diritto ad una visita al mese, della durata minima di sei ore e massima di ventiquattro ore, delle persone autorizzate ai colloqui. Le visite si svolgono in apposite unità abitative appositamente attrezzate all'interno degli istituti penitenziari senza controlli visivi e auditivi »;

b) alla rubrica sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: « e diritto all'affettività ».

Art. 2.

(Modifica all'articolo 30 della legge n. 354 del 1975 in materia di permessi)

1. All'articolo 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, il secondo comma è sostituito dal seguente:

« Analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare rilevanza ».

Art. 3.

(Modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 in materia di corrispondenza telefonica)

1. All'articolo 39 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2, le parole: « una volta alla settimana » sono sostituite dalla seguente: « quotidianamente » e il secondo periodo è soppresso;

b) al comma 6, il secondo periodo è sostituito dal seguente: « La durata massima di ciascuna conversazione telefonica è di venti minuti ».

Art. 4.

(Disposizioni finali)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, il diritto alle visite deve essere garantito in almeno un istituto penitenziario per regione.

2. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il diritto alle visite deve essere garantito in tutti gli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale.