Senato della Repubblica | XIX LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 26 MARZO 2024
Modifiche all'articolo 580 del codice penale e modifiche alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, in materia di disposizioni anticipate di trattamento e prestazione delle cure palliative
Onorevoli Senatori. – Il 23 ottobre 2018 la Corte costituzionale ha esaminato la questione di legittimità dell'articolo 580 del codice penale, nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione. La questione era stata sollevata con l'ordinanza del 14 febbraio 2018 dalla I corte d'assise di Milano nel procedimento penale a carico di Marco Cappato, imputato per aver agevolato il suicidio di Fabiano Antoniani – conosciuto come Dj Fabo –, aiutandolo a recarsi in Svizzera alla clinica Dignitas, dove è poi avvenuto il decesso.
Con l'ordinanza n. 207 del 24 ottobre 2018 la Consulta, rinviando la decisione all'udienza del 24 settembre 2019, ha dedicato non poche pagine a sostenere che la norma penale impugnata ha qualche ragione di permanenza nell'ordinamento – tutelare le persone più deboli e in difficoltà, per le quali il suicidio è una tentazione da non assecondare – ma che, tuttavia, deve essere rivista.
Per la prima volta da quando esiste la Corte costituzionale, la citata ordinanza n. 207 del 2018, nel disegnare i profili di una presumibile illegittimità dell'articolo 580 del codice penale, nella parte in cui punisce l'agevolazione al suicidio, non è pervenuta alla declaratoria di incostituzionalità: l'ha differita alla propria udienza del 24 settembre 2019, sollecitando il Parlamento–per evitarla – a varare una legge per il recepimento delle indicazioni della Corte medesima. Con tutto il rispetto per la Consulta, va sollevato qualche dubbio sul fatto che assegnare al Parlamento i compiti da svolgere, e persino il tempo entro cui svolgerli, realizzi quella « leale e dialettica collaborazione istituzionale » (paragrafo 11 del provvedimento) cui pure la Corte afferma di ispirarsi.
Di norma per un provvedimento di rinvio è sufficiente una motivazione telegrafica, mentre l'ordinanza n. 207 del 2018 assume la struttura, l'articolazione e la sostanza di una sentenza di illegittimità, se pure a effetto procrastinato. In effetti, nella Relazione sull'attività svolta nel 2018, il presidente della Corte Giorgio Lattanzi ha qualificato la decisione con l'espressione, del tutto nuova, di « illegittimità prospettata »: l'aggettivo « prospettata » proietta a breve la pronuncia definitiva, il sostantivo « illegittimità » non ha bisogno di specificazioni.
Il 7 agosto 2009 Forza Italia presentò un disegno di legge a prima firma della senatrice Binetti (AS 1464) recante « Modifiche all'articolo 580 del codice penale e modifiche alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, in materia di disposizioni anticipate di trattamento e prestazione delle cure palliative », il cui esame ebbe inizio il 26 aprile 2022 e non terminò l'iter di approvazione.
Con la sentenza n. 242 del 2019, la Corte ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 2, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione, l'articolo 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dalla legge 22 dicembre 2017, n. 219, recante norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Inoltre, la verifica delle condizioni che rendono legittimo l'aiuto al suicidio è affidata, « in attesa della declinazione che potrà darne il legislatore », a strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale, cui spetterà vagliare anche « le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze ».
Con riguardo agli effetti della pronuncia sul piano temporale la Corte specifica che i requisiti procedimentali indicati, quali condizioni per la non punibilità dell'aiuto al suicidio prestato a favore di persone che versino nelle situazioni indicate analiticamente nella sentenza, valgono per i fatti successivi alla pubblicazione della sentenza stessa nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (avvenuta il 27 novembre 2019).
Il principio della libertà di autodeterminazione nelle scelte terapeutiche è stato affermato dalla citata legge n. 219 del 2017 che ha disciplinato le modalità di espressione e di revoca del consenso informato, la legittimazione ad esprimerlo e revocarlo, l'ambito e le condizioni e ha regolamentato le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), con le quali il dichiarante enuncia i propri orientamenti sul « fine vita » nell'ipotesi in cui sopravvenga una perdita irreversibile della capacità di intendere e di volere.
La Corte individua, in attesa dell'intervento del Parlamento, un « punto di riferimento già presente nel sistema », nella « disciplina racchiusa negli articoli 1 e 2 della legge n. 219 del 2017 », tenuto conto del fatto che l'intervento del giudice delle leggi è circoscritto « in modo specifico ed esclusivo all'aiuto al suicidio prestato a favore di soggetti che già potrebbero alternativamente lasciarsi morire mediante la rinuncia a trattamenti sanitari necessari alla loro sopravvivenza, ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge stessa: disposizione che, inserendosi nel più ampio tessuto delle previsioni del medesimo articolo, prefigura una “procedura medicalizzata” estensibile alle situazioni che qui vengono in rilievo ».
Dopo 15 anni non si può non ricordare la vicenda del 9 febbraio 2009, in cui mentre nell'aula del Senato era in corso un drammatico dibattito sul disegno di legge presentato tre giorni prima dal Governo Berlusconi IV in una clinica di Udine si spegneva Eluana Englaro, la giovane lecchese da 17 anni in stato vegetativo dopo un incidente stradale, morta dopo il distacco del sondino per la nutrizione assistita il 7 febbraio. Il disegno di legge era l'estremo tentativo per rendere immediatamente operativi gli effetti del testo del decreto-legge approvato in Consiglio dei ministri venerdì 6 febbraio, su proposta del Presidente Silvio Berlusconi, che il presidente Napolitano non firmò e quindi non procedette all'emanazione. Il citato decreto-legge vietava, in attesa di una completa e organica disciplina legislativa in materia di fine della vita, la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione quali forme di sostegno vitale da parte di chi assiste soggetti non in grado di provvedere a sé stessi.
Nella conferenza stampa dello scorso 18 marzo sulla relazione annuale della Consulta, il presidente Augusto Barbera ha chiesto un intervento del legislatore sui temi fine vita e figli delle coppie omogenitoriali affermando che « Non si può non manifestare un certo rammarico per il fatto che nei casi più significativi il legislatore non sia intervenuto, rinunciando a una prerogativa che a esso compete, obbligando questa Corte a procedere con una propria e autonoma soluzione, inevitabile in forza dell'imperativo di osservare la Costituzione », sollecitando una legge che dia seguito alla citata sentenza n. 242 del 2019 ed eviti il proliferare disordinato di leggi regionali ad hoc.
Il presente disegno di legge, riprendendo il contenuto del succitato disegno di legge n. 1464 della XVIII legislatura, intende offrire un seguito alle indicazioni della Consulta, evitando comunque la loro trasposizione in norme eutanasiche, tenendo conto dei princìpi costituzionali richiamati dalla stessa Corte.
In particolare, l'articolo 1 fornisce una risposta alla sollecitazione della Corte costituzionale nell'ordinanza n. 207 del 2008 di « considerare (...) situazioni inimmaginabili all'epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta, ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali », nonché al rilievo della stessa Corte nella sentenza n. 242 del 2019 nella parte in cui afferma che l'assetto normativo vigente – con riferimento alla legge n. 219 del 2017, la quale, nel quadro della valorizzazione del principio costituzionale del consenso informato, ha « positivizzato » il diritto del paziente di rifiutare le cure e di « lasciarsi morire » – renderebbe ancor più evidente l'incoerenza dell'articolo 580 del codice penale, nella parte in cui punisce anche la mera agevolazione del suicidio di chi abbia liberamente maturato il relativo proposito al fine di porre termine a uno stato di grave e cronica sofferenza, provocato anche dalla somministrazione di presidi medico-sanitari non voluti sul proprio corpo.
Nello stesso primo articolo, perciò, si distingue la posizione di chi non ha alcun legame con il paziente e di coloro che, invece, da più tempo soffrono con il malato a causa della costante vicinanza allo stesso. La convivenza conseguentemente rappresenta un parametro obiettivo che agisce effettivamente sulle ragioni di attenuazione e non un dato meramente formale come la parentela o il coniugio, che presumibilmente provocherebbero ulteriori interventi costituzionali per il caso di parentela non estesa a conviventi affettivamente legati al malato.
La posizione del convivente, familiare in senso formale o no, è evidentemente diversa da quella di altri e tollera un trattamento distinto e una sanzione meno grave, pur mantenendosi il giudizio negativo dell'ordinamento.
In coerenza con tali princìpi, espressamente richiamati, dalla Consulta, l'articolo 1 del disegno di legge introduce una forma attenuata di reato, individuando quale soggetto attivo chi conviva stabilmente con il malato, precisando due tipologie di condizioni che rendono meno grave l'illecito: la prima attinente all'autore del fatto, la cui condotta è condizionata dal grave turbamento determinato dalla sofferenza altrui, la seconda riguardante l'ammalato, tenuto in vita con strumenti di sostegno vitale, interessato da una patologia irreversibile fonte di intollerabile sofferenza.
L'articolo 2 intende in primo luogo porre mano alla citata legge cosiddetta sul « testamento biologico » per emendare passaggi che si ritengono gravemente errati.
Innanzitutto, riprendendo l'ampia letteratura scientifica che non considera trattamenti sanitari la nutrizione e l'idratazione, anche artificiali, modifica il comma 5 dell'articolo 1 della legge n. 219 del 2017, che invece ha effettuato tale impropria parificazione, sempre che il paziente sia in grado di assimilare quanto gli viene somministrato.
Successivamente, in coerenza con le indicazioni della Consulta, introduce la disciplina dell'obiezione di coscienza per il medico e per il personale sanitario e la colloca al comma 6 dell'articolo 1 della legge n. 219 del 2017, seguendo la medesima articolazione stabilita per gli altri casi di obiezione disciplinati dall'ordinamento e, in particolare, quella dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978.
Inoltre, in linea con il rispetto dovuto alle strutture sanitarie che hanno già manifestato serie difficoltà nell'attuazione della legge n. 219 del 2017 a causa della loro ispirazione religiosa, esclude, come è doveroso, la cogenza di tali disposizioni per le strutture sanitarie private.
Il medesimo articolo 2, poi, punta a rendere effettivo il ricorso alle cure palliative, come già previsto dall'articolo 2 della legge n. 219 del 2017 e come è stato richiesto dalla Consulta, con la presa in carico del paziente da parte del Servizio sanitario nazionale al fine di praticare un'appropriata terapia del dolore. In particolare, ci si riferisce alla parte dell'ordinanza n. 207 del 2018 con la quale la Corte costituzionale richiama « le previsioni della legge 15 marzo 2010, n. 38 (Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore) – che tutela e garantisce l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del paziente, inserendole nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza – » e ricorda che « la legge n. 219 del 2017 prevede che la richiesta di sospensione dei trattamenti sanitari possa essere associata alla richiesta di terapie palliative, allo scopo di alleviare le sofferenze del paziente ».
Proseguendo nello spirito descritto, si integra anche l'articolo 2 della legge n. 219 del 2017, indicando i requisiti specifici della sedazione profonda, che deve necessariamente seguire, in presenza di sintomi refrattari ai trattamenti sanitari, le cure palliative, allo scopo di non trasformarsi in un trattamento eutanasico.
Si rende altresì omogenea la disciplina delle DAT per i minori tra il primo e il secondo comma dell'articolo 3.
Infine doverosamente si prevede che, in situazioni di emergenza, la revoca delle dichiarazioni anticipate di trattamento sia liberata da inutili formalità, essendo sufficiente la raccolta della dichiarazione di revoca da parte del medico.
Si ritiene si tratti di una base seria affinché il Parlamento riscontri positivamente le richieste della Corte costituzionale senza incedere in frettolose discipline sulla « vita e sulla morte », che necessitano di tempi ben più congrui di quelli atipicamente indicati dalla Consulta al legislatore, che non può mai – e men che meno in questi temi – essere così condizionato nella sua superiore attività di porre le norme di leggi in esclusivo adempimento del mandato popolare, che altri organi costituzionali, per quanto autorevoli, non hanno affatto ricevuto.
Art. 1.
1. All'articolo 580 del codice penale, dopo il secondo comma è aggiunto il seguente:
« Se il fatto è commesso nei confronti di persona tenuta in vita esclusivamente per mezzo di strumenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile fonte di intollerabile sofferenza, si applica la reclusione da sei mesi a due anni quando l'autore convive stabilmente con il malato e agisce in stato di grave turbamento determinato dalla sofferenza altrui. Non si applicano le disposizioni di cui al secondo comma ».
Art. 2.
1. Alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1:
1) al comma 5, il terzo periodo è sostituito dai seguenti: « Ai fini della presente legge l'idratazione e l'alimentazione, pur se garantite attraverso ausili tecnici, non sono considerati trattamenti sanitari. La somministrazione di sostanze nutritive, in qualsiasi modalità, deve seguire i criteri dell'appropriatezza medica »;
2) al comma 6, il secondo periodo è sostituito dai seguenti: « Il medico e gli altri esercenti le professioni sanitarie hanno facoltà di presentare dichiarazione di obiezione di coscienza nei confronti della presente legge nelle ipotesi in cui, a seguito dell'applicazione della medesima legge, la sottoposizione o la rinuncia al trattamento sanitario o il rispetto delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 4 contrastano con la deontologia professionale o con le buone pratiche socio-assistenziali. La dichiarazione è presentata in forma scritta al dirigente della struttura sanitaria nella quale il medico e gli altri esercenti le professioni sanitarie prestano servizio entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente disposizione ovvero dalla immissione in servizio del dichiarante, esplica effetti dal giorno stesso della presentazione e non può in alcun modo pregiudicare l'esercizio della professione. La dichiarazione può essere revocata con la medesima forma ed esplica effetti dopo trenta giorni dalla presentazione »;
3) al comma 9, le parole: « o privata » sono soppresse;
b) all'articolo 2:
1) al comma 1, il secondo periodo è sostituito dal seguente: « A tal fine è sempre garantita la presa in carico del paziente da parte del Servizio sanitario nazionale per un'appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l'erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38 »;
2) il comma 2 è sostituito dal seguente:
« 2. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine e di imminenza della morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sintomi refrattari ai trattamenti sanitari, accertati e monitorati dagli esperti in cure palliative che hanno preso in carico il paziente, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente »;
c) all'articolo 3:
1) al comma 1, dopo le parole: « in modo consono » sono inserite le parole: « alla sua età e »;
2) dopo il comma 5 è aggiunto il seguente:
« 5-bis. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza, che impediscono di attendere la pronuncia del giudice, il medico e i componenti dell'équipe sanitaria garantiscono i trattamenti e le cure necessari »;
d) all'articolo 4:
1) al comma 5, dopo le parole: « in tutto o in parte, dal medico stesso, » sono inserite le seguenti: « se questi non ha già presentato la dichiarazione di cui all'articolo 1, comma 6, »;
2) al comma 6, le parole: « , con l'assistenza di due testimoni » sono soppresse.