Senato della Repubblica | XIX LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 13 OTTOBRE 2022
Modifiche al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di detrazione delle spese sostenute per l'assistenza personale nei casi di non autosufficienza, e al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1403, in materia di prestazioni economiche dell'assicurazione contro le malattie nei confronti dei lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari
Onorevoli Senatori. – L'assistenza alle persone non autosufficienti costituisce una delle sfide più importanti che il nostro Paese è chiamato ad affrontare. La definizione di una politica nazionale rivolta alle persone non autosufficienti deve diventare una grande priorità dell'agenda pubblica, con l'obiettivo di determinare i livelli essenziali delle prestazioni da garantire e di definire una strategia organica di rafforzamento del sistema di sostegno delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza è stata prevista la Riforma 1.1 (nella Missione 5 « Inclusione e Coesione », Componente 2 « Infrastrutture sociali, famiglie, comunità e Terzo settore »), che prevede una legge di delegazione riguardante tutte le persone con disabilità, ed ha il suo fulcro nel progetto di vita personalizzato e partecipato, diretto a consentire alle persone con disabilità di essere protagoniste della propria vita e di realizzare una effettiva inclusione nella società. La legge 22 dicembre 2021, n. 227, approvata il 20 dicembre 2021, reca effettivamente tale delega, che tuttavia non è ancora stata esercitata. Nelle more, il presente disegno di legge, che ripropone una proposta presentata nel corso della XVIII legislatura (atto Senato n. 238), intende rafforzare gli strumenti di agevolazione fiscale a favore delle famiglie che si avvalgono della collaborazione di un'addetta all'assistenza personale (cosiddetta badante) o che acquistano il servizio da imprese che ne organizzano la fornitura (come l'operatore di aiuto) nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, contribuendo anche all'emersione di forme di irregolarità nella conduzione dei rapporti di lavoro.
Sulla base dei dati dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), oltre 3,1 milioni di persone hanno limitazioni funzionali gravi, di cui 1,5 milioni sono anziani over 75. Il fenomeno degli anziani non autosufficienti è destinato a crescere in connessione al progressivo invecchiamento della popolazione. In base ai dati ISTAT, al 1° gennaio 2022 gli ultrasessantacinquenni erano il 23,8 per cento della popolazione, pari a 14 milioni e 46.000 contro gli 11,7 milioni del 2007. L'ISTAT prevede che nel 2042 saranno quasi 19 milioni, il 34 per cento della popolazione totale.
La forte presenza tra gli anziani di patologie cronico-degenerative e il dolore fisico che spesso le accompagna condizionano notevolmente le normali attività quotidiane comportando una progressiva riduzione nell'autonomia. Secondo il report ISTAT sulle condizioni di salute della popolazione in Italia per il 2019, prima della crisi pandemica, il 10,1 per cento degli anziani (1 milione e 400.000 persone) riferisce una forte riduzione di autonomia nelle attività essenziali della vita quotidiana. La scarsa autonomia in almeno un'attività di cura personale riguarda quasi un quinto degli anziani di 75 anni e più (18,3 per cento) e oltre un terzo degli ultraottantacinquenni (37,2 per cento). Per quanto riguarda le attività quotidiane strumentali di tipo domestico, l'ISTAT stima che complessivamente il 28,4 per cento degli anziani (circa 3 milioni e 800.000 anziani) ha gravi difficoltà a svolgerle. Gli anziani con bisogno di assistenza o ausili perché non autonomi nella cura della persona sono oltre 1 milione di persone.
In questo contesto, come evidenzia il 7° Rapporto del Network non autosufficienza (NNA) sull'assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, il sistema di interventi pubblici di Long-Term Care (LTC) è insufficiente e la pandemia da Covid-19 ha ulteriormente aggravato il quadro, in particolar modo per quanto attiene all'assistenza portata nelle residenze per anziani, rendendo altresì evidente la necessità di investire maggiormente in soluzioni domiciliari ed intermedie. Il Rapporto nota che è opinione condivisa che i servizi domiciliari in Italia siano complessivamente deboli, pur con notevoli eccezioni disseminate nella penisola. In merito all'esiguità dell'investimento pubblico non sussistono dubbi, come ci ricorda il confronto internazionale: per l'assistenza agli anziani, la spesa pubblica è del 20 per cento circa inferiore alla media del continente; e ai servizi domiciliari destiniamo una quota assai più modesta dei fondi disponibili – solo il 17,7 per cento di questo già contenuto budget arriva alla domiciliarità, rispetto al 52,3 per cento dell'indennità di accompagnamento e al 30 per cento delle strutture residenziali (Ragioneria generale dello Stato, 2020). La pandemia ha dimostrato inoltre che in molte aree del Paese una maggior presenza del welfare pubblico nel territorio avrebbe consentito di meglio contrastare il Covid-19; è così maturato un rinnovato interesse sia nei confronti del ruolo fondamentale che i servizi territoriali dovrebbero svolgere in un moderno sistema di protezione sociale, sia verso la necessità di un loro deciso rafforzamento in Italia.
Buona parte dell'assistenza agli anziani non autosufficienti è delegata di fatto ai pazienti stessi e alle loro famiglie, attraverso il ricorso all'assistenza informale dei familiari (caregiver) o al pagamento di servizi privati di cura (assistenti familiari cosiddette badanti e servizi di assistenza privati out-of-pocket). L'ISTAT, nella sua indagine sulla conciliazione tra lavoro e famiglia, ha stimato in 2,8 milioni le persone tra i 18 e i 64 anni che assistono regolarmente familiari non autosufficienti, in quanto anziani, malati o disabili (dati 2018). È una responsabilità di cura che grava in particolare sulle donne, ed in parte da caregiver familiari con più di 65 anni. Il numero dei caregiver familiari è in progressiva diminuzione, anche in relazione ai mutamenti nella struttura delle famiglie e della società (sempre ISTAT, dati 2020, stimava il numero di caregiver in 3,3 milioni di persone).
Più complessa è la quantificazione del fenomeno delle assistenti familiari. Secondo l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), le persone regolarmente occupate come badanti in Italia erano 407.000 alla fine del 2019, di cui il 92 per cento donne e per tre quarti straniere. Le stime più recenti (www.qualificare.info; Pasquinelli e Rusmini, 2013) valutano che le badanti regolarmente assunte (anche se dichiarando ore inferiori a quelle effettivamente prestate) rappresentino circa il 40 per cento del totale. Si delinea pertanto un insieme di altre 600.000 persone impegnate senza un contratto per un totale di circa 1 milione di addetti si può stimare che in Italia più di un anziano su tre con problemi di autosufficienza (di vario livello) si avvale di un'assistente familiare. La diffusa irregolarità è legata a una reciproca convenienza: le famiglie pagano meno e sono libere da vincoli, mentre le badanti rinunciano a garanzie e tutele in cambio di paghe più elevate. I costi di questo welfare informale sono molto onerosi per i bilanci familiari. Il lavoro di cura privato costa annualmente alle famiglie italiane 9,4 miliardi di euro, di cui solo 2,6 miliardi corrispondono a contratti di lavoro regolari (fonte: 5° rapporto del NNA). Secondo una ricerca del Censis - Fondazione iniziative e studi sulla multietnicità del 2013, la spesa che le famiglie sostengono per le badanti incide per il 29,5 per cento sul reddito familiare. A fronte di una spesa di 668 euro al mese, solo il 31,4 per cento delle famiglie riesce a ricevere contributi pubblici, che si configurano principalmente nell'indennità di accompagnamento (19,9 per cento) e nelle detrazioni fiscali (9,4 per cento). Di conseguenza, il 48,2 per cento delle famiglie interessate è costretto a ridurre i propri consumi pur di mantenere il collaboratore, il 20,2 per cento intacca i propri risparmi e il 2,8 per cento si indebita. Date l'importanza e l'irrinunciabilità del servizio di cui l'84,4 per cento dichiara di non poter fare a meno, il 15,1 per cento delle famiglie è portato a considerare anche l'ipotesi che un membro della stessa possa rinunciare al lavoro per « prendere il posto » del collaboratore. Alla richiesta di fare previsioni, il 44,4 per cento delle famiglie pensa che avrà bisogno di incrementare i servizi di assistenza familiare, ma il 49,4 per cento pensa che avrà sempre più difficoltà a sostenere il servizio e il 41,7 per cento pensa che potrà arrivare a non poterselo più permettere. Attualmente a fronte delle ingenti spese sostenute per il lavoro di cura privato le agevolazioni fiscali previste per le famiglie sono assai limitate.
Il costo annuo di un assistente familiare non formato per persone non autosufficienti, assunto secondo il contratto collettivo nazionale di lavoro per il lavoro domestico, livello C super per 54 ore settimanali, è di oltre 16.000 euro, contributi sociali compresi. A questo ammontare vanno aggiunte le spese per vitto e alloggio. Attualmente tutti i contribuenti hanno diritto a dedurre dal reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) i contributi obbligatori previdenziali e assistenziali per le assistenti familiari fino a un massimo di 1.549,37 euro annui.
Dal 2007 è inoltre prevista – ai sensi dell'articolo 15, comma 1, lettera i-septies), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 – per i contribuenti il cui reddito complessivo non ecceda 40.000 euro la detrazione dall'IRPEF del 19 per cento dall'imposta lorda di un importo non superiore a 2.100 euro delle spese sostenute per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana.
Il rafforzamento della detrazione dall'IRPEF per le badanti ridurrebbe i rilevanti oneri che oggi gravano sulle famiglie, destinati a crescere in relazione all'invecchiamento della popolazione; comporterebbe una significativa emersione del lavoro irregolare, la creazione di occupazione aggiuntiva e l'innalzamento del livello di professionalità del settore; amplierebbe la partecipazione al mercato del lavoro delle donne, che oggi sostengono gran parte dell'impegno di assistenza informale ai familiari anziani, malati e disabili. Per tutte le motivazioni esposte è necessario ampliare la portata dell'agevolazione dell'IRPEF, aumentando:
a) la spesa detraibile da 2.100 a 15.000 euro (un livello simile alla retribuzione lorda contrattuale di una badante a tempo pieno);
b) l'aliquota della detrazione dal 19 al 30 per cento;
c) il limite di reddito da 40.000 a 55.000 euro (la soglia massima del terzo scaglione dell'IRPEF).
L'articolo 1 del presente disegno di legge, che ripropone l'identico testo presentato nel corso della XVIII legislatura, pertanto, abroga la citata lettera i-septies) del comma 1 dell'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 e introduce, dopo il comma 1-quater dello stesso articolo 15, un nuovo comma 1-quinquies che prevede la possibilità di detrarre dall'IRPEF il 30 per cento delle spese sostenute dal contribuente, per un importo non superiore a 15.000 euro, per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, se il reddito complessivo non supera 55.000 euro. Una norma di coordinamento permette inoltre di salvaguardare la possibilità, per i familiari che abbiano a carico una persona non autosufficiente oppure che siano civilmente obbligati (articolo 433 del codice civile), di godere del beneficio fiscale nel caso abbiano sostenuto direttamente la spesa nell'interesse del familiare.
Un onere aggiuntivo per le famiglie è costituito dalle prestazioni economiche di malattia. La categoria dei lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari non beneficia, infatti, dell'indennità di malattia a carico dell'INPS. Questa esclusione, oltreché profondamente ingiusta sul piano dell'equità sociale, si traduce in un aggravio delle spese a carico della famiglia, poiché il datore di lavoro è, proprio a motivo di tale situazione, obbligato dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro del settore a farsi direttamente carico, per un periodo di tempo che varia in funzione dell'anzianità di servizio, della corresponsione diretta della retribuzione al lavoratore o alla lavoratrice assenti perché malati. Oltretutto, poiché la categoria è composta in misura preponderante da lavoratrici, l'esclusione dall'indennità di malattia può essere intesa quale discriminazione indiretta di genere sia in base alla normativa nazionale (articolo 25 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198) che a quella dell'Unione europea (articolo 2 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006).
Sulla base di queste considerazioni, l'articolo 2 del presente disegno di legge modifica il decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1403, riconoscendo, a decorrere dal 1° gennaio 2023, l'indennità di malattia corrisposta dall'INPS ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari, nonché ai lavoratori addetti a servizi di riassetto e di pulizia dei locali. L'estensione dell'indennità di malattia non comporta nuovi oneri a carico della finanza pubblica in quanto questi sono interamente coperti dalla contribuzione, in sintonia peraltro con la richiesta delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, contenuta nel documento unitario presentato nella fase 2 del confronto tra sindacati e Governo (punto 2), volta all'armonizzazione della contribuzione previdenziale dei lavoratori domestici, e conseguentemente delle prestazioni, con quella della generalità dei lavoratori subordinati privati.
L'articolo 3 del presente disegno di legge, infine, provvede alla copertura finanziaria del minor gettito derivante dalla maggiorazione della detrazione dall'IRPEF per le badanti. Considerando le statistiche sulle dichiarazioni fiscali, ipotizzando la regolarizzazione del 30 per cento delle badanti non contrattualizzate e tenendo conto del conseguente recupero di gettito fiscale e contributivo, la misura avrebbe bisogno di una copertura finanziaria valutabile in circa 150 milioni di euro annui. Alla luce di questi dati, l'articolo 3 prevede una copertura finanziaria di 150 milioni di euro annui a decorrere dal 2023.
Art. 1.
(Modifiche all'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di detraibilità delle spese per gli addetti all'assistenza personale)
1. All'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, la lettera i-septies) è abrogata;
b) dopo il comma 1-quater è inserito il seguente:
« 1-quinquies. Dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 30 per cento delle spese, per un importo non superiore a 15.000 euro, sostenute per gli addetti all'assistenza personale nei casi di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, se il reddito complessivo non supera 55.000 euro. »;
c) il terzo periodo del comma 2 è sostituito dal seguente:
« Per le spese di cui al comma 1-quinquies del presente articolo la detrazione spetta, alle condizioni ivi stabilite, anche se sono state sostenute per le persone indicate nell'articolo 12, ancorché non si trovino nelle condizioni previste dal comma 2 del medesimo articolo ».
Art. 2.
(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1403)
1. Al decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1403, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 2, primo comma, dopo il numero 6) è inserito il seguente:
« 6-bis) economiche; »;
b) dopo l'articolo 4 è inserito il seguente:
« Art. 4-bis. – 1. A decorrere dal 1° giugno 2023 l'indennità di malattia di cui al numero 6-bis) del primo comma dell'articolo 2 è corrisposta dall'Istituto nazionale della previdenza sociale secondo i criteri stabiliti per gli operai e gli impiegati del settore terziario e servizi, a condizione che nei confronti del soggetto interessato risultino versati o dovuti dal datore di lavoro, anche in settori diversi da quello domestico, dodici contributi settimanali nei dodici mesi che precedono l'inizio dell'assenza dal lavoro per malattia. A partire dalla stessa data, l'aliquota dei contributi relativi a tale prestazione è stabilita con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in modo che dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Per la determinazione del numero dei contributi da accreditare in corrispondenza di attività svolta in qualità di lavoratore addetto ai servizi domestici e familiari si applicano i criteri di cui all'articolo 10.
3. La retribuzione giornaliera su cui si commisura l'indennità di malattia è pari alla sesta parte della media delle retribuzioni convenzionali settimanali, relative alle settimane di contribuzione comprese nei sei mesi antecedenti l'inizio del periodo di assenza dal lavoro ».
Art. 3.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 1 della presente legge, pari a 150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2023, si provvede a valere sulle maggiori risorse derivanti da interventi di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica. Entro il 1° giugno 2023, mediante interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, sono approvati provvedimenti regolamentari e amministrativi che assicurano minori spese pari a 150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2023.
2. Qualora le misure di cui al comma 1 non siano adottate o siano adottate per importi inferiori a quelli previsti, i regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, di cui all'allegato C-bis dei decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, con l'esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell'ambiente, sono ridotti in misura tale da conseguire le maggiori entrate necessarie alla copertura dei maggiori oneri di cui al comma 1 del presente articolo. Con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 gennaio 2023, sono stabilite le modalità tecniche per l'attuazione del presente comma con riferimento ai singoli regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale interessati.