Senato della RepubblicaXIX LEGISLATURA
N. 295
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa della senatrice LA MARCA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 7 NOVEMBRE 2022

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riacquisto della cittadinanza da parte delle donne che l'hanno perduta a seguito del matrimonio con uno straniero e dei loro discendenti

Onorevoli Senatori. — La Corte Suprema di cassazione, con la sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009, ha riconosciuto lo status di cittadino italiano anche ai figli di donne che hanno perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio con stranieri, anche se contratto antecedentemente al 1° gennaio 1948. La pronuncia della Suprema Corte ha richiamato le sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 16 aprile 1975 e n. 30 del 9 febbraio 1983, che avevano dichiarato l'illegittimità, rispettivamente, della norma di cui all'articolo 10, terzo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza indipendentemente dalla sua volontà da parte della donna che sposava uno straniero, e della norma di cui all'articolo 1 della medesima legge nella parte in cui prevedeva l'acquisto della cittadinanza italiana da parte del figlio di madre cittadina.
Con la citata sentenza della Corte di cassazione n. 4466 del 2009 si è data finalmente attuazione al principio di parità tra uomo e donna affermato dalla Carta costituzionale e si è colmato il ritardo che l'Italia aveva accumulato rispetto alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva dalla legge 14 marzo 1984, n. 132.
La sentenza, peraltro, chiarisce che il riconoscimento del diritto non incontra alcun ostacolo sul piano della giurisdizione, mentre ammette che sopravvive una remora di natura procedurale sul terreno amministrativo, visto il dettato dell'articolo 219 della legge 19 maggio 1975, n. 151, espressamente richiamato dall'articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, che subordina il riacquisto della cittadinanza a un'esplicita dichiarazione di volontà del soggetto interessato.
All'indomani della sentenza, nel corso della XVI legislatura, molti parlamentari di diverso orientamento politico e culturale si sono rivolti al Governo mediante un'interpellanza urgente (atto Camera n. 2-00333 dell'11 marzo 2009, seduta n. 144) nella quale si chiedeva di definire al più presto le procedure idonee per consentire l'applicazione della sentenza, acquisita sul piano giudiziale, anche sul più agevole e meno costoso terreno amministrativo.
L'impegno assunto dal Governo in quella occasione di voler provvedere al più presto in tal senso non ha trovato però un riscontro concreto, tanto che i firmatari della prima interpellanza si sono fatti promotori di una nuova interpellanza (atto Camera n. 2-00699 del 4 maggio 2010) nella quale si chiedeva al Governo di sciogliere almeno il nodo dello strumento – regolamentare o normativo – da adottare per dare esecutività amministrativa alla sentenza della Corte di cassazione. La risposta del Governo indicava chiaramente l'esigenza di una soluzione di tipo normativo e manifestava l'intento di inserire alcune idonee soluzioni in uno dei provvedimenti in via di adozione da parte del Governo stesso. Anche nel corso della XVIII legislatura per altro non sono mancati interventi parlamentari tesi a sollecitare il raggiungimento di una soluzione.
Poiché persiste l'incertezza sulle occasioni e sui tempi di un'eventuale soluzione normativa in proposito, si ritiene dunque necessario presentare il presente disegno di legge che, per semplicità e specificità, consente di rimuovere gli ostacoli alla piena applicazione di un principio di elevato valore civile e sociale.
La soluzione dei problemi insorti a causa di una legislazione discriminatoria verso le donne consentirebbe anche di superare odiose e insostenibili conseguenze di ordine pratico, che vedono – ad esempio – i figli di una stessa madre ottenere la cittadinanza se nati dopo il 1° gennaio 1948 e che se la vedono rifiutare se nati prima.
Pur consapevoli della complessità del tema della cittadinanza e dell'esistenza di analoghe situazioni meritevoli di attenzione, come quelle relative al riacquisto della cittadinanza da parte di soggetti nati in Italia ma che poi l'hanno perduta per ragioni di lavoro all'estero, si è preferito mirare a una soluzione precisa e diretta del problema legato alla sentenza della Corte di cassazione per evitare che la necessità e l'urgenza di una soluzione tanto attesa e giusta possano andare incontro a ulteriori ragioni di ritardo.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. Alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

« 1-bis. È cittadino:

a) la donna cittadina italiana per nascita che ha perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio con uno straniero contratto prima del 1° gennaio 1948;

b) il figlio della donna di cui alla lettera a), benché deceduta, anche se nato prima del 1° gennaio 1948;

c) i figli di padri o di madri cittadini che hanno perduto la cittadinanza per ragioni di lavoro all'estero, anche se nati prima del 1° gennaio 1948 »;

b) all'articolo 17, il comma 2 è sostituito dal seguente:

« 2. Al fine di acquistare la cittadinanza ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 1 gli aventi diritto presentano una dichiarazione al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare. La dichiarazione è corredata della documentazione prevista con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione ».