Senato della Repubblica | XIX LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 13 APRILE 2023
Modifiche agli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale, in materia di tortura e istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura
Onorevoli Senatori. – La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra del 1949 per la protezione delle vittime di guerra, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 (CEDU), il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti inumani e degradanti del 1984 e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, sono atti di matrice internazionale che prevedono il divieto di tortura e di sottoposizione a pene o trattamenti inumani e degradanti.
Moltissimi Stati, per conformarsi a tali obblighi di natura sovranazionale, hanno previsto l'inserimento del delitto di tortura all'interno del codice penale, e in alcuni casi addirittura ne hanno sancito il divieto in Costituzione.
L'Italia ha provveduto a tale adempimento mediante un percorso a più tappe ingenerato dalla messa in mora, da parte della Corte europea dei diritti dell'Uomo, per violazione dell'articolo 3 della CEDU, che sancisce il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti, evidenziando l'inadeguatezza dell'ordinamento nella misura in cui non prevede tale delitto. Nel nostro ordinamento è stata dapprima introdotta la tortura nel codice penale militare in tempo di guerra; mancava però un esplicito riferimento nel codice penale. Tale lacuna è stata colmata dalla legge 14 luglio 2017, n. 110, che ha introdotto l'articolo 613-bis del codice penale, dando attuazione alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.
Il presente disegno di legge prevede alcune precise modifiche al testo dell'articolo 613-bis, non ritenendo necessarie ulteriori tecniche di maquillage legislativo volte ad intervenire in maniera diversa rispetto a quella prospettata. Il testo, infatti, da un lato, si adegua alle pronunce della Corte di cassazione, sul punto aggiornando la disposizione a un indirizzo giurisprudenziale maggioritario e, dall'altro, corregge delle storture dell'articolo 613-bis, che ne ostacolano una corretta applicazione.
L'articolo 1 del presente disegno di legge interviene riscrivendo, in toto, l'articolo 613-bis del codice penale, ma salvaguardando lo spirito della norma, che richiede, per la configurazione del reato, la sussistenza di almeno due condotte (violente, minacciose o crudeli che siano), salvo che il fatto non comporti un trattamento inumano e degradante.
Il primo comma del novellato articolo descrive una fattispecie di reato comune che può essere commesso da chiunque, e non solo da coloro che ricoprano una particolare qualifica o si trovino in una particolare relazione con la vittima. Sul punto, si cita la sentenza della Cassazione penale n. 47079 del 2019, che stabilisce, in linea con l'articolo 3 della CEDU – e conseguentemente con la sua giurisprudenza –, di non identificare il reato solo con la « tortura di Stato » prevedendo, invece, una fattispecie comune. Il delitto si configura nel momento in cui, con più atti di violenza o minaccia, ovvero agendo con crudeltà, si cagionino acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a un determinato soggetto, ovvero mediante un'unica condotta che comporti un trattamento inumano e degradante. Su tale ultimo aspetto si segnala che, dal modus seguito dalla CEDU, in relazione all'applicazione dell'articolo 3, si evince la sussistenza di un rapporto tra tortura e trattamenti inumani e degradanti: non vi è un trattamento inumano che non sia al contempo degradante, e di converso non vi è tortura che non sia allo stesso modo un trattamento inumano e degradante.
Quanto al soggetto attivo e passivo del reato, si richiede che il fatto sia commesso in danno di persona privata della libertà personale o che sia stata affidata alla custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza del soggetto agente, ovvero si trovi in minorata difesa. Le modifiche che intervengono sull'articolo 613-bis del codice penale sono relative, in primo luogo, all'espunzione dell'aggettivo « gravi » relativamente alle violenze e alle minacce. Infatti, sembrerebbe ultroneo il riferimento alla gravità, in quanto le condotte poste in essere dovranno essere in grado di ingenerare acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico. Il che fa intendere che condotte di lieve entità non potranno mai portare a tali situazioni la vittima. Inoltre, si specifica che il verificabile trauma psichico potrà essere anche temporaneo, in ossequio alle pronunce della Cassazione (sul punto si veda la sentenza n. 47079 del 2019), e che tale stato dovrà essere verificabile anche in assenza di accertamenti peritali, potendo assumere rilievo anche gli elementi sintomatici ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dal suo comportamento successivo alla condotta e dalle concrete modalità di quest'ultima. Ultimo intervento relativo al comma in commento è la specifica che le condotte plurime potranno essere tenute anche nel medesimo contesto cronologico. Tale assunto prende le mosse dalla pronuncia della Corte di cassazione n. 50208 del 2019.
La fattispecie si configura quale reato a dolo generico. Non occorre, infatti, che il soggetto agente sia animato da alcuna particolare finalità, ben potendo operare senza nessun apparente scopo, per vendetta, per intimidazione ovvero per puro sadismo. Le condotte previste ai fini della configurabilità del delitto appaiono già sufficientemente gravi, tali da essere semplicemente accettate dal soggetto agente secondo lo schema del dolo eventuale.
La modifica prevista al secondo comma prevede l'espunzione delle parole: « con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio ». Il secondo comma attiene alla cosiddetta « tortura di Stato », ovvero la tortura commessa da un soggetto che rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. La norma tipizzata al primo comma appare già di per sé una fattispecie di rilevante gravità. Il principio di offensività della stessa risulta molto elevato. Nessuna condotta che configuri il primo comma può rientrare nell'ambito dei doveri di servizio. Inoltre, occorre valutare anche l'ovvio orientamento giurisprudenziale che fa configurare il delitto in parola nei casi in cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, abbiano agito al di fuori dell'ambito delle loro funzioni. Prevedere ulteriori disposizioni a tutela sarebbe distonico rispetto a quanto già previsto dal codice. La dottrina ritiene che tale comma assurga a fattispecie autonoma di reato e non a mera circostanza aggravante. Questo per due ragioni: la prima è che il quarto comma contempla già specifiche aggravanti, e la seconda è che il terzo comma (che il presente disegno di legge si propone di sopprimere) prevede una causa di esclusione della tipicità del reato solo nelle ipotesi del reato proprio, escludendone quindi la natura circostanziale.
Il presente disegno di legge, sempre in riferimento all'articolo 1, sopprime integralmente il citato terzo comma che prevede la non applicabilità del delitto proprio nei casi in cui le sofferenze date dalla tortura derivino unicamente dell'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Infatti, il codice penale già prevede una serie di disposizioni che giustificano le forze dell'ordine che agiscano – ovviamente – entro i limiti dettati dall'ordinamento. Sul punto si citano, a titolo meramente esemplificativo, le cause di giustificazione previste agli articoli del codice 51 (esercizio di un diritto), 52 (legittima difesa), 53 (uso legittimo delle armi) e 54 (stato di necessità). Non si ravvede, dunque, la necessità di prevedere una tale esimente nei casi di così gravi condotte come quelle previste al primo comma.
La modifica prevista al terzo comma dell'articolo 613-ter (ex quarto comma) integra le circostanze aggravanti già presenti nell'articolo vigente, rendendo omogenea la formulazione a quanto previsto per la successiva aggravante a effetto speciale, prevista al quinto comma. Infatti, si affiancano alle lesioni, lesioni gravi o gravissime commesse per colpa, quale conseguenza non voluta del delitto di tortura, anche quelle commesse dolosamente.
Il quarto comma, attualmente non previsto nel testo del codice, aggiunge il divieto di bilanciamento delle circostanze.
Il quinto comma, inalterato rispetto al vigente articolo, disciplina le già citate aggravanti ad effetto speciale relative alla morte del soggetto torturato.
L'articolo 2 del presente disegno di legge interviene sull'articolo 613-ter del codice penale, relativo alla istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura. La modifica espunge dal testo il riferimento alle parole: « nell'esercizio delle funzioni o del servizio », al fine di eliminare tale riferimento in relazione alla istigazione a commettere tortura. Non si ravvede, infatti, come potrebbe rientrare nell'ambito della funzione o del servizio la condotta del pubblico ufficiale che istighi altri ad attuare condotte di tale disvalore, come quelle previste al primo comma dell'articolo 613-bis.
Il presente disegno di legge appare necessario al fine di aggiornare la normativa alle ultime evoluzioni giurisprudenziali, proprio per la rilevanza e la delicatezza dei temi trattati dagli articoli del codice in commento.
Art. 1.
(Modifica dell'articolo 613-bis del codice penale)
1. L'articolo 613-bis del codice penale è sostituito dal seguente:
« Art. 613-bis. – (Tortura) – Chiunque, con violenze o minacce, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico, anche temporaneo, a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte, anche se tenute nel medesimo contesto cronologico, ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni.
Se dalle condotte di cui al primo comma deriva, quale conseguenza non voluta, una lesione personale, le pene di cui ai commi primo e secondo sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo, e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se il colpevole cagiona volontariamente una lesione personale, le pene sono aumentate di un terzo; se ne deriva una lesione personale sono aumentate da un terzo alla metà, e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate dalla metà ai due terzi.
Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.
Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell'ergastolo. ».
Art. 2.
(Modifica dell'articolo 613-ter del codice penale)
1. L'articolo 613-ter è sostituito dal seguente:
« Art. 613-ter. – (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura) – Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio il quale istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. ».