Senato della Repubblica | XIX LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 13 OTTOBRE 2022
Disposizioni in materia di salario minimo e rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva
Onorevoli Senatori. – In Italia il fenomeno dei working poors – lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa è in crescita, così come è in crescita la distanza che li separa dal resto dei lavoratori dell'Unione, come ci ha mostrato il rapporto Eurostat In-work poverty in the EU del 16 marzo 2018.
Secondo la citata analisi, in Italia l'11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, dato ben al di sopra della media dell'Unione europea, che si attesta al 9,6 per cento. A ciò si aggiungano i dati sulle prospettive di vita: stando ai dati attuali (fonte Censis) ben 5,7 milioni di giovani (precari, cosiddetti neet, working poor e in « lavoro gabbia ») rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà.
Come ci hanno dimostrato illustri economisti, la misura più idonea a contrastare il fenomeno è la fissazione legislativa dei minimi salariali.
Tale fenomeno ha una portata non solo nazionale ma europea come dimostra la recente proposta di direttiva sui salari minimi della Commissione europea. Come ribadito dagli studi economici allegati alla proposta di direttiva, l'introduzione di una disciplina legale sul salario minimo costituirebbe un ulteriore e indispensabile tassello al raggiungimento degli obiettivi ispiratori che dovranno essere perseguiti dagli Stati membri nella redazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza nell'ambito del programma straordinario di investimento denominato Next Generation EU. La garanzia di una retribuzione dignitosa e adeguata per tutti i lavoratori infatti favorirebbe senz'altro la realizzazione di un mercato del lavoro più inclusivo, equo e paritario, abbattendo le disuguaglianze, anche in termini di divario retributivo di genere (gender pay gap).
La necessità di interventi nazionali sul salario minimo in un contesto di garanzia europea di adeguatezza delle retribuzioni è avvertita con maggiore urgenza anche alla luce della crisi prodotta dall'emergenza epidemiologica in atto, che ha colpito in modo particolare proprio i settori caratterizzati da un'elevata percentuale di lavoratori a basso salario, quali, a titolo esemplificativo, quelli agricolo, del commercio al dettaglio, dei servizi e del turismo.
Se è innegabile che l'introduzione di un minimo salariale per legge potrebbe comportare, almeno in una prima fase, un incremento dei costi del lavoro per le imprese, specialmente per quelle rientranti nei settori in cui attualmente si applica un trattamento retributivo non adeguato, con possibili effetti pregiudizievoli anche sull'occupazione, tali rischi sembrano tuttavia contenuti.
In base agli studi condotti dalla stessa Commissione europea, l'aumento dei costi del lavoro verrebbe infatti in gran parte compensato da un incremento dei consumi da parte dei lavoratori a basso salario, così da sostenere la domanda interna. Inoltre, sempre in base alle richiamate stime dell'Unione europea, l'eventuale impatto negativo sull'occupazione sarebbe di scarso rilievo, rimanendo nella maggior parte dei casi al di sotto dello 0,5 per cento del tasso di occupazione totale, raggiungendo l'1 per cento in soli tre Stati membri.
Inoltre, nonostante nel nostro Paese si registri una copertura quasi totale della contrattazione collettiva (che si attesta al 98 per cento della forza lavoro impiegata nel settore privato e riguarda oltre il 99 per cento delle aziende private), purtroppo un consistente numero di lavoratori percepisce salari non dignitosi. Ciò è quanto emerge dall'ultimo rapporto annuale dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che, ipotizzando diversi importi del salario minimo regolato dalla legge, individua: 2.596.201 lavoratori « sotto soglia », se si considera un salario minimo tabellare (e un importo minimo pari a 8 euro) e 2.840.893 lavoratori se si includono nella nozione di salario minimo anche le mensilità aggiuntive (e il salario minimo ammonta a 9 euro).
L'insufficienza dei salari percepiti dai lavoratori italiani risulta inequivocabilmente confermata anche dalle stime relative al numero di soggetti che, pur essendo titolari di un rapporto di lavoro, percepiscono il Reddito di cittadinanza (RdC). Più precisamente, in base alle informazioni in nostro possesso, sono 365.436 i beneficiari della misura che, alla data dell'8 gennaio 2021, risultano titolari di un rapporto di lavoro attivo. Ciò significa che almeno 365.436 individui percepiscono un trattamento economico che non consente loro di superare la soglia di povertà.
Interessante è poi analizzare il dato dei lavoratori percettori del RdC per settori produttivi:
– 16.722 nel settore agricolo;
– 37.007 nel settore dell'industria in senso stretto;
– 33.640 nel settore delle costruzioni;
– 278.067 nel settore dei servizi.
Da una verifica dei dati disponibili sui minimi contrattuali applicati in concreto, emerge come sia certamente necessario individuare dei criteri affidabili di selettività dei soggetti collettivi abilitati a fissarli, fondati su trasparenti riscontri in termini di rappresentatività e, al tempo stesso, offrire direttive orientative agli stessi agenti negoziali sui limiti che in ogni caso si devono garantire; un doppio sostegno alla contrattazione senza il quale la realtà ci mostra che, nonostante gli sforzi e l'impegno di parte sindacale, i risultati possono essere deludenti.
In alcuni settori infatti i minimi salariali fissati nei cosiddetti contratti leader non sembrano adeguati, « sufficienti », alla luce delle disposizioni costituzionali e degli indicatori internazionali. Per citare solo alcuni esempi, soffermandoci sui contratti collettivi tra i più applicati secondo i dati forniti dall'INPS, si possono richiamare: il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del settore del turismo (dove il trattamento orario minimo è pari a 7,48 euro), quello delle cooperative nei servizi socio-assistenziali (in cui l'importo orario minimo ammonta a 7,18 euro), il CCNL per le aziende dei settori dei pubblici esercizi, della ristorazione collettiva e commerciale e del turismo (che stabilisce il minimo orario contrattuale in euro 7,28) e il CCNL del settore tessile e dell'abbigliamento che stabilisce una retribuzione minima pari ad euro 7,09 per il comparto abbigliamento.
In alcuni casi la retribuzione scende addirittura al di sotto della soglia dei 7 euro: è quanto si osserva per il CCNL per i servizi socio-assistenziali, in cui il minimo retributivo è fissato in euro 6,68 o per il CCNL relativo alle imprese di pulizia e dei servizi integrati o dei multiservizi che prevede un minimo retributivo orario pari a 6,52 euro e non viene inoltre rinnovato da oltre sette anni.
Infine, anche se non rientra tra i CCNL maggiormente applicati, occorre ricordare che il CCNL della vigilanza e dei servizi fiduciari, anche esso non rinnovato dal 2015, prevede un minimo salariale di soli 4,60 euro all'ora per il comparto dei servizi fiduciari e un importo di poco superiore a 6 euro per i servizi di vigilanza privata.
Molteplici sono le ragioni che ostacolano l'effettività del diritto a percepire una giusta retribuzione. Tra di esse, particolare rilievo deve certamente riconoscersi al proliferare dei cosiddetti contratti collettivi « pirata », ossia quei contratti collettivi – diffusi soprattutto in alcuni settori – stipulati da soggetti dotati di scarsa o inesistente forza rappresentativa, finalizzati a fissare condizioni normative ed economiche peggiorative per i lavoratori rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, dando vita a dannosi fenomeni di distorsione della concorrenza.
Quali concause possono inoltre individuarsi: la frammentazione dei settori prevalentemente collegati ai mutamenti economici, organizzativi e tecnologici; la proliferazione di forme di lavoro atipico, che sfuggono ad un immediato inquadramento nell'ambito del lavoro autonomo o subordinato; il massiccio ricorso delle aziende alle esternalizzazioni.
Dal quadro sopra delineato si può agevolmente concludere che l'attuale assetto della contrattazione collettiva necessita di essere sostenuto e promosso dall'ordinamento statuale al fine di garantire a tutti i lavoratori italiani l'applicazione di trattamenti retributivi dignitosi.
Il presente disegno di legge si muove in questa direzione, conservando e rafforzando la centralità della contrattazione collettiva nazionale dei sindacati più rappresentativi quale fonte principale di determinazione del trattamento economico dei lavoratori.
L'introduzione di una disciplina sul salario minimo che valorizzi il ruolo della contrattazione collettiva deve però tenere conto di alcuni ostacoli. I contratti collettivi non sono dotati di efficacia erga omnes, attesa la mancata attuazione dei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della Costituzione, ma la giurisprudenza utilizza, nella stragrande maggioranza dei casi, i trattamenti minimi fissati dal contratto collettivo quale parametro per l'individuazione della retribuzione sufficiente ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione. Tuttavia, proprio in virtù del pluralismo sindacale che caratterizza il nostro sistema, attualmente si contano nel nostro ordinamento oltre 900 contratti collettivi. Pertanto, nella piena consapevolezza della massiccia presenza dei contratti cosiddetti al ribasso, dovranno essere individuate le soluzioni più idonee a circoscrivere la cerchia dei contratti collettivi che possano fungere da parametro per la determinazione del salario minimo.
Proprio per questo il presente disegno di legge:
– valorizza i contratti collettivi « leader », ossia quelli siglati dai soggetti comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale che presentino maggiore connessione, in senso qualitativo, all'attività esercitata dal datore;
– definisce specifici criteri atti a « pesare » il grado di rappresentatività sia delle organizzazioni sindacali che datoriali, valorizzando i criteri autoprodotti dall'ordinamento intersindacale negli accordi interconfederali stipulati delle confederazioni maggiormente rappresentative;
– sancisce il principio secondo il quale le parti sociali sono abilitate a stabilire il trattamento minimo complessivo;
– ferma restando l'applicazione generalizzata del CCNL, a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione, introduce una sorta di prova di resistenza o di test di « dignità », una soglia minima inderogabile (9 euro all'ora), in linea con i parametri di adeguatezza indicati dalla Commissione europea nella proposta di direttiva citata (il 60 per cento del salario lordo mediano). L'applicabilità di questa « soglia » è del tutto eventuale e riguarda i soli « minimi retributivi » ai fini del raggiungimento del parametro dell'adeguatezza e della sufficienza della retribuzione alla luce dell'articolo 36 della Costituzione. I contratti collettivi sarebbero in tal modo rafforzati in quanto la soglia opererebbe solo sulle clausole relative ai « minimi », lasciando al contratto collettivo la regolazione delle altre voci retributive;
– conformemente a quanto previsto anche nella proposta di direttiva, istituisce una Commissione tripartita composta dalle parti sociali maggiormente rappresentative che avrà il compito di aggiornamento e controllo dell'osservanza del trattamento economico proporzionato e sufficiente, così da garantire effettivamente ai lavoratori una giusta retribuzione, che si conservi tale nel tempo;
– infine introduce apposita procedura giudiziale, di matrice collettiva, volta a garantire l'effettività del diritto dei lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso.
Art. 1.
(Finalità e ambito di applicazione)
1. In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione e fermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e da ogni altra disposizione di legge in quanto compatibile con quelle recate dalla presente legge, i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, sono tenuti a corrispondere ai lavoratori di cui all'articolo 2094 del codice civile una retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
2. Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai rapporti di collaborazione di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ad eccezione di quelli previsti alle lettere b), c) e d) del comma 2 del medesimo articolo.
Art. 2.
(Definizione)
1. Per « retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato » si intende il trattamento economico complessivo, non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore in cui opera l'impresa, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il cui ambito di applicazione sia maggiormente connesso e obiettivamente vicino in senso qualitativo all'attività effettivamente esercitata dal datore di lavoro. Il trattamento economico minimo orario come definito dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) non può comunque essere inferiore a 9 euro lordi.
2. Il trattamento economico minimo orario di cui al comma 1 è annualmente adeguato secondo l'indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell'Unione europea (IPCA).
3. Per le prestazioni di lavoro domestico rese a favore di persone fisiche che non esercitano attività professionali o di impresa l'importo del trattamento economico minimo orario di cui al comma 1 è definito, sulla base del trattamento economico minimo previsto dal CCNL del settore, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le associazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Fino all'adozione del decreto di cui al primo periodo l'importo di cui al comma 1 corrisponde al trattamento economico complessivo previsto dal CCNL di settore comparativamente più rappresentativo.
Art. 3.
(Pluralità di contratti collettivi
nazionali applicabili)
1. In presenza di una pluralità di CCNL applicabili ai sensi dell'articolo 2, il trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato non può essere inferiore a quello previsto per la prestazione di lavoro dedotta in obbligazione dal CCNL stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria merceologico-produttiva interessata. Il trattamento economico minimo orario come definito dal CCNL prevalente non può in ogni caso essere inferiore all'importo previsto al comma 1 dell'articolo 2.
2. Ai soli fini del computo comparativo di rappresentatività del CCNL ai fini della presente legge, si applicano, per le associazioni dei prestatori di lavoro, i criteri associativi ed elettorali di cui agli accordi interconfederali sulla misurazione della rappresentatività sindacale stipulati dalle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale e, per le associazioni dei datori di lavoro, i criteri ponderati del numero di imprese associate in relazione al numero delle stesse e del numero di dipendenti delle imprese medesime in relazione al numero complessivo di lavoratori impiegati nelle stesse. Nelle more dell'applicazione dei predetti criteri si assume a riferimento il CCNL in vigore per il settore nel quale si eseguono le prestazioni di lavoro, come individuato ai sensi dell'articolo 2, comma 25, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.
Art. 4.
(Contratti collettivi scaduti o disdettati)
1. Qualora, per scadenza o disdetta, manchi un CCNL applicabile cui fare riferimento ai sensi degli articoli 2 e 3, il trattamento economico complessivo di riferimento è quello previsto dal previgente CCNL prevalente fino al suo rinnovo.
2. A decorrere dal 1° gennaio 2025, gli imporrti di cui al comma 1 sono incrementati annualmente sulla base delle variazioni dell'IPCA rilevato nell'anno precedente.
Art. 5.
(Commissione per l'aggiornamento del valore soglia del trattamento economico minimo orario)
1. È istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali la Commissione per l'aggiornamento del valore soglia del trattamento economico minimo orario di cui all'articolo 2, comma 1, di seguito denominata « Commissione ». Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono nominati i membri della Commissione.
2. La Commissione è presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, o da un suo delegato, ed è composta da:
a) un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
b) un rappresentante dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);
c) un rappresentante dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT);
d) un rappresentante dell'Ispettorato nazionale del lavoro;
e) un numero pari di rappresentanti delle associazioni dei prestatori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.
3. La Commissione:
a) valuta l'aggiornamento dell'importo previsto al comma 1 dell'articolo 2;
b) monitora il rispetto della retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato così come definita dall'articolo 2;
c) individua i CCNL prevalenti di cui all'articolo 3.
4. L'aggiornamento dell'importo di cui al comma 1 dell'articolo 2 è disposto con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, su proposta della Commissione.
5. Ai componenti della Commissione non spetta alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborso di spese o emolumento comunque denominato.
6. Dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e l'amministrazione interessata vi provvede con le risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Art. 6.
(Repressione di condotte elusive)
1. Fermi restando gli ulteriori strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, ivi compresa l'adozione della diffida accertativa di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti a impedire o limitare l'applicazione delle disposizioni di cui alla presente legge, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il giudice del lavoro del luogo ove è posto in essere il comportamento denunciato, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato e immediatamente esecutivo, la corresponsione ai lavoratori del trattamento economico complessivo e di tutti gli oneri conseguenti.
2. L'efficacia esecutiva del decreto di cui al comma 1 non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato ai sensi del medesimo comma 1. Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti al giudice del lavoro che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
Art. 7.
(Deposito dei CCNL)
1. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le procedure e gli strumenti di regolazione e razionalizzare delle modalità di deposito dei CCNL in coerenza con le finalità della presente legge.
Art. 8.
(Detassazione degli incrementi
retributivi dei CCNL)
1. All'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, dopo il comma 182 è inserito il seguente:
« 182-bis. In via sperimentale, per gli anni 2023, 2024 e 2025, gli incrementi retributivi corrisposti al prestatore di lavoro per effetto del rinnovo del contratto collettivo nazionale applicato sono soggetti all'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento entro il limite di importo complessivo pari a 3.000 euro. Tali importi non concorrono al raggiungimento del limite di importo complessivo di cui al comma 182 ».
2. Agli oneri derivanti dalla disposizione di cui al comma 1, pari a 507,7 milioni di euro per l'anno 2023, 667,2 milioni di euro per l'anno 2024, 662,1 milioni di euro per l'anno 2025 e 154,4 milioni di euro per l'anno 2026, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
Art. 9.
(Disposizione transitoria)
1. Ai fini dell'applicazione della presente legge sono fatti salvi i trattamenti economici complessivi dei CCNL stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale fino alla loro scadenza.