Senato della RepubblicaXVIII LEGISLATURA
N. 2510
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa della senatrice FATTORI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 4 FEBBRAIO 2022

Norme per l'introduzione del salario minimo legale

Onorevoli Senatori. – Un salario minimo legale esiste nella grande maggioranza dei Paesi dell'Unione europea. Fanno eccezione i Paesi nordici (Danimarca, Svezia, Finlandia), l'Austria e l'Italia, che costituisce dunque – salvo quello che si dirà dopo – quella più importante. Cipro, talvolta citato come altro caso di assenza di salario minimo legale, in realtà ha una legge risalente al 1941, che però è applicata per settori e soprattutto per professioni.
In genere, i Paesi che non hanno introdotto un salario minimo legale l'hanno fatto perché era comunque garantita una elevata copertura delle lavoratrici e dei lavoratori da parte dei contratti collettivi.
Infatti, l'ultimo Paese che ha provveduto all'introduzione di un salario minimo legale, la Germania, lo ha fatto dal 2015, proprio per rimediare a un tasso di copertura contrattual-collettiva della forza lavoro insufficiente e anzi rapidamente decrescente, e ora il nuovo governo socialdemocratico-liberale-ecologista intende portarlo a 12 euro per ora.
Il tema sta diventando in tutta Europa un tema di emergenza sociale, tanto che la Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen ha presentato una proposta di direttiva che, dopo un approfondito iter, è giunta allo stadio della negoziazione (cosiddetto trilogo) tra la Commissione europea, il Consiglio composto dai Governi nazionali e il Parlamento europeo, che ha approvato a larghissima maggioranza una propria posizione sul contenuto di tale direttiva lo scorso 25 novembre.
In Italia, come ha rilevato l'anno scorso in un suo studio la Confederazione europea dei sindacati (ETUI and ETUC, Benchmarking Working Europe 2020, Brussels, ETUI, 2020), già prima della crisi economico-sociale dovuta alla pandemia, il numero dei lavoratori a rischio di povertà era aumentato sensibilmente nel secondo decennio del secolo.
E in effetti, la crisi pandemica ha soltanto incrementato l'insostenibilità di una situazione che era già presente da anni. Noi riteniamo sia un dovere del Parlamento ascoltare il disagio sociale che si leva dalla parte più fragile della nostra società e, anziché attendere la legislazione dell'Unione europea, anticiparla con un intervento rigoroso contro il lavoro povero, che oggi tocca milioni di persone nel nostro Paese.
Naturalmente sarebbe logico ipotizzare che l'intervento del legislatore nazionale debba essere conforme ai testi che saranno approvati dall'Unione europea: cosa che, allo stato della discussione in quella sede, certamente si può dire del progetto qui formulato, ma non di altri progetti presentati al Parlamento, come è stato già osservato nelle sedi competenti.
Va precisato che si intende fare dell'intervento legislativo non un'alternativa, ma al contrario un mezzo di rafforzamento della contrattazione collettiva.
Occorre tenere presente, infatti, che il tasso di copertura di quest'ultima è probabilmente più basso di quello stimato, se si tiene conto di tutti i rapporti di lavoro non denunciati come subordinati, ma in realtà tali.
D'altra parte, si vanno diffondendo i cosiddetti contratti collettivi pirata, stipulati da organizzazioni sindacali e soprattutto da organizzazioni datoriali di scarsa o nulla rappresentatività; mentre l'idea di applicare le regole contenute ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della Costituzione per ottenere l'efficacia generale dei contratti collettivi continua a trovare l'ostilità delle organizzazioni datoriali e a scontrarsi con le molteplici difficoltà tecniche e politiche che ne hanno sempre impedito l'attuazione.
Esiste tuttavia una possibilità diversa di rispondere con immediatezza alle esigenze che si sono prospettate anche in sede europea, e che risponde alle caratteristiche di un intervento di sostegno alla contrattazione collettiva, e non già sostitutivo di essa, che eviti ogni rischio di effetti prociclici di riduzione salariale i quali, in una fase persistente e tutt'altro che conclusa di crisi da insufficienza della domanda, potrebbero determinare conseguenze negative di vasta portata.
Va ricordato infatti non solo che, per molti aspetti, in Italia esiste un salario minimo di fonte giurisprudenziale, che ha affermato, sia pure con diverse oscillazioni non sempre giustificate e convincenti, il diritto delle persone che lavorano a percepire i salariali minimi previsti dai contratti collettivi attraverso l'interpretazione combinata dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, e dell'articolo 2099, secondo comma, del codice civile; ma anche che esiste una normativa settoriale che può fare da esempio.
Per le società cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio, infatti, l'articolo 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142, prevede che « fermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300 » – cioè l'obbligo per i beneficiari di sostegni pubblici, gli appaltatori di opere pubbliche e i concessionari di pubblici servizi di applicare condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi – « le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine ».
Inoltre, per risolvere contrasti insorti nel sistema di relazioni industriali tra differenti organizzazioni delle società cooperative che avevano prodotto la stipulazione di differenti contratti collettivi con trattamenti economici molto differenziati, il legislatore è tornato sul tema disponendo, all'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, che « fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria ».
Quest'ultima previsione è stata dichiarata costituzionalmente legittima con la sentenza della Corte costituzionale 26 marzo 2015, n. 51, la quale ha espressamente affermato che « Nell'effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l'andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l'articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (articolo 36 della Costituzione) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative ».
Orbene, l'assetto che ne deriva pone un delicato problema – già rilevato dai commentatori di quella sentenza – di differenziazione ingiustificata tra la posizione giuridica dei soci lavoratori delle cooperative, cui è garantito un trattamento economico complessivo non inferiore a quello derivante dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, e quella dei dipendenti di imprese individuali o società di capitali, cui tale livello di trattamento economico è garantito con tutte le oscillazioni e le limitazioni della giurisprudenza ordinaria in tema di articolo 36 della Costituzione, cui si faceva cenno in precedenza.
In effetti, per la generalità del lavoro, al di fuori del settore cooperativo, non esiste uno strumento che dia certezza del diritto ai datori di lavoro e ai lavoratori, che contrasti efficacemente forme di competizione salariale al ribasso e che garantisca dunque la correttezza della competizione concorrenziale sul mercato da parte delle imprese.
Al contempo, il presente disegno di legge si propone di generalizzare – senza le oscillazioni e le limitazioni della giurisprudenza, sovente casuali – l'osservanza dei minimi contrattuali previsti dai contratti collettivi, deflazionando e semplificando il contenzioso in materia retributiva che grava sulla giustizia del lavoro; di sostenere per questa via l'attività di regolazione del mercato del lavoro liberamente compiuta dalle parti sociali, che sono le autorità salariali più idonee allo svolgimento del compito, senza sostituirsi ad essa; di regolare con facilità e immediatezza il tema della retribuzione proporzionata e sufficiente richiesta dall'articolo 36, primo comma, della Costituzione, senza pregiudicare l'eventuale volontà del Parlamento di dare una soluzione generale al problema dell'efficacia generale dei contratti collettivi, secondo le previsioni dei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della Costituzione medesima.
Premesso tutto questo, i punti fondamentali del disegno di legge possono sinteticamente essere riassunti come segue:

1) definizione certa, uguale per tutti i rapporti di lavoro e cogente del trattamento economico che integra la previsione costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l'obbligo che esso non sia inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, per i lavoratori subordinati, come pure per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato che presentino analoghe necessità di tutela (articoli 1 e 2 del disegno di legge);

2) garanzia dell'applicazione del contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, quale parametro esterno di commisurazione del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente ex articolo 36 della Costituzione, nel caso di esistenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili, che ovviamente le parti restano comunque libere di applicare (articolo 2 del disegno di legge);

3) garanzia dell'adeguatezza nel tempo del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l'incremento automatico dell'importo previsto dai precedenti articoli sulla base di contratti collettivi nel frattempo scaduti o disdettati, per mezzo dell'applicazione a quello dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati prodotto dall'ISTAT, con l'effetto di conservare alle parti sociali il ruolo di autorità salariali e di conservare – in caso di contrasto tra esse – un valore adeguato all'importo che il legislatore avrà considerato conforme a quanto previsto dall'articolo 36, primo comma, della Costituzione;

4) individuazione di un minimo legale inderogabile anche dalle parti sociali, per evitare che proprio i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali, possano vedere fissate retribuzione contrattuali collettive che non integrino, come talvolta ha anche riconosciuto la giurisprudenza, la previsione costituzionale di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa.

Più in particolare, l'articolo 1, comma 1, contiene la definizione della giusta retribuzione, in applicazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, facendo riferimento a un trattamento economico complessivo non inferiore a quello derivante dall'applicazione del contratto nazionale stipulato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Al comma 2 si indica un minimo fissato dalla legge, e indicizzato all'incremento dei prezzi al consumo secondo le previsioni dell'articolo 4, comma 2, per combattere la deflazione salariale che ha colpito i settori con minore potere contrattuale. Appare invece del tutto inopportuno, in quanto istituirebbe una sede di contrattazione salariale parallela che toglierebbe ruolo alla contrattazione nazionale svolta tra le parti sociali, demandare a una qualche Commissione la funzione di fissazione di tale minimo.
L'articolo 2 dispone l'applicazione delle disposizioni sulla giusta retribuzione anche ai lavoratori parasubordinati.
L'articolo 3 dispone, al comma 1, i criteri per selezionare il trattamento economico complessivo da prendere a riferimento per la fissazione del minimo ai sensi del presente disegno di legge, nel caso in cui il datore di lavoro non sia tenuto all'osservanza di alcun contratto collettivo nazionale che sia stato sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e datoriali comparativamente più rappresentative, e sia possibile applicare alla attività d'impresa svolta una pluralità di contratti collettivi. Al comma 2 si prevede il criterio per la fissazione del trattamento economico minimo per i lavoratori non subordinati.
L'articolo 4 prevede, al comma 1, il criterio per la fissazione del trattamento economico da prendere a riferimento nel caso in cui il contratto collettivo nazionale applicabile sia scaduto o sia stato disdettato, prevedendone a tal fine l'ultrattività e l'indicizzazione, mentre al comma 2, come già detto, si prevede l'indicizzazione della cifra di 10 euro all'ora indicata nell'articolo 1.
L'articolo 5 estende all'inosservanza delle previsioni del disegno di legge le conseguenze già previste per l'inosservanza dei contratti collettivi dal codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
L'articolo 6 prevede l'inderogabilità delle disposizioni previste dal disegno di legge da parte dei cosiddetti contratti collettivi di prossimità, che appare indispensabile per conservare una funzione utile all'introduzione del salario minimo legale.
L'articolo 7 punisce con sanzioni amministrative l'inosservanza delle disposizioni previste dal disegno di legge.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Definizione della retribuzione proporzionata e sufficiente)

1. In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, e fermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e da ogni altra disposizione di legge compatibile con quanto previsto dalla presente legge, i datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai soggetti con i quali intrattengono un rapporto di lavoro subordinato ai sensi dell'articolo 2094 del codice civile, compresi i contratti di prestazione occasionale di cui all'articolo 54-bis, comma 6, lettera b), del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, e, sino al loro superamento, i contratti di collaborazione di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e, comunque, complessivamente non inferiore ai minimi previsti, per le prestazioni dedotte in obbligazione o in mancanza per prestazioni analoghe dal contratto collettivo nazionale del settore o della categoria, stipulato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

2. In ogni caso, il trattamento economico minimo orario di cui al comma 1 non può essere inferiore a 10 euro lordi.

Art. 2.

(Applicazione ai contratti di lavoro autonomo)

1. In attuazione degli articoli 35, primo comma, e 36, primo comma, della Costituzione, ai lavoratori e alle lavoratrici assunti con un contratto di agenzia o di rappresentanza commerciale o con un contratto di collaborazione che preveda una prestazione d'opera coordinata e continuativa, prevalentemente personale, a carattere non subordinato, il committente è tenuto a corrispondere un compenso minimo legale consistente in un trattamento economico proporzionato al risultato ottenuto e al tempo normalmente necessario per produrlo.

2. In assenza di accordi collettivi nazionali specifici per il settore interessato, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative, il compenso di cui al comma 1 deve comunque essere complessivamente non inferiore a quello previsto nel medesimo settore per le mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati secondo le previsioni della contrattazione collettiva nazionale, in relazione al tempo normalmente necessario per ottenere la stessa opera o servizio.

Art. 3.

(Pluralità di contratti collettivi applicabili)

1. In presenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili all'attività lavorativa svolta, il trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente non può essere inferiore a quello previsto per la prestazione di lavoro dedotta in obbligazione dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria stessa.

2. Per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, il trattamento economico complessivo non può essere inferiore a quello previsto nel medesimo settore per le mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria stessa.

Art. 4.

(Definizione del trattamento economico complessivo in assenza di contratti collettivi applicabili)

1. In assenza, per scadenza o disdetta, di un contratto collettivo applicabile da prendere a riferimento ai fini della definizione del trattamento economico complessivo ai sensi dell'articolo 1, il medesimo trattamento economico complessivo non dovrà essere inferiore all'importo previsto dal contratto nazionale di categoria scaduto o disdettato, incrementato dell'importo risultante dall'applicazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati prodotto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).

2. Il minimo orario di cui all'articolo 1, comma 2, è annualmente incrementato dell'importo risultante dall'applicazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati prodotto dall'ISTAT.

Art. 5.

(Personale impiegato in lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni)

1. Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia sociale e del lavoro stabiliti dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative.

2. Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto o della concessione svolta dall'impresa anche in maniera prevalente.

3. In caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute ai sensi della presente legge, il responsabile unico del procedimento diffida per iscritto il soggetto inadempiente, e in ogni caso l'affidatario del contratto, ad adempiere entro i successivi quindici giorni. Ove i soggetti diffidati non ottemperino e non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine dei successivi quindici giorni, la stazione appaltante paga, anche in corso d'opera, direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all'affidatario del contratto ovvero, in caso di pagamento diretto, dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente.

Art. 6.

(Inderogabilità)

1. I contratti collettivi di cui all'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, non possono derogare alle disposizioni contenute nella presente legge.

Art. 7.

(Sanzioni)

1. Il datore di lavoro o il committente che corrisponde al lavoratore un compenso inferiore a quello dovuto ai sensi della presente legge, è tenuto al pagamento del salario minimo contrattualmente dovuto per effetto della stessa, ed è punito con il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 1.000 e 10.000 euro per ciascun lavoratore, in ragione della durata e dell'entità della violazione.

2. Il datore di lavoro o il committente che affida l'esecuzione di opere o la prestazione di servizi a un altro committente nella consapevolezza che quest'ultimo non rispetti quanto previsto dall'articolo 1 è punito con il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 500 e 1.000 euro per ciascun lavoratore al quale non sia stato corrisposto il trattamento economico minimo previsto dalla presente legge, in ragione della durata e dell'entità della violazione.

3. L'applicazione delle sanzioni amministrative di cui ai commi 1 e 2 comporta inoltre l'esclusione per un periodo di due anni dalla partecipazione a gare pubbliche d'appalto di opere o di servizi, dalla concessione di agevolazioni finanziarie, creditizie o contributive, o da finanziamenti pubblici di qualunque genere.