Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 24 GIUGNO 2022 (*)
Abrogazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, in materia di attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario
*) Testo non rivisto dal presentatore
Onorevoli Senatori – Il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione recita: « Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata ».
Il presente disegno di legge ne prevede l'abrogazione e, prima di spiegarne le ragioni, analizziamo alcuni aspetti circa la sua origine e l'assenza, ancora oggi, di una regolamentazione, i cui elementi di incertezza che ne conseguono consentono un accrescimento degli ambiti rimessi all'accordo delle parti, spogliando lo Stato delle competenze esclusive, in violazione dei fondamentali princìpi costituzionali.
A tal fine occorre ripercorrere preliminarmente la genesi dell'articolo 116, terzo comma, nell'ambito della riforma del titolo V.
Come evidenziato nel corso del seminario di studi e ricerche parlamentari « Silvano Tosi » dell'Università degli studi di Firenze tenutosi nel febbraio 2020, tutte le proposte di riforma costituzionale del modello originario di regionalismo non hanno avuto successo. Il tentativo della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali presieduta da Massimo D'Alema si era arenato, ma la spinta verso una riforma organica sull'autonomia regionale non si arrestava e, anzi, nella medesima legislatura, si arrivava alla riforma del titolo V, già a partire dal 1999.
L'autonomia regionale delle regioni a statuto ordinario fu valorizzata con la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle regioni), che riformava articolo 123, prevedendo che « ciascuna regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento [e] regola l'esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali », nonché una particolare procedura per l'approvazione dello statuto.
Lo statuto, da questo momento in poi, diviene fonte regionale non più destinata ad avere la forma di legge dello Stato e vede ampliati i propri contenuti fino a ricomprendere la disciplina della forma di governo; al tempo stesso, la regione vede alleggeriti i limiti che incontra nell'esercizio della sua autonomia statutaria, rimanendo solo quello riferito all'« armonia con la Costituzione » e scomparendo quello rappresentato dalle leggi dello Stato.
La legge costituzionale n. 1 del 1999 estendeva la potestà legislativa regionale anche alla materia elettorale. All'articolo 122 si prevede, infatti, che « il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi » e che « il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto ».
L'elezione diretta del presidente della Giunta è stabilita soltanto in forma generale dalla Costituzione, perché derogabile dalle regioni nei rispettivi statuti. L'intento della nuova disciplina era quello non solo di rafforzare l'autonomia statutaria ma anche quello di stabilizzare la forma di governo regionale.
La legge costituzionale n. 1 del 1999 ha perciò previsto una maggiore autonomia statutaria per le regioni ordinarie e, in particolare, con riferimento alla materia elettorale, ha previsto che ogni regione abbia la facoltà di disporre una normativa diversa da quella « generale » dettata in Costituzione, all'articolo 123. Un primo momento di « differenziazione » tra le singole regioni può essere ravvisato proprio in questa disciplina, in cui può aversi una normativa variabile di regione in regione.
Questi maggiori ampliamenti dell'autonomia statutaria delle regioni a statuto ordinario crearono una situazione di maggiore favore per queste ultime rispetto a quella delle regioni a statuto speciale, tanto da indurre il Parlamento ad approvare un'ulteriore legge costituzionale che riequilibrò le rispettive posizioni. La più estesa revisione costituzionale mai compiuta fu attuata tuttavia con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 31, il cui iter parlamentare fu lungo e certamente tormentato. Questa riforma riguardò le competenze legislative, amministrative e finanziarie delle regioni, e coinvolse anche l'articolo 116 della Costituzione.
I progetti di legge, avanzati in Parlamento, che portarono alla revisione costituzionale del titolo V furono influenzati dai lavori della citata Commissione bicamerale presieduta da Massimo D'Alema, poiché « alcune esigenze emerse nel corso del dibattito innescato dal suo operato restavano più che mai attuali ed urgenti ».
Da un'analisi attenta delle iniziative mirate a modificare il titolo V, si può ricavare come l'articolo 116 sia stato sempre oggetto di attenzione, sia in senso « conservativo », sia in senso del tutto « innovativo » del ruolo delle autonomie speciali.
Le prime proposte di revisione costituzionale dell'articolo 116 miravano, infatti, ad eliminare la differenziazione tra regioni speciali e ordinarie ed estendere forme e condizioni di autonomia anche a quest'ultime, seppur in un dibattito che è risultato scarno tanto nell'uno quanto nell'altro ramo del Parlamento. A tal proposito, si afferma che il terzo comma dell'articolo 116 nasce « proprio per contrastare le richieste di alcune regioni ordinarie di godere anch'esse di uno statuto speciale ».
La prima proposta di legge costituzionale presentata (AC 4462, d'iniziativa della deputata Poli Bortone, presentata alla Camera dei deputati il 20 gennaio 1998), prevedeva, all'articolo 1, che tutte le regioni potessero godere di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali approvati con legge costituzionale, con la possibilità di articolarsi in province autonome. In tal senso, sembravano procedere altre proposte: si veda la proposta di legge costituzionale d'iniziativa del Consiglio regionale del Veneto (AC 5036 presentato il 26 giugno 1998) che prevedeva di estendere uno statuto speciale a tutte le regioni che lo avessero richiesto; si veda, infine, la proposta presentata dai deputati Contento ed altri (AC 5181 presentato il 28 luglio 1998), che prevedeva non solo la possibilità per ogni regione di dotarsi di statuti speciali idonei e calibrati alle proprie esigenze, ma anche una disciplina transitoria di ampliamento delle autonomie regionali ordinarie.
Altre proposte miravano a mantenere il dualismo regionale, ma prevedendo l'assegnazione, « per le altre regioni » ordinarie, di competenze specifiche in settori specifici, e altre ancora che ricalcavano la formulazione del testo presentato dalla citata Commissione bicamerale del 1997 e approvato dalla Camera dei deputati.
Sotto il profilo procedimentale tutte le proposte prevedevano la necessità che l'autonomia concessa fosse prevista con legge approvata a maggioranza assoluta dalle Camere, in base ad una intesa Stato-regione sottoponibile a referendum confermativo su base regionale.
Un primo testo fu poi approvato dal Comitato ristretto, interno alla I Commissione permanente « Affari costituzionali », il 13 ottobre 1999, che prevedeva che « forme e condizioni particolari di autonomia, che non concernono le materie di cui al secondo comma dell'articolo 117, possono essere stabilite anche per altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa con la regione interessata, ed è sottoposta a referendum limitato ai cittadini elettori della regione stessa. Non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi ».
L'attuale versione definitiva dell'articolo, così come lo conosciamo oggi, prendeva le mosse da una proposta che mirava all'abolizione delle regioni a statuto speciale, con la contestuale previsione di un regime di differenziazione applicabile, invece, a tutte le regioni. L'attuale terzo comma nasceva con l'intento di sostituire interamente l'articolo 116, prevedendo che « ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate al secondo comma del medesimo articolo alle lettere m), q) e i), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, possono essere attribuite ad ogni regione, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti sulla base di un'intesa con la regione interessata ». Quest'ultima proposta venne riformulata a seguito di un subemendamento e poi approvata, divenendo da sostitutiva ad aggiuntiva dell'articolo 116, lasciando invariata la previsione delle regioni speciali di cui al primo comma. Una modifica sicuramente più rilevante che costituisce una risposta a tutte quelle istanze che richiedevano l'equiparazione dell'autonomia ordinaria a quella speciale.
Dopo essere stato esaminato anche dal Senato, il testo divenne, pertanto, la parte aggiuntiva dell'articolo 116 e il suo attuale terzo comma, per poi essere riapprovato, in seconda deliberazione, dalla Camera dei deputati, il 28 febbraio 2001, e dal Senato, l'8 marzo dello stesso anno.
Dal testo finale è sparito il riferimento al referendum della legge rinforzata che prevede forme e condizioni ulteriori di autonomia, sostituito dalla consultazione degli enti locali, di cui la regione sembra dover esprimere le relative istanze.
Il terzo comma dell'articolo 116 elenca poi specificatamente le materie rispetto alle quali l'autonomia può essere concessa, estendendole non solo a quelle sottoposte alla cosiddetta competenza concorrente, ma anche rispetto ad alcune riservate alla competenza esclusiva statale. Queste due particolarità differenziano il testo finale dell'articolo 116, terzo comma, rispetto alle proposte di riforma avanzate dalla Commissione bicamerale D'Alema e dal testo presentato dalla bicamerale e approvato dalla Camera dei deputati.
Il modello duale tracciato originariamente dalla Costituzione risulta, dunque, complicato dall'inserimento del terzo comma dell'articolo 116, delineando un ulteriore e terzo tipo di regionalismo, che si aggiunge a quello storico previsto per le cinque regioni a statuto speciale e a quello ordinario, di diritto comune, previsto per tutte le altre regioni.
La riforma si inseriva in un contesto in cui il disegno di organizzazioni politiche asimmetriche o differenziate interessava vari modelli autonomistici, in maniera più o meno intensa, inserendosi in una tendenza che sembra essere qualcosa di più di una contingenza italiana, dovuta alla pretesa di questa o quella regione ma, piuttosto, in un assetto di competenze configurato su misura rispetto al protagonismo che caratterizza le singole comunità politiche.
All'indomani della riforma del titolo V, e all'introduzione della previsione costituzionale relativa al cosiddetto regionalismo differenziato, poche sono state le regioni che hanno avanzato proposte per richiedere « ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ». Nessuno dei tentativi intrapresi, però, è giunto a compimento.
Merita inoltre una riflessione la procedura di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Come evidenziato nell'ambito dello studio di Elisa Tira (L'attuazione del regionalismo differenziato e il ruolo del Parlamento nella stipula delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in NOMOS. Le attualità del diritto, n. 3 del 2020), l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, stabilisce solo che le « ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia », che possono essere devolute alle regioni ordinarie, vengono attribuite « con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119 » e che tale legge « è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata ». Tale disposizione quindi si limita a prevedere che la legge è adottata « sulla base » di un'intesa tra lo Stato e la regione interessata, alludendo in questo modo ad un procedimento di natura negoziale.
Sin da principio, quindi, è emerso come uno dei principali nodi da sciogliere sia costituito dall'individuazione del procedimento da seguire per attribuire ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni ordinarie in assenza di una disciplina legislativa di attuazione del disposto dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Questo aspetto è stato sottolineato anche dalla Commissione parlamentare bicamerale per le questioni regionali, che nella XVII legislatura ha esaminato e monitorato il processo in corso svolgendo un'approfondita indagine conoscitiva « Sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle recenti iniziative delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna », culminata nell'approvazione di un documento conclusivo il 6 febbraio 2018.
In quella sede, l'assenza di regolamentazione non è stata ritenuta ostativa alla realizzazione del regionalismo differenziato. Al contrario, è stato evidenziato come dagli elementi di incertezza che ne conseguono derivi piuttosto un ampliamento degli ambiti rimessi all'accordo delle parti. In particolare, la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha posto in rilievo i seguenti profili:
a) l'ampio margine di autonomia delle regioni circa la modalità per l'attivazione della procedura, che può vedere come protagonista la Giunta nel sollecitare l'avvio del negoziato con il Governo, ovvero il Consiglio regionale, che può approvare una proposta di legge statale;
b) il coinvolgimento del Consiglio delle autonomie locali, al fine di adempiere alla previsione costituzionale secondo cui occorre acquisire l'orientamento degli enti locali della regione interessata;
c) la « inemendabilità » della legge parlamentare di recepimento dell'intesa, in conseguenza della immodificabilità del testo dell'intesa stessa;
d) la possibilità di prevedere un'eventuale retrocessione allo Stato delle attribuzioni di maggior autonomia concesse alle regioni.
Tutto ciò conferma come il tema centrale sotteso all'attuazione del regionalismo differenziato riguardi gli aspetti procedurali relativi alle modalità di approvazione dell'intesa di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, e in particolare « con quale modalità possa essere coinvolto il Parlamento nella formazione dell'atto, e magari anche prima che lo stesso sia sottoposto all'intesa, in modo da garantire una partecipazione consapevole e responsabile delle Assemblee legislative ».
La disposizione costituzionale in questione non indica infatti, come è noto, quale sia nel dettaglio il procedimento da adottare per la definizione dell'intesa né le conseguenti implicazioni sull'iter parlamentare di approvazione della relativa legge di recepimento.
Pertanto, sono numerose le implicazioni derivanti dall'assenza di una legge di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, e non vi è un vero e proprio procedimento che possa assicurare un metodo uniforme di stipulazione dell'intesa tra lo Stato e le diverse regioni interessate, nonché adeguate forme di partecipazione del Parlamento alla definizione dell'intesa stessa.
Il procedimento di natura negoziale tra il Governo e la regione interessata fa sì che il ruolo del Parlamento viene ridotto ad un « generico sindacato politico » delle scelte effettuate dal Governo, spettando al titolare della funzione legislativa – peraltro, fortemente incisa nel caso dell'attuazione del regionalismo differenziato – l'approvazione o meno con legge delle relative intese.
Occorrerebbe, quindi, individuare un procedimento che assicuri la partecipazione effettiva del Parlamento al processo di attuazione del regionalismo differenziato, nel rispetto delle sue prerogative costituzionali e che, soprattutto, tenga conto della necessità di evitare l'interruzione dell'iter parlamentare, per procedere alla rinegoziazione dell'intesa, nel caso in cui le Camere non condividano in tutto o in parte il contenuto essenziale dell'intesa stessa.
Quanto alle ragioni dell'abrogazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, occorre considerare che, oltre alle tante criticità formali, legate alla natura e alle caratteristiche peculiari dell'iter di approvazione della legge di attribuzione delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni ordinarie, vi sono anche da considerare aspetti, per niente trascurabili, di natura sostanziale, che riguardano i princìpi fondamentali sanciti dagli articoli 2, 3 e 5 della Costituzione.
Il principio fondamentale di unitarietà e indivisibilità della Repubblica, che riconosce e promuove le autonomie locali e attua il più ampio decentramento amministrativo nei servizi che dipendono dallo Stato, che assicura al contempo l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, oltre al rispetto del principio di eguaglianza, formale e sostanziale, non è compatibile con le forme di autonomia introdotte dal legislatore costituzionale del 2001, che per altro non sono nemmeno connesse e pertinenti a esigenze e a particolarità del territorio regionale per il quale vengono richieste, con il risultato che nelle diverse regioni vi sarebbero discipline legislative differenti pur senza una differenza in fatto. Trattare in modo diverso situazioni uguali (così come trattare in modo uguale situazioni diverse) è una inammissibile violazione del principio di uguaglianza. Pertanto, una potestà legislativa autonoma che non si fondi su reali peculiarità territoriali è costituzionalmente inammissibile e costituisce una forma di secessione di fatto.
L'articolo 116, terzo comma, offre un ampio ventaglio di competenze attribuibili alle regioni, consentendo a ciascuna di esse di avanzare richieste sulla base della propria peculiare condizione dal punto di vista territoriale, demografico, culturale, sociale ed economico. Tuttavia tali richieste, ad avviso della dottrina, possono essere fatte soltanto qualora, per la valorizzazione delle peculiarità delle singole regioni, la competenza legislativa concorrente non risulti sufficiente. In questo modo, dalla differenziazione dovrebbe conseguire un panorama sfaccettato, diverso da caso a caso, dal momento che le peculiarità regionali non possono, per definizione, essere ovunque le stesse e che, in ogni caso, non sempre sono suscettibili di esprimersi con la medesima « intensità ».
Alla luce di quanto affermato, è da ritenere che le richieste delle regioni Veneto (attribuzione di 23 materie) e Lombardia (attribuzione di 20 materie) siano eccessive o, quantomeno, non rispondenti allo spirito del 116, terzo comma, poiché tali regioni hanno concretamente reclamato pressoché tutte le competenze « astrattamente reclamabili » e, in tal modo, si rischia di trasformare l'autonomia da strumento di realizzazione di sottostanti istanze materiali concrete, in valore in sé. Infatti, attribuire a una regione ordinaria tutte le competenze astrattamente trasferibili, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, sembrerebbe collidere con il dettato costituzionale, il quale invece permette di dirigersi verso ulteriori forme e condizioni, ciò in ragione della circostanza per cui vanno dimostrati gli interessi peculiari da soddisfare per ogni singola regione e che tendenzialmente non sembrano poter concretamente coincidere con tutte le materie.
Senza la previsione di limiti al regionalismo differenziato, circoscritti alle specificità regionali, si avrebbe solo una mera frammentazione di asset strategici per l'unità del Paese: scuola, lavoro, autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, beni culturali di primario rilievo e quant'altro. Senza una concreta definizione di costi e fabbisogni standard, si procederebbe con il concetto di spesa storica, inglobando tutte le intollerabili diseguaglianze esistenti. Se venisse consentito a Governo e singole regioni di contrattare il finanziamento delle funzioni, anche con riferimento ai tributi erariali maturati nel territorio regionale, si favorirebbero solo i territori più ricchi.
Qualora si attuasse l'autonomia differenziata, lo Stato non avrebbe più le risorse economiche necessarie per dare attuazione all'articolo 119, nella parte in cui la norma costituzionale prevede l'istituzione di un « Fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante ». Le regioni tratterrebbero larga parte del gettito fiscale generato nel territorio regionale. Il Veneto, ad esempio, tratterebbe il 90 per cento del gettito prodotto dai cittadini e dalle imprese che sono in quella regione, cioè circa 40 miliardi l'anno sottratti alle casse dello Stato. La Lombardia tratterrebbe oltre 100 miliardi e l'Emilia-Romagna 43. In totale si registrerebbe una diminuzione per l'Erario di oltre 180 miliardi annui sui 750 che costituiscono l'ammontare del bilancio annuale dello Stato.
Lo squilibrio territoriale già oggi esistente verrebbe inevitabilmente accentuato dalla autonomia differenziata che costringerebbe la Repubblica ad abdicare al proprio compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona e la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, secondo il fondamentale disposto dell'articolo 3, secondo comma della Costituzione.
Il presente disegno di legge costituzionale intende mantenere il giusto equilibrio nel riparto di potestà legislative tra lo Stato e le regioni, così come previsto dai princìpi fondamentali della Costituzione. Per tale ragione si abroga il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, che mette a rischio l'unità della Repubblica, una e indivisibile, l'eguaglianza e la parità dei diritti dei cittadini, preservando le autonomie speciali già esistenti che trovano fondamento in specifiche condizioni geografiche, storiche e culturali.
Art. 1.
1. All'articolo 116 della Costituzione, il terzo comma è abrogato.