Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 SETTEMBRE 2018 (*)
Modifiche all'articolo 71 della Costituzione in materia di iniziativa legislativa popolare
*) Testo non rivisto dal presentatore
Onorevoli Senatori. – Le istituzioni rappresentative in Italia e, più in generale, nelle democrazie moderne incontrano innumerevoli difficoltà nel rispondere ai bisogni e alle domande dei cittadini. Il senso di sfiducia nelle istituzioni rappresentative, che si riscontra in tutto l'Occidente, non solo si traduce in disaffezione e disimpegno dalla vita politica, ma esprime anche una grande domanda di maggiore e migliore partecipazione e coinvolgimento da parte dei cittadini, che credono nella democrazia intesa come arricchimento dell'individuo e ricerca delle soluzioni più ampiamente condivise per le questioni pubbliche.
Per rispondere a queste esigenze occorre potenziare e rendere effettivi gli strumenti di democrazia diretta, in modo da sollecitare una più ampia e reale partecipazione dei cittadini alla vita politica e avvicinare così l'Italia alle esperienze di altri Paesi avanzati.
Gli istituti di democrazia diretta rappresentano, infatti, un pilastro importante in altre democrazie, a partire dalla Svizzera dove si parla di «iniziativa popolare» e dagli Stati Uniti dove in molti Stati, come ad esempio la California, «proposition» e «initiative» sono stati accolti e applicati.
Non si tratta, quindi, di un fenomeno contingente, se è vero che già da molti anni si registra la tendenza negli Stati democratici a valorizzare gli istituti di democrazia diretta, fra i quali occupano un ruolo centrale il referendum nelle sue svariate forme e l'iniziativa legislativa popolare.
L'iniziativa popolare del resto è una componente essenziale dei diritti politici di cui tutti i cittadini dovrebbero godere. Si tratta di quel procedimento di democrazia diretta che consente a un prescritto numero di cittadini di porre la propria proposta all'ordine del giorno delle Camere e di chiederne l'approvazione.
Ciò consente ai cittadini di partecipare alle scelte politiche del Paese e conferisce loro un maggiore potere di controllo sulle attività dei rappresentanti. In particolare, favorisce l'interesse e la conoscenza dei cittadini con riguardo alle diverse tematiche politiche e sviluppa un comune e condiviso senso di responsabilità, consentendo loro di acquisire maggior dimestichezza nei confronti dell'attività legislativa. Allo stesso tempo, la democrazia diretta induce i rappresentanti a una maggior trasparenza e contribuisce all'efficienza delle istituzioni, aumentando la loro capacità di dare risposte alle domande che provengono dalla società in tal modo accrescendo l'equità nella gestione del potere politico e persino lo sviluppo della crescita economica del Paese. La democrazia diretta, infine, fa da argine ad alcuni aspetti degenerativi della democrazia rappresentativa: tendenze spartitorie dei partiti; creazione di privilegi a favore dei governanti; incremento degli apparati burocratici e dipendenza dalle lobby. L'ottica, pertanto, non è quella di una contrapposizione tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, ma quella di un reciproco completamento.
Per queste ragioni, il presente disegno di legge costituzionale, nel modificare l'articolo 71 della Costituzione, intende introdurre un'iniziativa legislativa popolare rafforzata dal fatto che ad essa può seguire una consultazione popolare e risponde al duplice obiettivo di promuovere e rafforzare la democrazia diretta e, nel medesimo tempo, di valorizzare il ruolo del Parlamento nella sua capacità di ascolto, di interlocuzione, di elaborazione di proposte in grado di rispondere sempre più efficacemente alle domande che vengono poste, appunto, su iniziativa popolare.
Il primo comma del testo vigente dell'articolo 71 della Costituzione riguarda quella che viene definita «iniziativa legislativa istituzionale», poiché individua, direttamente o indirettamente, tutti gli organi dello Stato legittimati a presentare proposte di legge. Prevede, dunque, che «l'iniziativa delle leggi» appartiene «al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale».
Il secondo comma dell'articolo 71 stabilisce che «il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli». Questo secondo comma, tuttavia, ha trovato scarsa applicazione, soprattutto per quanto concerne il momento finale, quello dell'approvazione. Molti dei progetti di legge popolari non sono stati nemmeno esaminati dalle Camere e solo in minima parte le proposte sono state trasformate in legge, peraltro grazie al fatto di essere state abbinate a proposte di legge di iniziativa parlamentare.
Vale la pena ricordare come, in diverse forme, queste tematiche sono state affrontate nelle proposte della «Commissione Bicamerale D'Alema», nella relazione della Commissione di studio per le riforme istituzionali istituita nel 2013 (presieduta dal Ministro Quagliariello) e nell'ultima riforma costituzionale approvata nella scorsa legislatura.
La scelta di fondo a cui si ispira il presente disegno di legge costituzionale è dunque quella di potenziare la disciplina in materia di iniziativa legislativa popolare, dando nuova linfa alla nostra democrazia rilanciando la partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese. L'obiettivo è quello di rinnovare il sistema politico potenziando l'apporto diretto dei cittadini alle scelte fondamentali e, nello stesso tempo, valorizzando la capacità del Parlamento di rappresentare le istanze dei cittadini.
Nella logica di un rafforzamento dell'iniziativa legislativa popolare, il disegno di legge costituzionale incide sull'istituto, non diversamente da quanto succede in Svizzera anche se, in quel contesto, l'iniziativa popolare ha sempre la forma di una revisione costituzionale, mentre nella presente proposta è limitata a proposte di legge ordinaria.
Il disegno di legge costituzionale interviene, pertanto, sull'articolo 71 della Costituzione e aggiunge alcuni nuovi commi dopo il secondo: in particolare, si prevede che l'iniziativa legislativa popolare, qualora supportata da un consistente numero di firme, almeno cinquecentomila elettori, debba necessariamente essere esaminata dalle Camere e approvata entro un termine congruo, previsto in diciotto mesi. Qualora la proposta non venga approvata dalle Camere entro quel termine, su di essa viene indetto un referendum se i promotori non rinunciano alla consultazione popolare e quando la Corte costituzionale lo giudica ammissibile.
La proposta popolare sarà quindi sottoposta a referendum nel caso in cui le Camere non la approvino entro il termine ragionevolmente lungo previsto. Tale previsione vuole rappresentare uno strumento di stimolo e impegno per l'attività delle Camere. Inoltre, si intende dare risalto e rilievo al confronto e al rapporto tra cittadini e istituzioni parlamentari: convergere con un accordo su un diverso testo può indurre i promotori a rinunciare alla consultazione popolare, così che il referendum non si tenga nel caso si trovi un'intesa.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati così come previsto dall'articolo 75 della Costituzione in materia di referendum abrogativo.
Il disegno di legge costituzionale interviene, inoltre, sotto due punti di vista: il numero di firme richiesto, volto ad attestare che la proposta popolare sia avvertita come rilevante dalla pubblica opinione, e la previsione di tempi certi per la discussione e la deliberazione in Assemblea, per restituire finalmente importanza e dignità istituzionale alle proposte dei cittadini.
La modifica proposta all'articolo 71 delinea poi con chiarezza i limiti posti all'iniziativa legislativa popolare, prevedendo infatti, espressamente, che essa non sia ammissibile «se la proposta non rispetta i diritti e i princìpi fondamentali garantiti dalla Costituzione nonché i vincoli europei e internazionali, se non ha contenuto omogeneo e se non provvede ai mezzi per far fronte a nuovi o maggiori oneri».
L'istituto dunque incontra alcuni limiti.
Esplicitamente esso è escluso per le proposte di revisione costituzionale essendo limitato alla «legge ordinaria». Allo stesso modo esso non è ammissibile se è in contrasto con «i princìpi e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione» nell'accezione lata usata dalla Corte costituzionale che va ben oltre i «princìpi fondamentali» di cui agli articoli da 1 a 12.
Sempre in armonia con la giurisprudenza costituzionale in materia di referendum, anche il nuovo istituto deve considerarsi escluso altresì laddove la Costituzione prevede procedure legislative speciali, come ad esempio con riguardo alle leggi di cui all'articolo 8, di amnistia e indulto e anche di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, in materia autonomia differenziata, o nelle ipotesi ove sia prevista una iniziativa legislativa riservata come nel caso della legge di bilancio. Quanto alle leggi di autorizzazione alla ratifica dei Trattati, è evidente che il nuovo strumento è inutilizzabile sia per i Trattati già ratificati (perché la loro abrogazione resterebbe vietata dall'articolo 75) che ovviamente per i Trattati non ancora conclusi. Resta una sola ipotesi residua, quella cioè di Trattati già conclusi ma non ancora ratificati. In questo caso sarebbe ammessa l'iniziativa popolare, la quale si chiuderebbe peraltro senza referendum, laddove il Parlamento approvasse la legge di autorizzazione alla ratifica.
In particolare, sull'ammissibilità del referendum viene previsto che decida la Corte costituzionale su istanza dei promotori anche prima della presentazione della proposta popolare alle Camere, purché siano state raccolte almeno centomila firme. Tale previsione consente di anticipare il controllo sull'ammissibilità del referendum al momento in cui i promotori abbiano raccolto almeno centomila firme, consentendone lo svolgimento in parallelo con la prosecuzione della raccolta delle firme. Ciò perché si ritiene che attendere la raccolta di tutte le firme prima di addivenire al controllo della Corte possa comportare uno «spreco» di mobilitazione civile; mentre, viceversa, anticipare troppo il controllo rischierebbe di «ingolfare» la Corte costituzionale.
Si tratta, pertanto, di un giudizio di ammissibilità, così escludendo l'introduzione di un controllo di costituzionalità preventivo, estraneo al nostro sistema di accertamento dell'incostituzionalità della legge. Il controllo della Corte costituzionale dovrà estendersi non solo a una verifica della compatibilità della proposta con i diritti e i princìpi fondamentali protetti e garantiti dalla Costituzione ma anche con gli obblighi europei ed internazionali. La Corte dovrà vagliare altresì che la proposta abbia contenuto omogeneo, che essa cioè si presti ad essere valutata con un sì o con un no da parte degli elettori, secondo uno schema che essa già impiega in relazione all'ammissibilità del referendum abrogativo. Un tema particolarmente delicato è costituito dalle iniziative legislative che comportino nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. È esclusa l'ammissibilità di un simile istituto quando la proposta popolare non provveda alla relativa copertura finanziaria.
Si dispone, poi, che la proposta sottoposta a referendum è approvata se ottiene la maggioranza dei voti validi.
Particolarmente rilevante, nella prospettiva di realizzazione del circuito virtuoso tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, è la previsione, introdotta al penultimo comma, che nel caso le Camere approvino la proposta in un testo diverso da quello presentato dai promotori e questi non vi rinuncino, il referendum sia indetto su entrambe le proposte.
Il disegno di legge costituzionale prevede pertanto che, qualora le Camere approvino una proposta che non induca il Comitato promotore a rinunciare al referendum, vengano portati a consultazione entrambi i testi, quello di approvazione parlamentare e quello di iniziativa popolare. In questo modo, si lascia spazio al Parlamento per elaborare una soluzione che potrebbe rivelarsi più meditata ed equilibrata di quella proposta dai promotori, senza che costoro siano posti in una posizione di forza per il solo fatto di aver raccolto il numero di sottoscrizioni prescritto. In via generale, si tratta del sistema adottato nella Confederazione elvetica, sulla base del quale, non a caso, nel 90 per cento dei referendum gli elettori preferiscono la soluzione parlamentare a quella di iniziativa dei promotori, in genere giudicata eccessivamente radicale. Sulla base di questo disegno dell'istituto, in effetti, il Parlamento non sarebbe affatto escluso dalla nuova procedura di democrazia diretta ed, anzi, potrebbe uscirne rafforzato nella sua legittimazione ed autorevolezza.
Nelle ipotesi in cui siano sottoposte al referendum sia la proposta dei promotori che quella parlamentare, all'elettore è data la possibilità di esprimersi a favore di entrambe le proposte e, in questo caso, gli è riconosciuta la possibilità di indicare tra le due la proposta preferita. Se tutte e due le proposte ottengono la maggioranza dei voti validi, è approvata quella che ha ottenuto complessivamente più voti.
Infine, con l'ultimo comma, si rinvia alla legge ordinaria la determinazione delle modalità di attuazione delle modifiche introdotte.
Art. 1.
1. All'articolo 71 della Costituzione sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
«Quando una proposta di legge ordinaria è presentata da almeno cinquecentomila elettori e le Camere non l'approvano entro diciotto mesi dalla sua presentazione, è indetto un referendum per deliberarne l'approvazione qualora i promotori non vi rinuncino e la Corte costituzionale lo giudichi ammissibile.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
Il referendum non è ammissibile se la proposta di legge non rispetta i princìpi e i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione nonché i vincoli europei e internazionali, se non ha contenuto omogeneo e se non provvede ai mezzi per far fronte a nuovi o maggiori oneri che essa importi.
Sull'ammissibilità del referendum la Corte costituzionale giudica su istanza dei promotori anche prima della presentazione alle Camere della proposta di legge, purché la proposta sia stata sottoscritta da almeno centomila elettori.
La proposta di legge sottoposta a referendum è approvata se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi.
Se le Camere approvano la proposta di legge in un testo diverso da quello presentato e i promotori non vi rinunciano, il referendum è indetto su entrambi i testi. In tal caso l'elettore che esprime un voto favorevole su entrambi ha facoltà di indicare il testo che preferisce. Se entrambi i testi ottengono la maggioranza dei voti validamente espressi, è approvato quello che ha ottenuto il maggior numero di voti.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum previsto dal presente articolo».