Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 23 MARZO 2018
Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, concernenti il sostegno alla maternità e l'introduzione del congedo di paternità obbligatorio
Onorevoli Senatori. – In Italia, l'impatto della genitorialità sulla partecipazione al mercato del lavoro è fortemente ancorata al genere, a causa soprattutto dello sbilanciamento nella ripartizione del carico di lavoro domestico e di cura della famiglia e dei figli, ancora squilibrata a sfavore delle donne. L'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sottolinea che la maternità continua a penalizzare le donne, sia in termini di accesso al lavoro, sia in termini di salario, perché la pressione sociale costringe le donne a essere le principali responsabili della cura domestica.
I dati forniti dal Parlamento europeo dimostrano che le donne (sebbene le laureate superino i laureati) restano sottorappresentate nel mercato del lavoro: il 30 per cento non solo lavora part-time, ma è anche maggiormente propenso ad affrontare interruzioni di carriera per dedicarsi alle responsabilità familiari e, non a caso, la percentuale delle donne che lasciano il lavoro tende a salire con l'aumentare del numero dei figli.
Se confrontati con quelli relativi al resto d'Europa, i dati sull'occupazione femminile in Italia sono ancora più preoccupanti: stando ai dati pubblicati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nel secondo trimestre 2020, il tasso di occupazione delle donne ammonta al 48,4 per cento, contro il 66,6 per cento degli uomini, e il divario di genere è più marcato rispetto alla media dell'Unione europea (72,1 per cento contro 61,7 per cento) e agli altri grandi paesi europei. Questi dati tengono conto anche degli effetti dell'emergenza sanitaria da COVID-19, che ha esercitato un forte impatto sull'organizzazione familiare, con significativi riflessi sui carichi di cura e sugli equilibri di convivenza familiare. L'Italia è penultima in Europa, davanti solo alla Grecia e, nel caso delle madri, la situazione peggiora: l'11,1 per cento delle donne con almeno un figlio non ha mai lavorato, un dato che è quasi tre volte la media europea, pari al 3,7 per cento, e che, insieme all'interruzione lavorativa, riguarda quasi esclusivamente il sesso femminile. La presenza di figli ha dunque un effetto non trascurabile sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro, specie quando i figli sono in età prescolare, e la situazione peggiora nel Mezzogiorno, dove lavora solo il 34,1 per cento delle donne tra i 25 e i 49 anni con figli piccoli, contro il 60,8 per cento del Centro e il 64,3 per cento del Nord.
Questi risultati sono la conseguenza di forti discriminazioni nel mondo del lavoro, di squilibri nei carichi familiari tra madri e padri, spesso legati a vecchi stereotipi culturali, e delle scarse possibilità di conciliare gli impegni domestici con il lavoro, soprattutto a causa dell'insufficienza di investimenti in servizi per la prima infanzia e in politiche per la conciliazione.
Il basso tasso di occupazione femminile, in generale, e delle donne con figli piccoli, in particolare, potrebbe subire un incremento se venissero introdotte misure volte a migliorare la conciliazione vita-lavoro e la divisione del lavoro di cura tra uomo e donna. A tal fine, strumenti legislativi come il congedo di paternità e il congedo parentale sono fondamentali, in quanto facilitano il recupero delle donne, sviluppano l'attitudine alla cura dei padri, migliorando la relazione con i figli anche nei primi mesi di vita e contribuiscono a incrementare l'occupazione femminile, aumentando il benessere dell'intera famiglia. Inoltre, il congedo parentale, se utilizzato dai padri, può aiutare anche a ridurre i fenomeni di discriminazione di genere nel mercato del lavoro. Tuttavia, è necessario che il periodo di congedo sia anche ben retribuito. In Italia, alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta un'indennità pari solo al 30 per cento della retribuzione media giornaliera, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi e fino al sesto anno di vita del bambino. Per i periodi di congedo parentale ulteriori, quindi oltre il sesto anno del minore, il congedo parentale è retribuito nella stessa misura fino all'ottavo anno di vita del bambino, mentre dall'ottavo al dodicesimo anno di vita del figlio, anche se fruibile, il congedo non è più retribuito.
Eppure, le esperienze negli Stati europei dimostrano che il livello di retribuzione durante il congedo parentale costituisce uno dei fattori principali che ne influenzano l'esercizio, soprattutto da parte degli uomini. Nel caso in cui, infatti, il congedo sia facoltativo e consenta ai genitori di decidere chi dei due debba usufruirne, generalmente è utilizzato da chi ha un'entrata economica più bassa, vale a dire dalle donne (le donne europee guadagnano in media il 16 per cento in meno rispetto ai colleghi uomini). Al contrario, laddove il congedo è riconosciuto come diritto individuale (non trasferibile) ed è relativamente ben retribuito, l'uso che ne fanno i padri è maggiore. Tale dato trova riscontro nei paesi del Nord Europa, come Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia, le cui legislazioni prevedono un congedo parentale pensato come diritto individuale del singolo genitore e livelli di retribuzione che arrivano, nel caso della Norvegia, fino al 100 per cento del salario percepito.
Nell'ambito dell'Unione europea, dall'esame dei diversi interventi di carattere politico-programmatico e anche normativo, che si sono succeduti nel corso del tempo, emerge che il buon equilibrio tra attività professionale e familiare è considerato fondamentale per ridurre i divari occupazionali tra donne e uomini e per migliorare la qualità dell'ambiente di lavoro, contribuendo contestualmente ad affrontare il problema dei cambiamenti demografici. Per raggiungere tali obiettivi, l'Unione europea ha più volte incitato gli Stati membri a interventi incisivi, finalizzati a combattere antichi stereotipi culturali legati alla differenza di genere e a incoraggiare gli uomini ad assumersi le proprie responsabilità all'interno della sfera familiare e domestica. Tra gli strumenti considerati fondamentali per l'affermazione di nuove relazioni di genere, rientra la promozione dei congedi parentali (e di paternità), il cui vantaggio complessivo è quello di contribuire a ridurre, comparativamente ad altre misure di conciliazione, il divario di genere e di promuovere un più significativo sviluppo sociale.
In particolare, l'istituto del congedo parentale viene introdotto per la prima volta dalla direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996, che ha previsto un periodo minimo di congedo parentale di tre mesi (da attribuirsi in forma non trasferibile) per la nascita o l'adozione di un bambino, fino a un'età non superiore agli otto anni. Successivamente, in revisione dell'Accordo quadro tra le parti sociali del 1994, la direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell'8 marzo 2010, ha esteso il congedo parentale ad un periodo minimo di quattro mesi per i lavoratori di ambo i sessi, allo scopo di agevolare la conciliazione delle responsabilità familiari e professionali dei genitori che lavorano e la parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro. Da ultimo, la direttiva UE 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019 (che abroga la precedente direttiva 2010/18/UE), oltre a prevedere disposizioni minime in materia di congedo parentale, introduce per la prima volta il diritto al congedo di paternità, anche allo scopo di consentire un'instaurazione precoce del legame tra padre e figlio. A tal fine, gli Stati membri sono chiamati, entro il 2022, a modificare le loro legislazioni nazionali, al fine di permettere al padre di godere di almeno dieci giorni lavorativi di congedo obbligatorio di paternità retribuito dopo la nascita del figlio e che i quattro mesi di congedo parentale già previsti in precedenza possano essere fruiti fino agli otto anni di età del bambino. La direttiva ha lo scopo di riformare l'accesso agli istituti volti a conciliare i tempi di vita e lavoro, tenendo conto degli sviluppi della società europea dell'ultimo decennio e stabilendo prescrizioni minime per una revisione puntuale degli stessi.
In Italia, a seguito della citata direttiva europea 96/34/CE, la legge 8 marzo 2000, n. 53, ha introdotto modifiche sostanziali all'istituto del congedo parentale, facendone un diritto individuale (pertanto, non più legato per i padri al diritto della madre) ed estendendone la durata complessiva a dieci mesi (usufruibile per non più di sei mesi da ciascun genitore entro i primi otto anni di vita del bambino), ma con un incentivo «promozionale» per i padri, vale a dire riconoscendo un mese in più (undici in totale) in caso di fruizione da parte del padre di almeno tre mesi, con un'indennità del 30 per cento della retribuzione. La disciplina in questione è poi confluita nel testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ed è stata oggetto di recenti modifiche ad opera del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (cosiddetto «Jobs Act»), che ha esteso in modo significativo l'orizzonte temporale entro il quale entrambi i genitori possono usufruire del diritto di astensione dal lavoro per dedicarsi alla cura della famiglia e dei figli: l'articolo 32 del testo unico prevede attualmente che, nei primi dodici anni di vita del bambino, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per un determinato periodo di tempo, continuativo o frazionato. I congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere, in ogni caso, il limite di dieci mesi, salvo che il padre eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo (continuativo o frazionato) non inferiore a tre mesi, nel qual caso il limite complessivo dei congedi parentali dei genitori è elevato a undici mesi. In tutti questi casi, si è ritenuto di intervenire esclusivamente sui tempi del congedo, senza introdurre però alcuna novità relativamente al trattamento economico, elemento che si ritiene fondamentale se realmente si intende favorirne la fruizione da parte dei padri.
Quanto al congedo obbligatorio di paternità, anche in ottemperanza alle disposizioni della citata direttiva UE 2019/1158, l'Italia è recentemente intervenuta sulla relativa disciplina, aumentando a dieci il numero dei giorni di congedo obbligatorio per il 2021. Com'è noto, la legge 28 giugno 2012, n. 92 (cosiddetta «riforma Fornero»), ha introdotto nel nostro ordinamento, quale misura di carattere sperimentale e per il solo triennio 2013-2015, il congedo obbligatorio e il congedo facoltativo, riconoscendo inizialmente un solo giorno di congedo di paternità obbligatorio, al quale si sarebbero potuti aggiungere altri due giorni, su base volontaria e solo in alternativa alla madre. Con successivi interventi legislativi, la suddetta sperimentazione è stata poi puntualmente prorogata nel corso degli anni e fino al 2021, anno per il quale il numero di giorni di congedo obbligatorio spettante ai padri è pari a dieci, come stabilito dalla legge 20 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), più un giorno facoltativo, in sostituzione della madre. Durante il periodo di congedo, il padre ha diritto a ricevere in busta paga il 100 per cento dell'intera retribuzione e, stando ai dati dell'INPS, negli anni i lavoratori padri che hanno beneficiato del congedo sono notevolmente aumentati, passando dai 73.000 del 2015 ai 135.000 del 2019. Al riguardo, si segnala che il congedo è attualmente operativo per i dipendenti privati, mancando per i dipendenti pubblici il relativo provvedimento attuativo previsto dall'articolo 1, comma 8, della legge n. 92 del 2012, che ne subordina l'operatività all'approvazione del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Non è poca cosa, considerando che i numeri indicano più di un milione di lavoratori su un totale di 3 milioni e 300.000 dipendenti pubblici.
L'articolo 1, comma 1, del presente disegno di legge – in linea anche con la volontà più volta manifestata dal Governo di razionalizzare gli istituti vigenti, riordinando il contesto ordinamentale e definendo nuove politiche sociali di natura strutturale – è volto a istituire il congedo obbligatorio di paternità, mettendo a regime tale misura e rendendo definitiva la fruibilità dello stesso. A tale scopo, è inserito un apposito articolo all'interno del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, il quale riprende le disposizioni normative attualmente vigenti, riadattandole al contesto attuale e confermando gli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea, quale il limite di dieci giorni per la fruizione del congedo obbligatorio di paternità. Al fine di estendere l'istituto anche ai lavoratori del settore pubblico, è previsto poi, al comma 2, che con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sono individuate e definite le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
L'articolo 2, alla lettera a), modifica l'articolo 32 del citato testo unico n. 151 del 2001, al fine di riconsiderare la durata complessiva dei congedi parentali e ridistribuire, nei termini previsti dalla citata direttiva (UE) 2019/1158 in relazione all'età del bambino, i periodi di congedo fruibili, rispettivamente, dalla madre e dal padre. In particolare, si prevede che ciascun genitore – in condizioni di perfetta parità di trattamento – possa usufruire di quattro mesi di congedo nei primi otto anni di vita del bambino, ai quali si aggiungono altri due mesi fino al dodicesimo anno di età (attualmente, il padre e la madre possono usufruire, in generale, di sei mesi di congedo fino al dodicesimo anno di età). Nel caso del padre, al fine di incentivare l'utilizzo del congedo parentale soprattutto da parte degli uomini, si prevede che due mesi (dei quattro complessivamente fruibili) non possano essere trasferiti alla madre e che, laddove sia il padre a usufruire di tutti e quattro i mesi di congedo previsti entro l'ottavo anno, il limite complessivo dei congedi parentali è aumentato di ulteriori due mesi.
Contestualmente, tenendo conto del fatto che la fruizione del congedo spesso comporta una notevole perdita di reddito per la famiglia e che il primo percettore di reddito (generalmente il padre) è in grado di esercitare il proprio diritto al congedo solo se quest'ultimo è sufficientemente retribuito, la lettera b) modifica l'articolo 34 del testo unico n. 151 del 2001, che disciplina il trattamento economico. Al fine di prevedere, quindi, un'indennità adeguata per il lavoratore (padre o madre) che usufruisce del congedo, le soglie del 30 per cento della retribuzione attualmente previste sono aumentate, rispettivamente, all'80 per cento, per i primi quattro mesi di congedo e fino all'ottavo anno di vita del bambino, e al 65 per cento, per gli ulteriori due mesi, fino al dodicesimo anno di età; inoltre, allungando in generale i limiti di età del bambino per l'accesso alla retribuzione (fino a otto anni, prima, e da otto a dodici, dopo), viene meno la condizione implicitamente creatasi per cui il congedo dall'ottavo al dodicesimo anno di età del bambino non è più retribuito.
L'articolo 3 provvede all'abrogazione della disciplina transitoria vigente, di cui all'articolo 4, lettera a), della legge n. 92 del 2012.
L'articolo 4 individua le risorse necessarie alla copertura finanziaria, a valere sul Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.
L'articolo 5, infine, disciplina l'entrata in vigore della legge.
Art. 1.
(Modifiche al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di introduzione del congedo obbligatorio di paternità)
1. Al capo IV del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, dopo l'articolo 31 è aggiunto il seguente:
«Art. 31-bis. – (Congedo obbligatorio di paternità) – 1. Il padre lavoratore dipendente, entro cinque mesi dalla nascita, dall'adozione o dall'affidamento del figlio, anche in caso di morte perinatale, ha l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di dieci giorni, fruibili anche in via non continuativa. Entro il medesimo periodo, il padre lavoratore dipendente può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest'ultima. Per tali periodi è riconosciuta un'indennità giornaliera, a carico del sistema previdenziale di appartenenza, pari al 100 per cento della retribuzione. Il padre lavoratore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a rendere preventiva comunicazione, in forma scritta, al datore di lavoro dei giorni di astensione dal lavoro prescelti, entro e non oltre il quindicesimo giorno antecedente la data di inizio della fruizione del congedo.
2. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. A tal fine, con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da adottare entro sei mesi alla data di entrata in vigore della presente legge, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, sono individuate e definite le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai medesimi dipendenti».
Art. 2.
(Modifiche al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di congedo
parentale)
1. Al capo V del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 32:
1) al comma 1, alinea, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dodici mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo»;
2) al comma 1, lettera a), le parole: «per un periodo continuativo .frazionato non superiore a sei mesi», sono sostituite dalle seguenti: «per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, di cui quattro mesi entro i primi otto anni di vita del bambino»;
3) al comma 1, lettera b), le parole: «per un periodo continuativo frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2» sono sostituite dalle seguenti: «per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a quattro mesi nei primi otto anni di vita del bambino, due dei quali in ogni caso non trasferibili alla madre, e a due mesi fino al dodicesimo anno di età del figlio, complessivamente elevabili a otto nel caso di cui al comma 2»;
4) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a quattro mesi nei primi otto anni di vita del bambino, il limite complessivo dei congedi parentali è elevato a quattordici mesi»;
b) all'articolo 34:
1) al comma 1, le parole: «fino al sesto anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «fino all'ottavo anno di vita del bambino, un'indennità pari all'80 per cento della retribuzione»;
2) al comma 3, le parole: «fino all'ottavo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria» sono sostituite dalle seguenti: «fino al dodicesimo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 65 per cento della retribuzione».
Art. 3.
(Abrogazione)
1. All'articolo 4, comma 24, della legge 28 giugno 2012, n. 92, la lettera a) è abrogata.
Art. 4.
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede mediante riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.
Art. 5.
(Entrata in vigore)
1. Le disposizioni della presente legge entrano in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.