Senato della RepubblicaXVIII LEGISLATURA
N. 2097
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori BALBONI, CIRIANI, RAUTI, CALANDRINI, GARNERO SANTANCHÈ, LA PIETRA, PETRENGA, TOTARO e URSO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 12 FEBBRAIO 2021

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'organizzazione e sull'attività delle correnti all'interno della magistratura, su eventuali influenze illecite nell'attribuzione di incarichi direttivi e nel funzionamento del Consiglio superiore della magistratura nonché sul ruolo esercitato dal magistrato Luca Palamara

Onorevoli Senatori. – L'intera nazione si trova a vivere una delle pagine più buie della sua storia democratica a causa dell'inchiesta giudiziaria che nel 2019 ha coinvolto il magistrato Luca Palamara e che ha portato alla luce gravi e reiterati casi di commistione tra il potere giudiziario e quello politico, in spregio al fondamentale principio di separazione degli stessi. Siffatta vicenda ha coinvolto esponenti del Consiglio superiore della magistratura (CSM) e dell'Associazione nazionale magistrati (ANM), i cui vertici si sono dimessi a causa di talune condotte incompatibili con l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Luca Palamara, ex presidente dell'ANM, ex consigliere del CSM e rappresentante della corrente Unità per la Costituzione (Unicost), nel mese di maggio 2019 è stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di corruzione dalla procura della Repubblica di Perugia, competente in relazione ai procedimenti penali riguardanti i magistrati del distretto di corte d'appello di Roma. In relazione a tale vicenda giudiziaria e, in particolare, alle attività di indagine svolte, negli ultimi mesi importanti testate giornalistiche nazionali hanno divulgato il contenuto degli scambi di messaggi (cosiddette chat) conservati nel telefono di Palamara e le trascrizioni delle intercettazioni di sue conversazioni, da cui emergerebbe un radicato e silenzioso sistema di pre-selezione dei magistrati per l'assegnazione di incarichi sulla base di vincoli di corrente e personalistici, a detrimento delle pur esistenti ragioni di merito. Dalle numerose pubblicazioni avvenute sino ad oggi, infatti, emergerebbe l'esistenza di un vero e proprio « centro di potere » esterno al CSM, in cui personalità di rilievo sia nella magistratura che nel mondo politico e istituzionale dialogano tra loro creando una fitta e strutturata rete di intromissioni e raccomandazioni, finalizzata essenzialmente a influenzare e a decidere, tra l'altro, le più importanti nomine nell'ambito dell'amministrazione giudiziaria e governativa.
All'interno di una magistratura che la Costituzione vuole autonoma e indipendente stride, invece, una realtà costituita da alcuni magistrati, giudicanti e requirenti, che, collegati alle correnti e ad alcuni partiti politici, fanno un uso distorto delle prerogative loro attribuite e della funzione giudiziaria.
Il caso Palamara, definito da molti, « magistratopoli », ha scoperchiato il vaso di Pandora di un uso della giustizia ai limiti della legalità, o a volte anche oltre essi, e della democrazia, i cui responsabili sono asserviti a convenienze politiche e di potere, condizionati dalle decisioni delle proprie correnti.
In particolare, le risultanze investigative mostrerebbero promozioni o nomine tra i giudici togati avvenute sulla base di logiche politiche interne all'organo di autogoverno e sovente anche esterne, funzionali a partiti politici, in cui le correnti si sarebbero configurate come veri e propri partiti il cui principale intento sarebbe la spartizione del potere e il conseguente esercizio politico dell'autorità giudiziaria per indirizzare indagini e processi in favore dei propri accoliti o contro i propri avversari.
Siffatta vicenda ha provocato effetti dirompenti sul CSM quali le autosospensioni e le dimissioni di alcuni consiglieri facenti parte delle correnti di maggioranza di Unicost e di Magistratura indipendente, con la conseguente formazione all'interno del Consiglio di una nuova maggioranza riferita alle correnti di Area e di Autonomia e indipendenza, con il radicale capovolgimento degli esiti delle elezioni del 2018. In particolare, la gogna mediatica e giornalistica ha investito alcuni consiglieri che, a seguito della pubblicazione delle intercettazioni di conversazioni che sarebbero intercorse con Palamara, hanno dapprima deciso di autosospendersi e successivamente di dimettersi dal CSM.
Non vi è alcun dubbio che quanto emerso nel corso dell'inchiesta a carico di Palamara – con particolare riferimento alle condotte, mai smentite, dei consiglieri dimissionari – rappresenti una grave violazione etica e deontologica che ha provocato un'inammissibile interferenza nel corretto funzionamento dell'autogoverno, suscitando indignazione e sconcerto. Tuttavia ci si domanda se tali dimissioni siano state volontarie o conseguenti a illegittime pressioni, anche in considerazione del fatto che le intercettazioni rese pubbliche coinvolgono altri componenti della magistratura che, invece, non hanno ancora rassegnato le proprie dimissioni e che, a parte qualche rara eccezione, non sono stati oggetto della riprovazione costante della stampa. Secondo alcune fonti giornalistiche, Luca Palamara avrebbe rappresentato una sorta di longa manus del sistema di potere penetrato all'interno dell'organo di autogoverno della magistratura, veicolando le nomine e – sembrerebbe – utilizzando e ricevendo tangenti per interessi corruttivi. Si ricorderà, infatti, che nell'ambito della vicenda giudiziaria relativa alla Cosmec, associazione culturale presieduta da Fabrizio Centofanti, imprenditore legato a Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto del governatore del Lazio Nicola Zingaretti, gli inquirenti avevano individuato rapporti tra Palamara e Centofanti, in particolare plurime e reiterate dazioni di utilità dal 2011 al 2017 in favore del primo, in relazione alle quali nel 2018 il procuratore aggiunto Paolo Ielo aveva disposto la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica di Perugia. Palamara avrebbe intrattenuto rapporti inopportuni e non confacenti al suo ruolo, accettando denaro e regali da Fabrizio Centofanti, considerato vicino al Partito democratico e coinvolto, insieme con gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, nella più ampia inchiesta per corruzione e compravendita delle sentenze al Consiglio di Stato. I consiglieri dimissionari Luigi Spina (Unicost), indagato dalla procura di Perugia per i reati di rivelazione di segreto d'ufficio e favoreggiamento personale, Gianluca Morlini (Unicost), presidente della quinta commissione del CSM e competente sulle nomine ai vertici degli uffici giudiziari, Antonio Lepre (Magistratura indipendente), Paolo Criscuoli (Magistratura indipendente) e Corrado Cartoni (Magistratura indipendente) avrebbero, unitamente a Palamara, partecipato a diversi incontri avvenuti in tarda notte in alberghi e in dimore private con esponenti di spicco del mondo politico con il fine di « pilotare » nomine e promozioni e, secondo quanto riferito dagli organi di stampa, sarebbe stato il consigliere Spina a informare Palamara delle indagini a suo carico. Nel corso di tali trattative, Palamara avrebbe discusso delle nomine ai vertici di importanti uffici giudiziari, tra cui la scelta del procuratore della Repubblica di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone, e del successore di Luigi De Ficchy alla procura di Perugia. Palamara avrebbe ricevuto sollecitazioni anche per le nomine e le promozioni di magistrati al CSM; in particolare, nel febbraio 2018, il magistrato Baldovino De Sensi lo avrebbe interpellato per la propria nomina a vicesegretario del CSM, suggerendo addirittura una modifica della normativa per consentire la nomina di due vicesegretari generali.
Dalle chat di Palamara emergono le manovre per la nomina dei procuratori aggiunti alla procura della Repubblica di Milano destinati ad affiancare il procuratore Francesco Greco. Si tratta di un'altra vicenda che inevitabilmente ha prodotto turbamento nell'ANM. Le intercettazioni pubblicate, infatti, hanno portato alle dimissioni del pubblico ministero Angelo Renna, componente della giunta esecutiva dell'ANM, per le pressioni che avrebbe rivolto a Palamara allo scopo di essere inserito tra i procuratori aggiunti di Greco. Le chat con Renna sembrerebbero suggerire altresì che il suo capo, lo stesso Greco, avrebbe segnalato a Palamara il nome di Laura Pedio come procuratore aggiunto a Milano nel corso di una riunione avvenuta nell'ottobre 2017. Nomina, di fatto, arrivata a metà novembre dello stesso anno. Gli organi di informazione riferiscono anche delle relazioni tra Palamara e un altro consigliere di Palazzo dei marescialli, Giuseppe Cascini (Area), in particolare di intercettazioni che riguardano la nomina di quest'ultimo, nel 2017, a procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Roma, della quale proprio Palamara si sarebbe interessato. In quella tornata avrebbe concorso altresì un altro pubblico ministero, Sergio Colaiocco, che, dopo aver presentato la propria candidatura, sembrerebbe essere stato indotto a ritirarla per eseguire le indicazioni ricevute dallo stesso Palamara. Al centro delle intercettazioni vi è anche il destino professionale del vertice della Direzione nazionale antimafia che, secondo le fonti giornalistiche, sarebbe stato oggetto di conversazione tra Palamara e Marco Minniti, all'epoca dei fatti Ministro dell'interno.
Il potere delle correnti è stato strumentalizzato al punto tale da interferire in scelte politiche, addirittura per attaccare rappresentanti politici che negli anni si sono susseguiti, con lo scopo di condizionare e manipolare le indagini, i processi e magari anche gli esiti delle sentenze. Dalle intercettazioni emergerebbe, infatti, la volontà di alcuni magistrati e politici di porre in essere una sorta di campagna di stampa finalizzata a colpire l'onorevole Matteo Salvini, che all'epoca dei fatti era Ministro dell'interno, usando come cavallo di battaglia il noto caso della nave « Diciotti ». Protagonista di tale vicenda sarebbe stato il vicepresidente del CSM Giovanni Legnini, già Sottosegretario di Stato in due Governi sostenuti dal Partito democratico.
Sulle trame correntizie e sulla loro influenza è intervenuto di recente il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, affermando che le inchieste « Poseidone » e « Why Not », che all'epoca seguiva, gli furono sottratte con una scelta avallata dal CSM e da Palamara, presidente dell'ANM. A distanza di dieci anni, aggiunge De Magistris, la magistratura di Salerno ha accertato che tali indagini gli furono sottratte illecitamente. Peraltro, lo stesso Palamara ha affermato che i problemi sullo sviluppo di taluni processi instaurati nei confronti di alcuni capi politici sono un tema che merita certamente di essere approfondito.
L'onda scandalistica e surreale del cosiddetto « mercato delle toghe » ha interessato anche il Ministero della giustizia. A margine delle dichiarazioni del magistrato antimafia Nino Di Matteo relativamente alla propria mancata nomina alla direzione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria da parte del Ministro della giustizia Alfonso Bonafede, di recente Palamara ha riferito in un'intervista che anche l'esclusione di Nino Di Matteo dalla guida della Direzione nazionale antimafia si sarebbe verificata a causa del sistema delle correnti. Le intercettazioni pubblicate dagli organi di stampa fanno emergere ulteriori vicende che riguarderebbero le scelte dei vertici da parte del Ministro della giustizia, facendo trapelare il ruolo svolto dalle correnti e l'uso politico della magistratura.
Il capo di gabinetto, Fulvio Baldi, di Unicost (medesima corrente di Palamara), dopo essere stato più volte intercettato in conversazioni con Palamara in cui si discute di colleghi magistrati da inserire al Ministero, ha rassegnato le proprie dimissioni. Bernardo Petralia, nuovo capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, a seguito delle conversazioni con Palamara, risulterebbe consapevole dei meccanismi di spartizione delle nomine e particolarmente attivo anche nella propria promozione. Questi, infatti, avrebbe chiesto l'aiuto di Palamara per la nomina a capo della procura della Repubblica di Torino, per la quale avevano presentato domanda quattordici magistrati. Dopo la scoperta del « caso Palamara », Petralia decise di revocare la sua candidatura: ci si domanda, quindi, se tale scelta sia stata dettata dalla volontà di dissociarsi dal mercimonio delle toghe o dalla mera consapevolezza che di lì a poco le intercettazioni sul telefono cellulare di Palamara avrebbero rivelato le sue conversazioni. Liborio Fazzi, nuovo capo pro tempore dell'Ispettorato generale del Ministero della giustizia che conduce, per conto del Ministro, le indagini su uffici giudiziari e magistrati, nominato a seguito delle dimissioni di Andrea Nocera, inquisito dalla procura di Napoli per corruzione, secondo quanto ricostruito dagli organi di stampa in base alle intercettazioni raccolte, sembrerebbe essere un sostenitore delle spartizioni tipiche delle logiche correntizie.
Quanto riportato costituisce solo una parte del « sistema di potere » che ruota intorno alle correnti nel quale, fino ad ora, Palamara ha avuto un ruolo centrale, ma certamente non esclusivo. Egli, infatti, durante un'intervista ha affermato che il sistema delle correnti, esistente sin dagli anni settanta e inizialmente sorto quale fenomeno di pluralismo culturale, è divenuto in ultimo uno « strumento di potere » che interagisce con la politica, ancor prima che Palamara ne divenisse il perno.
Tali vicende, incompatibili con i princìpi costituzionali che regolano la giurisdizione e lesive della credibilità del sistema giudiziario, colpiscono profondamente la dignità professionale della maggior parte dei magistrati onesti, imparziali, indipendenti e altamente qualificati che ogni giorno difendono i diritti altrui. Peraltro, è evidente come manovre volte alla spartizione di cariche e di nomine in uffici giudiziari di elevata rilevanza siano, di fatto, preordinate al fine di costituire un sistema di potere in ambito giudiziario, in grado di interferire anche nella vita politica.
Le vicende narrate dimostrano un attivismo di esponenti del Partito democratico nei confronti della magistratura che sembrerebbe ricambiato da quest'ultima « entrando e uscendo » dalla politica. Si pensi, infatti, ai numerosi magistrati che hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo di rilievo istituzionale in veste di parlamentari e di componenti del Governo prima tra le file del partito dei democratici di sinistra e ora nel Partito democratico, tra i quali, a titolo non esaustivo, citiamo il senatore Felice Casson, magistrato della suprema Corte di cassazione, l'onorevole Donatella Ferranti, già presidente della II Commissione Giustizia della Camera dei deputati nella XVII legislatura, e l'europarlamentare Franco Roberti, ex procuratore presso la procura del tribunale di Salerno, nominato assessore regionale alla sicurezza dal presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, che è stato coinvolto in diverse vicende giudiziarie proprio durante il periodo in cui la procura della Repubblica di Salerno era diretta da Roberti. Da queste vicende lo sconcertante mercimonio delle toghe apparirebbe un male talmente conclamato ed esteso da lambire i massimi vertici della magistratura al punto da far sorgere l'esigenza di ripristinare un corretto equilibrio fra i poteri dello Stato. Per fare ciò, è di fondamentale importanza procedere all'unanimità ad una profonda e incisiva riforma del CSM e della giustizia italiana e indagare sulle responsabilità di coloro che hanno avallato siffatti comportamenti, siano essi magistrati o politici. Queste, come le altre considerazioni sin qui rappresentate, pongono con forza la necessità di indagare sull'eventuale esistenza di un sistema di potere teso a costituire un vero e proprio mercato delle toghe e sulle eventuali responsabilità di quanti con le proprie azioni avessero inteso pilotare la giustizia secondo convenienze politiche, violando il fondamentale principio della separazione dei poteri giudiziario e politico e inficiando l'imparzialità, l'indipendenza e la credibilità dell'intera magistratura nonché il più alto principio di democrazia che dovrebbe caratterizzare l'operato di uno Stato di diritto e di ogni suo potere.
Lo strumento idoneo per consentire un'approfondita riflessione sulla questione, mediante la raccolta e la valutazione dei dati acquisiti, è costituito da una Commissione parlamentare di inchiesta che avrà il precipuo compito di indagare e di individuare eventuali responsabilità in chi abbia assunto e influenzato le decisioni delle nomine dei vertici giudiziari alimentando il ruolo politico delle correnti della magistratura e inficiando gravemente la nostra democrazia.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Istituzione e compiti della Commissione
parlamentare di inchiesta)

1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sull'organizzazione e sull'attività delle correnti all'interno della magistratura, su eventuali influenze illecite nell'attribuzione di incarichi direttivi e nel funzionamento del Consiglio superiore della magistratura nonché sul ruolo esercitato dal magistrato Luca Palamara, di seguito denominata « Commissione », con il compito di indagare:

a) su eventuali attività illegittimamente svolte dalle correnti esistenti all'interno della magistratura, da esponenti politici o da componenti dell'ordine giudiziario allo scopo di influire sulle nomine dei responsabili di vertice di uffici giudiziari e ministeriali in base a legami associativi o personali e non a criteri di merito, con particolare riferimento alle vicende connesse all'attività del magistrato Luca Palamara;

b) sull'eventuale esistenza di rapporti instaurati tra magistrati, con funzioni giudicanti o requirenti, ed esponenti politici, allo scopo di interferire nel funzionamento del sistema giudiziario per interessi di corrente o di potere politico ovvero di influire sullo svolgimento di indagini e processi penali;

c) sull'eventuale esercizio di illegittime pressioni o interferenze nei confronti dei componenti del Consiglio superiore della magistratura che hanno rassegnato le proprie dimissioni, allo scopo di influire sulla composizione e sul funzionamento del medesimo Consiglio.

Art. 2.

(Durata della Commissione)

1. La Commissione conclude i propri lavori entro dodici mesi dalla sua costituzione.

2. La Commissione, al termine dei propri lavori, presenta alle Camere una relazione sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta.

Art. 3.

(Composizione della Commissione)

1. La Commissione è composta da venticinque senatori e da venticinque deputati scelti, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.

2. Il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati, d'intesa tra loro, convocano la Commissione, entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, per la costituzione dell'ufficio di presidenza.

3. L'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione tra i suoi componenti. Per l'elezione del presidente è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti della Commissione; se nessuno riporta tale maggioranza, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. È eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.

4. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari, ciascun componente della Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti si procede ai sensi del comma 3.

5. Le disposizioni dei commi 3 e 4 si applicano anche per le elezioni suppletive.

Art. 4.

(Poteri e limiti della Commissione)

1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.

2. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.

3. La Commissione ha facoltà di acquisire, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti e di documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie di atti e di documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari. L'autorità giudiziaria può trasmettere le copie di atti e documenti anche di propria iniziativa.

4. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare la trasmissione di copia di atti e di documenti richiesti, con decreto motivato solo per ragioni di natura istruttoria. Il decreto ha efficacia per sei mesi e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto. Il decreto non può essere rinnovato o aver efficacia oltre la chiusura delle indagini preliminari.

5. La Commissione ha altresì facoltà di acquisire copie di atti e di documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari. Quando gli atti o i documenti siano stati assoggettati al vincolo di segreto funzionale da parte delle competenti Commissioni parlamentari di inchiesta, tale segreto non può essere opposto alla Commissione.

6. La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia ai sensi dei commi 3, 4 e 5 siano coperti da segreto.

7. La Commissione ha facoltà di acquisire da organi e uffici della pubblica amministrazione copie di atti e di documenti da essi custoditi, prodotti o comunque acquisiti in materia attinente alle finalità della presente legge.

8. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso.

Art. 5.

(Audizioni a testimonianza)

1. Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli 366 e 372 del codice penale.

2. Per i segreti professionale e bancario si applicano le norme vigenti. Per il segreto di Stato si applica quanto previsto dalla legge 3 agosto 2007, n. 124. In nessun caso, per i fatti rientranti nei compiti della Commissione, può essere opposto il segreto d'ufficio.

3. Si applica l'articolo 203 del codice di procedura penale.

Art. 6.

(Obbligo del segreto)

1. I componenti della Commissione, i funzionari e il personale di qualsiasi ordine e grado addetti alla Commissione stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 4, commi 6 e 8.

2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto è punita ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.

3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, le pene di cui al comma 2 si applicano a chiunque diffonda in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali sia stata vietata la divulgazione.

Art. 7.

(Organizzazione dei lavori)

1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei suoi lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.

2. Le sedute della Commissione sono pubbliche. Tutte le volte che lo ritenga opportuno la Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta.

3. La Commissione, per l'adempimento delle sue funzioni, può avvalersi di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie. Con il regolamento interno di cui al comma 1 è stabilito il numero massimo di collaboratori di cui la Commissione può avvalersi.

4. Per l'adempimento delle sue funzioni, la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro.

5. Le spese per il funzionamento della Commissione, stabilite nel limite massimo di 50.000 euro annui, sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.

6. La Commissione cura l'informatizzazione dei documenti acquisiti e prodotti nel corso della sua attività.

Art. 8.

(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.