Senato della RepubblicaXVIII LEGISLATURA
N. 1707
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori LEONE, GRANATO, PAVANELLI, PRESUTTO, BOTTO, FERRARA, PIARULLI, DONNO, LANNUTTI, ABATE, SANTANGELO, VANIN, DI NICOLA, PESCO, CASTELLONE, TRENTACOSTE, LOMUTI, GARRUTI, ANGRISANI, DE LUCIA, CORRADO, RUSSO, MORONESE, DRAGO, MININNO e DI GIROLAMO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 6 FEBBRAIO 2020

Disposizioni in materia di contrasto al linguaggio sessista nei media

Onorevoli Senatori. – La violenza di genere è una violazione dei diritti umani tra le più diffuse al mondo: lo dichiara la Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa nel 2011 e ratificata dall'Italia nel 2013, che condanna « ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica » e riconosce il raggiungimento dell'uguaglianza come elemento chiave per prevenire la violenza.
Per ogni forma di violenza si intende anche la violenza verbale. Quotidianamente le donne vengono sminuite, ghettizzate, denigrate, ridicolizzate, insultate sulle pagine dei giornali, nei siti web e nei social network, nelle radio, in televisione. Troppo spesso le pubblicità presentano le donne come mero oggetto sessuale oppure come persone dedite principalmente alle faccende domestiche. Perfino il linguaggio della burocrazia ufficiale affida alle donne il compito di spalla degli uomini.
In televisione e nei generi mediali di intrattenimento, rappresentazioni che mercificano il corpo e sviliscono l'intelletto vengono fatte passare per moderne e progressiste o vengono giustificate con la retorica della libertà di scelta. Difficilmente, tuttavia, può darsi libertà di scelta se il novero dei ruoli femminili proposti dai media è limitato e se il modello sociale di successo che viene presentato alle bambine e alle adolescenti (la popolazione femminile più influenzabile, perché non ancora in possesso per ragioni anagrafiche degli strumenti critici necessari) è quello della soubrette, della fidanzata del calciatore, della « tronista » o della influencer. Molti contenuti mediali hanno fatto dell'apparire la loro linea editoriale e della donna cui non è richiesta l'intelligenza la loro icona.
Anche le forme mediali dedicate all'informazione (tra cui i media tradizionali e i blog) proiettano un'immagine sessista del genere femminile. Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. Ogni giornalista è tenuto al rispetto della verità sostanziale dei fatti. Non deve cadere in morbose descrizioni o indugiare in dettagli superflui, violando norme deontologiche e trasformando l'informazione in sensazionalismo.
Non è più tollerabile che ancora oggi quasi la metà degli italiani sia convinta che gli stupri siano causa dell'abbigliamento sbagliato che le donne indossano. La narrazione mediatica, però, favorisce proprio tale pensiero.
Il rapporto tra immagine femminile e discriminazione permea aspetti intrinsecamente connessi alla vita lavorativa, sociale, economica, politica e religiosa, in quanto attiene alla concezione della donna e alle sottese diramazioni che sfociano e nutrono l'immaginario collettivo.
La rappresentazione sessista della donna trasmessa dai media e dalla pubblicità incide soprattutto sulle giovani generazioni. Lo mostrano i risultati delle ricerche che hanno analizzato i processi psicologici di oggettivazione e di auto-oggettivazione. Pubblicità e media presentano il corpo femminile come mero oggetto sessuale, esistente per l'uso e il piacere altrui. Nel processo di oggettivazione, il corpo femminile perde la sua integrità, viene minimizzato ad alcune sue parti, rappresentate come elementi separati dalla persona, ridotte alla funzione di meri strumenti, e l'immagine femminile viene privata di individualità e personalità. I processi di oggettivazione causano, a loro volta, processi di auto-oggettivazione, nei quali si interiorizza la prospettiva dell'osservatore esterno. L'auto-oggettivazione, frequente soprattutto nelle preadolescenti, nelle adolescenti, nelle donne giovani, si manifesta attraverso un'ossessiva attenzione al corpo, provoca manifestazioni di ansia e aumento di emozioni negative – in primis vergogna, ma anche senso di colpa –, riduce la consapevolezza dei propri stati interni. Purtroppo, provoca anche conseguenze molto serie sul benessere psico-fisico delle persone che la subiscono; è infatti correlata a un aumento dei disturbi depressivi, delle disfunzioni sessuali, dei disordini alimentari.
Nel 2007, anno europeo delle pari opportunità, grazie alle sollecitazioni dell'Unione europea, la Presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento della funzione pubblica e Dipartimento per le pari opportunità), con la direttiva « Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche », ha richiamato le amministrazioni pubbliche ad utilizzare in tutti i documenti di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti eccetera) un linguaggio non discriminatorio e a curare, in tal senso, la formazione e l'aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifica dirigenziale.
Sul piano internazionale, a livello istituzionale, si segnalano alcuni interventi. In primo luogo, quello del Consiglio d'Europa, il cui Comitato dei ministri ha adottato, il 21 febbraio 1990, la raccomandazione n. R (90) 4 sull'eliminazione del sessismo nel linguaggio, con cui raccomanda agli Stati membri di « promuovere l'uso di un linguaggio che rispecchi il principio della parità tra l'uomo e la donna e di prendere tutte le misure che ritengano opportune al fine di (...) far sì che la terminologia usata nei testi giuridici, nella pubblica amministrazione e nell'istruzione sia in armonia con il principio della parità tra i sessi ». In secondo luogo, quello dell'Unesco, che nel 1999 ha emanato le proprie linee guida per un linguaggio neutro dal punto di vista del genere, nelle quali si invita a evitare l'utilizzo di termini « che possono dare l'impressione che le donne non siano prese (sufficientemente) in considerazione (“il candidato”), le parole che escludono le donne (“i politici”), i termini che escludono gli uomini (“le infermiere”), le formule che riflettono una visione stereotipata dei ruoli di genere (“i delegati e le loro mogli”) ».
Più recentemente, il Parlamento europeo, il 17 aprile 2018, ha votato una risoluzione sulla parità di genere nel settore dei media nell'Unione europea (2017/2210(INI)), in cui ha riconosciuto gli aspetti di socializzazione di genere, argomentando che la pubblicità è una componente dell'economia di mercato che, a causa della sua pervasività, ha un'innegabile influenza sul comportamento dei cittadini e sulla formazione delle loro opinioni.
Nella risoluzione si legge: « che i media agiscono come un quarto potere, hanno la capacità di influenzare e in definitiva plasmare l'opinione pubblica; che i mezzi di comunicazione sono uno dei cardini delle società democratiche e che, in quanto tali, hanno il dovere di garantire la libertà d'informazione, la diversità di opinione e il pluralismo dei media, di promuovere il rispetto della dignità umana e di lottare contro tutte le forme di discriminazione e di disuguaglianza, anche presentando modelli di ruoli sociali diversificati; che, pertanto, occorre sensibilizzare le organizzazioni nel settore dei media; considerando che la quarta Conferenza mondiale sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1995, ha riconosciuto l'importanza del rapporto tra le donne e i media per conseguire la parità tra uomini e donne e ha integrato due obiettivi strategici nella piattaforma d'azione di Pechino: a) accrescere la partecipazione delle donne e permettere loro di esprimersi e di accedere ai processi decisionali nei media e nelle nuove tecnologie di comunicazione e attraverso di essi; b) promuovere una rappresentazione equilibrata e non stereotipata delle donne nei media; considerando che l'immagine delle donne e degli uomini nei media può dare l'idea di una rappresentazione iniqua in vari contesti, tra cui quello politico, economico, sociale, accademico, religioso, culturale e sportivo , dove gli uomini ricoprono principalmente dei ruoli sociali attivi mentre le donne sono relegate a ruoli più passivi; che tra i vari stereotipi che caratterizzano l'immagine della donna e dell'uomo un ottimo esempio è la sessualizzazione del corpo femminile, particolarmente evidente nella stampa scandalistica e nella pubblicità; che l'erotizzazione della violenza e l'oggettificazione delle donne nei media si ripercuotono negativamente sulla lotta per l'eliminazione della violenza contro le donne ». E ancora: « la rappresentazione delle donne nella pubblicità e il modo in cui i prodotti si rivolgono ai potenziali consumatori tendono a perpetuare le norme di genere tradizionali; [...] il pubblico tende molto spesso a considerare tali rappresentazioni come legittime, il che rende difficile o non permette di metterle in discussione; [...] nelle società contemporanee il settore della pubblicità ricopre un ruolo fondamentale nel contesto mediatico, in quanto comunica utilizzando immagini e idee che fanno leva sulle nostre emozioni e, pertanto, possono modellare i nostri valori e atteggiamenti e la nostra percezione del mondo; [...] trasmettendo un'immagine di genere falsata, la pubblicità può ricorrere al sessismo e replicare pratiche discriminatorie ».
Appare evidente l'urgenza di adottare misure finalizzate a – come si legge nella predetta risoluzione – cambiare la persistente proiezione di immagini negative e degradanti delle donne nei mezzi di comunicazione (mezzi in formato elettronico, cartaceo, visivo e audio), tenuto conto: « che le disparità di genere si costruiscono e si riproducono anche a partire dal linguaggio e dalle immagini diffuse dai mezzi di comunicazione; che i bambini si trovano ad affrontare disuguaglianze di genere fin dalla più tenera età in quanto sono esposti a modelli di ruolo promossi da serie e programmi televisivi, discussioni, giochi, videogiochi e pubblicità; che i ruoli di genere prendono forma per lo più durante l'infanzia e l'adolescenza, con un impatto lungo tutto l'arco della vita; che l'istruzione e la formazione dei professionisti dei mezzi di comunicazione costituiscono potenti strumenti per combattere ed eradicare gli stereotipi e promuovere l'uguaglianza e sensibilizzare in tal senso ».
Il Parlamento europeo è andato anche oltre, occupandosi della dimensione lavorativa delle donne nei media: « nel 2015 le donne costituivano il 68% dei laureati in giornalismo e informazione nell'UE-28, mentre i dati sull'occupazione per l'UE-28 nel periodo 2008-2015 mostrano che la percentuale di donne occupate nel settore dei media continua a rimanere ferma intorno al 40%; [...] inoltre, nel 2015, la percentuale di donne nei processi decisionali del settore dei media nell'UE-28 era ancora al di sotto della fascia dell'equilibrio di genere (40-60%), ossia pari solo al 32%, mentre la percentuale di donne presidenti di consigli di amministrazione si attestava a solo il 22%; [...] le donne continuano ad affrontare il cosiddetto “soffitto di cristallo” nel settore dei media e potrebbero non avere pari opportunità a livello di promozione o avanzamento di carriera a causa di vari fattori, tra cui le procedure di una cultura organizzativa che spesso non favorisce l'equilibrio tra lavoro e vita privata con un ambiente competitivo, caratterizzato da stress, scadenze inflessibili e lunghi orari di lavoro; [...] le donne hanno meno potere per decidere le notizie di attualità in ragione della loro insufficiente rappresentanza nelle posizioni direttive di alto livello; [...] dalle ricerche emerge che: soltanto il 4% delle notizie è contrario a una rappresentazione stereotipata; [...] le donne costituiscono solo il 24% delle persone di cui si sente o si legge nelle notizie; [...] il 37% circa delle storie provenienti da fonti di informazione online e offline è riportato da donne; [...] le donne sono per lo più invitate a fornire un'opinione popolare (41%) o un'esperienza personale (38%) e sono raramente citate in qualità di esperti (soltanto nel 17% delle notizie); [...] le ricerche hanno altresì evidenziato che meno di un esperto o commentatore su cinque è una donna (18%) ».
La risoluzione invita tutti gli Stati membri a promuovere iniziative legislative finalizzate a: « sviluppare incentivi politici per ridurre le barriere che ostacolano l'accesso delle donne alle posizioni dirigenziali e di vertice nelle organizzazioni mediatiche; [...] ritiene che gli stereotipi possano generare un contesto sociale negativo per le donne e contribuire alla discriminazione di genere sul luogo di lavoro; osserva che un contesto sociale positivo è importante per aiutare i lavoratori ad affrontare elevati livelli di intensità di lavoro; [...] propone che le organizzazioni mediatiche creino banche dati di esperti di sesso femminile in una serie di settori, in particolare quelli in cui le donne sono sottorappresentate, in modo da poter avvalersene, se del caso; [...] sebbene un'azione normativa sia soggetta alla debita considerazione del principio della libertà di espressione, la libertà editoriale non dovrebbe in alcun caso servire a incoraggiare o legittimare immagini degradanti delle donne e delle persone LGBTI; [...] pone l'accento sull'importanza di promuovere l'alfabetizzazione mediatica e di mettere a disposizione delle parti interessate iniziative di educazione ai media sensibili alle specificità di genere, in modo da incoraggiare i giovani a sviluppare capacità di riflessione critica e aiutarli a individuare e denunciare le rappresentazioni e le discriminazioni sessiste, la violenza di genere, il bullismo online, l'incitamento all'odio e la violenza motivata dal genere, dall'identità di genere, dall'espressione di genere, dall'orientamento sessuale o dalle caratteristiche sessuali di una persona; [...] richiama l'attenzione sul fatto che gli stereotipi nella pubblicità e negli altri prodotti mediatici hanno un potenziale impatto sulla socializzazione dei bambini e, di conseguenza, sul modo in cui essi vedono se stessi, i propri familiari e il mondo esterno; evidenzia che la pubblicità può rivelarsi uno strumento efficace per mettere in discussione gli stereotipi, come gli stereotipi di genere e gli stereotipi sulle persone LGBTI; [...] raccomanda [...] che [...] protocolli stabiliscano le norme per una rappresentazione positiva delle donne nella pubblicità, nelle notizie, nella cronaca, nella produzione o nella trasmissione radiotelevisiva e disciplinino tutti i contenuti sensibili, quali la rappresentazione del potere e dell'autorità, le competenze, i processi decisionali, la sessualità, la violenza, la diversità dei ruoli e l'utilizzo di un linguaggio non sessista ».
La violenza di genere non è un problema delle donne e non solo alle donne spetta occuparsene, discuterne, trovare soluzioni. Un Paese minato da una continua e persistente violazione dei diritti umani non può considerarsi civile.
Impegno comune deve essere eliminare ogni radice culturale fonte di disparità, stereotipi e pregiudizi che, direttamente e indirettamente, producono un'asimmetria di genere nel godimento dei diritti reali.
La Convenzione di Istanbul insiste sulla prevenzione e sull'educazione. Chiarisce quanto l'elemento culturale sia fondamentale e assegna all'informazione un ruolo specifico richiamandola alle proprie responsabilità (articolo 17). La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità.
Esiste un modo molto semplice per riconoscere il sessismo linguistico, da utilizzare anche in altri contesti e con altri codici di comunicazione visiva come la fotografia, chiamato « regola dell'inversione ». Consiste nell'invertire tutti i riferimenti sessuali: un termine maschile si cambierà al femminile, e viceversa. Per esempio, se compare l'immagine di una donna in una campagna pubblicitaria, immagineremo la stessa campagna pubblicitaria rappresentata da un uomo, e viceversa. Se questa inversione ci sembra strana, sicuramente siamo di fronte ad un esempio di sessismo. Allo stesso modo, se il cambiamento di un termine cambia il significato contestuale e compromette il contenuto, siamo di fronte ad un caso di sessismo linguistico e abbiamo il dovere di correggerlo.
Anche il linguaggio amministrativo in Italia andrebbe aggiornato per renderlo paritario. Espressioni come « i diritti dell'uomo » andrebbero riformulate in « i diritti della persona » e così via. In Italia il primo studio organico sul sessismo linguistico si deve ad Alma Sabatini (1922-1988), militante radicale e attivista femminista che curò delle linee guida, rivolte alle scuole e all'editoria scolastica, contenute nelle « Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana », estratte da « Il sessismo nella lingua italiana ». Nello studio si evidenzia, in particolare, la prevalenza del genere maschile usato in italiano anche con doppia valenza per indicare il femminile (il cosiddetto maschile neutro) e si sottolinea il mancato uso di termini istituzionali declinati al femminile.
Per quanto riguarda gli esempi negli altri Paesi europei si ricordano i seguenti: in Francia la circolare del Primo ministro dell'8 marzo 1998 ha richiamato i Ministri a « ricorrere ad appellativi femminili per i nomi di mestiere, di funzione, di grado e di titolo »; nel 1993 il Governo svizzero ha deciso che l'Amministrazione utilizzi una lingua « non sessista »; in Austria un accordo del 2001 ha impegnato i Ministri a un impiego della lingua sensibile ai generi; in Germania, conformemente alla legge federale sull'uguaglianza fra le donne e gli uomini (5 dicembre 2001), esiste l'obbligo di attenzione a un linguaggio sensibile ai generi nella legislazione e nella corrispondenza ufficiale; in Spagna la legge costituzionale 3/2007 per la parità effettiva tra gli uomini e le donne prevede, al titolo II sulle politiche pubbliche per la parità, tra i criteri generali di attuazione dei poteri pubblici, « l'adozione di un linguaggio non sessista nell'ambito amministrativo e la promozione dello stesso nella totalità dei rapporti sociali, culturali ed artistici ».
Il presente disegno di legge è volto a fornire una risposta concreta alla lotta contro le discriminazioni di genere, perpetrate sotto forma di utilizzo di immagini che trasmettono, non solo esplicitamente, ma anche in maniera allusiva, simbolica, camuffata, subdola e subliminale, messaggi che suggeriscono, incitano o non combattono il ricorso alla violenza esplicita o velata, alla discriminazione, alla sottovalutazione, alla ridicolizzazione, all'offesa delle donne.
L'obiettivo che si intende realizzare è il superamento e la rimozione degli stereotipi sessisti veicolati da messaggi pubblicitari che offendono e sviliscono le donne. Gli stereotipi di genere consolidano ruoli di genere limitati e restringono il margine di manovra e le opportunità di vita di donne e ragazze, ma anche di uomini e ragazzi. Dal momento che tali messaggi sono onnipresenti nella vita di ciascuno (in televisione, sui giornali, nei film, su internet), essi divengono la regola cui è prevista, e richiesta, l'adesione da parte di ogni singolo membro della società.
Alle criticità e carenze dell'attuale impianto normativo in materia di pubblicità discriminatoria intende ovviare il presente disegno di legge, inserendo, tra le altre cose, il divieto di pubblicità discriminatoria nel codice delle pari opportunità tra uomo e donna, al quale si apportano, pertanto, le necessarie modifiche, e affidando all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l'esercizio delle attribuzioni previste dalle nuove norme, attese le specifiche competenze e funzioni ad essa attribuite fin dalla sua istituzione, nonché le ulteriori funzioni che ha progressivamente assunto, in particolare nella repressione della pubblicità ritenuta lesiva della tutela dei minori diffusa con qualsiasi mezzo.
Il disegno di legge si compone di dodici articoli.
L'articolo 1 reca le finalità.
L'articolo 2 contiene le definizioni.
L'articolo 3 introduce, come detto in precedenza, il divieto di pubblicità discriminatoria nel codice delle pari opportunità di cui al decreto legislativo n. 198 del 2006.
L'articolo 4 attribuisce le attività di controllo e monitoraggio relativi all'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge, nonché la titolarità del relativo procedimento istruttorio e sanzionatorio per la violazione delle medesime disposizioni, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM). In particolare si prevede che la commissione per i servizi e i prodotti dell'AGCOM verifichi il rispetto nel settore radiotelevisivo delle norme in materia di contrasto alla discriminazione di genere, anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione relativi al rapporto tra televisione e rappresentazione della figura femminile, del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria (IAP), nonché degli indirizzi della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
L'articolo 5 disciplina il divieto di affissione di pubblicità sessista o discriminatoria e il relativo sistema sanzionatorio ad opera dei comuni.
Agli articoli 6 e 7 si dispone che le amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, « in ogni disposizione normativa, vigente o in corso di adozione, sono tenute a concordare il titolo funzionale, accademico, professionale, istituzionale od onorifico, con il sesso della persona alla quale lo stesso è attribuito », tenuto conto che al linguaggio viene riconosciuto un ruolo fondamentale nella costruzione sociale della realtà e, quindi, anche dell'identità di genere maschile e femminile. È infatti necessario che sia usato in modo non « sessista » e non privilegi più, come da secoli accade, il genere maschile.
L'articolo 8 reca misure di contrasto al sessismo nelle aziende radiotelevisive o telematiche pubbliche. L'articolo 9, a sua volta, contiene disposizioni di contrasto al sessismo nelle aziende radiotelevisive private.
L'articolo 10 dispone in materia di codici di autoregolamentazione di contrasto al sessismo di cui è necessario che si doti l'Ordine dei giornalisti.
L'articolo 11 prevede l'istituzione di un Tavolo tecnico presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'elaborazione di codici di coregolamentazione di contrasto al sessismo sulla stampa e sulle piattaforme digitali, tenuto conto dell'impatto di queste ultime sulle nuove generazioni.
L'articolo 12 dispone l'istituzione di un tavolo tecnico presso il Ministero dell'istruzione per la promozione della cultura non sessista, anche attraverso la definizione di contenuti da inserire all'interno dei programmi di educazione civica finalizzati alla sensibilizzazione alle differenze di genere e all'educazione alla cultura non sessista; l'elaborazione di programmi di formazione obbligatoria per gli insegnanti di ogni grado scolastico; la ricognizione dei libri di testo in uso presso ogni scuola di ordine e grado al fine di verificare che tutti i libri di testo non presentino contenuti e linguaggi sessisti o discriminatori.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Finalità)

1. Ai fini del rispetto della dignità umana e della realizzazione della parità dei diritti, la presente legge ha lo scopo di contrastare le discriminazioni dell'immagine femminile raffigurata nelle pubblicità, nei mezzi di informazione e comunicazione e nella rete internet, mediante utilizzo di immagini, parole e locuzioni che trasmettono esplicitamente, o in maniera allusiva e simbolica, messaggi che suggeriscono il ricorso alla violenza esplicita o velata, nonché la discriminazione, la sottovalutazione, la ridicolizzazione e l'offesa nei confronti della donna.

Art. 2.

(Definizioni)

1. Ai fini della presente legge si intendono:

a) per « pubblicità », qualsiasi tipo di messaggio visivo o sonoro, in formato digitale, video, radiofonico o cartaceo, che promuove l'attività commerciale di un'azienda o di un ente;

b) per « pubblicità sessista o discriminatoria »:

1) qualsiasi tipo di pubblicità che veicola stereotipi, pregiudizi o offese basate sul genere, ovvero qualsiasi tipo di pubblicità in cui una o più persone sono oggetto di rappresentazioni che, tramite il codice verbale, visivo o sonoro, le discriminano, le penalizzano, le ridicolizzano, le sviliscono o le stigmatizzano a causa del loro genere, della loro identità di genere, dell'orientamento sessuale, dell'età, dell'appartenenza etnico-culturale o della classe sociale;

2) qualsiasi forma di comunicazione in cui la figura femminile subisce un pregiudizio dal punto di vista sessuale;

3) qualsiasi forma di comunicazione in cui si propone l'immagine femminile come strumento di denigrazione sessuale, stante l'assenza di legame naturale diretto fra il sesso della persona rappresentata e il prodotto pubblicizzato, o in cui l'utilizzo del corpo femminile è finalizzato esclusivamente ad attirare l'attenzione del pubblico.

Art. 3.

(Divieto di pubblicità discriminatoria)

1. I mezzi di comunicazione promuovono la protezione e la tutela dell'uguaglianza tra uomini e donne ed evitano ogni discriminazione tra di loro.

2. Dopo l'articolo 55-ter del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, è inserito il seguente:

« Art. 55-ter.1 – (Pubblicità discriminatoria) – 1. È vietato ai mezzi di informazione, comunicazione e divulgazione pubblicitaria utilizzare l'immagine della donna a fini pubblicitari in modo vessatorio, discriminatorio, sessista o, comunque, lesivo della sua dignità ».

Art. 4.

(Attribuzione di compiti all'AGCOM per il contrasto alla discriminazione della donna nella pubblicità e nei media televisivi)

1. Le attività di controllo e monitoraggio relativi all'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge, nonché la titolarità del relativo procedimento istruttorio e sanzionatorio per la violazione delle medesime disposizioni sono conferite all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), di seguito denominata « Autorità ».

2. All'articolo 1, comma 6, lettera b), della legge 31 luglio 1997, n. 249, dopo il numero 6) sono inseriti i seguenti:

« 6-bis) verifica il rispetto nel settore radiotelevisivo delle norme in materia di contrasto alla discriminazione di genere, anche tenendo conto dei codici di autoregolamentazione relativi al rapporto tra televisione e rappresentazione della figura femminile, del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria (IAP), nonché degli indirizzi della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. In caso di inosservanza delle norme per il contrasto alla discriminazione di genere nella pubblicità e nei media, ivi comprese quelle previste dai codici di autoregolamentazione, la commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità delibera l'irrogazione delle sanzioni previste dall'articolo 51 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Le sanzioni si applicano anche se il fatto costituisce reato e indipendentemente dall'azione penale. Alle sanzioni inflitte sia dall'Autorità sia dal Comitato di applicazione dei codici di autoregolamentazione è data adeguata pubblicità e la emittente sanzionata ne deve dare notizia nei notiziari diffusi in ore di massimo o di buon ascolto;

6-ter) elabora e propone al Ministero dello sviluppo economico un codice di autoregolamentazione del settore pubblicitario, finalizzato a combattere ogni forma di pubblicità sessista o discriminatoria;

6-quater) effettua il monitoraggio permanente delle rappresentazioni di genere nelle pubblicità, al fine di valutare la diffusione di pubblicità sessista o discriminatoria, nonché di promuovere nel settore radiotelevisivo, sia pubblico che privato, le iniziative di sensibilizzazione al rispetto delle differenze di genere e della dignità delle donne, alla corretta rappresentazione della figura e del ruolo delle donne e alla rimozione di espressioni di discriminazione e degli stereotipi, lesivi della dignità delle stesse;

6-quinquies) esamina i reclami e le segnalazioni inviate da singoli cittadini-consumatori e da associazioni rappresentative di interessi collettivi, nonché da ogni altra pubblica amministrazione che vi abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali;

6-sexies) cura l'elaborazione e la pubblicazione di un rapporto annuale relativo alle aziende sanzionate in ragione della violazione della disciplina in materia di contrasto alla discriminazione di genere nella pubblicità e nei media;

6-septies) promuove la cooperazione fra le associazioni di categoria, le organizzazioni femminili e le organizzazioni non governative operanti a livello europeo nel settore della pubblicità e dei mezzi di comunicazione ».

3. L'Autorità, ai fini del migliore espletamento dei compiti istituzionali attribuiti alla commissione per i servizi e i prodotti, di cui all'articolo 1, comma 6, lettera b), numeri da 6-bis) a 6-septies), della legge 31 luglio 1997, n. 249, come introdotti dal comma 2 del presente articolo, può proporre una graduale ridefinizione della propria dotazione organica in misura non superiore al 3 per cento della consistenza attuale, mediante le risorse ad essa assicurate in via continuativa dall'articolo 1, commi 65 e 66, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, senza aumenti del finanziamento a carico del bilancio statale. La delibera dell'Autorità recante la proposta motivata di cui al primo periodo è sottoposta al Presidente del Consiglio dei ministri per l'approvazione, sentiti il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il termine di trenta giorni dal ricevimento, trascorso il quale la delibera diventa esecutiva.

4. L'Autorità adotta annualmente un regolamento per la trasmissione di pubblicità che non utilizzano l'immagine della donna in modo vessatorio o discriminatorio, in attuazione dei princìpi e in osservanza dei criteri di tutela previsti dalla presente legge.

5. La commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità certifica, tramite il conferimento di un apposito bollino, la conformità del messaggio pubblicitario televisivo trasmesso su canali nazionali a criteri di qualità e a finalità socio-educative per linguaggio, immagini e rappresentazioni, in linea con i criteri di tutela della donna stabiliti dalla presente legge.

6. È vietata la trasmissione sui circuiti televisivi pubblici e privati nel territorio nazionale di pubblicità o messaggi pubblicitari che non hanno conseguito la certificazione di conformità di cui al comma 5. Con regolamento del Ministro dello sviluppo economico, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabiliti incentivi economici per la realizzazione di messaggi pubblicitari e pubblicità aventi le caratteristiche e le finalità di cui alla presente legge. La concessione dei benefici è comunque subordinata al conseguimento della certificazione di conformità di cui al comma 5.

7. La commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità, laddove riscontri che la pubblicità esaminata violi la presente legge, provvede con motivata decisione definitiva. Se ritiene la pubblicità sessista o discriminatoria lesiva delle finalità di cui all'articolo 1 e delle disposizioni di cui all'articolo 3, vieta la pubblicità non ancora portata a conoscenza del pubblico o la continuazione di quella già iniziata. Con la decisione di accoglimento può essere disposta la pubblicazione o la trasmissione televisiva della pronuncia anche per estratto, nonché, eventualmente, di un'apposita dichiarazione di rettifica tale da impedire che la pubblicità sessista o discriminatoria continui a produrre effetti.

8. L'operatore pubblicitario che non ottempera ai provvedimenti d'urgenza o a quelli inibitori o di rimozione adottati con la decisione che definisce il ricorso è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 5.000.000. La medesima disposizione si applica a chiunque reitera, sotto le medesime o altre forme, il messaggio pubblicitario oggetto di sanzione.

Art. 5.

(Divieto di affissione di pubblicità sessista o discriminatoria)

1. In attuazione di quanto stabilito dalla presente legge, i comuni, qualora verifichino l'affissione o la diffusione di pubblicità che violino il divieto di pubblicità discriminatoria di cui all'articolo 55-ter.1 del codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, come introdotto dall'articolo 3 della presente legge, provvedono all'adozione di atti volti a inibire l'affissione o la diffusione, ovvero volti alla rimozione, di tali pubblicità, previa sottoposizione delle stesse al parere dell'Autorità.

2. Al fine di anticipare l'esecuzione del divieto di ulteriore diffusione, i messaggi diffusi attraverso affissioni che siano ritenuti particolarmente discriminatori o scorretti e lesivi della dignità di genere sono coperti con una scritta adesiva, ben visibile, che reca la dicitura: « Sanzionato ».

3. L'operatore pubblicitario che non ottempera ai provvedimenti inibitori o di rimozione adottati dai comuni è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 5.000.000. La medesima disposizione si applica a chi in data successiva reitera sotto le medesime o altre forme il medesimo messaggio pubblicitario.

Art. 6.

(Titoli funzionali nelle amministrazioni pubbliche)

1. Le amministrazioni pubbliche, di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in ogni disposizione normativa, vigente o in corso di adozione, sono tenute a concordare il titolo funzionale, accademico, professionale, istituzionale od onorifico, con il genere della persona alla quale lo stesso è attribuito, ai sensi dell'articolo 7 della presente legge.

Art. 7.

(Aggiornamento dei titoli funzionali)

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, di concerto con il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, istituisce, ai sensi di quanto previsto all'articolo 6, l'elenco di concordanza dei titoli funzionali in base al sesso, al quale le amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, devono attenersi. Nella predisposizione dell'elenco, il titolo funzionale deve essere concordato nel rispetto delle regole lessicali e grammaticali in uso nella lingua italiana, sentita l'Accademia della crusca. L'elenco è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.

2. I Dipartimenti di cui al comma 1 provvedono con cadenza annuale alla revisione e all'aggiornamento dell'elenco di cui al medesimo comma 1.

3. Entro sei mesi dalla pubblicazione dell'elenco di cui al comma 1 nella Gazzetta Ufficiale, le amministrazioni pubbliche provvedono a conformarsi al medesimo elenco.

Art. 8.

(Contrasto al sessismo nelle aziende radiotelevisive o telematiche pubbliche o che hanno stipulato un contratto di servizio con una pubblica amministrazione)

1. Al soggetto affidatario della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale ai sensi dell'articolo 49 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, nonché alle aziende televisive o telematiche che stipulano un contratto di servizio con una pubblica amministrazione si applicano, per la trasmissione di contenuti sui rispettivi canali e piattaforme, le disposizioni in materia di divieto di pubblicità e comunicazione discriminatoria, come definite ai sensi degli articoli 2, comma 1, lettera b), e 3.

2. Il rispetto di quanto previsto al comma 1 da parte del soggetto affidatario della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale – RAI-Radiotelevisione italiana Spa – è affidato a CARES Scrl-Osservatorio di Pavia che effettua il monitoraggio sulla rappresentazione della figura femminile nella programmazione della RAI. Il rispetto di quanto previsto al comma 1 da parte delle aziende radiotelevisive o telematiche che hanno stipulato un contratto di servizio con una pubblica amministrazione è attribuito all'Autorità.

3. In caso di violazione, l'azienda è punita con l'ammenda da euro 10.000 a euro 100.000, per ogni singola violazione.

4. In caso di violazioni giudicate gravi, l'Autorità può richiedere che in una puntata successiva della trasmissione in oggetto sia riservato spazio alla discussione della violazione, attraverso il confronto con esperti, selezionati dalla medesima Autorità.

5. In caso di violazione reiterata da parte di un'azienda che ha stipulato un contratto di servizio con una pubblica amministrazione il contratto è rescisso.

Art. 9.

(Contrasto al sessismo nelle aziende radiotelevisive private)

1. Tutte le aziende radiotelevisive sono tenute a rispettare linguaggi verbali e visivi non sessisti e non lesivi nei confronti della dignità di qualsiasi essere umano.

2. È vietato presentare persone in maniera tale che queste siano preminentemente identificate con una funzione di sollecitazione sessuale da parte del telespettatore in una dimensione decontestualizzata.

3. È vietato mostrare coreografie o singole inquadrature offensive e oltraggiose della dignità umana, utilizzate come mero richiamo sessuale.

4. Il rispetto dei linguaggi verbali e visivi non sessisti da parte delle aziende radiotelevisive private è monitorato e sanzionato dall'Autorità.

5. In caso di violazione, l'azienda è punita con l'ammenda da euro 10.000 a euro 100.000, per ogni singola violazione, e, nei casi più gravi, con la sospensione dell'efficacia dell'autorizzazione per le trasmissioni televisive e radiofoniche in ambito nazionale e locale rilasciata ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, per un periodo da tre a trenta giorni.

6. Le sanzioni di cui al comma 5 si applicano anche se il fatto costituisce reato e indipendentemente dall'azione penale. Alle sanzioni inflitte dall'Autorità è data adeguata pubblicità anche mediante comunicazione da parte del soggetto sanzionato nei notiziari diffusi in ore di massimo o di buon ascolto.

Art. 10.

(Codice di autoregolamentazione di contrasto al sessismo per l'Ordine dei giornalisti)

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'Ordine dei giornalisti è tenuto ad adottare un codice di regolamentazione di contrasto al sessismo che preveda:

a) la formazione deontologica obbligatoria da parte di tutti gli iscritti all'Ordine sul linguaggio appropriato da utilizzare nei casi di violenza sulle donne e sui minori, prevedendo in particolare disposizioni regolamentari finalizzate a:

1) contrastare l'utilizzo di un linguaggio sessista e di espressioni irrispettose, denigratorie, lesive o svalutative dell'identità e della dignità femminili;

2) prevedere l'adozione di termini specifici, quali « femminicidio » e sinonimi, per i delitti compiuti sulle donne in quanto donne;

3) sanzionare l'uso di immagini e segni stereotipati o che riducano la donna a mero richiamo sessuale o oggetto del desiderio;

4) favorire l'uso di un linguaggio sessuato, che non occulti il genere femminile attraverso l'uso di termini maschili ritenuti generalmente neutri;

b) che vengano trattati tutti i casi di violenza, anche quelli nei confronti di prostitute e di persone transessuali, utilizzando il corretto linguaggio di genere ed evitando l'utilizzo del « dead name » per designare le persone transessuali;

c) la disciplina sanzionatoria da comminare ai direttori che omettono il controllo sui giornalisti della propria testata che violano il codice medesimo, nonché agli editori delle medesime testate.

Art. 11.

(Tavolo tecnico per l'elaborazione di codici di coregolamentazione di contrasto al sessismo sulla stampa e sulle piattaforme digitali)

1. Con decreto di natura non regolamentare del Ministro per le pari opportunità e la famiglia, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è costituito, senza oneri per la finanza pubblica e avvalendosi delle strutture del Dipartimento per le pari opportunità, un tavolo tecnico a cui partecipano due rappresentanti del medesimo Ministero, di cui uno con funzioni di presidente, un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico, un rappresentante del Ministero della giustizia e due rappresentanti del consiglio dell'Ordine dei giornalisti. Alle riunioni del tavolo tecnico partecipano altresì un rappresentante delle associazioni dei consumatori indicato dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, un rappresentante delle associazioni a tutela delle donne maggiormente rappresentative a livello nazionale, quattro rappresentanti indicati dalle associazioni delle imprese maggiormente rappresentative a livello nazionale operanti nell'ambito dell'attività editoriale, esercitata attraverso qualunque mezzo e con qualunque supporto, anche elettronico, dell'attività radiotelevisiva o comunque attinente all'informazione e alla comunicazione, e delle piattaforme digitali di condivisione dei video. La partecipazione alle attività del tavolo tecnico non dà luogo alla corresponsione di compensi, emolumenti, indennità o rimborsi spese.

2. Il tavolo tecnico elabora, anche sulla base delle segnalazioni e delle informazioni ricevute, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un codice di coregolamentazione contenente misure finalizzate a:

a) promuovere il principio di uguale rappresentanza di genere, garantendo parità di accesso negli spazi informativi o di intrattenimento;

b) promuovere, nelle testate giornalistiche con più di un dirigente, compresi il direttore, vice direttore, caporedattore e capo servizio, le migliori prassi volte a garantire la presenza nella pianta organica di almeno il 40 per cento di dirigenti di uno dei due sessi, ad esclusione delle testate progettate per lettori o spettatori soli uomini o sole donne;

c) contrastare la diffusione nella rete internet, con particolare riferimento ai social media, di contenuti che violino i princìpi sanciti a tutela della dignità umana.

3. L'Autorità, al fine di garantire un adeguato livello di tutela della dignità umana, con proprio provvedimento, adotta misure volte a verificare l'osservanza delle disposizioni previste dal codice di coregolamentazione.

4. Ogni sei mesi il tavolo tecnico provvede ad inviare alle Camere una relazione sull'attuazione del codice di coregolamentazione.

Art. 12.

(Tavolo tecnico presso il Ministero dell'istruzione per la promozione della cultura non sessista)

1. Con decreto del Ministro dell'istruzione è istituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un tavolo tecnico i cui membri sono nominati con provvedimento del Ministero dell'istruzione. Il tavolo tecnico è presieduto dal Ministro dell'istruzione ed è composto da: quattro rappresentanti del Ministero dell'istruzione, due rappresentanti dei Dipartimenti per le pari opportunità e della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, due componenti designati dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Ai membri del tavolo tecnico non spettano compensi, rimborsi di spese, gettoni di presenza e indennità comunque denominate. Le amministrazioni interessate provvedono al funzionamento del tavolo tecnico con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

2. Per la trattazione di specifiche materie, al tavolo tecnico possono essere invitati esperti di settore, quali psicologi, sociologi, docenti di scienze della comunicazione e rappresentanti delle associazioni a tutela delle donne maggiormente rappresentative a livello nazionale. I membri di cui al comma 1 possono avvalersi di propri collaboratori all'uopo individuati e comunicati preventivamente al presidente del tavolo tecnico.

3. Con apposito provvedimento del presidente del tavolo tecnico, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto istitutivo del tavolo tecnico di cui al comma 1 e da pubblicare sul sito internet del Ministero dell'istruzione, sono disciplinati l'organizzazione e il funzionamento del tavolo tecnico medesimo.

4. I compiti operativi del tavolo tecnico sono:

a) definire contenuti da inserire all'interno dei programmi di educazione civica finalizzati alla sensibilizzazione alle differenze di genere e all'educazione alla cultura non sessista, che abbiano come scopo la promozione di modelli e di messaggi di informazione e di comunicazione attenti alle modalità di rappresentazione dei generi, rispettosi delle identità di donne e uomini, coerenti con l'evoluzione dei ruoli di genere nella società e che non trasmettano o diffondano:

1) messaggi discriminatori o degradanti basati sul genere e sugli stereotipi di genere, o che contengano immagini o rappresentazioni di violenza contro le donne o che incitino ad atti di abuso o violenza sulle donne;

2) immagini che utilizzino il corpo di donne e uomini in modo offensivo per la dignità della persona e che possano degradare l'immagine della donna a oggetto sessuale, anche attraverso immagini che richiamino o evochino atti o attributi sessuali;

b) definire i programmi di formazione obbligatoria per gli insegnanti di ogni grado scolastico al fine di diffondere una cultura non sessista;

c) verificare che tutti i libri di testo di ogni ordine e grado scolastico non presentino contenuti e linguaggi sessisti o discriminatori al fine di escludere, per l'anno scolastico successivo a quello di entrata in vigore della presente legge, la presenza di eventuali testi con contenuti e linguaggi sessisti o discriminatori;

d) verificare che nelle biblioteche scolastiche non siano presenti libri di saggistica sessista o discriminatoria.

5. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sui temi della lotta al sessismo, il Ministero dell'istruzione promuove tesi di laurea e di dottorato, anche in cotutela, nonché percorsi formativi, anche in forma multimediale, trasversali all'offerta curricolare e in ogni settore scientifico disciplinare.