Senato della RepubblicaXVIII LEGISLATURA
N. 1592
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa del senatore DE BONIS

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 31 OTTOBRE 2019

Disposizioni in materia di abolizione del contratto di soccida ed effetti procompetitivi, antielusivi, salutistici ed ambientali

Onorevoli Senatori. – La legislazione dell'attuale codice civile si è sviluppata in un contesto economico dominato ancora dal lavoro agricolo, dove il processo di industrializzazione era ancora poco sviluppato e lontano dalla sua espansione.
In quel contesto forme di conduzione come la mezzadria, la colonia, la soccida e la compartecipazione erano molto diffuse ed hanno caratterizzato la storia economica di vaste aree agricole del Paese.
Quei contratti associativi prevedevano la condivisione del ruolo di imprenditore tra il proprietario terriero e il contadino che prestava la sua opera manuale. Ben presto, però, queste forme di conduzione associata hanno perso importanza, anche a causa di alcuni interventi normativi.
La legge n. 756 del 1964 ha posto divieti alla stipula di nuovi contratti di mezzadria, senza alcuna applicazione ai contratti di soccida. La legge n. 11 del 1971 ha, invece, stabilito la trasformazione in affitto dei contratti di soccida, con conferimento di pascolo a semplice richiesta del soccidario.
La legge n. 203 del 1982, che è il testo fondamentale in materia di trasformazione dei contratti agrari, ha previsto la conversione in affitto, della mezzadria e della colonia, vietando espressamente la stipulazione di nuovi contratti. Mezzadria e colonia sono tipologie contrattuali analoghe alla soccida, in cui variano l'oggetto (il bestiame per la soccida, il fondo rustico per le altre fattispecie) e il tipo di attività (allevamento e sfruttamento del bestiame piuttosto che coltivazione di un podere o di un fondo).
L'unica forma di contratto associativo sopravvissuta alla conversione è stata la soccida semplice che, non solo ha mantenuto la possibilità di essere ancora stipulata, ma ha trovato larga diffusione in tutta la zootecnia industriale, diventando uno schermo legale per veri e propri oligopoli, che nei periodi di crisi si espandono e consolidano le loro posizioni a danno della collettività e del patrimonio zootecnico nazionale.
Per comprendere appieno limiti e derive di questo strumento giuridico occorre esaminarne brevemente il contesto.
Il contratto di soccida, nell'ambito degli « allevamenti rurali », era una delle prime forme di lavoro associato in agricoltura, che nasceva dall'esigenza di unire due fattori necessari alla produzione agricola: il lavoro e il capitale agricolo.
Trae la sua origine storica dalla necessità dei pastori sardi di provvedere all'allevamento dei capi ovini forniti dai grossi proprietari terrieri che avevano i capitali da investire nell'acquisto del bestiame.
Il codice civile contempla tre tipologie contrattuali: la soccida semplice, in cui il bestiame è conferito dal soccidante (articoli da 2171 a 2181 del codice civile); la soccida parziaria, in cui il bestiame è conferito da entrambe le parti nella proporzione stabilita (articoli da 2182 a 2185 del codice civile); la soccida con conferimento di pascolo, in cui il bestiame è conferito dal soccidario, mentre il soccidante conferisce il terreno per il pascolo (articolo 2186 del codice civile).
Con la soccida (articoli 2170 e successivi del codice civile), « il soccidante e il soccidario si associano per l'allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l'esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l'accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano ».
La soccida, alla luce della sua collocazione nel contesto del codice civile, è un contratto agrario associato. L'affermazione è avvalorata dalla circostanza che il contratto è necessariamente di tipo bilaterale, caratteristica propria dei contratti agrari associativi e rappresenta uno degli elementi di differenziazione rispetto al contratto societario.
Nel tempo, infatti, a seguito dello sviluppo della « zootecnia industriale » (polli, tacchini, conigli, suini, bovini da ingrasso), il contratto di soccida ha registrato un'espansione notevole (il fatturato all'origine in queste filiere, nel 2015, ha registrato 9,887 miliardi di euro, mentre il fatturato di mangimi e premiscele, nel 2018, ha raggiunto 6,200 miliardi di euro), che ha favorito, da un lato, la diffusione di alcune forme organizzative del mercato (integrazione verticale tra allevatori, industrie mangimistiche e macelli), dall'altro, una pericolosa concentrazione oligopolistica che tende a soffocare gli allevatori indipendenti.
Questa nuova applicazione e diffusione è avvenuta senza che le norme regolanti il contratto di soccida fossero novellate in funzione del nuovo contesto produttivo e imprenditoriale in cui detto contratto è andato affermandosi negli ultimi anni, assumendo le sembianze di una vera e propria « soccida industriale », non prevista dal codice, ma cucita ad arte per l'agroindustria come un abito sartoriale.
Il legislatore, tuttavia, riconoscendo l'esistenza di limiti e derive nell'applicazione pratica dello strumento giuridico, ritenuto da più parti desueto e inadeguato, nonché fonte di abusi e sperequazioni, anche territoriali, ha incardinato una proposta di legge di modifica del contratto di soccida semplice per riequilibrare i rapporti all'interno della filiera, ma non all'interno del territorio. Tale proposta (AC n. 1768 della XVII legislatura, presentata il 6 novembre 2013) non ha concluso il suo iter anche perché il tentativo di riequilibrare i rapporti, da più parti, è ritenuto velleitario (alcuni parlamentari e organizzazioni sindacali conservatori si sono opposti alla riforma).
Il presente disegno, invece, è radicalmente favorevole all’« abrogazione » della soccida e non alla « modifica ». Ciò per varie ragioni. In primo luogo, se nella zootecnia « rurale » la condivisione del ruolo di imprenditore avveniva tra il proprietario terriero e il contadino che prestava la sua opera manuale, nella zootecnia « industriale » tale condivisione avviene tra un polo aggregante industriale, che tenta surrettiziamente di apparire agricolo e l'imprenditore agricolo che, pur prestando la sua opera e i suoi immobili (capannoni, terreni e attrezzature) si trova in posizione di contraente « debole » e tende a regredire in un processo di disuguaglianza sociale sempre più spinto. In secondo luogo, lo sviluppo delle soccide industriali ha allontanato la produzione dal consumo. Infine, i consumatori prediligono sistemi produttivi rispettosi del benessere animale, ecosostenibili e non intensivi.
Oggi, il legislatore dovrebbe riconoscere che i processi di concentrazione vanno salutati con favore solo quando sono in grado di accrescere la ricchezza nei singoli settori per tutti e non quando la distruggono. Alcune filiere sono state distrutte o ristrette proprio dove sono maggiormente concentrati i consumi, mentre la produzione è stata dirottata solo in alcune aree dove insistono maggiori problemi di entropia dell'ambiente.
Gli effetti restrittivi, causati da queste forme di lavoro pilotate da duopoli, hanno limitato e ridotto la produzione nazionale e, dunque, gli indici di autoapprovvigionamento, compensando il fabbisogno nazionale dei consumi attraverso il ricorso ad una crescente importazione da Stati non facenti parte dell'Unione europea, con danni enormi per il benessere dei consumatori e per il bilancio sanitario. In pratica, una strategia miope che ha prodotto vantaggi solo per pochi.
Per quanto riguarda gli aspetti di diritto del lavoro, possiamo dire che il crescente ricorso ai contratti di soccida nella regolazione di rapporti contrattuali finalizzati a realizzare integrazioni verticali all'interno delle varie filiere zootecniche, ha contribuito a far sì che, in molti casi, lo stesso contratto di soccida sia servito non tanto per instaurare un vero rapporto di tipo associativo, bensì per « mascherare » vere e proprie prestazioni di servizi e, in ogni caso, per regolare forme contrattuali ove quasi mai è garantito veramente il principio della condivisione dei rischi che, giova ricordarlo, è – e resta – alla base del contratto di soccida, così come regolamentato dal nostro ordinamento.
Per quanto riguarda gli aspetti di diritto della concorrenza, la portata di questo segmento di economia contrattuale e le conseguenze della mancanza di una disciplina compiuta in questo ambito non è senza conseguenze per i riflessi sul piano concorrenziale.
Sotto il profilo civilistico, i contratti di soccida, avendo ad oggetto solo « obblighi di fare », resterebbero esclusi dalle novità introdotte dal combinato disposto dell'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012 e del decreto legislativo n. 102 del 2005, in cui vi è ad oggetto « l'obbligo di cedere » il trasferimento della proprietà dei prodotti agricoli.
Tuttavia, dal punto di vista della concorrenza, i contratti in questione legano la fase di allevamento a monte con quella a valle, con ripercussioni sia rispetto agli sbocchi commerciali dei prodotti, sia spesso rispetto agli approvvigionamenti dei fattori produttivi e delle scelte imprenditoriali.
Di fatto, costituiscono, da un lato, accordi di acquisto « mascherati » dal conferimento, in cui le pattuizioni pongono a carico dell'allevatore (soccidario) l'obbligo di accettare tutto il fabbisogno di mangime conferito dall'industriale (soccidante) senza nemmeno poter sindacare la qualità.
Dall'altro, accordi di fornitura « mascherati » dalla ripartizione della quota di accrescimento, in cui le pattuizioni pongono a carico dell'allevatore (soccidario) l'obbligo, di fatto, di cedere all'industriale (soccidante) la quota di animali spettante al soccidario, compensandola in denaro e senza alcun obbligo IVA. L'allevatore cede altresì la sua prestazione d'opera e altri servizi (uso e sfruttamento dei suoi beni immobili e mobili).
Le soccide hanno dunque un effetto preclusivo perché, da un lato, rendono più difficoltoso, o addirittura impossibile, l'accesso al mercato per i concorrenti delle imprese in questione e, dall'altro, rendono più difficoltosa, o addirittura impossibile, per le loro controparti commerciali, la scelta tra più fonti di approvvigionamento o controparti commerciali.
Nel mercato si crea dunque una compartimentazione. La ripartizione del mercato o delle fonti di approvvigionamento costituiscono per loro stessa natura, restrizioni di concorrenza ai sensi dell'articolo 101, paragrago 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), sicché non è necessario prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo o pratica concordata di tale tipo ove risulti che essa ha per oggetto di restringere, impedire o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune.
La restrizione della concorrenza, causata da tutti questi fattori, caratterizza sempre più altre filiere zootecniche. I poli integranti, inoltre, decidono su quali filiere spingere e su quali rallentare, a seconda dei vantaggi complessivi di bilancio o degli aiuti di Stato corrisposti alle loro cooperative o società agricole. Ad esempio, in materia di premi zootecnici comunitari sui bovini da carne, ci sono sia i premi per gli allevatori sia per i macellatori. Di questi ultimi beneficiano anche i poli integranti, cioè gli industriali. Infatti, nei contratti associativi la domanda di premio alla macellazione o esportazione può essere presentata dal soccidante in quanto responsabile della direzione tecnico-amministrativa dell'impresa, previo assenso del soccidario. Ciò sotto il profilo concorrenziale rappresenta un doppio aiuto di Stato che contribuisce ad alterare ulteriormente la concorrenza tra filiere nell'ambito di quella interdipendenza, discriminando altri allevatori e macellatori.
Per quanto riguarda aspetti di diritto tributario, la vera ragione per cui il legislatore tiene in piedi un istituto giuridico desueto dagli effetti anticoncorrenziali sembrerebbe quella di conferire un vantaggio competitivo fiscale.
Con le soccide i poli integranti industriali sfrutterebbero il regime fiscale agricolo agevolato che spetterebbe unicamente all'allevatore, produttore agricolo per definizione. In tal modo l'allevatore viene strumentalizzato e spogliato del suo reddito, mentre le multinazionali dell’agrobusiness traggono tutti i vantaggi possibili.
Il principale vantaggio deriverebbe da una possibile elusione fiscale che si nasconde dietro società agricole di comodo e cooperative fittizie, tutte riconducibili ad uniche entità economiche (gruppi multinazionali), su cui mai nessuno ha acceso i fari.
Grazie al vantaggio elusivo fiscale, i gruppi integrati sono in grado di utilizzare questi aiuti per adottare politiche anticompetitive che ostacolano il corretto funzionamento del mercato interno ed alimentano turbative al suo interno. È pertanto opportuno applicare a queste varie tipologie di carne le disposizioni del TFUE in materia di aiuti di Stato. Basti pensare che la Corte dei conti stima oggi « una significativa dilatazione » delle agevolazioni fiscali « sia nel numero, 799, sia nella perdita di entrate che ne deriva, 313 miliardi ».
L'elusione imputabile su tutti gli allevamenti in soccida da carne si ritiene sia rilevante ed eroda una buona parte di queste entrate, che vanno a favore di multinazionali (mangimifici, macelli cooperativi e società agricole di comodo) e non del mondo agricolo.
Il regime IVA di cui all'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 è il regime naturale sia per il soccidante che per il soccidario. Affinché il soccidante (titolare degli animali) possa applicare il regime speciale IVA deve avere almeno un allevamento in proprio (circolare del Ministero delle finanze n. 32 del 27 aprile 1973). Deve, quindi, essere proprietario o affittuario di stalle e gestire l'allevamento direttamente o con proprio personale dipendente.
Le cessioni degli animali allevati in soccida rientrano nel regime speciale IVA, sia che gli animali vengano venduti dal solo soccidante (qualora provveda alla vendita dell'intero prodotto), sia che vengano ceduti anche dal soccidario per la parte di sua spettanza. Nel caso in cui il soccidante ceda l'intera quantità di animali e versi in denaro la quota di accrescimento spettante al soccidario, tale compenso (equivalente in denaro a titolo di ripartizione dei frutti) non è soggetto a IVA.
Infine si precisa che sia il conferimento degli animali in soccida, sia la successiva divisione degli animali, sono atti non soggetti a IVA, ma ciò non preclude la detrazione forfettaria per le successive cessioni in quanto ciascun soggetto vende sul mercato la propria quota di animali.
Il regime speciale agricolo non si rende applicabile solo nel caso in cui il soccidante non disponga di alcun allevamento in proprio e operi esclusivamente mediante contratti associativi.
Ai fini IRPEF, gli articoli da 32 a 34 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 (TUIR) recano la specifica disciplina del reddito agrario.
Ci sono, però, altri vantaggi fiscali. Infatti, l'elusione è resa possibile dalla differenza esistente tra la definizione teorica di base imponibile (presupposto dell'imposta) e la sua versione operativa, sia dalla mancata comprensività di tutti i presupposti del tributo che sono riflessi nella norma tributaria.
Il mezzo giuridico di creare società agricole di comodo o cooperative agricole ad hoc per costruire in modo mirato la fattispecie concreta, se appare irreprensibile sotto il profilo del diritto positivo non può essere tollerato sotto il profilo concorrenziale in quanto rappresenta non solo un abuso di dipendenza economica nei confronti della parte più debole, ma addirittura una forma di abuso del diritto agevolato riservato al mondo agricolo e alla cooperazione autentica.
Tale fenomeno, non essendo giuridicamente vietato, non può essere sanzionato né sul piano amministrativo, né tanto meno su quello penale, ma deve essere contrastato efficacemente, mediante l'abrogazione dell'istituto giuridico della soccida (o disapplicazione della norma) e il divieto d'uso del modello cooperativo per le società di capitali, perché altrimenti oltreché distorcere il mercato per valide ragioni economiche (la qualificazione di queste agevolazioni come aiuti di Stato sarebbe inevitabile di fronte alla Corte di giustizia dell'Unione europea), violerebbe il principio di capacità contributiva disciplinato dall'articolo 53 della Costituzione: « Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva ... ».
La regolamentazione del mercato, secondo l'Unione europea, non può avvenire attraverso forme surrettizie di contratti che introducono vincoli incompatibili con il libero mercato e, di fatto, mascherano rapporti di lavoro subordinato con rapporti associati. Né l'organizzazione di mercato deve generare barriere all'entrata o all'uscita ma deve esplicarsi dentro una cornice giuridica ben precisa per assicurare la trasparenza ed evitare forme di elusione.
A tal proposito solo l'organizzazione di produttori ha le carte in regola per introdurre vincoli regolamentari di mercato che agiscono uniformemente su precetti di natura economica e consentono di:

– commercializzare la produzione dei produttori aderenti concentrando l'offerta;

– assicurare la programmazione della produzione;

– adeguare la produzione alla domanda;

– assicurare la trasparenza dei prezzi;

– partecipare alla gestione delle crisi di mercato e favorire l'accesso a nuovi mercati.

Le disposizioni speciali di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, del resto si riferiscono proprio all'ipotesi in cui « un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi ». Possono dunque regolare meglio i rapporti correnti tra i vari operatori economici e sostituire i contratti di soccida.
Per quanto riguarda gli aspetti di diritto ambientale, l’antitrust europeo è sicuramente attento all'integrazione del mercato, ma anche alla massimizzazione del numero dei concorrenti, alla promozione della libertà d'ingresso nel mercato, alla tutela delle imprese medio-piccole, alla protezione dell'ambiente e alla competitività internazionale.
In tema di cibo e alimentazione, la relazione intima e privilegiata che esiste verso l'agricoltura non può prescindere dall'ambiente e dalle sue norme, all'interno di una dimensione complessiva e relazionale, che non può trascurare ovviamente il mercato e le sue regole.
Nelle aree dove si tende a concentrare maggiormente la zootecnia da carne in soccida, c'è l'annosa questione della direttiva europea sui nitrati, per la quale si va avanti con deroghe, che hanno comportato comunque procedure d'infrazione per l'Italia, quando sarebbe molto più semplice delocalizzare laddove si può avere un minor impatto ambientale sulle falde acquifere derivante dall'azoto presente nei liquami e nel letame.
Furono specificate alcune colture ad alto fabbisogno di azoto sulle quali le aziende avrebbero potuto spandere un massimo di 250 kg/ha annuo.
La questione dei nitrati e, in generale, lo smaltimento dei reflui rimangono un problema gravoso sulle filiere zootecniche, anche perché questo tipo di produzioni, in particolare l'avicolo, non dispone di terreni sufficienti e deve concorrere con le altre filiere zootecniche contribuendo in tal modo al continuo aumento del valore dei terreni agricoli.
Per quanto riguarda gli aspetti di bilancio sanitario e salute pubblica, la concentrazione spaventosa di animali in alcune aree del Paese non pone solo problemi di inquinamento da nitrati delle acque. Il rischio di shock sanitari, di antibiotico-resistenza e di malattie infettive (epizoozie, influenza aviaria, suina, mucca pazza, epidemia di SARS) appare una minaccia che non è affatto da sottovalutare anche in termini di bilancio sanitario e di costi per la collettività. Non bisogna dimenticare che questi poli industriali detengono anche la leadership di consumo di antibiotici in Italia.
L'utilizzo di antibiotici in medicina veterinaria spesso non avviene per curare malattie ma per accelerare la crescita (pratica vietata in Europa) favorendo l'insorgere della resistenza.
La classifica europea colloca l'Italia in pessima posizione. Il nostro Paese è la prima nazione per consumo in milligrammi/chilo di antibiotici negli animali e nell'uomo. I due terzi del consumo di antibiotici nazionali sono destinati agli animali da allevamento industriale, in particolare nelle soccide.
I dati non sono confortanti perché pongono l'Italia anche ai vertici della presenza di ceppi resistenti, cui corrisponde un aumento impressionante delle resistenze batteriche di specie che possono diventare mortali. Si richiama, inoltre, la legge n. 218 del 1988, che contiene misure per la lotta contro l'afta epizootica ed altre malattie epizootiche degli animali e che rende l'idea di come le lobby delle carni abbiano imbastito una legislazione ad hoc per « socializzare le perdite » derivanti da rischi sanitari malgovernati dal management aziendale, il cui unico obiettivo è solo quello di « privatizzare gli utili ».
Qualora, a seguito dell'avvenuto abbattimento dei capi, l'autorità sanitaria competente disponga la distruzione di attrezzature fisse o mobili o, in quanto non adeguatamente disinfettabili, di mangimi, di prodotti agricoli e di prodotti zootecnici contaminati, al proprietario o al soccidario, in ragione degli accordi stipulati con il soccidante, è concessa una indennità pari all'80 per cento del valore attribuito in sede di stesura del verbale di distruzione (per la quale è stata richiesta una nota esplicativa e mai giunta in ordine all'influenza aviaria).
L'indennità viene maggiorata della percentuale di compensazione stabilita, per gruppi di prodotti, con decreto ministeriale ai fini del regime speciale IVA per i produttori agricoli (di cui al comma 1 dell'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972), nel caso in cui il proprietario degli animali, di cui sia stato disposto l'abbattimento, o il soccidario, sia un produttore agricolo che non abbia esercitato l'opzione di applicazione dell'IVA nei modi ordinari.
In conclusione, la soccida è una forma surrettizia di contratto associativo che introduce vincoli incompatibili con il libero mercato e dal chiaro effetto anticoncorrenziale (accordi esclusivi, assoggettamenti e abusi di dipendenza economica, barriere all'entrata, limitazione e controllo produzione, controllo degli investimenti, ripartizione del mercato, discriminazione prezzi a valle, effetti restrittivi sull'ambiente) e, di fatto, maschera rapporti di lavoro subordinato con rapporti associati, favorendo altresì comportamenti elusivi, abusivi del diritto e volti esclusivamente a realizzare vantaggi fiscali, con aggravi per il fondo sanitario nazionale e per la salute pubblica (aumento antibiotico-resistenza), e aiuti di Stato erogati sempre agli stessi gruppi. Non a caso, il Programma di sviluppo rurale (PSR) è entrato nel mirino dell'antifrode europea proprio a causa di bandi contestati, i cui indicatori agevolavano le soccide
Il presente disegno di legge ha una triplice valenza: è una norma antielusiva che ha il pregio di aumentare sensibilmente il gettito fiscale per le casse dell'erario, genera effetti pro-concorrenziali nel mercato e riequilibrio socio-economico nel territorio, aumenta la tutela del contraente debole, della salute e dell'ambiente.
Per tale motivo, con il disegno di legge si prevede l'abrogazione dei contratti di soccida (articolo 1); la riconversione degli stessi (articolo 2) ai sensi della normativa prevista dall'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, che ha lo scopo di permeare di equità i rapporti di integrazione verticale in agricoltura, e ai sensi della normativa di cui all'articolo 6-bis della legge n. 91 del 2015, che ha lo scopo di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali e nella rilevazione dell'andamento dei prezzi di mercato, fermo restando il divieto di accordi preventivi per la determinazione dei prezzi imposto dai regolamenti dell'Unione europea; il riequilibrio (articolo 3) a favore dei contraenti deboli, della concorrenza e dell'ambiente; l'eliminazione dei benefici (articolo 4) per tutte quelle cooperative collegate a società di capitali aventi fini di lucro, in contrasto alla funzione sociale e con le quali costituiscono un'unica entità economica sotto il profilo antitrust.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Abolizione dei contratti di soccida
al settore zootecnico)

1. Al fine di favorire la corretta integrazione tra le diverse componenti delle filiere zootecniche e una più equa distribuzione del valore aggiunto all'interno delle stesse, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge i contratti di soccida in essere cessano di essere applicabili.

2. Dalla dati di entrata in vigore della presente legge sono abrogati gli articoli da 2170 a 2186 del codice civile.

Art. 2.

(Introduzione di nuovi modelli contrattuali da utilizzare nella stipula dei contratti di allevamento)

1. All'interno delle filiere zootecniche maggiormente rappresentative del sistema agricolo-alimentare i rapporti tra la fase agricola e quelle a monte e a valle di essa sono regolate attraverso la normativa speciale prevista dall'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e dall'articolo 6-bis del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, in linea con gli orientamenti dell'Unione europea in materia di organizzazione comune dei mercati.

Art. 3.

(Agevolazioni a favore del riequilibrio ambientale e socio-economico)

1. Le entrate derivanti dal nuovo gettito fiscale dovuto all'abolizione dei contratti di cui all'articolo 1 confluiscono in un apposito Fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, denominato Fondo speciale perequativo.

2. Il Fondo di cui al comma 1 è impiegato per misure di carattere strutturale tese a contrastare le derive oligopolistiche in atto nelle varie filiere zootecniche, incentivare nuova concorrenza, eliminare barriere all'entrata nei relativi mercati, avvicinare la produzione al consumo, recuperare immobili preesistenti idonei all'attività delle filiere zootecniche, ridurre i problemi ambientali legati al trasporto su lunghe distanze e alle emissioni di anidride carbonica (C02), all'inquinamento da nitrati nelle acque nelle zone vulnerabili e al consumo di suolo.

3. Ai fini di cui al comma 2 sono concessi incentivi e sgravi fiscali solo per le attività relative alle filiere zootecniche che avvicinano la produzione e la trasformazione al consumo, riducono le emissioni di C02, delocalizzano nelle aree del Paese in cui la produzione è inesistente o insufficiente a soddisfare i consumi e che operano in conformità alla direttiva 91/676/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1991, ad esclusione delle deroghe sopraggiunte.

4. I beneficiari delle misure di cui al comma 1 non devono possedere nel mercato di riferimento nazionale una quota di produzione che superi il 10 per cento della produzione del fattore a monte, il 10 per cento del fattore intermedio e il 10 per cento del fattore a valle, in ogni filiera zootecnica. Ai fini della presente legge, per « fattore a monte » si intende il mangime; per « fattore intermedio » si intende la produzione zootecnica; per « fattore a valle » si intende il prodotto finito.

5. Le agevolazioni e gli incentivi di cui al presente articolo sono altresì estesi a tutte le misure di trade marketing e di comunicazione necessarie ad affermare nuovi brand e a creare nuove reti commerciali e punti vendita, relativi alle filiere zootecniche, presentate da associazioni che non presentano le soccide, da statuto.

Art. 4.

(Esclusione dai benefici agevolativi per società cooperative agricole collegate a società di capitali)

1. Le società cooperative agricole collegate ad entità economiche verticalmente integrate, a monte e a valle, riconducibili ad un unico gruppo di società di capitali, non caratterizzato da una funzione sociale, ma da scopi di lucro, perdono la mutualità prevalente e non godono di nessuna agevolazione di carattere tributario e previdenziale.