Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 31 OTTOBRE 2019
Disposizioni in materia di ridefinizione e aggiornamento dei valori massimi di concentrazioni in atmosfera di idrogeno solforato, rideterminazione delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi, nonché reintroduzione del piano delle aree per l'esercizio delle attività petrolifere
Onorevoli Senatori. – L'idrogeno solforato o acido solfidrico (H2S) è un acido estremamente velenoso e una prolungata esposizione ad esso può rivelarsi mortale per l'essere umano.
Tutte le operazioni di trattamento dei prodotti petroliferi, a qualsiasi livello, hanno la probabilità di emettere quantità più o meno abbondanti di idrogeno solforato durante le fasi di estrazione, di stoccaggio, di lavorazione e di trasporto del petrolio.
Il trattamento del petrolio comporta, quindi, un'inevitabile immissione in atmosfera di H2S, che è il sottoprodotto principale dell'opera di idro-desulfurizzazione del petrolio.
A temperatura ambiente, e a basse concentrazioni, l'idrogeno solforato è un gas incolore, che emana un caratteristico odore di uova marce.
Il gas è infiammabile e brucia con una fiamma bluastra a temperature superiori ai 260°. Concentrazioni di H2S nell'aria superiori al 4 per cento sono esplosive.
I tipici valori di H2S immessi nell'atmosfera da processi naturali sono inferiori a 1 ppb (una parte per bilione).
Metà della popolazione è capace di riconoscere l'odore acre dell'H2S già a concentrazioni di 8 ppb e il 90 per cento riconosce il suo tipico odore a 50 ppb. A dosi inferiori, fra 8 ppb e 100 ppm, si riportano molti casi di difficoltà olfattive. L'effetto desensibilizzante dell'odorato è uno degli aspetti più insidiosi dell'H2S perché alle più alte, e potenzialmente mortali, concentrazioni la sostanza non è più percettibile ai nostri sensi. Questo è quanto emerso da uno studio condotto dalla professoressa Maria Rita D'Orsogna, della University of California. Ciò che viene riportato in tale studio non è per niente confortante, né per gli abitanti della Val d'Agri, che vivono a poche decine di metri in linea d'aria dal Centro Oli di Viggiano, né per qualsiasi popolazione che risiede in prossimità di aree dove si estraggono idrocarburi.
Infatti, l'idrogeno solforato è un gas irritante e poiché agisce su molti organi del corpo umano, è considerato una sostanza tossica a largo spettro. Le parti interessate sono le membrane mucose (occhi e naso) e le parti del corpo umano che richiedono maggiori quantità di ossigeno, come polmoni e cervello. Se la quantità di H2S è troppo elevata, la naturale capacità del corpo umano di disintossicarsi non è più sufficiente e la tossicità diventa letale. I metodi di smaltimento naturali di una continuata immissione di H2S non sono ben conosciuti, ma esiste una forte evidenza medica che una continua immissione di H2S nel corpo possa essere nociva alla salute. Esposizioni fra le 100 e le 150 ppm di H2S causano infiammazione alla cornea e congiuntivite, irritazione agli occhi, lacrimazione e tosse. La principale via di ingresso dell'H2S nel corpo umano è la via inalatoria. È stato mostrato come l'H2S ritardi la naturale azione di rimarginamento delle ferite alla pelle e provochi irritazioni e pruriti. Altri problemi di salute collegate alla presenza di H2S sono la perdita di coscienza, la cessazione momentanea del respiro e la morte. Ad alte concentrazioni H2S è un asfissiante. Fra gli effetti non letali, i danni sono di natura neurologica e polmonare. L'H2S causa vertigini, svenimenti, confusioni, mal di testa, sonnolenza, tremori, nausea, vomito, convulsioni, pupille dilatate, problemi di apprendimento e concentrazione, perdita di conoscenza. Fra i danni di natura polmonare i sintomi ricorrenti sono edema polmonare, rigurgiti di sangue, tosse, dolori al petto e difficoltà di respirazione.
Gli studi recenti sulle esposizioni acute e, quindi, sui rischi per la salute a causa dell'esposizione da H2S ad elevate dosi, dimostrano che nei pressi di impianti di idro-desulfurizzazione le popolazioni più vulnerabili e che corrono i maggior rischi per la salute sono i bambini e le persone con problemi di cuore o di asma.
Per quanto riguarda l'esposizione a lungo termine dell'H2S sulle popolazioni esposte a questa sostanza, gli effetti sono più difficili da quantificare, poiché si tratta di effetti cumulativi nel corso degli anni. Malgrado ciò, esistono, nella letteratura medico-scientifica, molti studi riguardanti lo stato di salute degli abitanti in prossimità di emettitori costanti di H2S a bassa concentrazione, fra cui i centri di idro-desulfurizzazione. Da questi studi emerge in modo chiaro come le esposizioni croniche, anche a livelli bassi di H2S, possano causare problemi neurologici, affaticamento, debolezza, perdita della memoria, mal di testa, problemi alla vista e alla circolazione del sangue, svenimenti.
In alcuni casi i danni vengono considerati irreversibili, tanto è vero che da alcune recenti ricerche di carattere scientifico è emersa la capacità dell'idrogeno solforato di stimolare la comparsa del cancro al colon retto.
L'inquinamento delle acque con idrogeno solforato provoca la moria di pesci; l'effetto sulle piante non è acuto ma cronico, a causa della sottrazione di microelementi essenziali per il funzionamento dei sistemi enzimatici. Nei confronti dei materiali mostra una discreta aggressività per i metalli, provocandone un rapido deterioramento.
Nel citato studio della professoressa D'Orsogna vengono riportati due incidenti rilevanti avvenuti in Basilicata nel 2002 e nel 2005 che hanno riguardato il Centro Oli di Viggiano. Incidenti gravissimi, sui quali non sono stati mai forniti i dati relativi all'emissione dell'idrogeno solforato. In una ricerca curata dall'Università della Basilicata, pubblicata dall’International Journal Food Science and Technology, risulta che nel miele prodotto nella Val D'Agri si trovano alti tassi di benzeni ed alcoli.
Insomma, gli effetti tossicologici dell'idrogeno solforato, sia sull'uomo che sulla vegetazione (l'H2S entra nel ciclo vegetativo attraverso il processo di fotosintesi) sono veramente allarmanti.
L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), per l'H2S, raccomanda di non superare il livello di 7 µg/m3 (circa 0,005 ppm) per la concentrazione media in aria ambiente misurata su 30 minuti, al fine di evitare disturbi per la popolazione.
Recentemente, a causa della progressiva presa di coscienza dei problemi sanitari e ambientali connessi all'H2S, alcuni stati americani hanno abbassato la soglia massima legale di presenza di H2S nell'atmosfera. Nello stato della California il limite legale è di 30 ppb (0.03 ppm). Nello stato dell'Alberta, in Canada, il limite legale è di 20 ppb (0.02 ppm). Nello stato del Massachussetts il limite è di 0.65 ppb (0.00065 ppm). Il governo federale degli Stati Uniti d'America consiglia di fissare il limite massimo ad 1 ppb (0.001 ppm).
In Italia, il limite massimo di rilascio di idrogeno solforato, secondo quanto stabilito dal decreto del Ministero dell'ambiente 12 luglio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30 luglio 1990, recante « Linee guida per il contenimento delle emissioni degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione », era di 5 ppm per l'industria non petrolifera e 30 ppm per quella petrolifera.
In Italia, come riferimento per le sole emissioni, gli impianti Claus sono autorizzati ad emettere fino a 22000 ppb, (22 ppm o 30 mg/m3), secondo l'allegato 1 alla parte quinta, del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152.
La direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, ha come obiettivo di mantenere e, possibilmente, di migliorare lo stato di qualità dell'aria per salvaguardare le popolazioni, la vegetazione e gli ecosistemi nel loro complesso.
Secondo la citata direttiva, risulta utile prevedere grado e durata dell'esposizione agli inquinanti per poter limitare al minimo gli effetti nocivi per la salute umana e per tutto l'ambiente. Bisogna combattere alla fonte l'emissione di inquinanti ed individuare ed attuare le misure più efficaci per ridurre le emissioni a livello locale, nazionale ed europeo, considerato che la prevenzione generale è essenziale.
Ai fini della valutazione della qualità dell'aria ambiente – sempre secondo la direttiva – è opportuno utilizzare tecniche di misurazione standard e criteri comuni (a livello europeo) per quanto riguarda il numero e l'ubicazione delle stazioni di misurazione. È importante che lo stato della qualità della aria sia mantenuto buono e migliorarlo ove possibile.
Pertanto, i punti chiave sono: valutazione della qualità aria; riduzione dell'emissione di inquinanti; acquisizione di maggiori informazioni sugli inquinanti e sulla qualità dell'aria per lottare contro l'inquinamento e i suoi effetti nocivi; moltiplicazione dei punti di rilevamento; introduzione di criteri di misurazione e tecniche di monitoraggio standard per tutta l'Unione europea; disponibilità delle informazioni a tutti i cittadini e quindi maggiore trasparenza; cooperazione tra gli Stati membri nella lotta all'inquinamento.
Il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, ha recepito la direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, e ha sostituito le disposizioni precedenti (direttiva 2004/107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004)
La normativa europea e quella nazionale, quindi, non stabiliscono valori limite, soglie di allarme o valori obiettivo di qualità dell'aria. In mancanza di riferimenti normativi è una prassi consolidata, a livello nazionale e internazionale, riferirsi ai valori guida indicati dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Deve essere ricordato che quando la letteratura propone per uno stesso inquinante più valori guida riferiti a tempi di mediazione differenti, questi devono essere considerati congiuntamente.
Il modo più efficace di contrastare gli effetti dell'idrogeno solforato è quello di adottare misure di carattere preventivo che prevedano severe regolamentazioni che proibiscano la costruzione di pozzi petroliferi, oleodotti associati e qualsiasi industria di trattamento e lavorazione del petrolio in zone abitate e, soprattutto, un radicale irrigidimento dei limiti di rilascio di idrogeno solforato, in linea con quanto consigliato dall'OMS.
Ad esempio negli Stati Uniti d'America è imposto il divieto di estrarre il petrolio nei parchi, nei grandi laghi, a 160 chilometri dalla costa, ovvero sull'85 per cento del territorio nazionale e in Norvegia, dove l'estrazione del petrolio avviene in mare, non è possibile attivare le procedure di trivellazione se non a distanza di 50 chilometri dalla costa.
Il presente disegno di legge si compone di 3 articoli.
L'articolo 1 limita le concentrazioni in atmosfera dell'idrogeno solforato come raccomandato dall'OMS.
L'articolo 2 modifica l'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, in materia di armonizzazione della disciplina sulle aliquote di prodotto della coltivazione, le cosiddette royalties, cioè il compenso riconosciuto al proprietario di un bene come corrispettivo della concessione di utilizzare commercialmente il bene stesso. Infatti, ai sensi dell'articolo 826 del codice civile, i giacimenti di idrocarburi presenti nel territorio nazionale, siano essi situati su terraferma che in mare, sono patrimonio indisponibile dello Stato italiano che, tuttavia, non si impegna direttamente nella ricerca e nel loro utilizzo, ma rilascia a tali fini concessioni in favore di società di diritto privato.
Lo Stato, pertanto, non investe fondi pubblici per la coltivazione di un giacimento, ma affida tale attività al titolare del permesso di ricerca che ha effettuato il ritrovamento, ottenendo, in cambio, una parte della produzione. Oltre alle royalties, lo Stato ottiene entrate dalla tassazione degli utili delle compagnie petrolifere concessionarie dei giacimenti.
Il concessionario, quindi, una volta ricevuta la concessione di coltivazione del giacimento, è tenuto al rispetto dei programmi di lavoro approvati dalle autorità preposte, al pagamento dei canoni demaniali proporzionati alla superficie concessa e al versamento delle royalties, proporzionate alle quantità di idrocarburi prodotte (olio e gas). Dette somme sono versate allo Stato per le concessioni in mare e, proporzionalmente, allo Stato, alle regioni e ai comuni per le concessioni in terraferma.
Attualmente, le royalties, gravano, complessivamente, per il 10 per cento sugli idrocarburi liquidi e gassosi estratti, con l'eccezione degli idrocarburi liquidi estratti in mare per i quali l'aliquota è del 7 per cento. Tali percentuali sono veramente irrisorie rispetto agli altri Paesi. Per esempio, in Norvegia e in Indonesia le royalties sono all'80 per cento, in Libia al 90 per cento, mentre in Canada i governi locali si lamentano perché giudicano insufficiente il 45 per cento. Pertanto, l'articolo 2 della presente legge modifica il comma 1 dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 625 del 1996, stabilendo l'aliquota del 45 per cento del prodotto della coltivazione della quantità di idrocarburi liquidi e gassosi estratti in terraferma e del 40 per cento della quantità di idrocarburi liquidi estratti in mare.
Infine, l'articolo 3 raccoglie l'appello sottoscritto dal Coordinamento nazionale « No triv », da Legambiente, da 148 associazioni e comitati e da 135 personalità della cultura, della politica e delle scienze, finalizzato a reintrodurre il piano delle aree, soppresso con la legge di stabilità 2016. La finalità dell'articolo è quella di stabilire, attraverso lo strumento del piano delle aree, quali aree del territorio nazionale debbano essere escluse dall'esercizio delle attività petrolifere, prevedendo che a decidere siano anche le regioni e le comunità locali interessate. Tale piano deve contenere anche un'analisi del valore ecologico, sociale ed economico delle suddette aree, rapportato al valore economico ed energetico delle attività estrattive previste e degli impatti attesi, nonché un'analisi che, assumendo un criterio di valutazione ambientale strategica, definisca con precisione a quali stress ambientali siano già sottoposte le aree oggetto di valutazione, in modo da evitare che ulteriori misure di impatto possano sommarsi e cumularsi su ecosistemi già gravati da attività antropiche inquinanti.
Art. 1.
(Ridefinizione ed aggiornamento dei valori massimi di concentrazione in atmosfera di idrogeno solforato)
1. Al fine di abbattere le emissioni nocive e inquinanti in atmosfera, con particolare riferimento a quelle derivanti da attività di idro-desulfurizzazione e di lavorazione del petrolio, nonché al fine di prevenire i rischi per la salute pubblica, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e della salute, da adottare, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono ridefiniti e aggiornati i valori massimi di concentrazione in atmosfera dell'idrogeno solforato (H2S) al fine di adeguarli ai livelli raccomandati dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
2. Il decreto di cui al comma 1 definisce altresì le modalità di monitoraggio e di rilevazione dell'H2S nelle aree interessate dalla presenza di centri di lavorazione del petrolio da parte delle competenti strutture pubbliche, con oneri a carico delle società di gestione degli impianti.
Art. 2.
(Rideterminazione delle aliquote di prodotto della coltivazione di idrocarburi)
1. All'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, il comma 1 è sostituito dal seguente:
« 1. Per le produzioni ottenute a decorrere dal 1° gennaio 2020, il titolare di ciascuna concessione di coltivazione è tenuto a corrispondere annualmente allo Stato il valore di un'aliquota del prodotto della coltivazione pari al 45 per cento della quantità di idrocarburi liquidi e gassosi estratti in terraferma, al 45 per cento della quantità di idrocarburi gassosi e al 40 per cento della quantità di idrocarburi liquidi estratti in mare ».
Art. 3.
(Reintroduzione del piano delle aree
per l'esercizio delle attività petrolifere)
1. All'articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
« 1-bis.1 La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1. Il piano di cui al primo periodo è adottato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
1-bis.2. Nella predisposizione del piano delle aree di cui al comma 1-bis.1 deve essere presente un'analisi del valore ecologico, sociale ed economico delle aree, rapportato al valore economico ed energetico delle attività estrattive previste e degli impatti attesi, nonché un'analisi che, assumendo un criterio di valutazione ambientale strategica, definisca con precisione a quali stress ambientali siano già sottoposte le aree oggetto di valutazione, in modo da evitare che ulteriori misure di impatto possano sommarsi e cumularsi su ecosistemi già gravati da attività antropiche inquinanti ».