Senato della RepubblicaXVIII LEGISLATURA
N. 1478
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori MAIORINO, PIRRO, ROMANO, EVANGELISTA, PIARULLI, ANGRISANI, VANIN, PAVANELLI, GIARRUSSO, PRESUTTO, LANNUTTI, RICCIARDI, CORRADO, MORONESE e DONNO

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 3 SETTEMBRE 2019

Introduzione dei reati di molestie sessuali, violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e atti persecutori nel codice penale militare di pace

Onorevoli Senatori. – L'ingresso del personale femminile nelle Forze armate, Arma dei carabinieri compresa, nonché nella Guardia di finanza, ha costituito un evento che, nella coscienza comune, è stato, e forse viene ancora avvertito, come la conquista da parte della donna di una nuova frontiera di una società, fino a ieri, fortemente declinata al maschile.
La legge 9 febbraio 1963, n. 66, recante ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle professioni, pur consentendo l'accesso delle donne a tutte le cariche pubbliche, confermò l'indirizzo di preclusione all'arruolamento nelle Forze armate. Tale disparità di trattamento è venuta meno con la legge 20 ottobre 1999, n. 380, recante delega al Governo per l'istituzione del servizio militare volontario femminile, che ha disposto l'emanazione di una serie di decreti legislativi e ministeriali per disciplinare il reclutamento, lo stato giuridico e l'avanzamento del personale militare femminile.
Ad oggi, circa il cinque per cento delle Forze armate italiane è costituito da personale femminile. Stando all'ultima relazione sullo stato della disciplina militare trasmessa dal Governo al Parlamento, il 31 dicembre 2015 l'Italia poteva contare su 11.895 donne in divisa. L'ingresso della componente femminile nella compagine militare ha comportato la necessità di adeguare non soltanto le infrastrutture militari, bensì ha imposto un radicale cambiamento soprattutto nella mentalità degli stessi appartenenti alle Forze armate.
Da allora, la difesa italiana si è mostrata attenta alla promozione e alla protezione dei diritti delle donne. In questo senso è opportuno ricordare l'emanazione della direttiva interforze denominata « Linee guida in tema di parità di trattamento, rapporti interpersonali, tutela della famiglia e della genitorialità » (ed. dicembre 2012, attualmente in fase di revisione), dove non mancano riferimenti agli atteggiamenti e alle condotte devianti, fra le quali rientrano le molestie sessuali, nonché la partecipazione della difesa al Piano strategico per il contrasto alla violenza maschile contro le donne, in attuazione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, (la cosiddetta Convenzione di Istanbul, ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77). A ciò si aggiunga che negli assetti operativi delle missioni è stata prevista e ricoperta la posizione di Gender Advisor.
Nonostante tali tangibili progressi, ad oggi nel codice penale militare non risultano espressamente codificati i reati di molestie sessuali, violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e stalking. Una grave lacuna normativa, cui le istituzioni non possono più sottrarsi.
I reati che ledono la sfera sessuale del militare, donna o uomo che sia, sono infatti previsti e puniti unicamente dal codice penale comune e sono di competenza del giudice ordinario, il quale, spesso oberato dal carico giudiziario, potrebbe non intervenire con incisività e tempestività nella repressione di tali episodi. È il caso di ricordare che la vita di caserma comporta una stretta convivenza tra i consociati ed il rapporto gerarchico evidenzia vieppiù la necessità di improntare le relazioni tra inferiori e superiori gerarchici alla massima correttezza proprio in virtù dello speciale status giuridico militare e del potere derivante dalla superiorità in grado o in comando.
D'altronde, se la Costituzione ha previsto i tribunali militari quali giudici speciali, attribuendo loro la competenza sui reati commessi dagli appartenenti alle Forze armate in tempo di pace (articolo 103 della Costituzione), appare ragionevole rispettare la scelta del Costituente garantendo la specialità anche in un settore così delicato quale i reati che violano la libertà sessuale.
Il disegno di legge si propone, attraverso la formulazione di alcune fattispecie criminose da introdurre nel codice penale militare, qualificabili come reati militari, di attribuire la competenza per tali reati al giudice militare, garantendo, da un lato, una conoscenza specifica del contesto militare e, dall'altro, di scongiurare lungaggini processuali ed eventuali duplicazioni di processi ordinari e militari e soprattutto la prescrizione, istituto pressoché sconosciuto ai processi penali militari.
L'ingresso delle donne nelle Forze armate ha reso ancor più evidente il mancato adeguamento degli strumenti giuridici all'esigenza dell'evoluzione dei tempi, situazione che va di pari passo con l'aggiornamento dei regolamenti interni a tutela del genere femminile.
Le leggi in materia di parità di trattamento tra uomini e donne nell'ambiente di lavoro hanno portato a considerare la molestia come una forma di discriminazione. Per questa ragione, come disposto dall'articolo 1468 del Codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66: « È vietata nei confronti dei militari ogni forma di discriminazione diretta o indiretta, di molestia anche sessuale, secondo quanto disposto dai decreti legislativi 9 luglio 2003, n. 215, 9 luglio 2003, n. 216 e 11 aprile 2006, n. 198. Nei confronti dei militari, in sede di attribuzione di incarico, di assegnazioni o di trasferimento a comandi, a enti, a reparti, ad armi o a specializzazioni, sono vietate le discriminazioni per motivi politici, ideologici, religiosi, razziali, etnici, per l'orientamento sessuale o per la differenza di genere ».
In particolare, occorre graduare i fenomeni in modo da scindere le fattispecie individuabili e riconducibili a reati previsti dal nostro ordinamento da quelle inquadrabili in responsabilità dal punto di vista disciplinare, dai casi, infine, non sanzionabili.
Come è noto esistono due codici penali militari: uno in tempo di pace e uno in tempo di guerra. Quello attualmente in vigore ovviamente è quello del tempo di pace. I reati militari non escludono il rilievo disciplinare dei fatti che potrà essere effettuato dall'autorità amministrativa quando di sua competenza.
Il presente disegno di legge si propone lo scopo di aggiornare il codice penale militare di pace ed inserire nuove figure criminose oggi punite solo dalla legge penale comune, le quali, come detto, inserite nel codice penale militare di pace diventerebbero reati militari di competenza dell'autorità giudiziaria militare.
Detti reati militari, disciplinati con l'articolo 1 del disegno di legge, sono: molestie sessuali (si dispone l'introduzione di detto reato con la previsione di cui al nuovo articolo 229-bis del codice penale militare di pace) violenza sessuale (nuovo articolo 229-ter del codice penale militare di pace), violenza sessuale di gruppo (di cui all'articolo 229-quater del codice penale militare di pace) e atti persecutori (articolo 229-quinquies del codice penale militare di pace).
La loro formulazione ricalca sostanzialmente le corrispondenti fattispecie contenute nel codice penale comune, distinguendosi per la qualità di militare del soggetto attivo e passivo.
Nello specifico, l'articolo 1 del disegno di legge prevede l'inserimento dell'articolo 229-bis del codice penale militare di pace, il quale punisce le molestie sessuali consistenti in comportamenti a sfondo sessuale, posti in essere a danno di altro militare non consenziente. È apparsa opportuna l'introduzione di questa fattispecie criminosa proprio a tutela dello specifico contesto militare in cui la situazione di convivenza obbligata richiede la necessità di improntare a maggiore rigore e correttezza i comportamenti dei consociati e di evitare abusi agevolati dalla stretta vicinanza o dalla superiorità in grado o in comando.
Inoltre, si è ritenuto necessario stabilire la punibilità anche a querela del reato di cui all'articolo 229-bis del codice penale in quanto i reati militari puniti con la pena della reclusione fino a sei mesi, in base all'articolo 260 del codice penale militare di pace, sono sottoposti alla richiesta di procedimento del comandante di corpo. È quindi necessario introdurre come condizione di procedibilità concorrente anche la querela se non si vuole che sia attribuita solo al comandante di corpo la scelta se punire penalmente il colpevole e che il soggetto passivo sia di fatto espropriato della possibilità di richiedere il procedimento penale per fatti commessi ai propri danni.
Un valore aggiunto apportato dal presente disegno di legge, oltre all'introduzione delle suddette fattispecie criminose nel codice penale militare, è l'istituzione, prevista dall'articolo 2 del disegno di legge, di un corso di formazione in tema di prospettiva di genere con la finalità di sviluppare la coscienza dell'uguaglianza di genere in ambito militare. Il medesimo si attuerà attraverso la partecipazione a corsi organizzati dalle varie componenti istituzionali interessate al settore, compreso il mondo accademico.
Una corretta analisi di genere, compresa la violenza di genere, tramite adeguata formazione non è solo necessaria sotto il profilo etico, ma anche allo scopo di rafforzare la consapevolezza delle potenziali ripercussioni sull'operatività dello strumento militare, in particolare nelle aree di crisi dove sono dispiegati i nostri contingenti, nonché sulla percezione che le popolazioni hanno nei confronti delle forze militari che operano sul territorio.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Introduzione dei reati di molestie sessuali, violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e atti persecutori nel codice penale militare di pace)

1. Al libro secondo, titolo IV, capo III, del codice penale militare di pace, dopo l'articolo 229 sono aggiunti i seguenti:

« Art. 229-bis. – (Molestie sessuali) – Il militare che pone in essere, con il dissenso anche non espresso di altro militare, atti, espressioni verbali, gesti a connotazione sessuale o qualsiasi forma di discriminazione basata sul sesso, in modo da offenderne l'onore e la dignità, è punito con la reclusione fino a sei mesi. Il reato è punibile anche a querela della persona offesa.

Si applica la reclusione fino ad un anno se il fatto è commesso con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla qualità di superiore gerarchico o in comando.

Art. 229-ter. – (Violenza sessuale) – Il militare che, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe altro militare a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione militare da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace il militare che induce altro militare a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

La pena è della reclusione militare da sei a dodici anni se il fatto è commesso:

1) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;

2) da persona travisata o che simuli la qualità di superiore gerarchico;

3) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

4) nei confronti di una donna in stato di gravidanza;

5) nei confronti di persona della quale il colpevole sia coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo.

Art. 229-quater. – (Violenza sessuale di gruppo) – La violenza sessuale di gruppo consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui all'articolo 229-ter.

Il militare che commette atti di violenza sessuale di gruppo a danno di altro militare è punito con la reclusione militare da sei a dodici anni.

La pena è aumentata se concorre taluna delle circostanze previste dal terzo comma dell'articolo 229-ter.

La pena è diminuita di un terzo per il militare la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita di un terzo per il militare che sia stato determinato a commettere il reato da un superiore.

Art. 229-quinquies. – (Atti persecutori) – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione militare da otto mesi a sei anni il militare che, con condotte reiterate, minaccia o molesta altro militare in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma, del codice penale ».

Art. 2.

(Istituzione del corso di formazione in tema di prospettiva di genere)

1. Al fine di sensibilizzare il personale delle Forze armate di ogni livello e grado è istituito il corso di formazione in tema di prospettiva di genere.

2. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentito il Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, definisce con proprio decreto le modalità per l'istituzione e la partecipazione al corso di cui al comma 1.

Art. 3.

(Clausola di invarianza finanziaria)

1. Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.