Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 12 LUGLIO 2018
Disposizioni per l'istituzione del salario minimo orario
Onorevoli Senatori. – Anche in Italia il fenomeno dei working poors – lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa, magari perché lavorano a tempo parziale, pur essendo regolarmente occupati – è in crescita, e pure in crescita è la distanza che li separa dal resto dei lavoratori, come ci ha mostrato il recente rapporto Eurostat, In-work poverty in the EU del 16 marzo 2018.
Secondo quell'analisi in Italia 11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, dato questo ben al di sopra della media dell'Unione europea, che si attesta al 9,6 per cento. Ma quello che allarma di più è l'aumento record, oltre il 23 per cento, registrato tra il 2015 e il 2016 nel nostro Paese. A ciò si aggiungono i dati sulle prospettive di vita: stando ai dati attuali (fonte Censis) ben 5,7 milioni di giovani (precari, neet, working poor e in «lavoro gabbia») rischiano di avere nel 2050 pensioni sotto la soglia di povertà.
Come ci hanno dimostrato illustri economisti, la misura che più è idonea a contrastare il fenomeno è la fissazione legislativa dei minimi salariali.
Al proposito la maggioranza parlamentare del precedente Governo aveva approvato, tra i principi e criteri direttivi relativi alle deleghe legislative contenute nell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183, il seguente, recato dalla lettera g): «introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
La delega è scaduta senza essere stata esercitata, ma ha determinato un importante dibattito scientifico tra gli studiosi dei settori interessati (giuslavoristi, studiosi di relazioni industriali, economisti del lavoro) e attenzione anche tra le parti sociali.
In particolare, il documento del 14 gennaio 2016 di CGIL, CISL e UIL intitolato Un moderno sistema di relazioni industriali afferma che «l'esigibilità universale dei minimi salariali definiti dai Ccnl, in alternativa all'ipotesi del salario minimo legale, va sancita attraverso un intervento legislativo di sostegno, che definisca l’erga omnes dei Ccnl, dando attuazione a quanto previsto dall'articolo 39 della Costituzione», concetto questo ribadito nel recente accordo interconfederale 9 marzo 2018: Contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva.
Tuttavia, le molteplici difficoltà tecniche e politiche che hanno sempre impedito l'attuazione delle regole contenute ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della Costituzione non paiono di rapida soluzione.
Esiste tuttavia una possibilità diversa di rispondere con immediatezza alle esigenze che hanno mosso sia le imprese che i lavoratori per conto delle loro rappresentanze sindacali e che risponda alle caratteristiche di un intervento di sostegno alla contrattazione collettiva, e non già sostitutivo di essa, che eviti ogni rischio di effetti prociclici di riduzione salariale i quali, in una fase persistente e tutt'altro che conclusa di crisi da insufficienza della domanda, potrebbero determinare conseguenze negative di vasta portata.
Va ricordato infatti non solo che per molti aspetti in Italia – uno dei pochi Paesi d'Europa storicamente privo di un salario minimo di fonte legale, dal 2015 introdotto anche in Germania e che si attesta per l'anno 2018 a 1.497,80 euro mensili e in linea con quello francese stabilito per l'anno 2018 a 1.498,50 euro mensili (fonte Eurofound, Industrial relations. Statutory minimum wages 2018) – esiste un salario minimo di fonte giurisprudenziale, che ha affermato, sia pure con diverse oscillazioni non sempre giustificate e convincenti, il diritto delle persone che lavorano a percepire i minimi salariali previsti dai contratti collettivi attraverso l'interpretazione combinata dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione e dell'articolo 2099, secondo comma, del codice civile; ma anche che esistono normative settoriali che possono fare da esempio.
Nel settore degli appalti pubblici gli articoli 30, comma 4, 50, 105, comma 9, del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, impongono ad appaltatori e sub-appaltatori, quale condizione indispensabile per l'ammissibilità dell'offerta e per l'aggiudicazione dei lavori, di applicare integralmente i trattamenti economici e normativi dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei lavoratori e dei datori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l'attività oggetto dell'appalto pubblico o con l'attività prevalente.
Le norme sociali introdotte dal codice dei contratti pubblici hanno una chiara funzione anti-dumping e riconoscono alla contrattazione collettiva nazionale, posta in essere da soggetti sindacali e datoriali altamente rappresentativi, il ruolo di garantire una genuina ed effettiva concorrenza tra le imprese
Per le società cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio, infatti, l'articolo 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142, prevede che «fermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300» – cioè l'obbligo per i beneficiari di sostegni pubblici, gli appaltatori di opere pubbliche e i concessionari di pubblici servizi di applicare condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi – «le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine».
Inoltre, per risolvere contrasti insorti nel sistema di relazioni industriali tra differenti organizzazioni delle società cooperative che avevano prodotto la stipulazione di differenti contratti collettivi con trattamenti economici molto differenziati, il legislatore è tornato sul tema disponendo, all'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, che «fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria».
Quest'ultima previsione è stata dichiarata recentemente costituzionalmente legittima con la sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 26 marzo 2015, la quale ha espressamente affermato che «Nell'effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l'andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l'articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative».
Orbene, l'assetto che ne deriva pone un delicato problema – già rilevato dai commentatori di quella sentenza – di differenziazione ingiustificata tra la posizione giuridica dei soci lavoratori delle cooperative e dei lavoratori impiegati in appalti pubblici, cui è garantito un trattamento economico complessivo non inferiore a quello derivante dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, e quella dei dipendenti di imprese individuali o società di capitali, cui tale livello di trattamento economico è garantito con tutte le oscillazioni e le limitazioni della giurisprudenza ordinaria in tema di articolo 36 della Costituzione, cui si faceva cenno in precedenza.
In effetti per la generalità del lavoro al di fuori del settore cooperativo non esiste uno strumento che dia certezza del diritto ai datori di lavoro e ai lavoratori, che contrasti efficacemente forme di competizione salariale al ribasso e che garantisca dunque la correttezza della competizione concorrenziale sul mercato da parte delle imprese.
Al contempo, il presente disegno di legge si propone di generalizzare – senza le oscillazioni e limitazioni della giurisprudenza, sovente casuali – l'osservanza dei minimi contrattuali previsti dai contratti collettivi, deflazionando e semplificando il contenzioso in materia retributiva che grava sulla giustizia del lavoro; di sostenere per questa via l'attività di regolazione del mercato del lavoro liberamente compiuta dalle parti sociali, che sono le autorità salariali più idonee allo svolgimento del compito, senza sostituirsi ad essa; di regolare con facilità e immediatezza il tema della retribuzione proporzionata e sufficiente richiesta dall'articolo 36, comma 1, della nostra Costituzione, senza pregiudicare l'eventuale volontà del Parlamento di dare una soluzione generale al problema dell'efficacia generale dei contratti collettivi, secondo le previsioni dei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 39 della stessa Costituzione.
Premesso tutto questo, i punti fondamentali dell'articolato che si propone possono sinteticamente riassumersi nei seguenti:
1) definizione certa, uguale per tutti i rapporti di lavoro subordinato, e cogente del trattamento economico che integra la previsione costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso l'obbligo che non sia inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative;
2) garanzia dell'applicazione del contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, quale parametro esterno di commisurazione del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione, nel caso di esistenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili, che ovviamente le parti restano liberi comunque di applicare (articolo 3 del disegno di legge);
3) garanzia dell'adeguatezza nel tempo del trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente, attraverso il richiamo ai contratti collettivi e in via sussidiaria mediante l'incremento automatico dell'importo fissato per legge, incrementato annualmente sulla base delle variazioni dell'indice IPCA, al netto dei valori energetici, rilevato nell'anno, con l'effetto di conservare alle parti sociali il ruolo di autorità salariali e di conservare – in caso di contrasto tra esse – un valore adeguato all'importo che il legislatore avrà considerato costituire attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione.
Per le ragioni esposte si auspica che il Parlamento riconosca al presente disegno di legge adeguata priorità approvandone in tempi rapidi le disposizioni.
Art. 1.
(Finalità)
1. In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, e fermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e da ogni altra disposizione di legge compatibile con le presenti, i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, sono tenuti a corrispondere ai lavoratori così come individuati nell'articolo 2094 del codice civile una retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Art. 2.
(Definizione)
1. Si considera retribuzione complessiva proporzionata e sufficiente ai sensi dell'articolo 1 il trattamento economico complessivo, proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato, non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 dicembre 1986, n. 936, il cui ambito di applicazione sia maggiormente connesso e obiettivamente vicino in senso qualitativo, anche considerato nel suo complesso, all'attività svolta dai lavoratori anche in maniera prevalente e comunque non inferiore a 9 euro all'ora al lordo degli oneri contributivi e previdenziali.
2. Le previsioni di cui al comma 1 si applicano anche ai rapporti di collaborazione di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ad eccezione di quelli previsti alle lettere b), c) e d) del comma 2 del medesimo articolo.
Art. 3.
(Pluralità di contratti collettivi nazionali applicabili)
1. In presenza di una pluralità di contratti collettivi applicabili ai sensi dell'articolo 2, il trattamento economico complessivo che costituisce retribuzione proporzionata e sufficiente non può essere inferiore a quello previsto per la prestazione di lavoro dedotta in obbligazione dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria stessa, e in ogni caso non inferiore all'importo previsto al comma 1 dell'articolo 2.
2. Ai fini del computo comparativo di rappresentatività del contratto collettivo prevalente si applicano per le organizzazioni dei lavoratori i criteri associativo ed elettorale di cui al testo unico della rappresentanza, recato dall'accordo del 10 gennaio 2014 tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL, e per le organizzazioni dei datori di lavoro i criteri del numero di imprese associate in relazione al numero complessivo di imprese associate e del numero di dipendenti delle imprese medesime in relazione al numero complessivo di lavoratori impiegati nelle stesse.
Art. 4.
(Carenza di contratti collettivi applicabili)
1. Qualora manchi un contratto collettivo applicabile cui fare riferimento ai sensi dell'articolo 2, il trattamento economico complessivo cui fare riferimento è quello previsto dal contratto collettivo territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, il cui ambito di applicazione sia maggiormente connesso e obiettivamente vicino in senso qualitativo all'attività svolta dai lavoratori anche in maniera prevalente, e comunque non inferiore all'importo previsto dal comma 1 dell'articolo 2.
2. Qualora, per scadenza o disdetta, manchi un contratto collettivo applicabile cui fare riferimento ai sensi degli articoli precedenti, il trattamento economico complessivo di riferimento è quello previsto dal previgente contratto collettivo fino al suo rinnovo e comunque non inferiore all'importo previsto dal comma 1 dell'articolo 2.
3. Gli importi di cui al comma 2 sono incrementati annualmente sulla base delle variazioni dell'indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell'Unione europea (IPCA), al netto dei valori energetici, rilevato nell'anno precedente.
Art. 5.
(Disposizione transitoria)
1. Ai fini dell'applicazione della presente legge sono fatti salvi i contratti collettivi nazionali e territoriali stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale vigenti, fino alla loro scadenza.