Senato della RepubblicaXVIII LEGISLATURA
N. 501
DISEGNO DI LEGGE
d'iniziativa dei senatori DE BERTOLDI e RAUTI

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 GIUGNO 2018

Norme in materia di trascrizione di atti di nascita di minori nati all'estero e di riconoscimento dei figli in caso di coppie composte da soggetti dello stesso sesso

Onorevoli Senatori. – Sono sempre più numerosi i casi in cui coppie omosessuali chiedono la trascrizione in Italia dell'atto di nascita di un figlio nato all'estero con il metodo della fecondazione eterologa o, addirittura, della maternità surrogata. Come noto, entrambe queste pratiche sono vietate in Italia e questo spinge le coppie formate da persone dello stesso sesso a recarsi all'estero per poter avere dei figli. Nell'aprile del 2018, addirittura, per la prima volta in Italia, un bambino nato nel territorio nazionale è stato ufficialmente registrato come figlio di due madri.
Nel corso degli anni, gli ufficiali di stato civile che si sono trovati di fronte al compito di effettuare la trascrizione di tali atti di nascita, lasciati soli da una normativa che né espressamente contemplava tale possibilità, né, tantomeno, esplicitamente la escludeva, hanno assunto un duplice atteggiamento. Alcuni hanno provveduto alla trascrizione, mentre altri non hanno adempiuto, motivando il proprio rifiuto con la contrarietà all'ordine pubblico che siffatto provvedimento amministrativo rappresenterebbe nel nostro ordinamento giuridico.
In maniera analoga, anche i tribunali presso i quali gli aspiranti genitori depositavano ricorso avverso il diniego della trascrizione hanno dato interpretazioni del tutto differenti della questione e indicato soluzioni diverse.
Il Tribunale di Torino nell'ottobre 2013 aveva respinto la richiesta di trascrizione dell'atto di nascita del figlio di una coppia omosessuale, ritenendo che «ai sensi dell'articolo 18 decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 la fattispecie rientri nei casi di non trascrivibilità dei certificati redatti all'estero per contrarietà all'ordine pubblico inteso come insieme di princìpi desumibili dalla Carta costituzionale o comunque fondanti l'intero assetto ordinamentale di cui fanno parte le norme in materia di filiazione (artt. 231 e seg. cc) che si riferiscono, espressamente ai concetti di padre e madre, di marito e di moglie; che in assenza di una normativa nazionale che disciplini istituti analoghi a quello del matrimonio tra persone dello stesso sesso e consenta la nascita di rapporti di filiazione tra persone omosessuali, la trascrizione dell'atto di nascita non rappresenta un diritto astrattamente ed autonomamente tutelabile, attesa la natura di provvedimento amministrativo non idoneo ad attribuire al minore quei diritti che le parti vorrebbero riconosciuti in capo allo stesso».
A favore della tesi che, invece, ritiene d'obbligo che l'ufficiale di stato civile proceda alla trascrizione, nel 2016 si è pronunciata la prima sezione civile della Suprema corte di cassazione con la sentenza n. 19599 del 21 giugno, confermando la trascrivibilità in Italia dell'atto di nascita formato all'estero dal quale risulti che il minore è figlio di due madri (nel caso di specie). La sentenza ha contestato la contrarietà all'ordine pubblico dell'atto da trascrivere alla luce della necessaria compatibilità di questo con l'ordinamento internazionale, che «sulla materia è in continua evoluzione», e affermando che «il giudice italiano, chiamato a valutare la compatibilità con l'ordine pubblico» dell'atto di nascita straniero, «deve verificare non già se l'atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto ad una o più norme interne (seppure imperative o inderogabili), ma se esso contrasti con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo».
Alle esigenze di tutela dell'interesse del minore, nel senso del riconoscimento allo stesso del «diritto a conservare lo status di figlio» si è più recentemente ispirata anche la prima sezione della Corte d'appello di Trento con l'ordinanza del 23 febbraio 2017. Con essa la Corte ha ribadito l'esigenza di salvaguardare il diritto del minore alla continuità dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori, «il cui mancato riconoscimento non solo determinerebbe un grave pregiudizio per i minori, ma li priverebbe di un fondamentale elemento della loro identità familiare, così come acquisita e riconosciuta nello Stato estero in cui l'atto di nascita è stato formato».
Con riferimento al fatto che in Italia il ricorso alla pratica della fecondazione eterologa (utilizzata dalla coppia nel caso in esame) sia vietato, la Cassazione, nella citata sentenza n. 19599, ha ritenuto che la legge n. 40 del 2004 che disciplina la procreazione medicalmente assistita «non esprime un valore costituzionale superiore ed inderogabile, idoneo ad assurgere a principio di ordine pubblico». Tale affermazione presenta dei limiti evidenti: il fatto che una legge non esprima «un valore costituzionale superiore ed inderogabile» non può essere addotto come giustificazione per ratificare ex post un comportamento che secondo l'ordinamento giuridico vigente è contrario alla legge; un cittadino italiano rimane tale anche quando si reca all'estero e questo non lo dispensa dall'osservanza delle leggi nazionali.
Inoltre, la posizione giurisprudenziale espressa dalla sentenza in esame sembra prescindere dal fatto che la normativa italiana tutela il diritto del bambino ad avere due genitori di sesso diverso. Il codice civile, infatti, laddove disciplina il riconoscimento dei figli, contempla unicamente le ipotesi di quelli nati in costanza di matrimonio, istituto, come abbiamo visto, riservato dal nostro ordinamento esclusivamente alle coppie eterosessuali, o del «figlio nato fuori dal matrimonio» che può essere riconosciuto «dalla madre e dal padre». E la stessa legge 20 maggio 2016, n. 76, che ha introdotto nel nostro ordinamento le unioni civili tra persone dello stesso sesso, nega che queste coppie possano adottare; nonostante l'unione civile sia definita come «specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione» e ad essa sia estesa una gran parte della disciplina che regola le unioni matrimoniali, secondo la previsione legislativa il rapporto si esaurisce tra le parti e non contempla la presenza di figli.
Al contrario, una delle differenze fondamentali rispetto al matrimonio consiste proprio nel fatto che non si estende alle coppie omosessuali la disciplina sulle adozioni, e resta vietata per queste coppie anche la cosiddetta stepchild adoption, vale a dire la possibilità per ciascun membro della coppia di adottare il figlio dell'altro. Resta fermo, dunque, il principio che solo coppie eterosessuali o, al limite, singoli uomini o donne possono adottare ma non coppie omosessuali, né il nostro ordinamento ammette che un bambino possa essere registrato come figlio naturale di due soggetti dello stesso sesso.
È stato affermato che con la sentenza della Cassazione n. 19599 «tra le pieghe del giudizio di non contrarietà all'ordine pubblico, è possibile individuare un vero e proprio inquadramento sistematico dell'omogenitorialità nel nostro ordinamento, capace di assumere rilevanza anche al di là delle peculiarità del caso di specie». Tale affermazione, tuttavia, sembra non tenere in considerazione il fatto che in Italia il potere legislativo, ben separato da quello giudiziario, è incarnato nel Parlamento e che solo ad esso spetta il compito di elaborare ed approvare le leggi e, attraverso di esse, codificare quell'insieme di norme che regolano la vita dello Stato.
Per quanto il giudice interpreti la legge, egli non è legibus solutus, e la posizione assunta dalla Corte va inquadrata nell'ambito del principio di legge secondo cui le situazioni riconosciute da atti regolarmente formati in Paesi dell'Unione europea debbano essere riconosciute anche in Italia, ancorché quivi siano regolate in modo diverso, a patto che non contrastino con l'ordine pubblico, inteso come l'insieme dei princìpi che stanno alla base di un sistema giuridico e lo costituiscono appunto in ordinamento, ossia in qualcosa di coerente, ordinato, unitario.
L'eccezione può riguardare solo il riconoscimento in Italia di ciò che è ammesso anche in Italia ma che all'estero è regolato diversamente, come nel previsto dalla legge n. 76 del 2016 per cui se due omosessuali hanno contratto matrimonio all'estero, in Italia si possono riconoscere solo gli effetti dell'unione civile omosessuale perché il matrimonio omosessuale non è ammesso. Ora, la genitorialità omosessuale non è ammessa in Italia e quindi non può essere surrettiziamente legittimata configurandola come caso particolare o eccezione.
Attraverso il susseguirsi delle pronunce giurisprudenziali, invece, si sta passando dal riconoscimento della rilevanza della coppia genitoriale uomo-donna all'affermazione della sufficienza della coppia genitoriale e basta, definita solo dal numero e dall'affetto. In altri termini, la funzione della figura maschile unitamente a quella femminile nell'armonico sviluppo psico-fisico e quindi relazionale del minore (funzione, come detto sopra, ampiamente attestata dalla psicologia dello sviluppo e pacifica in giurisprudenza sino a non molto tempo fa) tende a essere sempre più sottovalutata in giurisprudenza e intesa come una sorta di variabile indipendente; qualcosa insomma di non essenziale. Il parametro preminente resta però, almeno formalmente, lo stesso: il prevalente interesse del minore.
L'operazione interpretativa della Suprema corte, a nostro avviso non condivisibile, consiste nel ritenere che anche se la legge italiana vieta la genitorialità della coppia omosessuale, questa debba comunque essere riconosciuta anche in Italia se validamente riconosciuta all'estero e non vi sia violazione dell'ordine pubblico internazionale. Tale interpretazione però prescinde dalla libertà del legislatore di normare l'attribuzione di diritti e doveri dei cittadini, elemento essenziale di una democrazia parlamentare quale la nostra.
Vale la pena, in merito, citare il caso, per molti aspetti simile, della più recente sentenza della Corte di cassazione sulla trascrizione in Italia dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. La Cassazione si era già in precedenza espressa negativamente sia con la sentenza n. 4184 del 2012, escludendo la legittimità della trascrizione, sia, successivamente, con la sentenza n. 2400 del 2015, ritenendo inapplicabile il modello matrimoniale alle unioni omoaffettive.
Da ultimo, anche in considerazione dell'intervenuta approvazione della legge 20 maggio 2016, n. 76, recante «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», la medesima Corte, con la sentenza 14 maggio 2018, n. 11696, si è preoccupata di dirimere definitivamente la questione, affermando che in Italia «il legislatore ha inteso esercitare pienamente la libertà di scelta del modello di riconoscimento delle unioni omoaffettive, inquadrandole nel regime ad hoc previsto per le unioni civili, coerentemente con il quadro convenzionale di cui agli articoli 8, 9 e 12 della Convezione europea dei diritti umani».
Secondo la lettura della Corte, infatti, questi articoli «non impongono agli Stati l'adozione del modello matrimoniale per il riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive al loro interno, ferma la necessità di garantire un grado di protezione dei diritti individuali e relazionali sorti da tali unioni tendenzialmente omogeneo a quelle coniugali». Secondo la Corte «con la legge n. 76 del 2016 il legislatore ha colmato il vuoto di tutela che caratterizzava l'ordinamento interno, così come richiesto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 170 del 2014 e dalla Corte Europea dei diritti umani nella sentenza Oliari contro Italia (sentenza del 21 luglio 2105 ricorsi n. 18766 e 36030 del 2011), operando una scelta diversa da quella di molti altri Stati, fondata, invece sull'adozione del modello matrimoniale. Tale scelta è stata il frutto dell'esercizio di una discrezionalità legislativa del tutto rientrante nel "potere di apprezzamento degli Stati" indicato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani proprio con riferimento all'interpretazione dell'articolo 12 (sentenza Schalk e Kopf del 3 giugno 2010, ricorso n. 30141 del 2004) e della precisa indicazione proveniente dalla citata sentenza n. 170 del 2014. Per le unioni omoaffettive è stato scelto un modello di riconoscimento giuridico peculiare, ancorché in larga parte conformato, per quanto riguarda i diritti ed i doveri dei componenti dell'unione, al rapporto matrimoniale. Alla diversità della "forma" dell'unione civile rispetto al matrimonio corrisponde, peraltro, un'ampia equiparazione degli strumenti di regolazione, realizzata attraverso la tecnica del rinvio alla disciplina codicistica del rapporto matrimoniale da ritenersi, anche in ordine alla funzione adeguatrice della giurisprudenza, il parametro di riferimento antidiscriminatorio».
Il vuoto normativo richiamato dalla Cassazione rispetto alla disciplina delle coppie omosessuali previgente alla legge n. 76 del 2016 è lo stesso che esiste oggi nel nostro ordinamento con riferimento alla filiazione nelle coppie dello stesso sesso e alla conseguente problematica della registrazione o trascrizione dei relativi atti; come già visto la fattispecie non è contemplata in maniera espressa, seppure le tecniche che la consentono sono vietate dal nostro ordinamento.
Spetta ora al legislatore intervenire, ponendo fine all'attuale vuoto normativo ed esercitando, come riconosciuto dalla sentenza della Cassazione sui matrimoni di coppie omosessuali, la propria piena libertà di scelta.
Il presente disegno di legge è, pertanto, volto a chiarire che non può essere ratificato dallo Stato il comportamento contrario alle leggi, da lui stesso adottate in applicazione dei princìpi generali di diritto che sostiene, commesso da un cittadino italiano seppure quando si trovava all'estero.
Il comma 1 dell'articolo 1 interviene a modifica dell'articolo 18 del regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, che disciplina i casi di intrascrivibilità degli atti formati all'estero, specificando che non sono trascrivibili gli atti che certificano uno stato conseguito attraverso il ricorso a pratiche illegali in Italia o conseguiti in violazione di norme dell'ordinamento nazionale seppur commessi all'estero.
Il comma 2 modifica l'articolo 254 del codice civile, prevedendo che qualora la partoriente sia parte di una coppia omosessuale il figlio possa essere riconosciuto solo da lei, e il comma 3 vincola l'ufficiale dello stato civile, all'atto dell'iscrizione dell'atto di nascita, ad attenersi a tale prescrizione.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

1. All'articolo 18 del regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente:

«1-bis. Non può essere trascritto l'atto di nascita del minore formato all'estero se i genitori hanno fatto ricorso a pratiche di procreazione vietate da norme nazionali».

2. All'articolo 254 del codice civile, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Nel caso di coppie composte da soggetti dello stesso sesso il figlio può essere riconosciuto esclusivamente dal genitore biologico».

3. All'articolo 28 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. Nel caso di figlio nato in costanza di rapporto tra soggetti dello stesso sesso l'iscrizione avviene in coerenza con le norme di cui al secondo comma dell'articolo 254 del codice civile».