Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 12 APRILE 2018
Misure per la protezione dei minori e per la tutela della dignità della donna nella pubblicità e nei mezzi di comunicazione
Onorevoli Senatori. – Tra i problemi posti dall'avvento della comunicazione di massa, il tema della pubblicità ha assunto rilevanza centrale, sia per l'enorme spazio che occupa, sia per gli effetti, diretti e indiretti, che produce.
Come ebbe a rilevare un esperto americano di «strategia pubblicitaria», Leo Bogart, infatti, la pubblicità non ha solo un impatto e una finalità di natura economica, ha anche una profonda influenza sulla cultura, sui valori e sulla qualità della vita.
L'influenza sulla percezione della realtà è tanto più pervasiva e penetrante nella pubblicità commerciale, poiché costituisce strumento di comunicazione persuasiva intenzionalmente destinato, per sua stessa natura, a influenzare e orientare atteggiamenti e comportamenti dei fruitori del messaggio pubblicitario, per indurli all'acquisto e al consumo di beni o all'utilizzazione di servizi.
La pubblicità commerciale, pertanto, vista la sua funzione essenziale di conquista dei segmenti del mercato al quale di volta in volta si riferisce, non può che connotarsi per parzialità di prospettazione e rappresentazione, per forte competitività, per pervasività e intrusività.
Questo specifico «linguaggio comunicativo», tipico quanto essenziale per la pubblicità commerciale, tuttavia, sta gradualmente imponendosi, da originario veicolo privilegiato di sola diffusione della pubblicità commerciale, come modello comunicativo tout court dei mass media. Questi stanno, di fatto, rischiando di piegare le loro funzioni primarie di informazione e intrattenimento alle specifiche esigenze del mercato pubblicitario, sotto la pressione rappresentata dal fatto che è proprio la pubblicità, ormai, a costituire la fonte principale del loro finanziamento. Il che non vale solo per la cosiddetta «televisione commerciale», ma per i mass media tutti, con il coinvolgimento delle nuove tecnologie informatiche. Da più parti, inoltre, nel mondo dell'informazione e dei media, si segnala il pericolo ulteriore che la pubblicità possa costituire una strisciante minaccia alla stessa libertà di stampa che, proprio a causa dello strapotere economico della pubblicità, potrebbe finire con il perdere la sua precipua funzione di informazione dei cittadini, per finire col modellare solo dei perfetti cittadini-consumatori.
Il fenomeno pubblicitario, dunque, ha definitivamente smesso di essere il mezzo di raccordo tra imprese produttrici e consumatori, per divenire fonte di condizionamenti e generatore di modelli, per i media e per la società, omologandone linguaggio, visioni e stilemi.
La società Nielsen stima che in Italia vengano prodotte e diffuse ogni anno, tra mass media classici (stampa, televisione, affissione, radio, cinema) e internet, circa 80.000/100.000 diverse campagne pubblicitarie.
A questi ingenti numeri va poi aggiunta l'ulteriore produzione di materiali promozionali, non direttamente veicolati dai mass media, quali cartelli da banco e da vetrina, volantini, locandine, manifesti e segnaletica promozionale di punti vendita, striscioni e depliant: secondo una stima globale si ritiene possano ammontare a circa 400.000 i «pezzi» pubblicitari prodotti ogni anno e cioè più di 1.000 al giorno.
Questa massa imponente di messaggi che si sommano gli uni agli altri induce, evidentemente, a riconsiderare la materia degli interventi normativi destinati a disciplinare la produzione e la distribuzione della pubblicità, individuando come oggetto degli interventi non più soltanto il singolo spot o le singole campagne pubblicitarie che si pongano in contrasto con beni e valori tutelati dal nostro ordinamento, ma a considerare l'effetto cumulativo, sul piano educativo e culturale, che la pubblicità determina nel suo insieme, compresi gli esiti involontari e collaterali che, proprio in quanto di massa, inevitabilmente produce.
Del problema dell'impatto quali-quantitativo della pubblicità e degli effetti collaterali che essa produce si sono occupate specifiche ricerche di settore e sono ormai disponibili un gran numero di studi specialistici. Ne «Il libro nero della pubblicità», ad esempio, il professor Adriano Zanacchi, esperto di problemi della comunicazione, ha evidenziato come la pubblicità, negli ultimi anni in particolare, abbia assunto uno specifico quanto negativo impatto su determinati temi e soggetti e su determinate formazioni sociali, ad esempio sui minori, nella rappresentazione stereotipata e sessista delle donne e nell'immagine, altrettanto stereotipata, della famiglia che la pubblicità insistentemente veicola.
Sotto il profilo normativo, strumenti di diretta tutela dei minori in materia di pubblicità sono stati già introdotti nel nostro ordinamento, ma la loro applicazione, sostanzialmente circoscritta ai mezzi di diffusione televisiva, e spesso intempestiva, si è rivelata non del tutto efficace. Quanto all'uso spregiudicato, volgare, stereotipato e offensivo dell'immagine della donna nella pubblicità, in particolare nei manifesti e negli spot, l'impianto normativo necessita di precise integrazioni, non essendo ulteriormente tollerabile la realizzazione e circolazione di materiale pubblicitario che svilisce la donna nella sua dignità, alimentando, anche per questa via, una spirale di disprezzo che non può certo ritenersi estranea al dilagare dei fenomeni di sopraffazione e violenza contro le donne. Altro delicato nucleo di «imposizione» di stereotipi distorsivi della realtà che non a caso costituisce intreccio tra i primi due, minori e donne è l'immagine della famiglia. Da una recente ricerca svolta da Terres des Hommes, condotta da Paolo Ferrara, su studenti delle scuole medie milanesi, è emerso che la famiglia, come istituzione sociale, è recepita e rappresentata dagli adolescenti intervistati come luogo sostanzialmente esente da violenza. Il 40 per cento degli studenti ha, infatti, dichiarato che esiste violenza all'interno della coppia, ma che essa rappresenta un fatto del tutto privato e marginale; il 25 per cento ha affermato che se un uomo maltratta una donna «non è senza motivo»; per il 40,6 per cento è all'uomo che spetta di dirigere la casa, mentre è compito della donna la cura della famiglia, dato che l'uomo «non è adatto» a farlo; queste ultime risposte sono state date anche dalle giovani intervistate.
Un simile quadro riconduce al tema dei modelli di riferimento proposti dalla pubblicità, che influenzano e determinano i rapporti sociali, orientando gli stessi processi di crescita e di percezione di sé nei bambini e negli adolescenti, influenzando pesantemente i loro processi psicologici di oggettivazione e di auto-oggettivazione, spiegando effetti rilevanti nello stesso formarsi della pubblica opinione. Modelli che troppo spesso confinano il maschile e il femminile in categorizzazioni asfittiche, codificate su stereotipi ritagliati su forzose quanto parziali e immodificabili caratteristiche indicate come specifiche ed essenziali, rispettivamente, dell'uno o dell'altro sesso.
Non può più ignorarsi, pertanto, anche in sede legislativa, il nesso che esiste come innumerevoli studi ormai dimostrano tra questo tipo di falsata percezione della famiglia e dei sui componenti e il fatto, ad esempio, che nella pubblicità le figure maschili destinate a manifestare valenza «positiva» godano, generalmente, di caratteristiche forti e dominanti, mentre risulta solitamente ancillare il ruolo assegnato ai bambini e alle donne, gli uni e le altre «mummificati» in modelli ripetitivi quanto banali. Si sta facendo largo, poi, un ennesimo modello costrittivo, che ripropone una visione stereotipata della donna e dell'organizzazione della vita familiare, ma sotto l'apparenza di una riconsiderazione e attualizzazione dei ruoli femminili. All'identificazione della donna con l'angelo del focolare domestico si va infatti sostituendo una sua nuova rappresentazione che ha finanche del grottesco: donne perennemente affannate, impegnate in attività lavorative o professionali sul fronte pubblico, ma, nel privato, sempre destinate a occuparsi di faccende domestiche e della famiglia in perfetta solitudine, esattamente come nella visione patriarcale tradizionale, con figli mai coinvolti nell'assunzione di compiti di collaborazione familiare e sempre senza alcun tipo di condivisione con il partner. Si legittima, così, un'inaccettabile rappresentazione del lavoro della donna al di fuori delle mura domestiche, non già come diritto acquisito e come frutto di impegno e realizzazione personali, bensì come spazio di libertà sostanzialmente concesso dalla famiglia e, in una certa misura, ad essa sottratto. Un ennesimo stereotipo, dunque, che finisce con il dettare quali siano i comportamenti, le aspirazioni e i ruoli che la società si aspetta, rispettivamente dagli uomini e dalle donne, attribuendo addirittura differente valenza alle medesime caratteristiche, qualità e pulsioni a seconda del genere del soggetto che le manifesti. Non è raro, infatti, ad esempio, che autorevolezza e spirito di competizione, considerati come positive connotazioni di un uomo, diventino motivo di biasimo e discriminazione se a darne prova sia una donna, o siano, al più, favorevolmente considerati ma solo qualificandoli come possesso di attributi maschili, dei quali le donne, si può starne certi, non sentono affatto la privazione. Ed è allarmante, al riguardo, che molte donne italiane, da indagini statistiche svolte in materia, sembra tendano a empatizzare con questo ennesimo stereotipo di tuttofare iperattivo, multitasking, ritenendolo, magari, prova e rappresentazione dell'emancipazione femminile. Il che, decisamente, non solo non risponde alle reali aspirazioni emancipative delle donne, ma ne ostacola decisamente il pieno ed effettivo realizzarsi.
Secondo la classifica stesa nel 2013 dal Global Gender Gap Report, l'Italia, tra il 2012 e il 2013, è avanzata di solo 9 posti, passando dal numero 80 al numero 71. Nonostante si sia registrato un qualche miglioramento nella complessiva condizione della donna nel nostro Paese, dunque, la posizione che l'Italia occupa in questa significativa classifica globale continua a rivelare carenze e arretratezza nella soluzione del gender gap. Il dato denuncia la persistenza di fattori ostativi che non permettono alle donne «a prescindere e al di là delle congiunture e contingenze di carattere economico generale» le medesime opportunità garantite agli uomini, in termini di autodeterminazione e di scelte di vita, opportunità che si misurano guardando a occupazione femminile, remunerazioni, sviluppi di carriera, accesso ai ruoli politici e di vertice, tuttora differenziati rispetto ai colleghi uomini.
Nel quadro sommariamente tracciato si impone l'adozione di provvedimenti normativi ulteriori e innovativi che, oltre a rimuovere, nella pubblicità, ogni disparità di trattamento connessa al genere e messaggi offensivi della dignità delle donne, oltre a tutelare i minori nel delicato percorso della loro formazione, siano, altresì, destinati a incidere direttamente sulla produzione pubblicitaria, laddove essa risulti indurre comportamenti sociali e propone modelli di riferimento stereotipati, sessisti e discriminatori. Provvedimenti tesi, perciò, a riaffermare, nella varietà dei ruoli dei due sessi e nella tutela e cura dei processi formativi dei minori, princìpi di eguaglianza e di piena dignità di ciascun individuo.
Lo Stato italiano, peraltro, non ha ancora assunto provvedimenti applicativi delle risoluzioni del Parlamento europeo in materia di discriminazione femminile nella pubblicità. Con la risoluzione A4-0258/97, del 16 settembre 1997, sulla discriminazione della donna nella pubblicità, il Parlamento europeo, constatato che la legislazione degli Stati membri e dell'Unione europea per contrastare rappresentazioni degradanti della donna nei mezzi di comunicazione risultava del tutto insufficiente, propose una serie di misure legislative incentrate sulla pornografia nei mezzi d'informazione e sul turismo sessuale. Già in questo primo intervento si indicava come necessaria l'adozione di un apposito codice di condotta nella materia e si affermavano princìpi secondo cui «lo sfruttamento ingiustificato del corpo femminile a fini commerciali può offendere in modo particolarmente grave la dignità della donna», condannando la diffusione nelle comunicazioni commerciali di immagini femminili che sminuissero la dignità della donna o la sua parità nei confronti del sesso maschile; invitando gli Stati membri a prese di posizione forti contro gli stereotipi sessisti nei contenuti, nelle immagini e nel linguaggio della pubblicità; sollecitando il settore pubblicitario a rinunciare a ridurre la donna a mero oggetto sessuale dell'uomo, attraverso espedienti tecnici e raffigurazioni volti a esaltare la sola bellezza fisica e la disponibilità sessuale. Compito degli Stati membri, pertanto, era dare «attuazione ai patti e alle convenzioni internazionali in materia, nonché al principio della non discriminazione, a livello legislativo così come a livello pratico». Con la successiva risoluzione 2008/2038 (INI), del 3 settembre 2008, sull'impatto del marketing e della pubblicità e sulla parità tra donne e uomini, è stata posta l'attenzione sul processo di socializzazione che, attraverso la scuola, la famiglia e l'ambiente socio-culturale, genera identità e valori, convinzioni e atteggiamenti che conferiscono all'individuo un posto e una funzione nella società in cui cresce, per sottolineare come l'identificazione costituisce un concetto chiave di comprensione dei meccanismi di questo processo ed evidenziando come la pubblicità, laddove veicoli messaggi pubblicitari discriminatori e degradanti basati sul genere e sugli stereotipi di genere sotto qualunque forma, costituisca un grave ostacolo al realizzarsi di una società moderna e paritaria.
Il complesso di norme che, nel nostro ordinamento, riguarda il settore della pubblicità, anche con riferimento alla tutela dei minori e alla salvaguardia dei princìpi di dignità della persona nonché al superamento di stereotipi sessisti e discriminatori, ha radici prevalentemente internazionali ed europee e si sviluppa in due distinti impianti normativi. Il sistema autodisciplinare, frutto di scelte di autonomia privata, che trova la sua fonte in regolamenti emanati, su base volontaristica, da appositi organismi, i più rappresentativi dei quali sono il codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, adottato dall'Istituto di autodisciplina pubblicitaria (IAP), e il codice di autoregolamentazione TV e minori. L'impianto complessivo di tali strumenti non contiene alcun richiamo, né espresso né implicito, alla discriminazione e alla strumentalizzazione dell'immagine femminile, salvo che per le ipotesi di volgarità, violenza e indecenza in pubblicità, di cui all'articolo 9 del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Circa le forme di controllo, ciascun regolamento prevede la presenza di appositi organismi che curano l'osservanza delle norme regolamentari da parte dei soggetti che a quelle norme si sono, appunto, autovincolati. Il codice di autoregolamentazione TV e minori attua i controlli tramite il comitato di applicazione che vigila sull'operato delle emittenti televisive firmatarie; il codice di autodisciplina della comunicazione commerciale prevede un comitato di controllo e un organo giudicante, denominato giurì, entrambi organi dello IAP.
Il sistema normativo statale, di derivazione pubblicistica, trova invece la sua fonte principale di regolamentazione in due raccolte di norme, rispettivamente rappresentate dal codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206, e dal testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177. Il primo, tuttavia, non tratta della pubblicità sotto i profili che qui interessano, mentre il secondo si riferisce alla sola emittenza televisiva.
Con riferimento ai minori e agli strumenti di tutela che è necessario assumere in materia di pubblicità, sarebbe, in realtà, auspicabile che fosse inserito il diretto riconoscimento, in Costituzione, del minore come specifico soggetto titolare di diritti e destinatario di specifiche tutele, in aggiunta alle uniche attualmente previste dall'articolo 31 (in materia di protezione della maternità, dell'infanzia e la gioventù), dall'articolo 35 (in materia di lavoro minorile) e dall'articolo 30 (in materia di mantenimento, istruzione e educazione dei figli).
Nei testi costituzionali di altri Paesi europei sono già stati attuati interventi in questa direzione. È il caso del Belgio, che nel febbraio 2000 ha adottato un'apposita legge di revisione del titolo II della Costituzione con cui è stato inserito il nuovo articolo 22-bis, secondo il quale ogni minore ha diritto al rispetto della propria integrità morale, fisica, psichica e sessuale. Ancora più incisivi, sotto i profili di cui si sta trattando, sono l'articolo 12 della Costituzione finlandese, adottato sempre nel 2000, dove si stabilisce che «Provisions on restrictions relating to pictorial programmes that are necessary for the protection of children may be laid down by an Act» e l'articolo 20 della Costituzione spagnola, che espressamente prevede che le libertà di pensiero o di creazione artistica «trovino un limite», oltre che nel diritto all'onore e nel diritto all'intimità, anche e specificamente «nella protezione della gioventù e dell'infanzia».
A Costituzione vigente, tuttavia, nel nostro ordinamento è comunque non solo certamente possibile, ma oltremodo necessaria l'adozione di norme che nel corretto bilanciamento tra tutela dei diritti fondamentali di dignità della persona e parità tra i sessi, libertà di espressione artistica (articolo 21), libero esercizio delle attività d'impresa (articolo 41) e adeguata tutela della libera formazione di minori e adolescenti prevedano l'applicazione del principio costituzionale, peraltro consolidato da numerose pronunce della stessa Corte costituzionale, secondo cui alla tutela dei minori devono essere subordinati gli interessi di ogni altro soggetto coinvolto in un rapporto con il minore stesso. Il che, peraltro, è sancito dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, convenzione che all'articolo 3 sancisce che in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente, con disposizione puntualmente riprodotta all'articolo 24 dalla «Carta di Nizza» (2000/C 364/01) tra i diritti, le libertà e i princìpi che l'Unione europea ha dettato e riconosciuto.
Un forte richiamo nel senso prospettato lo si rinviene nei lavori svolti dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza nelle precedenti legislature. Sono stati raccolti, infatti, in quella sede, dati accurati sulla fruizione della televisione da parte dei minori, che evidenziano come bambini adolescenti si intrattengano dinanzi alla televisione per circa 1.100 ore all'anno (contro le 800 ore di impegno scolastico), il che significa dalle due alle quattro ore al giorno, molto spesso in solitudine. La Commissione ha sottolineato come il sistema dei codici di autoregolamentazione in materia di pubblicità si sia rivelato non del tutto efficace, nella tutela dei minori, tanto da indurre a una forte sollecitazione «contenuta nella relazione conclusiva dei lavori» ad assumere idonee iniziative parlamentari, nel campo della comunicazione, di natura «legislativa, chiarendo ciò che è legale e ciò che non lo è; esecutiva, facendo applicare le leggi esistenti, esercitando un efficace controllo sui contenuti massmediatici e sulle agenzie educative, combattendo permissivismo e illegalità; giudiziaria, condannando e punendo severamente i trasgressori della legge».
Con riferimento all'immagine della donna veicolata nella pubblicità, e alle tutele che è divenuto indifferibile assicurare, la consapevolezza che non esistano criteri universalmente validi per identificare e definire puntualmente la discriminazione di genere in pubblicità impone, anzitutto, di ampliare lo spazio di intervento legislativo in materia di concorrenza «di cui la pubblicità costituisce uno dei più rilevanti aspetti» passando dalla centralità oggi assegnata alla sola concorrenza qualificata, in negativo, come sleale nei confronti dei competitori e dei consumatori, a una visione della pubblicità che si qualifichi, invece, in positivo, come dichiaratamente leale nei confronti dei consumatori. Attuando, così, i princìpi costituzionali, espressamente ribaditi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (con l'ordinanza n. 162 del 2009 e già con la sentenza n. 279 del 2006), secondo cui la concorrenza, sebbene valore basilare del principio di libertà di iniziativa economica, non riceve dall'ordinamento protezione assoluta, potendo, al contrario, il valore in questione, essere limitato al fine di «consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti». Né può ignorarsi che, con il «Trattato di Lisbona», la concorrenza è stata espressamente qualificata non come valore in sé, bensì come elemento strumentale, con gli altri, alla realizzazione del benessere sociale, attraverso il perseguimento di valori non solo di tipo economico, quali crescita equilibrata, stabilità dei prezzi, piena occupazione, progresso scientifico e tecnologico, ma anche extraeconomici, quali libertà, sicurezza, tutela dell'ambiente, progresso sociale, parità tra uomo e donna, valori questi ultimi che, nel caso di contrasto, sono destinati a prevalere sulla tutela della concorrenza. Questa visone, peraltro, assicura la necessaria continuità del principio di libertà di iniziativa economica con quello di utilità sociale, di cui all'articolo 41 della Costituzione, nel quadro della rimozione delle disuguaglianze di cui all'articolo 3 della medesima Costituzione.
Alle criticità e carenze dell'attuale impianto normativo in materia di pubblicità sessista intende ovviare il presente disegno di legge, inserendo questa tipologia di pratica commerciale tra quelle da considerare sleali e nocive ai sensi del codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, al quale si apportano, pertanto, le necessarie modifiche.
Si è individuata, infine, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'esercizio delle attribuzioni previste dalle nuove norme, attese le specifiche competenze e funzioni ad essa attribuite fin dalla sua istituzione, nonché le ulteriori funzioni che ha progressivamente assunto, nella repressione della pubblicità ritenuta scorretta, ingannevole e nociva, diffusa con qualsiasi mezzo, e cioè da televisori, giornali, volantini, manifesti o televendite. Un'ulteriore ragione, per l'attribuzione alla detta Autorità dei compiti di controllo e di repressione della pubblicità sessista e nociva per i minori, è determinata dal potere, già riconosciuto in capo all'Autorità stessa, di imporre multe nel caso di pubblicità contrastanti con norme di legge a tutela dei destinatari delle pubblicità, nonché dall'ampliamento intervenuto con il decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146, recante attuazione della direttiva 29/2005/CE riguardante la tutela dei consumatori delle competenze della citata Autorità a tutela dei consumatori contro tutte le pratiche commerciali «scorrette», estesa, com'è noto, per effetto del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, anche alle microimprese.
Art. 1.
(Finalità)
1. Nel rispetto del valore della dignità umana e in coerenza con i princìpi sanciti dalla risoluzione A4-0258/97 del Parlamento europeo, del 16 settembre 1997, sulla discriminazione della donna nella pubblicità, e dalla risoluzione 2008/2038 (INI) del Parlamento europeo, del 3 settembre 2008, sull'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini, considerare le specifiche azioni previste dall'Unione europea per l'eliminazione di immagini femminili sessiste e stereotipate nei messaggi pubblicitari, nelle informazioni e negli spettacoli trasmessi dai media, perseguendo l'intento della piena realizzazione della parità dei diritti tra generi e della tutela dei minori nel processo della loro formazione, la presente legge è finalizzata a:
a) vietare la diffusione di messaggi che discriminano l'immagine femminile o ledono la dignità e i diritti delle donne e dei minori nella pubblicità e nei mezzi di informazione e di comunicazione attraverso l'utilizzazione di materiale fotografico, filmati, messaggi audio e video che rechino offesa alla dignità degli uomini e delle donne;
b) vietare l'uso strumentale, offensivo e oltraggioso dell'immagine femminile utilizzata come mero richiamo sessuale, oggetto passivo di desiderio o complemento del lusso;
c) impedire il riproporsi di stereotipi sessuali che banalizzano l'identità delle donne e degli uomini, utilizzando la nudità in modo pleonastico e immotivatamente seduttivo, in totale assenza di relazione con il messaggio pubblicitario nel quale la nudità stessa è inserita;
d) impedire che bambini e adolescenti siano destinatari o interpreti di pubblicità sessista, stereotipata e lesiva dei princìpi di parità di genere, in quanto potenzialmente nociva per il loro sviluppo;
e) vietare la diffusione di pubblicità che, non considerando la molteplicità dei ruoli delle donne degli uomini in ambito familiare, lavorativo e sociale, ne confinano la presenza in ambiti tradizionalmente specializzati;
f) vietare la diffusione dei testi degli spot o dei testi che accompagnano le immagini pubblicitarie contenenti termini ed espressioni direttamente o indirettamente offensivi dell'identità di genere;
g) incentivare e premiare la realizzazione di messaggi pubblicitari che, nel rappresentare e dare visibilità a entrambi i sessi, sappiano armonizzarne la presenza all'oggetto e alle finalità promozionali della pubblicità, esplicitando il contributo delle donne e degli uomini al corpo sociale.
Art. 2.
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge, per pubblicità si intende qualsiasi tipo di messaggio visivo o sonoro, in formato elettronico o cartaceo, che promuove l'attività commerciale di un'azienda o di un ente.
2. Ai fini della presente legge, per pubblicità sessista o lesiva della dignità e dei diritti delle donne e dei minori si intendono forme di comunicazione quali quelle che:
a) alludono alla sessualità femminile come merce o come mezzo di sollecitazione al consumo di merci;
b) mostrano figure femminili sottoposte a violenza, sopraffatte dalla forza fisica o psicologica di altri o vittime di abusi;
c) propongono immagini parziali e disumanizzanti del corpo femminile e maschile, rendendolo un oggetto analogo a quelli di cui si promuove la vendita;
d) propongono la figura della donna come oggetto di sfruttamento o come soggetto destinato a svolgere ruoli umilianti e lesivi della sua dignità;
e) utilizzano la figura femminile come elemento puramente accessorio e decorativo di altre immagini nella promozione di prodotti destinati ad altri soggetti, e in particolare ai consumatori di sesso maschile;
f) utilizzano la figura femminile come strumento passivo di esaltazione di tipologie di prodotti di cui le donne stesse siano, implicitamente o esplicitamente, indicate come dirette consumatrici o responsabili dell'acquisto;
g) inseriscono la figura femminile in contesti nei quali essa è un soggetto passivo, diretto da voci fuoricampo, in prevalenza maschili.
3. Ai fini della presente legge, per pubblicità potenzialmente nociva per il corretto sviluppo dei minori, oltre a quella di cui al comma 2, si intende, altresì, quella che:
a) si rivolge ai minori esponendoli a messaggi di contenuto violento, razzista, xenofobo, erotico o pornografico, o ha caratteristiche di ossessivo incitamento ai consumi, o che sminuisce le figure familiari e sociali di riferimento per minori e adolescenti;
b) si serve dei minori, o a loro si rivolge, per pubblicizzare beni e servizi che non li riguardano direttamente.
Art. 3.
(Divieto di utilizzo di pubblicità
discriminatoria)
1. Nel libro I, titolo I, del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, è inserito il seguente:
«Art. 1-bis. - (Pubblicità discriminatoria). – 1. È vietato ai mezzi di informazione, comunicazione e divulgazione pubblicitaria diffondere pubblicità che offrono rappresentazioni discriminatorie di uomini e donne.
2. È vietato utilizzare l'immagine della donna a fini pubblicitari in modo vessatorio, discriminatorio, sessista o, comunque, lesivo della sua dignità».
Art. 4.
(Pubblicità sessista come pratica
commerciale scorretta e nociva)
1. L'uso di pubblicità sessiste e discriminatorie nelle pratiche commerciali e nella promozione dei propri prodotti o servizi da parte di soggetti pubblici o privati, persone fisiche o giuridiche, in violazione del divieto di cui all'articolo 1-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, introdotto dall'articolo 3 della presente legge, è in contrasto con l'articolo 41, secondo comma, della Costituzione e costituisce una tipologia di pratica commerciale scorretta e nociva ai sensi della parte II, titolo III, capo II, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, come da ultimo modificato dal presente articolo.
2. Alla parte II, titolo III, capo II, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, dopo l'articolo 26 è aggiunto il seguente:
«Art. 26-bis. - (Pratiche commerciali lesive della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e del processo formativo dei minori). – 1. È considerata lesiva della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e potenzialmente nociva per il corretto sviluppo dei minori la pubblicità che:
a) utilizza la figura femminile come strumento passivo di esaltazione di tipologie di prodotti di cui le donne stesse siano, implicitamente o esplicitamente, indicate come dirette consumatrici o responsabili dell'acquisto;
b) utilizza la figura femminile come elemento puramente accessorio e decorativo di altre immagini nella promozione di prodotti destinati ad altri soggetti, e in particolare ai consumatori di sesso maschile;
c) inserisce la figura femminile in contesti nei quali essa è un soggetto passivo diretto da voci fuoricampo, in prevalenza maschili;
d) propone la figura della donna come oggetto di sfruttamento o come soggetto destinato a svolgere ruoli umilianti e lesivi della sua dignità;
e) propone immagini parziali e disumanizzanti del corpo femminile, rendendolo un oggetto analogo a quelli di cui si promuove la vendita;
f) mostra figure femminili sottoposte a violenza, sopraffatte dalla forza fisica o psicologica di altri o vittime di abusi;
g) allude alla sessualità femminile come merce o come mezzo di sollecitazione al consumo di merci;
h) si rivolge ai minori esponendoli a messaggi di contenuto violento, razzista, xenofobo, erotico o pornografico, o ha caratteristiche di ossessivo incitamento ai consumi o sminuisce le figure familiari e sociali di riferimento per minori o adolescenti;
i) si serve dei minori, o a loro si rivolge, per pubblicizzare beni e servizi che non li riguardano direttamente.
2. Sono considerate, in ogni caso, lesive della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e potenzialmente nocive per il corretto sviluppo dei minori le pubblicità che recano comunque offesa alla dignità di uomini e donne».
Art. 5.
(Competenze dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato)
1. Le attività di monitoraggio e di controllo sull'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge, nonché la titolarità del procedimento istruttorio e sanzionatorio per la violazione delle medesime disposizioni, sono conferite, in via esclusiva, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, di seguito denominato «Autorità».
2. L'articolo 10, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, è sostituito dal seguente:
«2. L'Autorità opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ed è organo collegiale costituito dal presidente e da sette membri, nominati con determinazione adottata d'intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il presidente è scelto tra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo. Quattro dei sette membri sono scelti tra persone di notoria indipendenza tra magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti o della Corte di cassazione, professori universitari ordinari di materie economiche o giuridiche, avvocati iscritti nell'albo speciale per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, ed effettivamente patrocinanti da almeno cinque anni, e personalità provenienti da settori economici dotati di alta e riconosciuta professionalità; i rimanenti tre membri sono scelti tra professori universitari ordinari, di prima o seconda fascia, specialisti in problematiche di genere, di scienza dell'educazione e della formazione, di scienze della comunicazione, di psicologia sociale, di psicologia dello sviluppo o di sociologia».
3. L'Autorità, entro trenta giorni dal suo insediamento nella composizione derivante dall'applicazione delle disposizioni di cui al comma 2, adotta un apposito regolamento per la regolamentazione della procedura istruttoria in materia di pubblicità sessista, lesiva della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e potenzialmente nociva per il corretto sviluppo dei minori.
4. Nell'ambito delle finalità di cui all'articolo 1, l'Autorità ha il potere di adottare provvedimenti impeditivi o interruttivi della diffusione di pubblicità, nonché sanzionatori, nei confronti dei soggetti che pongono in essere pratiche commerciali sessiste, lesive della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e potenzialmente nocive per il corretto sviluppo dei minori, realizzando, utilizzando o veicolando, con qualsiasi mezzo di informazione e di comunicazione, le pubblicità di cui all'articolo 2.
5. L'Autorità monitora il settore pubblicitario a fini commerciali, riceve e decide reclami e segnalazioni inviati da singoli cittadini consumatori, da soggetti portatori di interessi diffusi in materia di tutela dei diritti dei minori e di tutela dei diritti e della dignità della donna, costituiti in associazioni o in comitati, nonché da ogni pubblica amministrazione che vi abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali.
6. L'Autorità ha, altresì, il compito di:
a) adottare ogni utile iniziativa affinché il sistema dei media e radiotelevisivo, pubblico o privato, svolga un'azione di sensibilizzazione al rispetto della diversità di genere e della dignità delle donne, finalizzata a una corretta rappresentazione della figura e del ruolo delle donne medesime e alla rimozione di stereotipi sessisti o comunque lesivi della loro dignità;
b) curare l'istituzione e la pubblicazione di un annuario delle aziende sanzionate per violazioni alle disposizioni di cui alla presente legge;
c) promuovere la cooperazione tra le associazioni di categoria, le organizzazioni femminili e le organizzazioni non governative operanti all'interno dell'Unione europea nel settore della pubblicità e dei mezzi di comunicazione per la diffusione e per l'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge;
d) certificare, su richiesta degli autori o delle imprese in favore delle quali la pubblicità è realizzata, la conformità della stessa pubblicità alle disposizioni di cui alla presente legge, mediante il conferimento di un apposito segno distintivo.
7. Al fine di consentire l'esercizio delle competenze ad essa attribuite dalla presente legge, il numero dei posti previsti dalla pianta organica del personale di ruolo dell'Autorità ai sensi dell'articolo 11, comma 1, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, è incrementato di dodici unità, di cui una di livello dirigenziale. Ai medesimi fini, il numero dei contratti di cui al medesimo articolo 11, comma 4, della legge n. 287 del 1990, già incrementato di quattro unità ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 6 marzo 2006, n. 68, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2006, n. 127, è ulteriormente incrementato di sette unità, per la cui copertura l'Autorità può avvalersi dell'istituto del comando. Agli oneri finanziari derivanti dall'attuazione del presente comma si fa fronte con le risorse di cui all'articolo 10, comma 7-ter, della legge n. 287 del 1990.
Art. 6.
(Procedimento dinanzi all'Autorità)
1. Alla parte II, titolo III, capo III, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206, dopo l'articolo 27-quater sono aggiunti i seguenti:
«Art. 27-quinquies. - (Istruttoria in materia di pubblicità). – 1. L'Autorità, ai fini del contrasto alla discriminazione della donna nella pubblicità e nei media e della tutela dei diritti della donna e dei minori, valutati gli elementi comunque in suo possesso, compresi quelli segnalati da singoli cittadini consumatori, da soggetti portatori di interessi diffusi in materia di tutela dei minori e di tutela della dignità della donna, costituiti in associazioni o in comitati, nonché da ogni pubblica amministrazione che vi abbia interesse in relazione ai propri compiti istituzionali, avvia un'apposita istruttoria per verificare l'esistenza di violazioni dei divieti e di inosservanza delle prescrizioni in materia di pubblicità sessista, lesiva della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e potenzialmente nociva per il corretto sviluppo dei minori.
2. L'Autorità, dopo aver instaurato l'istruttoria ai sensi del comma 1, ne dà comunicazione all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza per acquisirne il relativo parere, non vincolante, ai fini della definizione dell'istruttoria.
3. Quando la pubblicità è stata o deve essere diffusa attraverso la stampa periodica o quotidiana, o per via radiofonica o televisiva o attraverso un altro mezzo di telecomunicazione, l'Autorità, prima di provvedere ai sensi del comma 1, richiede il parere, non vincolante, dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai fini della definizione dell'istruttoria.
4. L'Autorità, nei casi di cui al comma 1, comunica l'apertura dell'istruttoria ai soggetti in favore dei quali è realizzata la pubblicità oggetto di accertamento, nonché agli autori della medesima. I titolari o legali rappresentanti delle imprese o degli enti committenti e utilizzatori della pubblicità oggetto di istruttoria hanno diritto di essere sentiti, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, nel termine fissato contestualmente alla comunicazione di avvio dell'istruttoria e hanno facoltà di presentare deduzioni e pareri in ogni fase dell'istruttoria stessa, nonché di essere nuovamente sentiti prima della chiusura di questa.
5. Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità, qualora il professionista responsabile della pubblicità sessista, lesiva della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e potenzialmente nociva per il corretto sviluppo dei minori assuma l'impegno di porre fine all'infrazione, cessando la diffusione della pubblicità o modificandola in modo da eliminarne i profili sanzionabili, l'Autorità, valutata l'idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento di accertamento senza procedere all'accertamento dell'infrazione. L'Autorità, nell'ipotesi di accoglimento dell'impegno assunto dal responsabile della pubblicità, può disporre la pubblicazione della dichiarazione di assunzione dell'impegno, a cura e spese del professionista.
Art. 27-sexies. - (Poteri cautelari dell'Autorità). – 1. Nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile per la salvaguardia dei diritti e degli interessi tutelati dalle disposizioni in materia di divieto di realizzazione e diffusione di pubblicità sessista, lesiva della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e potenzialmente nociva per il corretto sviluppo dei minori, l'Autorità, ove rilevi a seguito di un sommario esame la sussistenza di violazioni, può deliberare, d'ufficio, l'adozione di misure cautelari.
2. L'Autorità, qualora i destinatari della misura cautelare adottata ai sensi del comma 1 non vi adempiano, può infliggere sanzioni amministrative pecuniarie fino al 3 per cento del fatturato del soggetto inadempiente.
Art. 27-septies. - (Decisione e sanzioni). – 1. L'Autorità, all'esito dell'istruttoria di cui all'articolo 27-quinquies, provvede con motivata decisione definitiva. Se ritiene la pubblicità sessista, lesiva della dignità e dei diritti delle donne e dei minori e potenzialmente nociva per il corretto sviluppo dei minori, l'Autorità vieta la diffusione della pubblicità, sia di quella ancora non diffusa sia di quella già in corso.
2. Con la decisione di cui al comma 1, l'Autorità dispone l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 5 milioni, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.
3. L'Autorità, su richiesta documentata dall'amministrazione comunale, pone a carico del soggetto destinatario della sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 2 anche il rimborso delle spese eventualmente sostenute dai comuni per le attività di cui all'articolo 27-octies.
Art. 27-octies. - (Divieto di affissione di pubblicità). – 1. I comuni, qualora verifichino l'affissione di pubblicità che integrano le violazioni di cui all'articolo 27-quinquies, comma 1, provvedono all'immediata segnalazione all'Autorità.
2. I comuni, qualora la pubblicità risulti già affissa e la violazione dei divieti di cui al comma 1 sia ritenuta particolarmente grave, nelle more della definizione del procedimento dinanzi all'Autorità, possono chiedere all'Autorità stessa di essere temporaneamente autorizzati alla copertura della pubblicità con materiale adesivo che rechi, ben visibile, la dicitura: "pubblicità sottoposta a verifica".
3. L'Autorità provvede a rilasciare l'autorizzazione di cui al comma 2, entro cinque giorni dal ricevimento della relativa richiesta, previa comunicazione ai soggetti in favore dei quali è realizzata la pubblicità nonché agli autori della medesima».