Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L'11 APRILE 2018
Modifiche all'articolo 192 del codice civile, in materia di comunione legale tra i coniugi
Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge è finalizzato a risolvere la controversa questione della tutela del coniuge in regime di comunione legale dei beni nel caso, assai diffuso, della costruzione realizzata durante il matrimonio sul suolo di proprietà esclusiva di uno dei due. Come noto, l'acquisto durante il matrimonio di un immobile da parte di un coniuge in regime di comunione legale determina automaticamente, con l'unica eccezione dei casi previsti dall'articolo 179, primo comma, lettera f), del codice civile, l'acquisto di metà della proprietà dell'immobile in favore dell'altro coniuge. La caduta in comunione legale degli acquisti è stato lo strumento di giustizia scelto dal legislatore, in sede di approvazione della legge 19 maggio 1975, n. 151, sulla riforma del diritto di famiglia, per perequare quelle situazioni economiche tra i coniugi all'interno della famiglia che vedano un coniuge, solitamente la moglie, dedicarsi ai figli e al lavoro casalingo e l'altro coniuge, prevalentemente il marito, dedicarsi all'attività lavorativa remunerata.
Al quesito se tale acquisto automatico alla comunione si verifichi non solo nel caso di acquisto di un immobile, ma anche in caso di costruzione dell'immobile sul suolo di proprietà esclusiva di uno dei due coniugi, ha risposto la Corte suprema di cassazione a sezioni unite, con la sentenza n. 651 del 27 gennaio 1996. Dal punto di vista strettamente giuridico, la problematica è incentrata sull'ipotesi se, in una simile fattispecie, debba applicarsi per analogia l'istituto della comunione legale dei beni o se debba, invece, prevalere l'istituto dell'accessione ai sensi degli articoli 934 e seguenti del codice civile, secondo i quali la costruzione realizzata su di un fondo appartiene necessariamente al proprietario del fondo stesso. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità si era a un certo punto divisa.
Ponendo fine al conflitto giurisprudenziale, con la predetta sentenza n. 651 del 1996, la Suprema corte ha ritenuto di attribuire prevalenza all'istituto dell'accessione, escludendo quindi l'automatico acquisto di metà della proprietà dell'immobile da parte dell'altro coniuge e riconoscendo tuttavia a quest'ultimo una tutela sul piano obbligatorio, consistente in un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione. Nella citata sentenza, in particolare, la Corte ha riconosciuto alla ricorrente il suddetto diritto di credito – sebbene la stessa fosse casalinga e priva di reddito lavorativo – ritenendo che i materiali di costruzione, una volta acquistati sul mercato, erano entrati a far parte della comunione legale. Sulla base dello stesso principio, la giurisprudenza successiva ha esteso siffatto diritto di credito anche alle spese per la ristrutturazione dell'immobile di proprietà esclusiva di uno solo dei coniugi (Cassazione, sentenza n. 2680 del 2000).
In sostanza si è scelto di optare per una soluzione che recuperasse, sul piano del diritto delle obbligazioni, quella funzione di perequazione, propria della comunione legale, che veniva inibita sul piano del diritto reale.
Sul filone di tale principio di diritto si è successivamente innestata una giurisprudenza che, cercando soluzioni a casi concreti, ha introdotto variabili sempre diverse, variegando il panorama delle pronunce di diritto a tal punto da rendere assai meno nitida e da indebolire la certezza della soluzione approntata dalla sentenza delle sezioni unite del 1996.
Vi sono state, ad esempio, sentenze che hanno escluso il diritto alla metà del valore della manodopera, altre che hanno previsto una regula iuris diversa nel caso di costruzione realizzata attraverso il conferimento di un appalto a impresa costruttrice, altre infine che hanno introdotto la condizione di un apporto economico alla costruzione da parte del coniuge non proprietario come presupposto necessario per fondare una pretesa da parte di quest'ultimo (da ultimo Cassazione, sentenza n. 16670 del 3 luglio 2013).
È evidente però che vi è la doverosa esigenza di massima chiarezza e certezza del diritto in una materia così delicata come la tutela del coniuge economicamente più debole, all'interno del regime della comunione legale scelto dai coniugi all'atto del matrimonio.
È opportuno quindi riordinare normativamente la materia, prefiggendosi come guida e obiettivo la realizzazione dei principi di pari dignità del lavoro casalingo rispetto all'attività lavorativa esterna remunerata, nonché della valenza economica dei compiti domestici e di cura della prole, sanciti non solo dall'articolo 143 del codice civile, ma anche dal testo dell'articolo 155 del codice civile, così come novellato dall'articolo 1 della legge n. 54 del 2006, (oggi articolo 337-ter a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 154 del 2013), accedendo altresì all'ovvia considerazione che la possibilità per un coniuge di destinare le proprie risorse economiche alla realizzazione di una propria costruzione poggia inevitabilmente sul sacrificio offerto dall'altro coniuge nel lavoro casalingo e nella cura della prole. Di qui l'esigenza di far rientrare nella comunione, al momento dello scioglimento della stessa, quanto sborsato da un coniuge durante il matrimonio per la costruzione di un proprio immobile sopra un fondo di sua proprietà.
Art. 1.
1. All'articolo 192 del codice civile, dopo il primo comma è inserito il seguente:
«È tenuto inoltre a rimborsare alla comunione le somme spese durante il matrimonio per la realizzazione o ristrutturazione di una costruzione realizzata su suolo di sua proprietà esclusiva».
Art. 2.
1. Le disposizioni di cui all'articolo 1 si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.