Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 23 MARZO 2018
Delega al Governo per la separazione tra banche commerciali
e di investimento
Onorevoli Senatori. – Il tema delle crisi bancarie è solo uno degli aspetti della finanziarizzazione sempre più spinta dell'economia, della crisi globale, di quella che alcuni hanno battezzata come la «stagnazione secolare».
Esiste in merito come è noto un'ampia letteratura mainstream e non, anche italiana, e diverse proposte, anche radicali da fonti insospettabili come il Fondo monetario internazionale( FMI), quale il «Piano di Chicago rivisitato» degli economisti Jaromir Benes e Michael Kurnhof.
Il primo «Piano di Chicago» di Henry Simons negli anni Trenta portò alla famosa legge «Glass-Steagall Act» che separò le banche commerciali da quelle di investimento, finché con la presidenza Clinton negli anni Novanta tale separazione fu abolita.
Fu Bill Clinton nel 1999, come ultimo atto formale prima di lasciare la Casa Bianca, a promulgare la legge Gramm-Leach-Bliley Act con cui abrogó le disposizioni della legge Glass-Steagall. L'abrogazione ha permesso la costituzione di gruppi bancari che al loro interno hanno consentito di esercitare sia l'attività bancaria tradizionale sia l'attività di banca d'investimento e assicurativa.
In Italia siamo riusciti addirittura ad anticipare tale processo con il testo unico bancario del 1993 che ha, di fatto, rimesso in piedi una pericolosa commistione fra banche commerciali e banche d'affari, abolendo la legge bancaria del 1936 con cui fu introdotto in Italia lo standard americano della legge Glass-Steagall.
Oggi la finanza privata crea oltre il 90 per cento della moneta circolante.
Come è noto agli economisti, contrariamente al senso comune, la stragrande maggioranza del denaro in circolo viene creato dal nulla-perché lo Stato glielo consente-dalle banche private nel momento in cui concedono prestiti, accreditando l'ammontare sul deposito del richiedente.
«Il nostro sistema finanziario è palesemente instabile (Martin Wolf Financial Times 24 aprile 2014) perché lo Stato prima gli ha concesso di creare quasi tutto il denaro che circola nell'economia, poi si è visto costretto a sostenerlo nello svolgimento di tale funzione. Questo è un buco gigantesco nel cuore delle nostre economie di mercato».
Si potrebbe aggiungere (Luciano Gallino) che oltre ai trilioni di dollari, sterline ed euro creati dal nulla dalle banche sotto forma di depositi, circolano nel mondo, al di fuori delle piattaforme regolamentate, centinaia di trilioni di derivati dalle innumeri denominazioni-Asset backet commercial papers (ABCP),Asset backed security ( ABS),Collateralized debt obligation (CDO), Credit loan obligation (CLO), Credit default swap (CDS), Mortgage backed securities (MBS), anch'essi creati dalle banche private.
Una banca dovrebbe, secondo il citato «Piano di Chicago», disporre sempre del 100 per cento di riserve per ogni soldo che ha in deposito e che presta a qualcuno, il che porrebbe definitivamente fine al suo potere di creare denaro dal nulla. Si tratta di un piano rivisitato di recente da ricercatori del FMI, i quali arrivano a concludere che esso potrebbe funzionare bene anche oggi.
Jaromir Benes e Michael Kumhof, economisti del FMI, hanno simulato un modello per l'economia statunitense, il cosiddetto«Piano di Chicago rivisitato», e hanno trovato, che la sua adozione aumenterebbe il Pil del 10 per cento, porterebbe l'inflazione vicina allo zero senza rischi di deflazione, ridurrebbe i cicli economici, azzererebbe i rischi di «corsa agli sportelli» (e quindi la necessità di garanzie statali, che incentivano le banche ad assumere troppi rischi), e farebbe calare debiti pubblici e privati.
Agli oppositori, i quali temono che in questo modo rischierebbe di sparire il credito alle imprese, l'autore ricorda che le banche finanziano l'investimento produttivo in misura pari appena al 10 per cento dei loro prestiti.
Una riforma finanziaria che in qualche modo riduca drasticamente il potere delle banche private di creare denaro è la maggiore riforma politica di cui i Governi europei dovrebbero occuparsi per salvare l'Unione europea e i propri stessi Paesi.
Al confronto le riforme bancarie di cui si parla nella Commissione europea (il rapporto Liikanen), nell'Ecofin (l'Unione Bancaria), in alcuni parlamenti (Regno Unito, Francia, Germania), sono «acqua fresca». Soltanto una forte riduzione del potere «creativo» delle banche può fare uscire i Governi europei dal ruolo subalterno al potere finanziario che attualmente svolgono.
A otto anni dall'inizio della crisi i governi di tutto il mondo si sono limitati a raccomandare, esaminare e riflettere in tema di riforma del sistema finanziario.
Sul tavolo di Bruxelles è arrivato il 2 di ottobre del 2012 il rapporto elaborato da un gruppo di esperti guidati da Erkki Liikanen (presidente della Banca centrale della Finlandia). Il mandato era stato affidato dalla stessa Commissione nel novembre 2011 per valutare l'opportunità di riforme strutturali del sistema bancario europeo alla luce dell'acceso dibattito già sviluppatosi anche negli USA e nel Regno Unito (si pensi alla Volcker rule, al Dodd-Frank Act e al report della Independent Commission on Banking o «Vickers Report»).
Il rapporto Liikanen si pone qui come una terza via tra la ricetta statunitense e quella inglese rivedendo l'architettura delle banche attraverso cinque raccomandazioni principali:
1) la separazione legale dalle attività della banca del trading proprietario e di altre attività di trading significative sopra una certa soglia;
2) la necessità che le banche disegnino e mantengano in funzione realistici ed efficaci piani di resolution (interventi per la gestione delle crisi e la riorganizzazione degli asset bancari), come proposto dalla direttiva sulla risoluzione e sul risanamento delle banche 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014-bank recovery and resolution directive (Brrd);
3) l'uso di strumenti di bail-in. Le banche dovrebbero costruire un ammontare di debito che può confluire nel bail-in sufficientemente largo e chiaramente definito. Questo debito dovrebbe essere detenuto al di fuori del sistema bancario e aumenterebbe la capacità complessiva di assorbimento delle perdite, diminuirebbe gli incentivi a prendere rischi, aumenterebbe la trasparenza e la percezione del rischio (come viene prezzato);
4) l'applicazione di maggiori pesi per il rischio nella determinazione del capitale minimo e modelli interni di trattamento dei rischi più coerenti tra le banche europee;
5) riformare la corporate governance con misure specifiche in tema di: rafforzamento del board e del management; promuovere la funzione di risk management; tenere sotto stretto controllo i compensi del management e dei dipendenti delle banche; aumentare la disclosure sui rischi; rafforzare i poteri sanzionatori.
Ben poco del rapporto è stato poi effettivamente raccolto dagli organismi europei. Anzi ora si punta al «Capitak market union», un'ulteriore liberalizzazione di tale mercato.
In data 30 settembre 2015 la Commissione europea ha pubblicato l’Action Plan sul Capital Market Union (Unione dei mercati dei capitali). Il Piano d'azione prende le mosse dalla constatazione che, negli ultimi decenni, i mercati europei sono stati radicalmente trasformati a causa della innovazione finanziaria, della crisi economica, della globalizzazione, dell'introduzione della moneta unica, della risposta normativa e di mercato, fattori rispetto ai quali alcuni mercati si sono mostrati fragili e, in mancanza di garanzia, hanno trasmesso gli shock e contribuito alla formazione di rischi sistemici.
La Capital Market Union (CMU) ha lo scopo di sviluppare ulteriormente il finanziamento market-based (chiamato anche sistema bancario ombra) in Europa.
Risulta improbabile che la CMU crei posti di lavoro e crescita sostenibile. Essa si concentra sull'aumento dell'offerta di credito e non affronta le cause della mancanza di domanda aggregata. Il rilancio della cartolarizzazione, per esempio, difficilmente aiuterà le PMI, in quanto troppo complessa e troppo costosa per funzionare senza sovvenzioni. Inoltre, in media, non viviamo una carenza di risorse finanziarie, anzi, e le banche possono ora prestare di più. Non è quindi evidente la necessità di promuovere un sistema bancario market-based oltre a quello tradizionale.
Le nuove regole sulla vigilanza prudenziale- direttiva 2004/39/CE(Markets in financial instruments directive -Mifid) hanno obbligato le banche a detenere maggiori scorte di capitale, maggiore liquidità e un grado più basso di leva finanziaria, ponendo vincoli più stringenti alle banche a maggiore rischio sistemico, la cui crisi può minare la stabilità complessiva del sistema finanziario: un ulteriore sforzo richiesto appositamente per attivare quei meccanismi anticiclici a salvaguardia dell'intero sistema economico nelle fasi recessive.
Ma la fragilità del sistema bancario e la sua intrinseca pericolosità permangono.
Negli anni passati, prima della crisi finanziaria globale, ma anche dopo, per mancanza di una seria riforma e di regole più stringenti, l'intero sistema bancario ha giocato con la speculazione. Sono stati inventati innumerevoli strumenti finanziari tra i più «esotici» che hanno messo, e mettono, a rischio l'intero sistema bancario e anche quello economico e produttivo. Il problema più grave è stato il coinvolgimento delle banche di deposito, che hanno «giocato» anche con i soldi dei risparmiatori partecipando a operazioni finanziarie tra le più rischiose.
Inoltre uno dei problemi più pericolosi per le banche è quello del leverage, cioè della capacità di ottenere credito o di creare debito in rapporto al proprio capitale. Ad esempio, se le corporation economiche più grandi hanno un rapporto 50 a 50 tra il capitale proprio e il debito sottoscritto, per il sistema bancario il tasso è di 5 a 95, senza contare i debiti fatti e tenuti fuori bilancio.
Dopo la crisi del 1929 ci fu una revisione del sistema finanziario statunitense e di altri Stati, ne sono un esempio il Glass Steagall Act del 1933 negli Stati Uniti e la legge bancaria del 1936 in Italia, entrambe indirizzate alla separazione tra banche commerciali, che erogano credito a breve termine, e banche di investimento, impegnate nella fornitura di credito a lungo termine.
Le banche, com'è noto, assumono varie denominazioni, ma le differenziazioni principali sono tre:
– banca di deposito, o banca commerciale, è un tipo di banca, prevalente in Europa, che accoglie depositi dai suoi clienti, che poi utilizza per effettuare operazioni di prestito;
– banca d'affari, o banca di investimento, è un istituto di credito il quale (diversamente dalle banche commerciali) non permette depositi, ma offre servizi e specula con elevato rischio;
– banca mista, o banca universale, è un tipo di banca che può svolgere tutti i tipi di operazioni finanziarie e quindi, tra l'altro, sia quelle proprie delle banche commerciali, che quelle tipiche delle banche di investimento.
La conseguenza dell'abrogazione del principio di Glass-Steagall ha portato dritti alla catastrofe odierna, dal momento che l'esplosione della bolla dei derivati (gli strumenti iper-speculativi che ormai sono completamente slegati dagli investimenti produttivi) ha determinato il rischio del fallimento delle grandi banche, conseguentemente Governi e banche centrali hanno pensato di coprire i problemi con una serie di salvataggi emergenziali, anziché intervenire con nuova regolazione.
Pertanto, mancando l'impegno politico a riformare il sistema finanziario, oggi assistiamo all'emissioni di fiumi di denaro a tassi irrisori a favore delle banche, anche se queste poi non si impegnano a sostenere l'economia reale di aziende e famiglie.
La legge bancaria Glass-Steagall mirava a introdurre misure per contenere la speculazione da parte degli intermediari finanziari e i panici bancari.
La prima misura fu quella di istituire la Federal Deposit Insurance Corporation con lo scopo di garantire i depositi e prevenire eventuali corse agli sportelli delle banche e ridurre il rischio di panici bancari.
La seconda misura prevedeva l'introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento. Le due attività non potevano essere esercitate dallo stesso intermediario; si determinava così la separazione tra banche commerciali e banche di investimento.
La ratio di tale ultimo provvedimento era quella di evitare che il fallimento dell'intermediario comportasse altresì il fallimento della banca tradizionale: in questo modo, si impediva, di fatto, che l'economia reale fosse direttamente esposta al pericolo di eventi negativi prettamente finanziari. Per via della sua successiva abrogazione nel 1999, nella crisi del 2007 è accaduto proprio questo, quando l'insolvenza nel mercato dei mutui subprime, iniziata nel 2006, ha scatenato una crisi di liquidità che si è trasmessa immediatamente all'attività bancaria tradizionale, in quanto quest'ultima è in commistione con l'attività di investimento in questo caso immobiliare.
Nel 1999 il Congresso, a maggioranza repubblicana, approvò una nuova legge bancaria promossa dal rappresentante Jim Leach e dal Senatore Phil Gramm, promulgata il 12 novembre 1999 dal presidente Bill Clinton, nota con il nome di Gramm-Leach-Bliley Act. La nuova legge ha abrogato le disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933 che prevedevano la separazione tra attività bancaria tradizionale e investment banking, senza alterare le disposizioni che riguardavano la Federal Deposit Insurance Corporation.
Si dovrebbe perlomeno riprendere le proposte e le politiche del Glass Steagall Act americano, la riforma bancaria voluta nel 1933 dal presidente Roosevelt che, proprio con la separazione tra le banche di deposito e quelle di investimento, affrontava di petto alcune delle cause di fondo della crisi del ’29 e della Grande depressione.
Anche importanti istituzioni finanziarie come la Consob, preposta all'attività di controllo sulla trasparenza in Borsa, sono intervenute a favore della separazione bancaria. Durante un'audizione alla Commissione Finanze della Camera dei deputati, il presidente della CONSOB Giuseppe Vegas ha ribadito che «la risposta più efficace alla persistente finanziarizzazione dell'economia e alla prevenzione dei rischi sistemici è quella di implementare con convinzione un modello di separazione tra i diversi comparti dell'attività di intermediazione finanziaria, impedendo commistioni tra l'attività di banca commerciale e quella di banca d'investimento». Per la Consob «ciò ridurrebbe gli effetti di contagio, legati ad una eccessiva assunzione di rischi, verso il settore bancario tradizionale, preservandone la capacità di trasferire risparmio all'economia reale e di sostenere la crescita delle imprese».
La separazione bancaria infatti dovrebbe favorire le condotte più orientate al mercato e sollecitare maggiore creazione di credito bancario a favore del sistema produttivo. Dovrebbe anche impegnare le banche di deposito ad aumentare il volume del credito erogato a favore del sistema produttivo, anche incentivando l'apertura del mercato dei capitali alle medie e piccole imprese e favorendo nel contempo lo sviluppo di nuovi strumenti di credito produttivo, quali i mini bond e altri fondi di investimento. La spinta dovrebbe andare verso il superamento del penalizzante credit crunch. Nel 2013 in Italia il credito erogato dal sistema bancario alle imprese è diminuito del 4,6 per cento mentre il tasso applicato ai nuovi crediti sotto il milione di euro è dell'1,6 per cento superiore a quello applicato in Germania e in Francia.
Le banche commerciali devono concentrare le loro attività verso il credito a imprese e famiglie, mentre le banche d'affari potranno svolgere la vendita dei prodotti finanziari. Per le banche commerciali vanno stabiliti dei limiti qualitativi e quantitativi per gli strumenti finanziari che possono essere utilizzati.
Va sancito il divieto di detenere partecipazioni (si veda in proposito «Il Manifesto per una buona finanza» Cgil) da parte delle banche commerciali in banche d'investimento, società d'intermediazione mobiliare e, in generale, in tutte le società finanziarie che non sono autorizzate ad effettuare la raccolta di depositi tra il pubblico oltre a non detenere partecipazioni industriali. Così come va stabilito il divieto di coprire cariche direttive e di detenere posizioni di controllo nelle banche commerciali, da parte dei rappresentanti, dei direttori, dei soci di riferimento e degli impiegati delle banche d'affari.
Occorre separare una volta per tutte le attività di trading da quelle di credito. Questa divisione dovrebbe riguardare l'attività di compravendita in proprio, i derivati, prestito ed esposizione non garantite verso gli hedge fund, investimenti strutturati e in private equity.
L'articolo 1 stabilisce come finalità del disegno di legge la separazione tra le banche e commerciali e le banche d'affari, tutelando le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti l'economia reale e differenziando tali attività da quelle legate all'investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali.
L'articolo 2 definisce le banche commerciali e quelle d'affari.
L'articolo 3 delega il Governo a questa separazione definendo i criteri e i princìpi direttivi della delega medesima.
L'articolo 4 dispone una clausola di salvaguardia finanziaria stabilendo che dalle disposizioni del presente disegno di legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L'articolo 5 dispone che la legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Art. 1.
(Finalità)
1. La presente legge è finalizzata a stabilire la separazione tra le banche commerciali e le banche d'affari, come definite ai sensi dell'articolo 2, tutelando le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti l'economia reale e differenziando tali attività da quelle legate all'investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali.
Art. 2.
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge si intendono:
a) per banche commerciali: le banche che esercitano l'attività di credito nei confronti dei cittadini, delle famiglie, delle imprese e delle comunità e che effettuano la raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione per l'esercizio dell'attività di credito;
b) per banche d'affari: le banche che investono nel mercato finanziario, svolgendo attività legate alla negoziazione e all'intermediazione di valori mobiliari in genere.
Art. 3.
(Delega al Governo per il riordino del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385)
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la finalità di cui all'articolo 1, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino e all'adeguamento del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) prevedere il divieto per le banche commerciali di svolgere attività legate all'intermediazione dei valori mobiliari ovvero di svolgere attività proprie delle banche d'affari e delle società di intermediazione mobiliare (SIM);
b) definire le attività e i servizi svolti dalle banche che operano con persone fisiche e giuridiche con esigenze di base, nonché quelli svolti dalle banche con attività e servizi complessi non rivolti a detta clientela, definendo i distinti titoli abilitativi per le banche commerciali e per le banche d'affari;
c) prevedere il divieto per le banche commerciali di detenere partecipazioni o stabilire accordi di collaborazione con banche d'affari, banche d'investimento, SIM e società finanziarie che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico, nonché il divieto di partecipazioni incrociate tra banche che svolgono attività diverse da quelle proprie;
d) prevedere per le banche commerciali il divieto di operare in condizioni di squilibrio delle scadenze delle attività di raccolta e di impiego delle risorse finanziarie ossia l'obbligo di operare in condizioni di sostanziale equilibrio tra dette scadenze, ovvero ridefinire i requisiti prudenziali e di sana gestione, nonché i coefficienti di adeguatezza patrimoniale per le banche per lo svolgimento delle proprie attività;
e) prevedere il divieto di trasferire rischi e perdite derivanti dall'attività di trading sulla liquidità e la solvibilità delle banche commerciali, nonché sul portafoglio e i depositi della loro clientela;
f) prevedere il divieto di ricoprire cariche direttive e di detenere posizioni di controllo nelle banche commerciali da parte di rappresentanti, direttori, soci di riferimento e impiegati di banche d'affari, SIM e società finanziarie che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico, nonché definire i requisiti di indipendenza per il management delle banche e prevedere il divieto di ricoprire cariche direttive e di detenere posizioni di controllo in banche diverse da quelle in cui lo stesso management opera;
g) prevedere la concessione di un congruo periodo di tempo comunque non superiore a dodici mesi per risolvere le situazioni di incompatibilità venutesi a creare;
h) prevedere la predisposizione di una regolamentazione interna al gruppo o al conglomerato finanziario che assicuri l'autonomia alle banche che svolgono attività di intermediazione creditizia tradizionale;
i) prevedere l'individuazione di sanzioni per il mancato rispetto dei princìpi previsti dalla presente legge e dai decreti legislativi di cui al comma 1;
l) prevedere una differenziazione del trattamento fiscale tra banche commerciali e banche d'affari orientato in favore delle prime.
3. Lo schema di ciascun decreto legislativo di cui al comma 1, corredato di relazione tecnica, è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione. Le Commissioni possono richiedere al Presidente della rispettiva Camera di prorogare di trenta giorni il termine per l'espressione del parere, qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia. Decorso il termine previsto per l'espressione del parere, o quello eventualmente prorogato, il decreto legislativo può essere comunque adottato. Il Governo, qualora non intenda conformarsi al parere, trasmette nuovamente il testo alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione, perché su di esso sia espresso il parere delle competenti Commissioni parlamentari entro trenta giorni dalla data della trasmissione. Decorso tale termine, il decreto può comunque essere adottato in via definitiva. Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può adottare, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi di cui al medesimo comma e secondo la procedura di cui al presente comma, un decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive.
Art. 4.
(Salvaguardia finanziaria)
1. Dall'attuazione della presente legge e di ciascuno dei decreti legislativi di cui all'articolo 3 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Art. 5.
(Entrata in vigore)
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.