Senato della Repubblica | XVIII LEGISLATURA |
(Relatore Cucca)
Comunicata alla Presidenza il 10 dicembre 2018
SUL
DISEGNO DI LEGGE
Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici
(V. Stampato Camera n.1189)
approvato dalla Camera dei deputati il 22 novembre 2018
Trasmesso dal Presidente della Camera dei deputati alla Presidenza
il 23 novembre 2018
Onorevoli Senatori. – La Commissione Giustizia ha esaminato e approvato il disegno di legge recante misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici.
Preliminarmente occorre sottolineare la disponibilità che il Partito Democratico ha mostrato nell'affrontare il percorso di questo disegno di legge, lo spirito aperto e costruttivo con cui ha partecipato nel corso dell’iter presso la Camera dei deputati. Inutilmente. Una volta giunto presso questo ramo del Parlamento la situazione è, se possibile, ulteriormente peggiorata, il testo ha subìto una sola modifica per rafforzare la disposizione in materia di contrasto al peculato, peraltro indebolita dalla stessa maggioranza nel corso dell'esame presso l'Aula della Camera dei deputati. La discussione presso la Commissione Giustizia è stata del tutto irrispettosa di qualunque prerogativa dell'opposizione, con una maggioranza sorda a qualunque richiesta, a qualunque confronto nel merito del testo e delle disposizioni più critiche che presenta.
Eppure il Partito Democratico, come già evidenziato, ha sempre avuto un atteggiamento costruttivo e responsabile, perché ben consapevole che la lotta alla corruzione e all'illegalità che si annida nella pubblica amministrazione costituisce una necessità, un obiettivo inesausto della politica, in un Paese, come il nostro, nel quale il fenomeno è endemico e diffuso. Lo abbiamo fatto perché nel corso della XVII legislatura la lotta alla corruzione è stata la priorità di tutti i Governi a guida del Partito Democratico. Si pensi in tal senso alla legge 27 maggio 2015, n.69 (legge anticorruzione del 2015), che ha inasprito le pene per i reati contro la pubblica amministrazione, che ha reintrodotto il falso in bilancio, che ha subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena alla restituzione del maltolto. O ancora all'introduzione nell'ordinamento del reato di autoriciclaggio, all'istituzione dell'Autorità nazionale anticorruzione, dotata di personale e risorse per operare, al reato di scambio politico-mafioso e, non da ultimo, anche all'introduzione del whistleblowing, iniziativa dell'opposizione di allora che condividemmo e passò con i voti della nostra maggioranza, che condivise il percorso legislativo con l'opposizione nell'interesse del Paese.
Il testo che quest'Aula si trova ad esaminare, presenta rilevanti perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale. Anzitutto, non si può tacere la dubbia legittimità costituzionale dell'articolo 1 che modifica diversi articoli del codice penale. Ebbene, entrando nel merito, all'articolo 166 del codice penale, è aggiunta la previsione in base alla quale per alcuni reati, diversi tra di loro, il giudice possa disporre che la sospensione non estenda i suoi effetti alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. A tal riguardo si rileva che la misura della durata delle pene accessorie che si prolunga sine die, in maniera fissa e ben oltre la durata della pena principale, viola in maniera palese il principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Infatti, l'applicazione automatica e indistinta della pena accessoria, unitamente all'assenza di gradualità, pare suscettibile di pregiudicare il principio costituzionale di eguaglianza, finendo per trattare in modo eguale situazioni potenzialmente molto diverse tra di loro. La disposizione appare, inoltre, difficilmente conciliabile con la finalità rieducativa della pena, sancita dall'articolo 27 della Costituzione.
Di analoga gravità appare la novella dell'articolo 179 del codice penale che prevede che la riabilitazione concessa non produca effetti sulla pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e su quella dell'incapacità di contrattare in perpetuo con la pubblica amministrazione, nonché l'estinzione della pena accessoria solo quando il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. Anche qui il lunghissimo periodo di tempo che deve trascorrere dalla riabilitazione prima che sia possibile l'estinzione della pena accessoria presenta significativi profili di contrasto con l'articolo 27 della Costituzione; sotto il profilo della garanzia della finalità rieducativa della pena, non si vede, infatti, perché al soggetto riabilitato debba continuare ad applicarsi una pena accessoria potenzialmente suscettibile di impedirne il pieno reinserimento. Altrettanto dicasi nel caso di sospensione condizionale della pena, ove, continuare ad applicare le sanzioni accessorie appare in contrasto non solo con esigenze di coerenza e ragionevolezza del sistema e con la finalità di « messa alla prova », coessenziale all'istituto della sospensione condizionale, in chiave di recupero del condannato.
A quanto detto, si aggiunga la modifica apportata dall'articolo 5 del disegno di legge de quo all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, al fine di estendere ai condannati per delitti di corruzione la speciale restrizione dall'accesso a benefici premiali – assegnazione al lavoro all'esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione previste dal Capo VI, esclusa la liberazione anticipata –, salvo il caso che il condannato collabori con la giustizia. Anche tale previsione desta significative perplessità, sotto il profilo della sua compatibilità con la finalità rieducativa della pena, e con elementari esigenze di proporzionalità e ragionevolezza.
Infine, particolare preoccupazione desta la previsione di cui all'articolo 6 del disegno di legge in oggetto, che estende ai delitti di corruzione la speciale causa di non punibilità prevista dall'articolo 9, comma 1, della legge 16 marzo 2006, n. 146, a favore dei cosiddetti « agenti sotto copertura ». La formulazione della predetta disposizione non è esente da criticità, specie laddove non delinea con sufficiente chiarezza il confine tra la figura dell'agente sotto copertura e quella, ben diversa sotto il profilo del rispetto di elementari garanzie di legalità, del cosiddetto « agente provocatore ». Al riguardo si evidenzia la pericolosità dell'estensione della causa di non punibilità alle attività « prodromiche e strumentali » alla commissione del delitto, nel compimento delle quali ben potrebbe travalicarsi detto confine. La disposizione in oggetto, letta unitamente alla modifica dell'articolo 323, ove, peraltro, non si tratterebbe neanche di un agente, ma di un provocatore puro e semplice, potrebbe, con la causa di non punibilità, indurre alla realizzazione di simulazione di reati che potrebbero colpire persone incolpevoli.
Il quadro esposto ha visto poi un vistoso peggioramento con la scelta di introdurre in modo surrettizio nel provvedimento il tema della prescrizione, inserito con un atto di imperio in un emendamento di poche righe a fine istruttoria in Commissione Giustizia alla Camera dei deputati. Al riguardo, non si può non evidenziare come la materia fosse stata già oggetto di un corposo intervento ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103– cosiddetta « riforma Orlando » – nel corso della XVII legislatura, che aveva introdotto ulteriori ipotesi di sospensione del corso della prescrizione e stabilito per una serie di delitti in danno di minori, la decorrenza del termine di prescrizione dal compimento del 18° anno di età della vittima. Inoltre, non si può certo tacere come si debba alla novella dell'articolo 161 del codice penale, introdotta con la predetta legge n. 103 del 2017 l'inserimento di alcuni delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione tra i reati per i quali la sospensione può produrre un aumento del termine di prescrizione fino alla metà.
Venendo al merito della riforma introdotta, si rileva come la prescrizione sia un istituto di particolare rilevanza nella fisionomia del processo penale, il cui carattere sostanziale è affermato da sempre in maniera pressoché unanime dalla dottrina penalistica, dalla giurisprudenza comune, nonché soprattutto, dalla giurisprudenza costituzionale, si legga in tal senso la sentenza n, 393 del 23 novembre 2006. La natura sostanziale è affermata sulla base di alcuni indici sistematici e normativi, primo fra tutti la collocazione dell'istituto nel codice penale. Pertanto, conseguentemente, la natura sostanziale della prescrizione comporta che la stessa ricada sotto l'alveo del principio di legalità penale di cui all'articolo 25, comma 2, della Costituzione. Dunque, le scelte sul termine prescrizionale e sulla sua disciplina sono da intendersi attratte nell'orbita delle disposizioni costituzionali, prime fra tutte il rispetto del precetto costituzionale della durata ragionevole del processo ex articolo 111 della Costituzione, il quale prescrive che la decisione definitiva intervenga in tempi per l'appunto ragionevoli, e cioè anzitutto determinati così da non abbandonare le vicende giudiziarie a una sorta di sine die. Ciò a tutela in primo luogo dell'imputato, ma anche della vittima del reato. L'imputato, infatti, ha il diritto di non subire una soggezione indefinita al processo e di essere giudicato entro un lasso temporale congruo rispetto al reato e la vittima quello di ricevere una adeguata tutela da parte dell'ordinamento oltre il quale si profila il rischio dell'ingiustizia.
Dunque, la riforma dell'istituto della prescrizione, con « blocco » dei termini dopo la sentenza di primo grado, anche di assoluzione, appare di tutta evidenza irragionevole e del tutto incurante dei princìpi costituzionali citati, ai quali è da intendersi aggiunta la finalità rieducativa della pena, di cui all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, poiché una pena comminata dopo molto tempo potrebbe non avere, in concreto, alcuna funzione rieducativa, nonché il diritto alla difesa, di cui all'articolo 24 della Costituzione, che potrebbe essere mortificato da un processo celebrato a notevole distanza dai fatti, distanza che rende oggettivamente complicato raccogliere elementi che permettano di esercitare a pieno il diritto di difendersi. Inoltre, occorre sottolineare come la previsione introdotta durante il corso dell'esame alla Camera dei deputati, appaia non solo impropria, ma anche inadeguata ad affrontare il tema della lunghezza dei processi per tutti i reati. Infatti, come sottolineato dai dati forniti dal Ministero della giustizia, un'altissima percentuale di prescrizioni viene a realizzarsi nella fase delle indagini preliminari, nelle quali il ruolo della pubblica accusa è dominante.
Inoltre, appare opportuno ricordare quanto affermato dalla Corte costituzionale nella recentissima sentenza n. 115 del 31 maggio 2018, « la prescrizione pertanto deve essere considerata un istituto sostanziale, che il legislatore può modulare attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all'oblio e l'interesse a perseguire i reati fino a quando l'allarme sociale indotto dal reato non sia venuto meno (potendosene anche escludere l'applicazione per delitti di estrema gravità), ma sempre nel rispetto di tale premessa costituzionale inderogabile (ex plurimis, sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006; ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999) ».
Quanto detto non intende negare il fatto che il problema della prescrizione nei processi esista. Tuttavia non è certo un emendamento la soluzione risolutiva, piuttosto una riforma complessiva del processo penale come fatto dai Governi del Partito Democratico nella XVII legislatura. Se davvero si vuole limitare l'incidenza della prescrizione, per rendere il processo penale più efficiente, bisogna investire sulla giustizia penale con politiche di ampio respiro e di lungo corso del tutto assenti in questo provvedimento.
Infine, un'osservazione di ordine politico, fondamentale anche per sottolineare il contesto e la cultura politica di cui è permeato questo provvedimento, ovvero l'accostamento, improprio se non addirittura mortificante, di una materia che riguarda esplicitamente la punibilità di un reato e di una serie di reati collegati ai fenomeni corruttivi, e quello relativo alla trasparenza dei partiti, quasi ci fosse una logica conseguenza. Una logica intollerabile, per la nostra democrazia e per la nostra Costituzione.
Cucca
relatore di minoranza