Legislatura 19ª - 1ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 155 del 23/01/2024
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IN SEDE REFERENTE
(935) DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE. - Modifiche agli articoli 59, 88, 92 e 94 della Costituzione per l'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l'abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica
(830) DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE. - RENZI e altri. - Disposizioni per l'introduzione dell'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri in Costituzione
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Prosegue l'esame congiunto, sospeso nella seduta del 18 gennaio.
Riprende la discussione generale congiunta.
Il senatore Enrico BORGHI (IV-C-RE) ritiene indispensabile un chiarimento, prima di procedere nell'esame del disegno di legge costituzionale n. 935, a proposito delle dichiarazioni sulla stampa sulla possibilità che la maggioranza modifichi incisivamente il testo, in base ai rilievi emersi nel corso delle audizioni. In tal caso, infatti, sarebbe paradossale continuare a discutere di un progetto che sarà profondamente cambiato.
Tra le modifiche previste vi sarebbe anche quella di attribuire al Presidente del Consiglio il potere di nomina e revoca dei Ministri, come tra l'altro previsto anche dal disegno di legge costituzionale n. 830, presentato da Italia Viva, che però a questo aspetto affianca la previsione dello scioglimento delle Camere in caso di dimissioni o sfiducia al Capo del Governo, secondo la formula "aut simul stabunt aut simul cadent". A suo avviso, ciò è inevitabile, se Presidente del Consiglio e Parlamento traggono entrambi la loro legittimazione dal corpo elettorale. Tra l'altro, in questo modo si eviterebbe il rischio che il cosiddetto Premier di riserva possa tramare contro quello in carica.
Un'altra previsione qualificante del progetto di riforma destinato a essere corretta sembrerebbe quella del premio di maggioranza del 55 per cento senza l'indicazione di una soglia per conseguirlo.
Ritiene pertanto preferibile sospendere il giudizio sul testo del Governo, finché non saranno forniti questi chiarimenti.
Analizzando il contesto generale di riordino istituzionale in cui si colloca il premierato, ritiene che tale processo dovrebbe essere accompagnato dalla contestuale modifica della legge elettorale, per favorire l'attuazione di una democrazia dell'alternanza, dall'applicazione dell'articolo 49 della Costituzione sulla natura, la funzione e i compiti dei partiti, compreso il tema del finanziamento pubblico, proprio per restituire anche al Parlamento il suo ruolo, e dal superamento del bicameralismo perfetto, con la trasformazione del Senato in una Camera delle Regioni e delle autonomie. Del resto, proprio in vista dell'approvazione in prima lettura del disegno di legge sull'autonomia differenziata delle Regioni, prevista nella seduta odierna dell'Assemblea, si dovrebbe prevedere un luogo istituzionale di raccordo, per evitare contenziosi tra il Presidente del Consiglio e i Presidenti delle Regioni, tutti, in prospettiva, eletti direttamente.
La senatrice PIRRO (M5S) sottolinea che, con il progetto di riforma del Governo, si determinerà un profondo stravolgimento della democrazia parlamentare, con conseguente alterazione degli equilibri tra i poteri dello Stato. Inoltre, nonostante le rassicurazioni in senso contrario della maggioranza, si inciderà in modo significativo sulle prerogative del Presidente della Repubblica, in particolare sul potere di nomina di cinque senatori a vita, di scioglimento di una delle Camere e di nomina del Presidente del Consiglio.
Formula, pertanto, considerazioni critiche sull'assenza di un rafforzamento del Parlamento, che dovrebbe essere indispensabile a fronte dell'elezione diretta del Premier, come infatti è previsto nei sistemi presidenziali. Inoltre, ritiene che la previsione di un premio di maggioranza consistente e svincolato dalla percentuale di voti realmente conseguiti alle elezioni potrebbe disattendere l'orientamento degli elettori.
Ravvisa quindi una ulteriore criticità nell'assenza di un limite ai mandati del Presidente del Consiglio, con il rischio di favorire l'avvento di forme di autoritarismo.
Considerata anche l'approvazione del disegno di legge n. 615 sull'autonomia differenziata, prevista nella giornata odierna, che finirà per aggravare i danni già provocati dalla riforma del Titolo V, sarebbe preferibile dare la precedenza ai disegni di legge costituzionale sulla modifica degli articoli 116 e 117 della Costituzione, già all'esame della Commissione, e solo dopo affrontare il problema della governabilità, tutelando però quel principio di bilanciamento dei poteri affermatosi proprio dopo la fine del Ventennio fascista.
Il senatore MELONI (PD-IDP) osserva che, mentre il disegno di legge sull'autonomia differenziata sta per essere approvato in prima lettura, si procede anche all'esame del progetto di riforma sul premierato, realizzando così una sorta di scambio tra i due principali partiti della maggioranza su riforme affrontate in modo superficiale e approssimativo, probabilmente anche per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dalla situazione non brillante delle finanze pubbliche.
Sottolinea che molti autorevoli costituzionalisti hanno dimostrato l'inadeguatezza del disegno di legge costituzionale n. 935 a fronte dell'obiettivo di favorire la stabilità e la governabilità. A suo avviso, la cosiddetta norma "antiribaltone", con il conferimento dell'incarico a un secondo Premier in caso di cessazione di quello eletto, è in realtà fonte di una fibrillazione permanente all'interno della maggioranza, soprattutto considerato l'indebolimento ormai acclarato del Parlamento, anche a causa dell'abuso dei decreti-legge.
Segnala, inoltre, il rischio di svilire il ruolo del Presidente della Repubblica, in ragione sia della differente fonte di legittimazione rispetto al Presidente del Consiglio eletto, sia della lesione delle sue prerogative costituzionali, il quale pertanto non sarebbe più in grado di svolgere quella preziosa funzione di sintesi così importante nelle attuali democrazie occidentali, che risultano sempre più frammentate nel piano sociale.
Rileva altresì profili di illegittimità costituzionale in relazione al premio di maggioranza, sia perché abnorme sia perché non vincolato al raggiungimento di una determinata percentuale di voti.
A suo avviso, sarebbe preferibile modificare la legge elettorale, restituendo ai cittadini la possibilità di scelta dei candidati e conferendo così maggiore legittimazione al Parlamento. Si dovrebbe poi aumentare l'efficienza e la stabilità del Governo, rafforzando i poteri del Presidente del Consiglio sul modello del cancellierato tedesco, in luogo dell'elezione diretta. Si potrebbe altresì modificare i Regolamenti parlamentari e prevedere la votazione a data certa dei disegni di legge del Governo, per evitare il ricorso eccessivo alla decretazione d'urgenza e al voto di fiducia, che determina poi l'affermazione di un monocameralismo di fatto a corrente alternata. Infine, ritiene opportuno valorizzare il ruolo della Conferenza unificata per un raccordo più efficiente tra Stato ed autonomie territoriali.
Per realizzare tali modifiche, tuttavia, è necessaria una leale collaborazione di tutte le forze politiche. Auspica quindi che la maggioranza non intenda procedere in solitudine, puntando al referendum costituzionale. A tale proposito, nel ricordare il precedente negativo della bocciatura da parte degli elettori della riforma costituzionale del 2016, sottolinea che l'attuale maggioranza non dispone di un consenso superiore al 50 per cento dell'elettorato, tanto più che in questi casi gli elettori finiscono per esprimere un giudizio sull'operato del Governo piuttosto che sul merito della proposta.
Il senatore BAZOLI (PD-IDP) considera opportuno affrontare il tema delle riforme istituzionali, con cui del resto si è cimentato anche il Partito democratico quando era al Governo, per risolvere i nodi del malfunzionamento dell'architettura istituzionale: il bicameralismo paritario, trasformatosi nel tempo in monocameralismo alternato, l'esautoramento del Parlamento e il progressivo trasferimento al Governo della funzione legislativa, soprattutto con l'abuso della decretazione d'urgenza, e l'instabilità degli Esecutivi determinata spesso dalla differente composizione delle Camere, con riflessi negativi anche sul voto di fiducia.
Occorre però riconoscere la necessità di una collaborazione tra le forze politiche per affrontare le riforme istituzionali. A differenza di quanto avvenuto in passato quando i tentativi, che pure vennero fatti, con i cosiddetti patti "della crostata" e "del Nazareno", furono poi disattesi, attualmente il Presidente del Consiglio non sembra affatto interessato a condividere l'impianto della riforma con le opposizioni, puntando al referendum costituzionale per l'approvazione definitiva del testo.
Oltre al metodo, ritiene criticabile anche il merito del provvedimento in esame. Innanzitutto, si importa in Italia un sistema che non ha precedenti in altri Paesi, tranne in Israele dove peraltro è risultato fallimentare, in quanto il Premier non aveva una maggioranza stabile per governare.
Per superare tali criticità, si è introdotta l'elezione contestuale del Presidente del Consiglio e delle Camere, prevedendo altresì un consistente premio di maggioranza. In questo modo, però, si annulla il ruolo del Parlamento, che diventa ancillare rispetto al potere del Premier e della sua maggioranza: come ricordato dal professor Onida, si passerebbe così dalla democrazia parlamentare alla democrazia del Capo, dotato di un potere assoluto su Governo, Parlamento e - conseguentemente - organi di garanzia, a partire dal Presidente della Repubblica. Si attuerebbe pertanto un presidenzialismo non contemperato dai necessari contrappesi, che escluderebbe l'Italia dal consesso delle democrazie più mature, per l'appunto di carattere parlamentare.
Auspica quindi che la maggioranza sia disponibile a collaborare con le opposizioni, per l'individuazione di un percorso comune, magari dopo le elezioni europee, quando il confronto non sarà più condizionato dalla campagna elettorale.
Il senatore LISEI (FdI) sottolinea che è condivisa unanimemente dagli esperti e anche dagli esponenti dell'opposizione l'esigenza di porre rimedio al problema della instabilità dei Governi, considerato che in Italia se ne sono avvicendati molti di più rispetto al numero delle legislature. Pertanto, attualmente, è la debolezza del Premier che va corretta, anche perché ha risvolti negativi sul piano economico e della credibilità internazionale del Paese.
Ritiene assurdo che si paventino rischi di svolte autoritarie, dal momento che gli equilibri tra i poteri restano inalterati con la riforma in esame. A suo avviso, la maggiore legittimazione del Presidente del Consiglio attraverso l'elezione diretta non incide affatto sulle prerogative del Presidente della Repubblica, i cui poteri peraltro si sono espansi "a fisarmonica", nel corso degli ultimi anni, proprio per sopperire e porre rimedio alle debolezze del Capo del Governo.
Respinge l'obiezione che si debba prendere ad esempio le soluzioni adottate da altri Paesi, anche perché - come ricordato dal professor Cassese - l'Italia ha caratteristiche peculiari. Sottolinea, per esempio, che il Presidente della Repubblica italiano ha poteri molto più incisivi di quello tedesco, avendo tra l'altro la facoltà di nominare cinque giudici della Corte costituzionale, il comando delle Forze Armate e la presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura. Tali caratteristiche ne fanno una figura particolarmente apprezzata dagli italiani, che sicuramente non sarà messa in discussione dal rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio.
Ritiene irrispettosa l'accusa rivolta al Governo di voler procedere in solitudine, considerato che vi è stato un confronto con tutte le forze di opposizione prima ancora che il testo venisse presentato in Parlamento. Tra l'altro, l'iniziale proposta sul presidenzialismo, nettamente avversata dall'opposizione, è stata accantonata proprio per cercare un punto di mediazione. È quindi possibile una collaborazione, purché la minoranza non pretenda di stravolgere il testo e di eliminare l'elezione diretta del Premier.
Concorda sul fatto che ciò non pone rimedio al problema della riduzione della partecipazione al voto, che in effetti dipende da più fattori, come la parcellizzazione degli appuntamenti elettorali e la diffusione di nuove forme di comunicazione e di modalità di partecipazione alla vita attiva e politica diverse da quelle di trent'anni fa. Del resto, non solo i partiti, ma tutti i corpi intermedi, le associazioni di categoria e i sindacati sono colpiti da tale fenomeno.
Ritiene che l'aumento dell'uso dei decreti-legge rappresenti l'effetto e non la causa dell'indebolimento del Parlamento: considerati i tempi lunghi necessari per l'esame dei disegni di legge, il Governo ricorre sempre più frequentemente alla decretazione d'urgenza per poter rispondere rapidamente alle questioni della vita pubblica. Peraltro, è paradossale che questo tema sia sollevato da forze politiche che, con la riduzione del numero dei parlamentari, hanno davvero diminuito la funzionalità del Parlamento e la rappresentanza nelle singole Commissioni.
Esprime infine il proprio convincimento che, attraverso alcuni emendamenti e la disponibilità del Governo a recepirli, sarà possibile apportare equilibrati correttivi a un testo che pone rimedio alle distorsioni del sistema politico-istituzionale vigente.
Il senatore MAGNI (Misto-AVS) ritiene che le proposte di legge sul premierato e sull'autonomia differenziata ottengano proprio il risultato opposto rispetto a quello di favorire la partecipazione popolare. A suo avviso, infatti, bisognerebbe invece rafforzare le Assemblee elettive, mentre già in passato si è ritenuto preferibile superare le criticità affidandosi all'autorità di una sola persona, come è accaduto per esempio con la legge sull'elezione diretta dei sindaci. Mentre, negli Stati Uniti, i senatori e i rappresentanti devono rispondere ai loro elettori, e per questo sono eletti in modo distinto dal Presidente, la proposta di riforma del Governo prevede l'elezione contestuale del Premier e delle Camere, sfruttando così un effetto di traino del Capo del Governo, e si introduce un significativo premio di maggioranza.
Ricorda che, nonostante l'elezione diretta del Presidente della Regione, in Lombardia e nel Lazio l'affluenza è stata inferiore al 50 per cento, per cui quei consigli regionali non rappresentano realmente i cittadini. Ciò conferma che il problema da risolvere è la partecipazione e non la governabilità. Fa notare che, negli anni Cinquanta, nonostante i continui cambi di Governo, non veniva modificata la linea politica. Adesso, invece, si mette in crisi il principio democratico e si svilisce il Parlamento, come quando, in occasione della manovra di bilancio, il Governo ha invitato la maggioranza a non presentare emendamenti.
Ricorda che la Costituzione affida la sovranità al popolo e prevede che la democrazia sia fondata sul lavoro e sulla partecipazione: fermo restando che maggioranza e opposizione hanno due differenti linee politiche, la governabilità - a suo avviso - dovrebbe essere garantita da confronto democratico e capacità di ascolto, non da un uomo solo al comando. Questa è l'impostazione della Costituzione italiana, nata dalla lotta partigiana e antifascista. Anche le classi dirigenti più preparate sono quelle che si sono formate attraverso la militanza e la partecipazione politica. Negli ultimi anni, però, i partiti si sono svuotati, fino a essere ritenuti inutili, tanto da lasciare un vuoto nella società, sempre meno coesa.
Alla riforma costituzionale sul premierato, si affianca, con la medesima caratteristica di ridurre la partecipazione popolare, il progetto di autonomia differenziata, che nel pomeriggio sarà approvato in prima lettura dall'Aula del Senato, in attuazione dell'accordo politico raggiunto tra i due maggiori partiti all'interno della maggioranza. Paventa il rischio che in questo modo si frammenti il territorio nazionale in piccoli Stati, che possono legiferare anche su materie importanti come la sicurezza del lavoro e la sanità, dimenticando che, nel momento dell'emergenza determinato dalla pandemia, solo l'intervento dello Stato ha consentito di superare le difficoltà.
Il PRESIDENTE concorda sulla importanza del ruolo dei partiti nella selezione e formazione della classe dirigente.
Il senatore PERA (FdI), dopo aver messo a disposizione della Commissione una nota scritta, si dichiara un po' stupito e a tratti deluso per l'assenza, nel dibattito, di una proposta alternativa del Partito democratico, che in passato, attraverso le forze politiche che poi avrebbero partecipato alla sua fondazione, aveva formulato un progetto di premierato alternativo, come quello del senatore Salvi nel 1996 o dei senatori Tonini e Morando nel 1997, o di un progetto di cancellierato come quello dell'Associazione LibertàEguale. Ricorda infatti che, proprio mentre si era avviato il confronto con la maggioranza e il Governo, esplorando anche la soluzione di una Commissione bicamerale oltre a quella del disegno di legge costituzionale, si è tenuta l'elezione di un nuovo segretario del PD, che ha poi determinato un cambio di orientamento e una chiusura totale alla possibilità di contribuire alle riforme.
Nel dibattito, a supporto della posizione contraria all'elezione diretta del Presidente del Consiglio, è emersa una tesi, a suo parere concettualmente povera, secondo la quale sarebbe rischiosa la concentrazione dei poteri in un uomo solo al comando. A suo avviso, sarebbe assurdo pensare che assegnare poteri adeguati al Presidente del Consiglio significhi favorire una svolta autoritaria. Cita come esempio il Primo Ministro britannico, che è al tempo stesso Capo del Governo, della maggioranza e del partito e decide l'ordine del giorno della Camera dei Comuni, senza che possa essere considerato un dittatore.
Anche un autorevole orientamento dottrinale si è espresso a favore dell'elezione diretta del Primo Ministro, con Mortati e Galeotti. E Leopoldo Elia, pur essendo contrario, rilevava l'incongruenza della contrarietà alla scelta di un Capo del Governo, nel quale si accentrano i maggiori poteri di indirizzo politico, con l'elezione diretta di parlamentari incapaci di incidere realmente. Cita poi il professor Cheli che - nel 1997 - teorizzava il ricorso anticipato al voto anche in presenza di sfiducia costruttiva, e il professor Barbera che, nella sua audizione del 1997 davanti alla Commissione D'Alema, riteneva preferibile l'elezione diretta del Primo Ministro nella sua versione classica del "governo di legislatura", non escludendo la variante utilizzata per l'elezione diretta dei sindaci, mentre più di recente ha osservato che al rafforzamento comunitario della figura del Presidente del Consiglio non ha corrisposto in Italia altrettanta solidità sul piano interno.
Pertanto, l'istituto del premierato si caratterizza per una precisa storia democratica e per un chiaro approfondimento dottrinale.
Sottolinea che lo scopo del disegno di legge costituzionale governativo è appunto la legittimazione diretta del Premier, che attualmente è troppo debole e non certamente autoritario. E' quindi necessario interrogarsi sull'idoneità del disegno di legge del Governo a perseguire gli obiettivi prefissati.
A suo avviso, occorre pertanto conferire poteri più adeguati al Presidente del Consiglio, prevedendo però come contrappeso un rafforzamento del Parlamento, schiacciato in alto dalle istituzioni europee e in basso dalle autonomie territoriali e dallo svuotamento dei partiti politici, che prima erano strumenti di formazione del consenso e di elaborazione culturale.
Ritiene non convincente l'affermazione di alcuni esponenti delle opposizioni secondo cui si potrà riprendere un confronto reale sul testo solo dopo le elezioni europee, osservando che poi sarebbe troppo tardi. Auspica quindi un'ampia disponibilità di tutte le forze politiche a collaborare per apportare i correttivi al testo annunciati dal relatore e su cui non vi è stato un orientamento contrario del ministro Casellati.
Da ultimo, manifesta forti perplessità sulla proposta, avanzata dal senatore Borghi, di prevedere il contestuale scioglimento delle Camere, in caso di dimissioni del Presidente del Consiglio, secondo la formula "aut simul stabunt aut simul cadent". Se tale soluzione, infatti, può andare bene a livello locale, invece, a livello nazionale, in alcune situazioni di crisi, come quelle provocate da un innalzamento significativo dello spread o da un conflitto internazionale, sarebbe troppo rischioso affidarsi ciecamente all'automatismo di una norma costituzionale, rinunciando alla capacità di prudente valutazione della politica. In questo caso, si svilirebbe davvero sia la funzione dei partiti sia il ruolo del Parlamento.
Conclude, rivolgendo un appello a tutte le forze politiche, affinché sia possibile un confronto aperto e laico sui vari temi, al fine di giungere a una riforma ampiamente condivisa, evitando così di ricorrere al referendum costituzionale perché, in caso di bocciatura, si dovrebbe rinunciare ancora per molti anni a realizzare le riforme istituzionali.
Il seguito dell'esame congiunto è quindi rinviato.
La seduta termina alle ore 13,05.