Legislatura 19ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 303 del 14/05/2025
Azioni disponibili
SENATO DELLA REPUBBLICA
------ XIX LEGISLATURA ------
303a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
MERCOLEDÌ 14 MAGGIO 2025
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Presidenza del vice presidente RONZULLI,
indi del presidente LA RUSSA
e del vice presidente ROSSOMANDO
N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Civici d'Italia-UDC-Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare: Cd'I-UDC-NM (NcI, CI, IaC)-MAIE-CP; Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE: FI-BP-PPE; Fratelli d'Italia: FdI; Italia Viva-Il Centro-Renew Europe: IV-C-RE; Lega Salvini Premier-Partito Sardo d'Azione: LSP-PSd'Az; MoVimento 5 Stelle: M5S; Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista: PD-IDP; Per le Autonomie (SVP-PATT, Campobase): Aut (SVP-PATT, Cb); Misto: Misto; Misto-ALLEANZA VERDI E SINISTRA: Misto-AVS; Misto-Azione-Renew Europe: Misto-Az-RE.
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RESOCONTO STENOGRAFICO
Presidenza del vice presidente RONZULLI
PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 10,07).
Si dia lettura del processo verbale.
DURNWALDER, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del giorno precedente.
Presidenza del presidente LA RUSSA (ore 10,09)
PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.
Comunicazioni della Presidenza
PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato, nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.
Sull'ordine dei lavori
PRESIDENTE. Informo l'Assemblea che all'inizio della seduta il Presidente del Gruppo MoVimento 5 Stelle ha fatto pervenire, ai sensi dell'articolo 113, comma 2, del Regolamento, la richiesta di votazione con procedimento elettronico per tutte le votazioni da effettuare nel corso della seduta. La richiesta è accolta ai sensi dell'articolo 113, comma 2, del Regolamento.
Informativa del Ministro delle imprese e del made in Italy in merito alle conseguenze sul sistema produttivo italiano derivanti dall'introduzione dei dazi e conseguente discussione (ore 10,10)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: «Informativa del Ministro delle imprese e del made in Italy in merito alle conseguenze sul sistema produttivo italiano derivanti dall'introduzione dei dazi».
Ha facoltà di parlare il Ministro delle imprese e del made in Italy, senatore Urso.
URSO, ministro delle imprese e del made in Italy. Signor Presidente, sono lieto di essere qui oggi, avendo accolto con favore la calendarizzazione di questa informativa da parte dei Capigruppo. Conosco bene, anche per aver svolto un incarico in quest'Aula quale senatore della Repubblica, l'impegno e il ruolo del Parlamento e, nello spirito di piena e leale collaborazione tra gli organi dello Stato, come prescrive la Costituzione, ho sempre puntualmente risposto a ogni sollecitazione di presenza in Aula e in Commissione, come anche in questo caso.
Ovviamente, è compito della Conferenza dei Capigruppo - i colleghi ben lo sanno - acquisita come sempre tempestivamente la mia disponibilità, fissare la data dell'informativa, non è compito mio. Le polemiche dei giorni scorsi su presunte inadempienze nel rispondere, espresse più volte in copia e incolla, mi sembrano francamente pretestuose, senza alcun fondamento. Non tocca a me decidere quando riferire, ma a voi, attraverso la Conferenza dei Capigruppo, e ci troverete, come sempre, pronti e disponibili.
Questa informativa, peraltro, ci consente non solo di informare il Parlamento come doveroso, ma attraverso di esso anche le nostre imprese, i lavoratori e i cittadini su tematiche che li riguardano direttamente e sulle quali l'impegno del Governo è stato tempestivo ed efficace, indirizzando Commissione europea e amministrazione americana sulla giusta strada del negoziato che, a nostro avviso, deve essere svolto con consapevolezza e responsabilità sino in fondo, con l'obiettivo di unire e non certo dividere l'Occidente, le due metà d'Europa, quella cresciuta nel nostro Continente e quella cresciuta nella nuova terra, nelle Americhe. Unire e non dividere l'Atlantico: è questa la nostra bussola sempre e comunque.
Abbiamo sostenuto sin dall'inizio, anche in quest'Aula, che era necessario agire e non reagire. Abbiamo sostenuto la necessità di evitare reazioni di pancia, peggio se animate da pregiudizi storici o ideologici, mentre qualcuno persino sollecitava il boicottaggio dei prodotti americani o addirittura invitava a cogliere l'occasione per rompere con gli Stati Uniti e per saldare un'alleanza con la Cina: un grave, irrimediabile errore per la nostra Europa. Abbiamo, con coerenza e pervicacia, affermato in quest'Aula, in tutte le sedi europee e nelle relazioni bilaterali, che occorreva evitare di innescare una spirale di ritorsioni daziarie che avrebbero alimentato una guerra commerciale dannosa per tutti e forse irreversibile.
Peraltro, le nostre valutazioni hanno poi trovato conferma nelle analisi previsionali della Banca centrale europea, secondo cui le misure daziarie americane, così come inizialmente annunciate, avrebbero avuto, ove si fossero realizzate, un impatto negativo dello 0,3 per cento sulla crescita europea, ma - ha aggiunto la Banca centrale europea - le eventuali contromisure, già annunciate dalla Commissione, avrebbero aggravato l'impatto negativo sul Continente europeo e sulla sua crescita, portandolo ad almeno lo 0,5 per cento. Ci saremmo fatti male da soli se avessimo seguito chi voleva da subito reagire con altre misure ritorsive, innescando appunto un'escalation difficile poi da fermare.
Le analisi di altri autorevoli istituti hanno ulteriormente aumentato la previsione dell'impatto negativo, portandolo ad almeno l'uno per cento del PIL e, in qualche caso, prevedendo un forte impatto inflattivo, accompagnato anche da una grave recessione economica. Per questo abbiamo con assiduità lavorato per indirizzare il negoziato sulla strada giusta.
Particolarmente incisiva è stata a tal fine proprio la missione bilaterale del premier Meloni a Washington, come tutti le hanno riconosciuto. Ora siamo nella fase negoziale, nella quale è necessario fornire il massimo supporto alla Commissione in uno spirito propositivo e coeso, nella convinzione che dobbiamo perseguire un risultato positivo, come quello appena raggiunto, per esempio, dal Regno Unito.
Ribadiamo ancora oggi che non servono fughe in avanti né sfoggiare esibizioni muscolari: servono cautela, responsabilità, coesione e unità di intenti, dimostrare, anche e soprattutto in questa vicenda, che l'Europa c'è.
Abbiamo inoltre da subito istituito una cabina di regia a Palazzo Chigi per aggiornare le valutazioni e predisporre eventuali contromisure, ove fossero necessarie. In questo contesto abbiamo incontrato, sempre a Palazzo Chigi, con tutti i Ministri competenti, le associazioni di imprese per concordare con loro la posizione del nostro Paese e possibili iniziative a supporto del sistema produttivo, posizioni da loro pienamente e pubblicamente condivise.
In questo contesto, ancora in movimento, con decisioni e dichiarazioni che cambiano ogni giorno la prospettiva, come quella resa dal presidente Trump poche ore fa, dobbiamo prendere atto che l'annuncio dei dazi, al momento, non ha avuto effetti negativi sull'export italiano negli Stati Uniti, che, anzi, è significativamente aumentato nei primi tre mesi dell'anno. Nel primo trimestre 2025 infatti, le nostre esportazioni hanno segnato l'11,8 per cento in più (dati Istat) rispetto a un anno prima. Non è avvenuto altrettanto per altri Paesi europei. Questo è probabilmente dovuto sia al fenomeno naturale di accumulo di scorte che aziende e consumatori americani hanno fatto nel timore dei dazi, ma anche, verosimilmente, alla forza intrinseca specifica in alcuni settori e davvero unica del made in Italy, a cui i cittadini americani non vogliono rinunciare.
Peraltro, in alcuni casi, i nostri prodotti sono ormai parte integrante di uno stile di vita acquisito in ampie aree degli Stati Uniti e in ampie fasce della popolazione, per le quali in alcuni settori, come quelli dell'alimentazione e della moda e tanto più del lusso e dell'alta gamma, il differenziale di prezzo, ove ci fosse, non sarebbe così determinante a scoraggiarne l'acquisto.
In ogni caso, per meglio capire le prospettive, allo stato i nuovi dazi che si sommano e non si sostituiscono alle precedenti misure, sono variegati. Il 5 aprile è stato introdotto un dazio aggiuntivo del 10 per cento su tutte le importazioni da qualsiasi Paese verso gli Stati Uniti. Contestualmente, è stato introdotto un dazio maggiorato, fino al 50 per cento per una lista di Paesi non allineati alle posizioni degli Stati Uniti. Per l'Unione europea è stato introdotto un dazio ulteriore del 20 per cento su tutte le merci. Questa misura è sospesa, fino a luglio 2025 da parte degli Stati Uniti proprio grazie all'avvio del negoziato. L'Unione europea, invece, dopo aver annunciato una serie di azioni daziarie compensative, ha sospeso la misura fino al 10 giugno, in attesa che si concluda una consultazione pubblica, in cui gli Stati membri possano esprimersi, ma direi soprattutto, a mio avviso, in attesa delle evoluzioni dei negoziati in corso.
La sospensione decisa dagli Stati Uniti non riguarda i dazi già esistenti su acciaio, alluminio e automobili (tutti al 25 per cento), che restano in vigore, così come il dazio generalizzato al 10 per cento.
Per quanto riguarda l'acciaio e l'alluminio, come abbiamo già riferito in quest'Aula, le nostre esportazioni sono negli anni significativamente diminuite nei confronti degli Stati Uniti, che rappresentano un Paese piuttosto marginale per le nostre esportazioni nel settore. In ogni caso, i prodotti da noi esportati negli Stati Uniti sono acciai speciali che risentono meno della dinamica dei prezzi.
Per quanto riguarda il settore delle auto, che attraversa una grave e strutturale crisi dovuta in gran parte alle follie del green deal (ieri, per esempio, Nissan ha annunciato la chiusura di sette stabilimenti e il licenziamento di 20.000 operai), le misure daziarie americane non avranno impatto - secondo i nostri analisti - sulla vendita di auto esportate dall'Italia, che sono sostanzialmente di alta gamma, di lusso, e di conseguenza poco influenzate dalla dinamica del prezzo a questo livello, ma avranno invece un impatto molto significativo sulla filiera dell'automotive, cioè sulla componentistica, che produce per auto di media gamma tedesche o di altre Nazioni, che allo stato sembra il settore più a rischio, ove fossero confermate o aggravate le misure daziarie sulle auto.
Analogo impatto potrebbe aversi nel settore della farmaceutica, per noi molto importante quale voce dell'export negli Stati Uniti, ove vi fossero misure che allo stato non sono state ancora definite. Al momento, infatti, i prodotti farmaceutici sono esclusi dalle misure daziarie perché considerati prodotti per scopi umanitari, come semiconduttori, rame, energia, legname e minerali strategici. Tuttavia, pochi giorni fa il presidente Trump ha annunciato misure draconiane per diminuire i prezzi dei medicinali negli Stati Uniti, che sono notevolmente superiori ai prezzi dei medicinali in Italia; medicinali spesso prodotti da multinazionali americane proprio nel nostro Paese e da qui esportati negli Stati Uniti. Occorre capire se saranno davvero realizzate queste misure draconiane e quali esse saranno, se misure daziarie o di altra natura, e cosa questo potrebbe comportare sull'export di medicinali prodotti dalle stesse multinazionali americane in Italia o in Europa ed esportate negli Stati Uniti. Non c'è ancora alcuna chiarezza in proposito. Allo stato, quindi, ogni stima previsionale può essere a breve smentita, anche ad horas, dall'evolversi della situazione.
In ogni caso, ove il quadro fosse quello che si è prospettato con queste misure già annunciate e ove questo non cambiasse (e noi ci auguriamo che cambi), il centro studi del Ministero ha stimato un impatto di circa il 10 per cento sulle esportazioni italiane negli Stati Uniti, in caso di dazi reciproci al 20 per cento, mentre l'impatto scenderebbe al 6,5 per cento ove si pervenisse a un dimezzamento, cioè al 10 per cento, dei dazi reciproci. Sono però delle ipotesi.
Nel contempo, il negoziato continua ad evolvere ogni ora. È di pochi giorni fa la notizia che, a seguito dei colloqui a Ginevra, Stati Uniti e Cina hanno abbattuto del 115 per cento i rispettivi dazi commerciali per un periodo di novanta giorni. Il negoziato tra Stati Uniti e Cina, come ha affermato lo stesso presidente Trump pochi minuti fa, sta continuando in questa direzione. Il Regno Unito, come dicevo prima, ha concluso la trattativa in maniera soddisfacente in questa fase, mentre Vietnam, Giappone e India stanno negoziando e sono nel vivo del negoziato. Per noi è importante capire quello che fanno anche gli altri, perché una cosa è l'impatto diretto di eventuali misure daziarie sull'export italiano ed europeo negli Stati Uniti, altra cosa è l'impatto indiretto, che potrebbe essere anche maggiore, della chiusura di alcuni mercati.
Pensiamo se non andassero in porto i negoziati con la Cina o con l'India, due grandi Paesi produttori, i quali vedessero per esempio precluso il mercato americano ai loro prodotti; sarebbe inevitabile la tendenza a esportare da parte loro molto di più in Europa, per liberarsi della sovrapproduzione industriale che non potrebbe dirigersi negli Stati Uniti. Questo, ad oggi, non è ovviamente prevedibile.
La situazione è tutt'altro che definita e stabilizzata. Anche per questo, per la difficoltà di stabilire in anticipo quali settori sarebbero stati maggiormente penalizzati, abbiamo da subito, sin dal primo incontro a Palazzo Chigi con le imprese, sostenuto che occorreva concentrarsi su misure di sostegno alle imprese che prescindessero dalle misure daziarie e dalle loro eventuali conseguenze, mentre eventuali misure compensative, mirate sui settori più colpiti (devono essere mirate per avere pienamente efficacia), andranno eventualmente predisposte quando avremo un quadro certo, ad oggi difficilmente ipotizzabile, come dimostra per esempio proprio il settore farmaceutico (che citavo prima), per noi tra i più importanti nell'export verso gli Stati Uniti.
Aspettiamo quindi i risultati del negoziato, che ci auguriamo positivi, prima di sviluppare una più completa, piena ed efficace politica di compensazione mirata, che comunque, per avere efficacia, deve essere comunitaria e non solo nazionale. Questo lo abbiamo già richiesto in via preventiva alla Commissione europea. A seconda della percentuale daziaria il nostro export verso gli USA potrebbe subire conseguenze che non sono lineari.
In uno scenario evolutivo in continuo movimento, resta per noi una certezza: gli Stati Uniti erano e restano uno dei principali partner commerciali per l'Italia e per l'intera Unione europea. Inoltre - ed è questa la differenza valoriale con altri attori globali, che dobbiamo sempre tener presente - gli Stati Uniti sono per noi anche un alleato strategico, mentre, per esempio, per gli Stati Uniti la Cina resta l'avversario sistemico. Quando si fa una politica economica, produttiva e in questa natura certamente commerciale, bisogna capire anche le dinamiche più vaste ed avere una visione strategica. Per questo la nostra bussola deve restare quella dell'area di libero scambio tra le due sponde dell'Atlantico, con l'obiettivo di creare, quando ci saranno le condizioni, la più grande area commerciale, produttiva e tecnologica del pianeta, così da innescare davvero una crescita globale sostenibile nel lungo tempo. Insomma, l'obiettivo deve comunque restare, anche se oggi può apparire difficile, zero dazi tra Europa ed America.
Nel contempo, dobbiamo accelerare - questo lo sappiamo e lo deve sapere anche l'Europa - sulla strada delle riforme europee, che purtroppo non appare né chiara, né definita e sulla quale riscontriamo ritardi non più giustificabili, anche alla luce del report di Mario Draghi, sino a questo momento inapplicato; e questo a prescindere da come si concluderanno i negoziati tra Unione europea e Stati Uniti e i negoziati globali. Per questo serve cancellare quei dazi interni autoimposti che derivano dagli eccessi di regole, con uno shock di semplificazione e sburocratizzazione per le imprese e con una moratoria regolatoria in Europa; rivedere le politiche settoriali, che si sono rivelate fallimentari e per le quali abbiamo presentato in Unione europea alcuni significativi documenti di indirizzo strategico per la revisione del Carbon border adjustment mechanism (CBAM) e la semplificazione burocratica e alcuni non paper settoriali, come quelli su siderurgia, chimica, microelettronica e spazio. L'Italia è protagonista e all'avanguardia in Europa nel processo di riforme del nostro continente.
Occorre avviare in via esplorativa negoziati per nuovi accordi di libero scambio con Messico, Consiglio di cooperazione del Golfo, India, Indonesia, Malesia, Filippine e Australia, oltre al Mercosur, che richiede un'accurata valutazione costi-benefici, avuto riguardo alle eccellenze italiane della filiera agroalimentare.
Occorre prevedere una clausola di salvaguardia, ovviamente europea, ove la Cina subisse dazi molto elevati, affinché si possa arginare un possibile riversamento massiccio di merci cinesi nel mercato libero dell'Unione europea, per evitare che la sovrapproduzione asiatica, ove avesse precluso il mercato americano, ma ci auguriamo che così non sia, fosse indirizzata sul mercato europeo spazzando via i produttori locali: misure di salvaguardia previste secondo le norme del WTO.
Abbiamo inoltre definito un programma nazionale di sostegno alle imprese nei Paesi che sono in crescita e maggiormente predisposti ai nostri prodotti, soprattutto lungo l'asse del grande Medio Oriente, della penisola arabica, dell'Indo-Pacifico e del Sud-Est asiatico, accompagnato da una campagna di mantenimento e di presidio sul valore del made in Italy nelle Americhe, con l'obiettivo di raggiungere 700 miliardi di export e consolidare la nostra posizione di quarto Paese esportatore globale, conseguita lo scorso anno.
Abbiamo inoltre predisposto una nuova e conclusiva rimodulazione degli strumenti del PNRR, come già fatto alla fine del 2023, quando destinammo 17 miliardi aggiuntivi alle imprese, rispetto a quanto era previsto dalla stesura originaria del PNRR, che abbiamo riformulato. Oggi intendiamo riprogrammare, in aggiunta a quei 17 miliardi della riprogrammazione del dicembre 2023, altri 14 miliardi dal PNRR: 11 dal fondo di coesione e 7 dal fondo sociale per il clima, per indirizzare anche queste risorse su programmi di sostegno alle imprese, ovviamente d'intesa con la Commissione, per quanto riguarda soprattutto la rimodulazione del PNRR, e con le Regioni, per quanto riguarda i fondi di coesione.
Intendiamo inoltre fare tutti gli sforzi per mantenere sotto controllo l'inflazione, che in Italia nel 2024 è stata pari all'1,1 per cento, nettamente inferiore al valore in Francia, pari al 2,3, e in Germania, pari al 2,5, e in Spagna, pari al 2,9. All'atto del nostro insediamento, nell'ottobre 2022, l'inflazione nel nostro Paese era all'11,8 per cento, nettamente sopra la media europea e all'inflazione degli altri grandi Paesi industriali europei. Anche in questi primi mesi del 2025, a fronte di una tendenza generale al rialzo, è sempre strutturalmente sotto la media europea, cosa più unica che rara nella storia del nostro Paese.
Una delle conseguenze della chiusura dei mercati, ove si verificasse, e di misure daziarie sarebbe, ovviamente ed inevitabilmente, l'aumento dell'inflazione per i cittadini europei così come per quelli americani; aumento che, a sua volta, avrebbe un impatto negativo sui consumi e quindi sulla produzione.
Per questo, sul fronte inflattivo, occorre mantenere alta la guardia e continuare ad agire come stiamo facendo, nel rispetto delle competenze europee e per indurre tutti alla ragione, con l'obiettivo di ridurre i dazi, non certo di aumentarli, nella piena consapevolezza che questo è importante soprattutto per il made in Italy così apprezzato nel mondo. È decisivo, infine, per stimolare la crescita interna, tutelare la produzione, i lavoratori e i cittadini italiani. (Applausi).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sull'informativa del Ministro delle imprese e del made in Italy.
È iscritto a parlare il senatore Lombardo. Ne ha facoltà.
LOMBARDO (Misto-Az-RE). Signor Presidente, onorevoli colleghi del Senato, consentitemi di dare un messaggio di bentornato al ministro Urso. Bentornato Ministro, è da oltre un mese che quest'Aula del Parlamento l'aspettava trepidante. (Applausi).
Siamo al 14 maggio. Il giorno in cui il presidente americano Donald Trump ha imposto i dazi a tutto il mondo era il 2 aprile. Sono passati 45 giorni. Lei non può arrivare qui dicendo che la responsabilità è della Conferenza dei Capigruppo se lei viene solo oggi (Applausi), in primo luogo perché l'esercizio della funzione di indirizzo e controllo è una nostra prerogativa. Lei, peraltro, è stato senatore, quindi lo sa bene. In secondo luogo, perché se lei ne avesse avuto il coraggio, non avrebbe dovuto neanche aspettare una richiesta: sarebbe venuto in Aula per dare una risposta non solo a noi, ma al Paese, alle imprese e ai cittadini.
Signor Ministro, con il dovuto rispetto per la sua persona e per la sua funzione, venire in Aula oggi, dopo che il 12 maggio la Cina e gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo per sospendere reciprocamente i dazi per novanta giorni, significa comportarsi come l'invitato degli sposi che si presenta in chiesa il giorno dopo il matrimonio. È come se il Ministro della salute scomparisse durante una pandemia e si presentasse il giorno dopo che sono stati trovati i vaccini. Del resto, signor Ministro, tutto ciò è coerente con quello che lei è venuto a dire in quest'Aula, ovvero che le imprese devono agire sul mercato indipendentemente dall'intervento pubblico. Vede, signor Ministro, questa sua frase è espressione di una confusione valoriale, perché lei confonde il tema degli aiuti di Stato, che non sono legali, se non a determinate condizioni, perché sono contrari alla libera concorrenza europea, con l'intervento pubblico in economia, che non solo è legittimo, ma è doveroso laddove ci sono dei casi di concorrenza sleale. (Applausi).
Signor Ministro, quella che noi le chiediamo si chiama politica industriale, che manca in questo Paese; si chiama politica energetica, in cui le imprese italiane pagano uno spread energetico molto più alto. Io mi sarei aspettato che in questi quarantacinque giorni lei intervenisse dicendo, a quella parte della maggioranza che ha detto che i dazi sono una straordinaria opportunità per le nostre imprese, che non è così; mi sarei aspettato che lei dicesse che trovare un modo per arrivare alla sospensione dei dazi non è competenza dello Stato, ma dell'Unione europea. Mi sarei aspettato che lei dicesse che quello che stiamo vivendo è già successo nel 2018, ovvero che il tema dei dazi non è proprio come una guerra commerciale, ma se ne fa un uso geopolitico per ricostruire le relazioni diplomatiche. Allora, per essere coerente con quello che lei ha affermato, signor Ministro, forse ha ragione, è inutile che ci aspettiamo che le imprese attendano una risposta dal Governo, mentre forse è utile che si aspettino le sue dimissioni. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Patton. Ne ha facoltà.
PATTON (Aut (SVP-PATT, Cb)). Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor Ministro, del fatto che Trump sia imprevedibile ne abbiamo avuto una nuova conferma in questi giorni, non solo con la Cina, ma anche con il suo diverso approccio all'Ucraina, per non parlare del Medio Oriente. Proprio perché è imprevedibile, però, non possiamo limitarci a sperare che adesso tutto giri per il meglio anche con noi, anche con l'Europa. Il tema, allora, è come mettere al riparo le imprese italiane, accompagnando e consolidando la loro capacità di resilienza.
La produzione industriale è in calo da ventisei mesi; nel primo trimestre il 58 per cento delle imprese ha bloccato gli investimenti; sono calate anche le fusioni e le acquisizioni; il tessuto produttivo è entrato in una dinamica protettiva di autotutela, che va bene nel breve termine, ma che diventa pericolosa in una prospettiva di lungo periodo.
La prima questione, signor Presidente, è il costo dell'energia: il primo dazio per le imprese italiane è quel 23 per cento in più che pagano per l'energia rispetto alla media europea. Il Governo ha fatto un provvedimento contro il caro bollette che il giornale di Confindustria ha definito una pazzia: non un solo euro alle imprese, non una risposta ai problemi strutturali alla base del caro energia.
Inoltre, signor Presidente, vi è il tema dell'intelligenza artificiale. In Germania, il 20 per cento delle imprese ha già integrato l'intelligenza artificiale nei propri processi produttivi. Noi siamo fanalino di coda, con solo l'8 per cento delle imprese italiane che usa già l'intelligenza artificiale. Il 40 per cento delle aziende ha dichiarato di aver bloccato gli investimenti previsti per il primo trimestre e lo fanno perché attorno a loro non avvertono un sistema, un Paese che ne sta facendo un elemento strategico. La Francia ha annunciato un grande piano da 109 miliardi per assumere il ruolo di leader in Europa nello sviluppo dell'intelligenza artificiale. Noi approviamo un provvedimento che è poco più di un elenco di buone intenzioni.
Poi ci sono quei problemi che ci trasciniamo da tempo immemore, come la lentezza della macchina giudiziaria e l'eccessiva burocrazia. Un'azienda di medie dimensioni deve dedicare 2.000 ore, quasi 250 giornate lavorative all'anno, alla gestione burocratica.
In conclusione, la vera sfida non è solo quella di negoziare sui dazi, ma è anche quella di rendere le nostre imprese più resilienti, in grado cioè di diversificare sui nuovi mercati, restando sempre competitive e al passo con l'innovazione. Serve un ecosistema che spinga davvero per la competitività e l'innovazione, che abbatta le barriere burocratiche e anche quelle per l'accesso al credito, come chiedono da tempo le organizzazioni datoriali, perché - dazi o non dazi - siamo dentro una riscrittura complessiva delle regole commerciali e dei modelli produttivi.
Senza una visione strategica degna di questo nome, l'economia italiana resterà particolarmente esposta ai venti delle tensioni internazionali. Non basterà allora dire quanto sono bravi gli imprenditori italiani e decantare le loro capacità, se poi queste non vengono accompagnate e sostenute come meritano. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Paita. Ne ha facoltà.
PAITA (IV-C-RE). Signor Ministro, mi sono un po' persa all'inizio quando lei ha fatto quella fumosa introduzione nella quale cercava di giustificare come mai era arrivato così tanto in ritardo a parlare di questo tema all'Aula. Fossi stata in lei, Ministro, avrei reso un'informativa spontanea, non costretto da quello che le opposizioni hanno chiesto alla Conferenza dei Capigruppo ripetutamente. (Applausi).
Poi sarei venuta scusandomi e le spiego perché. Ad aprile il clima di sfiducia delle imprese subisce la terza flessione consecutiva su tutti i principali settori economici. Le vendite al dettaglio a marzo sono nuovamente in calo e il segno è negativo sia in valore assoluto che di volume. La produzione italiana ha avuto, sempre a marzo, un timido +0,1, che però è stato travolto dal fatto che il mese di marzo del 2025 è il ventiseiesimo mese consecutivo di calo della produzione del nostro Paese (Applausi) in tutti i settori, in particolare nei trasporti e nella moda.
Sarei venuta a scusarmi per le dichiarazioni disarmate che ieri lei ha reso, di totale inutilità, sulla questione dell'Ilva. (Applausi). Lei ieri ha avuto il coraggio di dire che l'attività di Ilva è compromessa, che la produzione è ridimensionata, che sarà in atto un grande processo di cassa integrazione per Novi Ligure, per Genova, per Taranto. Sono gravissime le responsabilità del Governo sul tema dell'Ilva… Non so cosa mi esibisce, Ministro, ma ha poco da esibire: lei ha solo da chiedere scusa nei confronti del Paese e fare poca ironia (Applausi). Anzi, prego il Presidente di monitorare la scarsa simpatia del Ministro.
Le dicevo, c'è una responsabilità enorme di questo Governo sul tema della siderurgia, che è precondizione per l'indipendenza del nostro Paese, per vari aspetti che le elenco, uno ad uno: processo di vendita bloccato e incertezza sull'impianto, che il Ministro non ha saputo risolvere; una nuova Autorizzazione integrata ambientale (AIA) che ancora non c'è; nuovo intervento di sequestro degli impianti con inerzia del Governo; ritardi di Invitalia nell'impianto di riduzione diretta (DRI); inerzia del Governo nei riguardi della nuova norma europea sulla scomparsa delle quote gratuite di CO2. Polemizziamo poi con l'Europa, ma bisogna anche contare qualcosa in Europa, Ministro. (Applausi).
È un contesto drammatico. Almeno un tempo, quando facevate l'opposizione, anche efficacemente, tiravate fuori il tema della nazionalizzazione. Ora non vi vedo tanto impegnati a immaginare un ruolo dello Stato su questo tema. (Applausi). Non vi vedo impegnati, come quando sul tema Alitalia urlavate: nazionalizziamo! Nulla, silenzio tombale, cassa integrazione e mancanza di prospettive per quei lavoratori.
Quanto al prezzo dell'energia 2024, noi siamo i più alti d'Europa: il costo medio è di 108 euro, a differenza di Spagna (63 euro), Francia (58 euro), Germania (78 euro), area scandinava (36 euro).
Questa è la condizione che ammazza le imprese e a dirlo non è Italia Viva, ma Confindustria. (Applausi). È il grido di dolore di Orsini e Marcegaglia che dovrebbe metterla in guardia. Anche qui, nessuna iniziativa sulle questioni che si potrebbero affrontare.
Avete provato a copiare il provvedimento del Governo Renzi su Industria 4.0, chiamandolo Transizione 5.0. Non siete nemmeno buoni a copiare. (Applausi). I miliardi allocati lì sono 6. Con quel provvedimento avreste potuto fornire alle imprese una possibilità di miglioramento delle loro condizioni, ma non siete stati in grado di produrre niente.
È in questo contesto che si introduce il tema dei dazi, voluti e imposti dal vostro leader mondiale sovranista Trump, verso il quale ho sentito le sue parole, signor Ministro. Lei è molto mite nel cercare di giustificare. D'altronde, per voi e per Salvini i dazi erano un'opportunità. Ci mancherebbe altro! (Applausi). E, invece, non lo sono. Sono anzi un grosso problema per il nostro Paese: per l'automotive, l'agroalimentare, la moda, il vino e le microimprese, che rappresentano il tessuto strategico del nostro Paese.
Mi avvio alla conclusione. C'è un rischio reale di delocalizzazione e impoverimento del lavoro. È inutile immaginare una prospettiva in solitudine. L'Europa deve agire unita se vuole portare a casa qualche risultato.
Ministro, non le pone qualche problema la prospettiva che Trump possa chiudere un accordo con la Cina prima che con l'Europa? Lei e il suo Governo avevate promesso di essere protagonisti. All'epoca di Draghi, nel famoso treno c'erano i principali Paesi europei; all'epoca di Meloni nelle foto c'è il vuoto. Questo è il vostro protagonismo sul tema dei dazi e della geopolitica. Siete totalmente irrilevanti, e non so se perché…
PRESIDENTE. Senatrice Paita, la invito a concludere.
PAITA (IV-C-RE). …il ministro Salvini o, banalmente, perché non avete le capacità e le competenze per chiudere alcun accordo. So che il Paese in questo momento sta vivendo un ruolo di prospettiva periferica rispetto agli altri Paesi europei e questo è grave per la nostra economia e le nostre industrie. Si dimetta, Ministro. (Applausi).
PRESIDENTE. Prego i signori senatori e senatrici, nei limiti del possibile, di rispettare i tempi.
È iscritto a parlare il senatore Salvitti. Ne ha facoltà.
SALVITTI (Cd'I-UDC-NM (NcI, CI, IaC)-MAIE-CP). Signor Presidente, desidero anzitutto ringraziare il Ministro.
Vorrei soprattutto riuscire a comprendere qual è l'argomento di oggi perché, se facciamo un minestrone di tutte le questioni che riguardano l'industria e l'economia del nostro Paese, diventa poi difficile concentrarsi su quelle che possono essere le soluzioni a dei problemi che esistono a livello globale e che noi tentiamo in ogni modo di non subire, così come abbiamo dimostrato.
Ciò che sta accadendo a livello globale va in una direzione che non abbiamo certo indicato noi, ma che tuttavia auspichiamo per quanto riguarda il rapporto intorno all'Atlantico, per fare in modo che si possa creare una zona a zero dazi, a differenza di quanto hanno fatto nella fase iniziale altri Stati europei, che hanno provato a mostrare i muscoli rispetto all'introduzione di dazi a livello globale. È un atteggiamento che fin da subito abbiamo tentato di evitare, cercando di fare in modo che in Europa, da protagonisti, si potesse evitare questa escalation che avrebbe portato certamente a risultati estremamente negativi.
Io vedo in maniera diversa il fatto che ci possa essere un accordo tra Stati Uniti e Cina in una fase come questa, perché sta a significare che si sta iniziando a ragionare in maniera completamente diversa rispetto alla postura assunta dagli Stati Uniti nel complesso dell'atteggiamento a livello mondiale, nel senso di una ridistribuzione della forza economica a livello globale. Il fatto che queste due potenze siano adesso in una trattativa che ha visto la sospensione del 115 per cento dei dazi tra di loro è - a mio avviso - un segnale favorevole. Al momento, sarebbe ingenuo e impossibile da parte di chiunque fare previsioni su quello che accadrà, perché sono delle trattative che coinvolgono altre parti del mondo, anche se potranno avere delle ricadute - come diceva giustamente prima il Ministro - sulla nostra economia.
A mio avviso, noi dobbiamo partire da un obiettivo chiaro, del quale ho avuto la fortuna di sentir parlare da parte del ministro Urso in un intervento che fece a Verona più di un mese fa. È una linea che abbiamo intrapreso da diverso tempo e la dimostrazione è stata data già prima dell'incontro avuto a Washington dal Presidente del Consiglio e anche successivamente rispetto a quello. Il che sta a significare che è un nostro obiettivo creare una zona atlantica senza dazi. Non è detto che ci si riesca, ma deve essere quello l'obiettivo primario. Il fatto che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti siano riusciti a raggiungere un accordo favorevole per entrambi, con bassi dazi, è un segnale assolutamente positivo. L'atteggiamento che viene assunto da altri nostri partner europei non mi sembra in linea con questo. Noi stiamo facendo questo solo ed esclusivamente con l'intento di portare l'Europa verso un obiettivo di siffatto genere. Certo, altri Stati non si stanno comportando in questa maniera; addirittura la Spagna, tanto decantata negli ultimi anni, tenta di riattivare le vie della seta nei confronti della Cina e - secondo me - sarebbe l'errore più grave proseguire in questa prospettiva. Essa adesso sarebbe assolutamente deleteria rispetto a una cultura e a un'etica che dovrebbero unire gli Stati Uniti d'America e l'Europa in virtù dei riferimenti comuni. Al contrario, abbiamo un'ottica dello sviluppo globale assolutamente diversa rispetto all'atteggiamento di alcune parti dell'Oriente, che è fagocitante nei confronti delle altre economie, come è stato dimostrato nel corso degli anni. Questo richiederebbe prestare molta attenzione alla strada che si sta percorrendo.
Penso che rispetto all'export italiano, che è uno dei grandi obiettivi dell'Italia per quanto riguarda la crescita del PIL e il miglioramento dell'economia sul nostro territorio, stiamo registrando dei risultati in positivo, nonostante la tempesta nella quale si trova l'economia mondiale in questo periodo, del 3,1 per cento per quanto riguarda le esportazioni. Al di là delle esportazioni negli Stati Uniti, che sono comprensibili, magari per l'immagazzinamento dei prodotti italiani, abbiamo avuto la capacità di ampliare i mercati delle nostre imprese, facendo un lavoro diplomatico importantissimo che sta dando dei risultati molto rilevanti. Contiamo di poter raggiungere l'obiettivo che ci siamo posti di raggiungere i 700 miliardi di esportazioni e tutti quanti gli indicatori economici ci convincono di poterlo fare.
Fare ora delle previsioni è assolutamente sbagliato. Ci sarà il momento in cui parleremo della politica di sviluppo della nostra industria sul territorio e lo faremo sicuramente dando un forte sostegno al Ministero, che sta lavorando in maniera indefessa per raggiungere questi obiettivi e per sfuggire a quegli enormi dazi che l'Europa si è autoinflitta, e per sottrarsi a quella visione del green deal che ha penalizzato in maniera fortissima alcuni settori, nello specifico quelli dell'industria europea. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Magni. Ne ha facoltà.
MAGNI (Misto-AVS). Signor Ministro, devo dire che la sua introduzione è stata proprio una delusione. Di fronte alla ristrutturazione del capitalismo a livello internazionale, che richiede a tutti noi di affrontare con determinazione una serie di nodi che sono arrivati al pettine, lei viene con un elenco di titoli di giornale. E lo dico perché conosciamo molte delle cose che ha detto perché ne hanno scritto i giornali.
Ho parlato prima di delusione. Mi sarei aspettato una risposta. Per quanto riguarda la trattativa sui dazi, la facciamo come Paese Italia, come si era delineato? Siamo andati a New York e a Washington e abbiamo portato a casa il risultato di spendere più soldi per le armi e il gas. Non abbiamo portato a casa nulla, però, sulla riduzione dei dazi. L'avversario da questo punto di vista è stato individuato da Trump nell'Europa. Mi sarei aspettato un ruolo dentro l'Europa per poter fare una trattativa rispetto a un ragionamento di geopolitica, anche perché non è un fatto astratto. Siamo di fronte al fatto che la Cina ovviamente tratta per sé e lo stesso fa la Gran Bretagna, che è fuori dall'Unione europea. Se l'Unione europea è il soggetto che più viene attaccato ed è un mercato rilevante perché più avanzato dal punto di vista del welfare state e dei consumi, forse bisogna discutere con i partner. E su questo non ho capito la posizione del nostro Paese.
Secondo elemento: lei ha citato le imprese. Qual è il fondo che si mette a disposizione delle imprese? Di fronte a questa crisi, nel momento in cui siamo al 26° mese di calo della produzione industriale, con la deroga dell'IVA aggiuntiva e di quello che sta succedendo negli ultimi giorni ulteriormente, mi sarei aspettato che il Governo italiano individuasse un fondo cui le imprese possano attingere. Tutto questo non c'è. In sostanza non si capisce. Si capisce solo che state navigando a vista cercando di cogliere qua e là cosa fare. Capisco la prudenza, ma senza scelte non si va da nessuna parte.
Mi soffermo su un'ultima questione che riguarda la farmaceutica, un settore importante da lei richiamato. Attenzione: essendo multinazionali americane, se Trump chiede che, per ridurre i dazi, si vada a produrre negli Stati Uniti d'America, in questo caso per loro sarà una facilitazione. Si corre o meno anche questo rischio? Bisogna capire qual è il messaggio che diamo al Paese. Le persone e le imprese sono preoccupate… (Il microfono si disattiva automaticamente).
Questo è molto preoccupante per il ruolo del nostro Paese, per un grande Paese come il nostro all'interno dell'economia mondiale. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Damiani. Ne ha facoltà.
DAMIANI (FI-BP-PPE). Signor Presidente, se navigassimo a vista, oggi non avremmo i risultati economici che il Paese sta conseguendo in questo momento particolare (Applausi). E, quindi, merito al Governo oggi di essere ritornato finalmente sugli scenari internazionali e - non solo - anche europei, di primo piano e di primo livello. Comunque ancora una volta oggi, in un'informativa che riguarda i dazi, un tema particolare, oggi all'ordine del giorno economico, mondiale e nazionale, abbiamo sentito in quest'Aula parlare di tutt'altro. Come al solito, caro Presidente, le opposizioni sono sempre fuori traccia, oramai, su qualsiasi tema.
Veniamo alla questione dei dazi. Per citare alcuni dati importanti di quello che vale oggi il commercio bilaterale tra il nostro Paese e gli Stati Uniti, ricordo che parliamo di 92 miliardi di euro. L'Italia oggi in Europa è il secondo Paese esportatore negli Stati Uniti. È innegabile che oggi questa situazione, che riguarda i dazi, crea sicuramente dei problemi non soltanto al nostro Paese, ma anche a tutta l'Europa.
Voglio ricordare quali sono le principali esportazioni che noi abbiamo nei confronti degli Stati Uniti. Macchinari, prodotti chimici e i derivati, manufatti, finiti, semilavorati, moda, abbigliamento e agroalimentare, prodotti DOP e IGP: sono tutte produzioni importanti e peculiarità oggi del nostro Paese.
Si dice - e anche il Ministro lo ha ribadito - come oggi la fortuna della nostra manifattura e anche dei nostri prodotti, quindi il cosiddetto made in Italy, sia un vantaggio competitivo nei confronti anche degli Stati Uniti e degli altri Paesi. Quindi, siamo certi che questi prodotti italiani, che sono insostituibili al mondo, non avranno conseguenze per effetto in seguito ai dazi.
Tuttavia - come dicevo - da un punto di vista economico rischiamo sicuramente una stagnazione, per cui bisogna individuare delle soluzioni, delle contromisure, che non arrivano certo dal fatto di venire oggi in quest'Aula a parlare di Ilva, di massimi sistemi economici, di fondi. Oggi serve trovare delle soluzioni, e a tale proposito il Governo è al lavoro in maniera collegiale.
Ringrazio il ministro Urso che è venuto oggi in quest'Aula a parlare dei dazi e ci ha detto che al momento non ci sono conseguenze e, anzi, nel primo trimestre abbiamo un maggiore flusso di export, che forse è dovuto a un effetto scorta. C'è un anche un altro piano messo in campo dal vice premier Antonio Tajani, che è quello della ricerca di nuovi sbocchi verso nuovi mercati, quelli ad alto potenziale. Quindi, il Ministero degli affari esteri, con tutte le agenzie pubbliche di sostegno all'export (ICE, Simest, Sace, CDP), sta lavorando a una diplomazia della crescita, perché è quello che ci vuole in questo momento. Diceva il ministro Urso che non bisogna agire con la pancia, perché in questo momento occorre agire con la testa, e il Governo lo sta facendo. Vi sono circa 700 miliardi di euro di export che vogliamo portare nel nostro Paese.
Come dicevamo, i dati sono un problema per tutti e lo sono anche per gli americani. Qui voglio citare alcune frasi di un grande presidente americano, Ronald Reagan, che, nel 1982, diceva che la storia ci ha insegnato una lezione importante: «Il libero commercio favorisce il progresso economico, e promuove anche la pace nel mondo. Quando i Governi si immischiano troppo nel commercio, i costi economici aumentano e le dispute politiche si moltiplicano. La pace viene minacciata». Questo è il messaggio che un importante presidente americano, in questo caso repubblicano, ha lanciato. Ecco perché siamo sicuri e convinti che, in una situazione al momento congelata, sicuramente si troverà una soluzione.
Certo, la competenza è europea e siamo tutti consapevoli di questo, Il primo Paese, però, che è stato ricevuto negli Stati Uniti da Donald Trump, con risultati che sono sicuramente a vantaggio nostro e di tutta l'Europa, è stata Giorgia Meloni qualche settimana fa, quando ha parlato con lui direttamente ed ha affrontato questi importanti temi. Quindi, sicuramente un accordo ci sarà.
Quello che innanzitutto dobbiamo chiedere oggi all'Europa, poiché il settore maggiormente in crisi è quello dell'automotive, è sicuramente la sospensione delle regole del green deal. Un'altra cosa importante - e l'abbiamo messa in campo - è diversificare i mercati. Certo, l'alleanza oggi con gli Stati Uniti è fondamentale e noi la dobbiamo tutelare a tutti i livelli. Tuttavia, per non essere sempre dipendenti da un solo Paese, anche pensare a una diversificazione, come questo Governo sta facendo, può essere una soluzione per uscire da una situazione che - come dicevamo - al momento attuale è congelata, ma può creare dei problemi economici non soltanto al nostro Paese, ma all'intera Europa.
È grazie all'impegno corale del Governo che si stanno mettendo in campo delle misure per superare questa difficile situazione e soprattutto per trovare nuovi sbocchi. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Nave. Ne ha facoltà.
NAVE (M5S). Signor Ministro, credo che, dopo quanto lei ha detto, sia il momento di risintonizzarci sulla realtà e metterci di fronte alla cruda verità. Iniziamo a dire che, se noi siamo fuori traccia, voi siete fuori di senno. (Applausi). È inutile dirle che, a causa sua e del suo Governo, siamo arrivati a ventisei mesi consecutivi - ripeto, ventisei mesi - di calo della produzione industriale. Con le tensioni geopolitiche in atto, legate anche alla questione dei dazi, rischiamo di fare sempre peggio, nonostante da settimane ci raccontiate la balla del ruolo che questo Governo ha nell'intavolare rapporti con Trump nella rimodulazione dei dazi. Lo sanno tutti, anche i sassi, che questi temi sono discussi al livello dell'Unione europea. Quello che invece avete fatto è portare a Trump decine di miliardi degli italiani in dote tra armi (Applausi), acquisto di gas naturale liquido tra i più inquinanti e investimenti delle nostre imprese. In cambio di cosa ancora non l'abbiamo capito.
Signor Ministro, insomma, basta sognare.
Siete impegnati a buttare i soldi sulle armi, mentre l'economia italiana vi crolla intorno. Dibattete per ottenere lo scorporo delle spese militari dal Patto di stabilità, facendo un regalo immane alla Germania. Votate a favore del Rearm-EU, che per l'Italia significherà decine di miliardi di nuovo debito per armi. Attenzione, Ministro non per la sanità, non per lo sviluppo industriale, non per la scuola, non per l'innovazione, ma per le armi. Ripeto: non per l'assunzione di nuovi infermieri, non per gli stipendi degli italiani ormai allo stremo, non per quei 6 milioni che vi abbiamo chiesto per la prevenzione del tumore al seno. (Applausi).
E, poiché al peggio non c'è mai fine, signor Ministro, cosa dire di quel fantasioso moltiplicatore del suo collega Crosetto, ovvero: per ogni euro speso in armi si sarebbero dovuti produrre due euro di valore aggiunto. È stato miseramente polverizzato in Parlamento dall'Ufficio parlamentare di bilancio: le spese militari sono regressive. (Applausi).
Ed è falso, signor Ministro, che i 26 mesi consecutivi di calo della produzione industriale in Italia rappresentino un male che riguarda in egual misura altri Paesi europei. Ministro, nessuno, neanche la Germania in recessione, ha inanellato una striscia così catastroficamente negativa. Basta leggersi i dati per dimostrare che quanto detto da Meloni la settimana scorsa è una balla colossale. (Applausi).
Ministro, ritengo che perfino lei possa fare una media mensile del calo della produzione industriale da quando vi siete insediati ad oggi. E sa cosa ne esce? Siamo messi peggio della Germania e molto, ma molto peggio della Francia. Insomma, dati alla mano, signor Ministro, lei è senza ombra di dubbio il peggior Ministro delle imprese d'Europa. (Applausi). E pensare che avete il PNRR da investire! Chissà cosa sarebbe accaduto se non l'avessimo avuto.
Credo che sia arrivato anche per lei, Ministro, il momento di assumersi la responsabilità di aver depotenziato in modo definitivo Transizione 4.0 e di averla sostituita con la fallimentare Transizione 5.0: un coacervo di burocrazia e ostacoli per le imprese, che ha visto attivati investimenti miseri, pari a circa il 10 per cento del finanziamento complessivo, di 6,3 miliardi. Insomma, Transizione 5.0 è l'Anticristo delle imprese. (Applausi).
Eppure, Ministro, lei aveva in eredità Transizione 4.0. Abbiamo letto dalla recente relazione sulla valutazione d'impatto economico, stilata dal suo Ministero e dal MEF, che Transizione 4.0 - tengo a precisare Transizione 4.0 e non Industria 4.0, che tutti sappiamo essere destinata alle grandi imprese - ha attivato investimenti per 29 miliardi, con ricadute positive sul fatturato delle imprese e sulla creazione di nuovi posti di lavoro. Ministro, lo dice la relazione del suo stesso Ministero. Per quale motivo avete cancellato questa misura? (Applausi). Non so nemmeno se lei si sia reso conto di quello che ha detto la sua Premier qui in Senato la settimana scorsa. Ha detto che Transizione 5.0 non va, che è stata un fallimento. Già solo davanti a questo io mi chiederei cosa dovrebbe fare un Ministro in un Paese normale.
Per non parlare poi dell'Ilva. Ricordo lo slogan elettorale degli autoproclamati patrioti: noi siamo pronti. Mi pare di poter dire però, a naso, che il processo di risanamento e cessione dell'Ilva si sia rivelato l'ennesimo fiasco, nonostante la nomina dei suoi amici tra i commissari. Anche qui io mi porrei due domande su cosa farebbe un Ministro in un Paese di fronte a una situazione del genere.
Ebbene, Ministro, davanti a tante domande io ritengo che lei possa fare un favore all'Italia. Ci faccia un favore, recuperando un barlume di dignità, visto che la sua Presidente del Consiglio non ha il coraggio o la possibilità di chiederlo: si dimetta, vada a casa, vada a vedere tutte le partite di tennis che vuole. Ma, per favore, non disturbi più le imprese italiane. Sapranno fare a meno di lei. Grazie, Ministro. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cantalamessa. Ne ha facoltà.
CANTALAMESSA (LSP-PSd'Az). Signor Presidente, signor Ministro, signori colleghi, cito due piccoli dati, avendo sentito tante parole dall'opposizione. Standard and Poor ha promosso l'Italia da BBB a BBB+. Il Ministro dell'economia italiano è stato giudicato il miglior Ministro dell'economia del mondo. Lo spread è stato ridotto di 100 punti. Il deficit è stato ridotto… (Commenti). So che la verità fa male, ma vorrei continuare a parlare.
PRESIDENTE. Vi prego di lasciare intervenire il senatore Cantalamessa. Voi forse vi distraete: quando l'opposizione parla del Governo, usa, lecitamente e legittimamente, anche argomenti aggressivi - chiamiamoli così, nei limiti della dialettica - senza essere disturbata. Credo che lo stesso possa avvenire quando si esprime un esponente della maggioranza. D'altronde, senatore Cantalamessa, lei non se ne abbia a male, perché è figlio d'arte. Come sa, infatti, io conoscevo suo padre.
CANTALAMESSA (LSP-PSd'Az). Signor Presidente, la ringrazio, anche per la citazione di mio padre.
Io elencavo dei punti. Lo spread è stato ridotto di cento punti; il deficit ridotto di 79 miliardi; la disoccupazione è al 6,2 per cento; con più di 24 milioni di occupati, un livello mai raggiunto nel nostro Paese. Vi sono 850.000 nuovi posti di lavoro, con la percentuale più alta di occupati a tempo indeterminato, pari all'86 per cento. La crescita del PIL è il valore più alto in percentuale d'Europa, con l'inflazione più bassa, e l'indice della Borsa ha sfondato i 34.000 punti. Il resto sono chiacchiere. (Applausi).
Venendo al tema del giorno, mi limito a un'analisi delle bilance commerciali tra gli Stati Uniti, l'Europa e la Cina. L'Europa ha un deficit commerciale nei confronti della Cina di 300 miliardi di dollari e un surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti di 200 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale nei confronti della Cina di 360 miliardi di dollari e di 200 miliardi di dollari nei confronti dell'Europa.
In questo gioco a livello mondiale, un solo Stato ha un surplus commerciale da paura, sia nei confronti degli Stati Uniti che dell'Europa, ed è la Cina, che ha 300 miliardi di surplus nei confronti dell'Europa e 360 miliardi nei confronti degli Stati Uniti. Questo perché in Cina sono più bravi? No, perché in Cina non vengono garantiti tutti i diritti ai lavoratori e mi fa ridere l'idea che si vogliono mettere dei contro dazi nei confronti degli Stati Uniti e non nei confronti di Paesi che non tutelano il lavoro e non tutelano l'ambiente.
Il presidente Trump aveva due possibilità: o svalutava il dollaro, vista la sua bilancia commerciale, e avrebbe impattato molto peggio sui dati dell'economia in Europa; o parlava di dazi: dazi che sono sempre esistiti e continuano ad esistere. Ricordo che le aziende italiane che producono vino, se oggi esportano del vino in Brasile, pagano il 25 per cento di dazi.
Il 2 aprile il presidente Trump ha annunciato dazi nei confronti di diciannove Paesi. Come ricordava giustamente il Ministro, c'è stata una moratoria di novanta giorni e abbiamo visto ieri, proprio a Ginevra, che Xi Jinping sta iniziando una trattativa. Gli altri Stati nei confronti dei quali stanno per partire i dazi sono Canada e Messico, ma - come diceva bene prima il collega di Azione - lì sono rivolti ad un aspetto geopolitico, che in quello specifico caso riguarda la guerra al fentanyl e all'immigrazione.
Veniamo invece ai dati per quel che riguarda i veri dazi che l'Italia e l'Europa subiscono, che non sono certo i dazi di Trump che, quando entreranno - come già è stato detto - impatteranno poco, perché gli americani amano il prodotto del lusso italiano. Parliamo della direttiva delle case green. Il costo stimato è tra gli 800 e i 1.000 miliardi di euro per gli europei.
La transizione sull'auto elettrica nel 2035 costerà al popolo europeo 3.500 miliardi di euro, 270.000 posti di lavoro in meno e 70.000 posti di lavoro in meno in Italia. Il taglio delle emissioni di CO2 del 90 per cento entro il 2040 costerà alle imprese italiane 1.100 miliardi di euro. E potrei continuare con il nutri-score, la direttiva degli imballaggi, la plastic tax, la sugar tax.
È sacrosanto che un Presidente provi a difendere il proprio Paese. È gravissimo quando l'Unione europea sancisce la morte delle imprese europee per delle folli politiche green delle quali si deve assumere le responsabilità. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Misiani. Ne ha facoltà.
MISIANI (PD-IDP). Signor Presidente, noi chiedevamo la presenza del Ministro da più di un mese. Ministro Urso, è riuscito ad arrivare in ritardo e, soprattutto, non ha detto nulla di significativo. Proveremo a dire noi qualcosa su un tema così importante.
La prima è che i primi cento giorni dell'amministrazione Trump sono stati un disastro epocale. (Applausi). Se ne stanno rendendo conto gli elettori americani e, prima o poi, speriamo ci arriviate anche voi. Questo disastro è figlio della guerra commerciale più stupida della storia, promossa dall'Amministrazione americana, con dazi calcolati a casaccio, annunciati, ritirati: lo spettacolo imbarazzante a cui abbiamo assistito dal 2 aprile in avanti.
Gli effetti di questa politica demenziale, signor Ministro, si stanno ripercuotendo su diversi ambiti: stanno mettendo in discussione la crescita economica; stanno mettendo in discussione la stabilità dei mercati finanziari; stanno mettendo in discussione la credibilità degli Stati Uniti e dell'Occidente, che voi a chiacchiere dite di voler difendere, ma che in realtà state mettendo a rischio. (Applausi).
Signor Presidente, se l'Amministrazione sta cambiando strategia - questo sta avvenendo in questi giorni - è per il rischio di recessione prodotto da quelle scelte, per lo spettro degli scaffali vuoti nei supermercati americani - questo è quello che rischia di avvenire - e per le turbolenze del mercato dei titoli di Stato americani, che un tempo erano un asset sicuro e adesso hanno la credibilità fortemente ridimensionata dall'andamento erratico delle scelte dell'Amministrazione stessa.
La verità, signor Presidente, signor Ministro, è che Trump sta facendo una penosa retromarcia, una penosa marcia indietro, perché il sovranismo commerciale della destra non regge alla prova dei fatti: produce recessione e inflazione e danneggia le condizioni di vita, innanzitutto dei cittadini americani. (Applausi).
In secondo luogo, questa politica rischia di produrre danni gravissimi al nostro Paese. Mi dispiace aver ascoltato nelle parole del Ministro la mancanza di consapevolezza di ciò che rischiamo, perché gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sbocco delle esportazioni italiane. L'interscambio è raddoppiato negli ultimi dieci anni e noi abbiamo un avanzo commerciale enorme di 39 miliardi di euro, che è frutto del lavoro dei nostri imprenditori, della competitività dei prodotti, e non dell'ingiustizia presunta che l'Amministrazione lamenta nei confronti dei partner commerciali.
Signor Presidente, noi oggi non abbiamo soltanto i dazi che sono al 10 per cento fino al 9 luglio, e nessuno sa che cosa accadrà dopo. Nel frattempo, il dollaro si è svalutato del 10 per cento da gennaio. Quindi, noi siamo in una condizione in cui i nostri prodotti soffrono un 20 per cento reale tra dazi e svalutazione del dollaro. Rischiamo quindi di perdere miliardi di euro di esportazioni - come riportano anche i vostri dati - e oltre 50.000 posti di lavoro in questo Paese. Tutto questo accade in un contesto in cui la produzione industriale, al di là della propaganda che ci è toccato ascoltare anche oggi, è in calo da ventisei mesi. L'Italia si sta deindustrializzato e voi state rispondendo a chiacchiere a questo declino e i dazi aggravano la situazione. (Applausi).
In terzo luogo, signor Ministro, noi oggi, con un mese di ritardo, con una condizione che è lontana dall'essere risolta, ci aspettavamo parole chiare, una strategia, un piano, almeno qualche proposta concreta, un pezzo di carta, qualcosa da poter leggere di concreto con le coperture e l'indicazione degli interventi. L'intervento del Ministro ci conferma che il Governo è in ritardo, non ha un piano, fa solo propaganda e non sa come tutelare il nostro sistema produttivo. Sarebbe allora necessario fare gioco di squadra a livello europeo, ma voi vi state barcamenando - un giorno con l'Europa, un giorno con gli Stati Uniti - senza portare a casa nulla. Sarebbe necessario diversificare i nostri mercati, ma non sappiamo che cosa volete fare sul Mercosur, che è un trattato pronto di libero scambio, che creerebbe la più grande area a livello mondiale. Avremmo bisogno di un piano vero e non di quel fantomatico piano che avete presentato alle associazioni di imprese (Il microfono si disattiva automaticamente).
Avremmo bisogno, signor Ministro, di una politica industriale: l'Ilva sta saltando per aria, le nostre imprese non sanno a che santo votarsi. (Applausi). Voi state intervenendo solo sulle banche, con un golden power su UniCredit che non sta né in cielo né in terra.
Rimanete inerti di fronte a 26 mesi di calo della produzione industriale. (Applausi).
Signor Presidente, Trump sta facendo retromarcia, ma il mondo di prima non tornerà. Noi ci dobbiamo attrezzare a livello europeo e a livello nazionale, ma la cosa sconfortante del dibattito di oggi è che non avete la più pallida idea di come farlo e questo è un problema molto serio per le nostre imprese e per i nostri lavoratori. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Mennuni. Ne ha facoltà.
MENNUNI (FdI). Signor Presidente, avremmo auspicato che la sinistra abbandonasse la retorica allarmista e invece avete chiesto un'informativa al Ministro sui dazi. Il Ministro sta trattando il tema dei dazi, che è estremamente delicato e complesso, ma non una proposta è arrivata dalle opposizioni oggi. (Applausi).
D'altronde, ormai siamo avvezzi a questo tipo di approccio. (Commenti).
PRESIDENTE. Ho già detto prima che non è lecito che quando parla qualcuno della maggioranza per forza bisogna contestare, così come non sarebbe lecito il contrario. Prego, senatrice Mennuni.
MENNUNI (FdI). Io invece penso che il ministro Urso, insieme al Governo tutto, siano assolutamente da ringraziare per la capacità che sta dimostrando il Governo, il più solido d'Europa, nell'affrontare questi tempi caratterizzati da una mutevolezza incredibile: pensiamo alle guerre ai confini dell'Europa, alle trattative e ai negoziati che sono in corso in queste ore tra la Commissione europea, gli Stati Uniti, la Cina, il Regno Unito.
Ebbene, avremmo forse auspicato che decideste, avendo chiesto questa informativa del Ministro, di partecipare compiutamente a questo momento importante e delicato per la storia economica dell'Occidente dell'Europa, ma evidentemente vi interessa meno. Quindi, continueremo noi a svolgere il nostro lavoro, oltre a quello di valutare - com'è stato giustamente richiamato dal Ministro - delle rimodulazioni del PNRR e dei fondi di coesione, per costituire un fronte comune con il nostro settore produttivo, un lavoro che deve essere svolto anche dalla Commissione europea.
Vorrei anche qui ringraziare il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che con quel suo piglio veloce, pratico e pragmatico, è stata colei che ha aperto la strada al negoziato della Commissione europea con gli Stati Uniti (Applausi), perché è proprio la Commissione europea che dovrà svolgere questa trattativa estremamente delicata.
Siamo lieti di ascoltare che il nostro comparto del Made in Italy in questi primi mesi non ha subito flessioni; anzi, ha avuto un incremento nei rapporti della bilancia commerciale con gli Stati Uniti, proprio grazie a quel prodotto di qualità che l'Italia sa offrire e continuerà ad offrire. Quindi, è bene che vi sia questo approccio per una de-escalation dei possibili conflitti che non auspichiamo e una ripresa degli accordi che dobbiamo raggiungere con gli Stati Uniti d'America, forti di quel rapporto straordinario che esiste da molti decenni tra Italia e USA. E un altro grande lavoro, signori, voi non l'avete svolto, ma lo abbiamo avviato noi: è un negoziato interno alla Commissione europea. Perché, vedete, se l'Unione europea pensa di continuare a trattare quest'epoca di cambiamenti così notevoli con le stesse politiche e gli approcci ideologici che ha usato, ad esempio, per il green deal, che sta soffocando il settore dell'automotive (Applausi), temo che non andremo molto lontano.
Quindi, noi andremo avanti nel tutelare soprattutto quei segmenti che hanno una maggiore delicatezza nell'ambito delle politiche che si stanno svolgendo. Penso alle eccellenze del nostro settore agroalimentare e a quelle che saranno le politiche che il Governo dovrà modulare nel caso in cui vi siano degli approcci sul settore farmaceutico. Ben venga, comunque, la volontà di cercare di tenere saldo il nostro rapporto economico, culturale e di politiche commerciali con l'Occidente, che è la cifra del nostro lavoro.
Infatti, piaccia o no, vi è un asse che ha il suo cuore pulsante e che parte da Roma, dalla sua cultura e dalla tutela della persona, che dovrebbe essere l'approccio di studio e analisi per affrontare la globalizzazione. È un dato di fatto che si debba passare da un mero free trade a un fairtrade, ossia a un rapporto equo nella distribuzione dei commerci (Applausi), mantenendo quell'asse che parte da Roma, attraversa Parigi e Londra, scavalca gli oceani per arrivare… (Il microfono si disattiva automaticamente) …alla nostra cultura e all'attenzione verso la persona umana tipiche dell'Occidente. (Applausi).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sull'informativa del Ministro delle imprese e del made in Italy, che ringrazio per la disponibilità.
Discussione dalla sede redigente e approvazione del disegno di legge:
(1407) INIZIATIVA POPOLARE. - Disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese (Approvato dalla Camera dei deputati) (Relazione orale) (ore 11,27)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dalla sede redigente del disegno di legge n. 1407, già approvato dalla Camera dei deputati.
La relatrice, senatrice Mancini, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni la richiesta si intende accolta.
Pertanto, ha facoltà di parlare la relatrice. Le do la parola con un po' di emozione perché su questo tema in tanti anni di militanza politica ci sono stati un grande dibattito e un grande impegno anche personale. (Applausi).
MANCINI, relatrice. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, il disegno di legge, di iniziativa popolare e approvato in prima lettura, con modifiche e integrazioni, alla Camera dei deputati, concerne la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese.
È un provvedimento di particolare significato sotto diversi aspetti. In primis, per il fatto di avviare un percorso per dare attuazione all'articolo 46 della nostra Costituzione, il cui testo recita: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».
La lettura dei singoli articoli (in tutto 15) dà quindi la conferma della portata di questa innovazione nel mondo del lavoro.
L'articolo 1 specifica che il disegno di legge è mirato a disciplinare la partecipazione gestionale, economica, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, all'organizzazione, ai profitti e ai risultati, nonché alla proprietà delle aziende, individuando a tal fine le forme di promozione e incentivazione in attuazione dell'articolo 46 della Costituzione e nel rispetto dei principi e dei vincoli derivanti in materia di ordinamento dell'Unione europea e di quello internazionale. In tale ambito, il disegno di legge introduce norme finalizzate a rafforzare la collaborazione tra i datori di lavoro e i lavoratori e allargare i processi di democrazia economica e di sostenibilità delle imprese.
L'articolo 2 reca alcune definizioni, tra cui quella di partecipazione gestionale, intesa come la pluralità di forme di collaborazione dei lavoratori alle scelte strategiche dell'impresa, e quella dei contratti collettivi individuati in termini identici alla nozione fondata sul principio del comparativamente più rappresentativo già posta dall'articolo 51 del decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81.
Gli articoli 3 e 4 definiscono la sopracitata partecipazione gestionale dei lavoratori.
L'articolo 3 riguarda, specificatamente, la società per azione o in accomandita per azioni organizzate secondo il cosiddetto modello dualistico, nel quale configurano un consiglio di gestione, cui spetta la gestione dell'impresa, e un consiglio di sorveglianza, cui spettano vari compiti in materia di atti di ordine generale e di sorveglianza.
In base all'articolo 3 in esame, gli statuti societari possono prevedere, qualora la fattispecie sia disciplinata dai contratti collettivi, la partecipazione nel consiglio di sorveglianza di uno o più rappresentanti dei lavoratori dipendenti, individuati sulla base delle procedure definite dai medesimi contratti, nel rispetto sia dei requisiti di professionalità e onorabilità richiesti per i componenti del suddetto consiglio, sia delle disposizioni sulle cause soggettive di esclusione della relativa nomina. Nell'ambito dell'ipotesi in oggetto, può essere prevista anche, specificamente, la presenza di almeno un rappresentante dei lavoratori aderenti ai piani di partecipazione finanziaria di cui al successivo articolo 6.
L'articolo 4concerne la partecipazione gestionale dei lavoratori nelle società non organizzate secondo il modello dualistico; in tale ambito, ai sensi del presente articolo, gli statuti possono prevedere, qualora la fattispecie sia disciplinata dai contratti collettivi, la presenza nel consiglio di amministrazione e, ove costituito, nel comitato interno al medesimo consiglio, di uno o più membri rappresentanti gli interessi dei lavoratori dipendenti e individuati dai medesimi lavoratori. In merito ai requisiti generali di indipendenza, onorabilità e professionalità essi sono posti o richiamati dal comma 3, mentre il comma 4 prevede che tali membri non possano assumere incarichi direttivi entro il termine di tre anni dalla cessazione del mandato.
L'articolo 5reca una modifica transitoria della disciplina sull'imposta sostitutiva dell'Irpef e delle relative addizionali regionali e comunali, imposta concernente alcuni emolumenti retributivi, costituiti da premi di risultato e da forme di partecipazione agli utili d'impresa. Si prevede una fattispecie di elevamento per l'anno 2025 da 3.000 a 5.000 euro lordi del limite di importo complessivo rientrante nell'imposta sostitutiva; tale elevamento è subordinato alla condizione della distribuzione ai lavoratori dipendenti, per l'anno 2025, di una quota degli utili di impresa non inferiore al 10 per cento degli utili complessivi.
Si ricorda che l'applicazione del regime fiscale sostitutivo è subordinato alla condizione che il reddito da lavoro dipendente non sia stato superiore, nell'anno precedente a quello di percezione degli emolumenti in oggetto, a 80.000 euro e che l'aliquota dell'imposta sostitutiva è pari, fino all'anno 2027, a cinque punti percentuali e, a regime, a dieci punti percentuali.
L'articolo 6 definisce la possibilità che nelle aziende siano previsti piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti. Tali piani possono individuare gli strumenti di partecipazione dei lavoratori al capitale della società.
Lo stesso articolo 6 prevede che, per l'anno 2025, i dividendi corrisposti ai lavoratori e derivanti dalle azioni attribuite in sostituzione di premi di risultato siano computati nella base imponibile delle imposte sui redditi nella misura pari al 50 per cento, ad esclusione della quota di tali dividendi eccedente il limite di 1.500 euro, per la quale resta ferma l'inclusione integrale dell'imponibile.
L'articolo 7interviene sulla possibilità per le aziende di promuovere l'istituzione di commissioni paritetiche, aventi la finalità di predisporre proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell'organizzazione del lavoro.
L'articolo 8prevede che l'organigramma aziendale possa comprendere, sulla base di contratti collettivi aziendali, una serie di figure di particolare rilevanza per le aziende: le figure dei referenti della formazione, dei piani di welfare, delle politiche retributive, della qualità dei luoghi di lavoro, della conciliazione e della genitorialità nonché le figure dei responsabili della diversità e dell'inclusione delle persone con disabilità. Si prevede altresì che le imprese che occupano meno di 35 lavoratori possano favorire, anche attraverso gli enti bilaterali, forme di partecipazione dei lavoratori all'organizzazione dell'impresa.
L'articolo 9prevede che, nell'ambito di commissioni paritetiche, disciplinate dai contratti collettivi, le rappresentanze sindacali unitarie o le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, i rappresentanti dei lavoratori e le strutture territoriali degli enti bilaterali di settore siano previamente consultati in merito alle scelte aziendali.
L'articolo 10definisce la procedura della consultazione in oggetto, che deve svolgersi secondo determinate modalità ed entro specifici termini; l'articolo prevede altresì che entro trenta giorni dalla chiusura della procedura, il datore di lavoro convochi la commissione paritetica, al fine di illustrare il risultato della consultazione.
L'articolo 11fa salve le condizioni di miglior favore rispetto alla disciplina di cui agli articoli 9 e 10.
L'articolo 12prevede lo svolgimento di una formazione (anche in forma congiunta) non inferiore a 10 ore annue, finalizzata a sviluppare conoscenze e competenze tecniche, specialistiche e trasversali per i rappresentanti dei lavoratori facenti parte delle commissioni paritetiche di cui all'articolo 7 o degli organi societari di cui agli articoli 3 e 4. Tali corsi possono essere finanziati attraverso gli enti bilaterali, il Fondo nuove competenze e i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua.
L'articolo 13 prevede l'istituzione, presso il CNEL, della Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori. La Commissione esprime pareri interpretativi, non vincolanti. Procede altresì alla raccolta e alla valorizzazione delle buone prassi in materia di partecipazione dei lavoratori attuate dalle aziende, redige ogni due anni una relazione sulla partecipazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, presenta al CNEL proposte volte a incoraggiare la partecipazione, accoglie i verbali delle riunioni degli organi paritetici.
L'articolo 14 specifica che le disposizioni del presente provvedimento si applicano alle società cooperative in quanto compatibili.
Infine, il comma 1 dell'articolo 15 reca la copertura degli oneri finanziari derivanti dagli articoli 5 e 6. A tal fine si utilizza una misura quasi integrale della dotazione del fondo previsto per l'adozione di norme, anche di carattere fiscale, in materia di partecipazione dei lavoratori al capitale, alla gestione e ai risultati d'impresa, che è pari a 70 milioni per l'anno 2025. Il successivo comma 2 introduce una dotazione per l'anno 27 pari a 100.000 euro del fondo medesimo, mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal precedente articolo 5.
PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo non intende intervenire.
Comunico che è pervenuto alla Presidenza - ed è in distribuzione - il parere espresso dalla 5a Commissione permanente sul disegno di legge in esame, che verrà pubblicato in allegato al Resoconto della seduta odierna.
Passiamo alla votazione degli articoli, nel testo approvato dalla Camera dei deputati.
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 1.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 2.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 3.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 4.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 5.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 6.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 7.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 8.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 9.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 10.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 11.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 12.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 13.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 14.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo dell'articolo 15.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Passiamo alla votazione finale.
FURLAN (IV-C-RE). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FURLAN (IV-C-RE). Signor Presidente, oggi è un giorno molto importante per il mondo del lavoro e in modo particolare per le lavoratrici e i lavoratori italiani: lo è anche per tutti noi, per il Paese. Signor Presidente, l'articolo della Costituzione che parla della partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici ai destini, all'organizzazione, alle scelte dell'impresa non aveva mai avuto attuazione ed era un vulnus verso la nostra Costituzione. La Costituzione… (Brusio).
Signor Presidente, può invitare l'Assemblea ad osservare un po' di silenzio? Il rispetto si esercita (Richiami del Presidente) ed è esattamente il rispetto verso la nostra Carta costituzionale.
La Costituzione va difesa, va praticata, va realizzata. Non ritengo che ci siano articoli di serie A e di serie B, ma nella nostra storia repubblicana la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici non era mai stata applicata per tanti motivi. Troppo spesso, quando si parla di lavoro non si tiene conto di quell'articolo che dice che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Il protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici, come l'abbiamo avuto nelle fabbriche durante la Resistenza (Applausi), va anche riconosciuto nelle aziende e nel futuro economico. Certo, per troppo tempo, quando si cercava di parlare di partecipazione dei lavoratori, iniziavano i muri, quelli invalicabili, quelli che non vanno mai giù: il muro prodotto da tante imprese e da tanti liberisti nella nostra economia che non hanno mai voluto riconoscere l'importanza del ruolo dei lavoratori, ma anche di contrario massimalismo, per cui la partecipazione può rompere schemi consolidati.
Oggi, finalmente, attraverso l'approvazione di questo provvedimento rispettiamo la nostra Costituzione, la facciamo vivere perché la pratichiamo e riconosciamo quell'intelligenza collettiva importante (Applausi) dei lavoratori e delle lavoratrici che può essere un contributo strategico nel nostro Paese. Signor Presidente, in altri Paesi la partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici è da tanti anni praticata (penso alla Germania), e vedo come in quei Paesi dove è una realtà da tempo le reazioni alle crisi economiche, alle crisi finanziarie, alle crisi produttive sono più facili non solo da attraversare, ma anche da risolvere rispetto al nostro Paese, perché quell'intelligenza collettiva è protagonista dei destini del lavoro.
Presidenza del vice presidente RONZULLI (ore 11,48)
(Segue FURLAN). Certo, Presidente, questa è una legge di iniziativa popolare, promossa da una grande organizzazione con oltre 4 milioni di iscritti, e ha saputo coinvolgere tanti cittadini e tante cittadine nel dire: cambiamo il nostro sistema, innoviamolo, rendiamolo moderno, diamo protagonismo ai lavoratori e alle lavoratrici. (Applausi).
Alla Camera purtroppo, in tutto l'iter che ha generato alla fine questo nuovo testo troppi tagli sono stati fatti, del tutto incomprensibili, ad articoli particolari e importanti. Perché sminuire il valore della contrattazione e dei contratti nazionali, scegliendo invece gli statuti aziendali? Era molto meglio rafforzare e riconoscere quel ruolo di contrattazione, dove le parti sociali si confrontano e sanno trovare una sintesi. Perché togliere il rafforzativo di obbligatorietà nella partecipazione alle aziende pubbliche partecipate? Se non è lo Stato che dimostra di scegliere questa strada, certo sarà un po' più in salita con i privati. Perché non volere la partecipazione del sistema bancario nel credito? Se c'è un luogo che raccoglie i risparmi degli italiani e delle italiane, dove lo spirito partecipativo era necessario, è proprio quello. (Applausi). Chiediamoci perché avete tolto quell'articolo, perché l'avete soppresso e avete voluto cancellarlo. Noi pensiamo invece che una partecipazione in quel settore dei lavoratori e delle lavoratrici poteva creare una svolta di politica economica a favore delle stesse imprese, del lavoro e delle famiglie italiane.
Nonostante questo, Presidente, finalmente un passo in avanti è stato fatto e molto è rimasto di quella legge per cui sono state raccolte le firme di tanti cittadini e di tante cittadine. Sarà nostro compito, Presidente, quando ne avremo le condizioni, migliorarla e riportarla nella sua interezza, per come era stata scritta e voluta. (Applausi).
Oggi io, che ho tanta fiducia nella contrattazione e nella capacità del sindacato, in tutte le sue articolazioni nazionali, ma anche aziendali e settoriali, so che finalmente porteremo a casa forme partecipative nelle aziende di tutti i settori e che creeremo le condizioni, signor Presidente, perché questo Paese sia più democratico e guardi al lavoro nella sua interezza e nella sua sostanza, che è legittimità, democrazia e partecipazione. Per questo, ovviamente, il Gruppo Italia Viva voterà convintamente a favore della legge. (Applausi).
LOMBARDO (Misto-Az-RE). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LOMBARDO (Misto-Az-RE). Signora Presidente, mentre questa mattina sono intervenuto in maniera molto dura rispetto alle dichiarazioni del ministro Urso e rispetto alla lesione delle prerogative del Parlamento che è stata fatta nel suo intervento, in questo caso l'essere opposizione non mi è di ostacolo nel sostenere l'argomento di cui parliamo oggi.
Oggi esaminiamo una proposta di legge che nasce dal basso, da un'iniziativa popolare con oltre 400.000 sostenitori, promossa dalla CISL. Ma, soprattutto, oggi ci impegniamo a dare attuazione all'articolo 46 della Costituzione. E perché è importante adottare una legge attuativa della Costituzione?
Noi molto spesso, troppo spesso, parliamo di riforma della Costituzione e non parliamo di attuazione della Costituzione. Perché quell'articolo ci ricorda almeno due cose importanti: la prima è che il lavoro non è solamente un fattore di produzione. Il lavoro è anche un fattore di emancipazione, di crescita spirituale, per utilizzare le parole dei nostri costituenti. Dare ai lavoratori la possibilità di partecipare alle attività dell'impresa e anche ai risultati economici dell'impresa, significa non solo fidelizzare il rapporto tra imprenditore e lavoratore, ma significa riconoscere questa dimensione spirituale, questa dimensione comunitaria.
Noi dobbiamo impegnarci, pur riconoscendo i ruoli diversi che l'imprenditore ha rispetto al lavoratore, ad abbattere il muro che a volte separa chi ha la responsabilità di un'impresa da chi ci lavora. Molto spesso, infatti, come vediamo nei tavoli di crisi, i primi a non volere che le imprese falliscano sono i lavoratori stessi. Non solo per non perdere il loro lavoro, ma perché hanno legato la loro vita, la loro attività, anche alla crescita, non solo economica, ma appunto alla crescita spirituale che avviene in una dimensione comunitaria, dove il lavoro non è fattore di produzione e basta, ma è anche elemento di emancipazione.
Poi vi è il tema della bassa crescita nel nostro Paese. Se vogliamo affrontare questo che è il vero nodo della mancanza di crescita in Italia, penso che dobbiamo coinvolgere di più i lavoratori nella gestione e nell'organizzazione delle attività di impresa, legando anche il loro riconoscimento economico agli utili che vengono prodotti. Questo serve non solo a responsabilizzare i lavoratori rispetto al buon andamento dell'azienda, ma ci ricorda anche che esiste una dimensione economica in cui il portatore di risorse finanziarie non può prevaricare l'interesse della persona o della società o dell'impresa.
Azione voterà a favore di questo provvedimento, perché ritiene che un'economia più democratica possa aiutare a far crescere la democrazia nel nostro Paese. Noi riteniamo giusto attuare l'articolo 46 della Costituzione, pur con le criticità menzionate da alcuni colleghi che sono intervenuti prima di me: il tema dei contratti collettivi nazionali, che vanno a integrarsi con i contratti collettivi di secondo livello, quelli territoriali, quelli aziendali. Questo perché c'è un tema di obbligatorietà della partecipazione che deve riguardare anche il pubblico, che ha il dovere di dare il buon esempio anche rispetto alle imprese private.
Si tratta di un provvedimento che può e deve essere migliorato dal Parlamento però, per una volta, signor Presidente, noi riconosciamo che viene dato seguito a un'iniziativa partita dal basso, che ha coinvolto i lavori in Commissione e che coinvolge i lavori delle Assemblee. È un testo che, anche se non perfetto, è sicuramente perfettibile e va nella direzione dell'attuazione del riformismo presente nell'articolo 46 della Costituzione. Parliamo di una norma che era già stata prevista in tanti altri Paesi europei, quali la Germania, l'Olanda, la Francia, la Svezia e la Danimarca; una norma che oggi rende il nostro Paese un po' più moderno, la nostra economia un po' più democratica e forse che ci può aiutare anche a rafforzare la democrazia nel nostro Paese. (Applausi).
SPAGNOLLI (Aut (SVP-PATT, Cb)). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SPAGNOLLI (Aut (SVP-PATT, Cb)). Signora Presidente, mi ricollego nel mio intervento a chi mi ha preceduto, la senatrice Furlan e il senatore Lombardo, perché condivido molto di quello che hanno detto. Il provvedimento in esame nasce da un percorso nobile, un'iniziativa popolare sostenuta da 400.000 cittadini per un obiettivo importante: dare attuazione all'articolo 46 della Costituzione, questione rimasta inevasa troppo tempo.
Tuttavia, nel leggere il testo che stiamo per votare, la sensazione è che, a fronte di qualche luce, ci siano elementi che non convincono e purtroppo non sono pochi. Di positivo c'è sicuramente il fatto che la legge stabilisce per la prima volta un quadro normativo per superare la rigida demarcazione tra datore di lavoro e lavoratore, con il datore di lavoro che cede un pezzo di potere decisionale per guadagnarci in termini di senso di appartenenza e di impegno condiviso.
Non possiamo dimenticare che viviamo un'epoca caratterizzata da una mobilità all'interno del mercato del lavoro molto più accentuata che in passato. Oggi un giovane che inizia a lavorare dà per scontato che cambierà più volte datore di lavoro, cosa che non era ai tempi miei, quarant'anni fa. Ciò significa che spesso le imprese non fanno in tempo a insegnare il mestiere ai neoassunti, che questi cambiando e vanno altrove, con le conseguenti inefficienze strutturali diffuse.
A ciò si aggiunge il fatto che, a fronte dei dati aggregati degli occupati italiani che parrebbero confortanti (24 milioni oggi), siamo molto indietro purtroppo rispetto all'Europa nella percentuale di occupati nella fascia d'età 15-64 anni, in cui siamo al 62 per cento contro una media europea del 70 per cento (la Germania tocca il 77 per cento). L'occupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni è sotto il 20 per cento in Italia, mentre in Germania è sopra il 50 per cento. Per non parlare del mismatch, ovvero del mancato incontro tra offerta e domanda di lavoro: in Italia sono infatti vacanti 400.000 posti di lavoro. Il provvedimento in esame dovrebbe andare nella direzione di affrontare anche queste criticità, invece nella partecipazione prevista da questo testo, fortemente rimaneggiato nei contenuti rispetto alla proposta iniziale, si limita ad essere una facoltà delle imprese affidata, di fatto, alla buona volontà dei singoli imprenditori. Il testo non garantisce, quindi, che la partecipazione diventi una prassi diffusa e lascia molto spazio alla discrezionalità aziendale, soprattutto nelle piccole e medie imprese, dove questi meccanismi potrebbero fare davvero la differenza.
Lo spazio d'elezione per fissare i princìpi di partecipazione avrebbe dovuto essere quello della contrattazione collettiva, ma in questo testo viene addirittura circoscritta, limitata, con elementi di arretramento per mettere tutto in mano agli statuti aziendali e quindi alle decisioni e alle facoltà delle proprietà. In particolare, si sarebbe dovuto stabilire chiaramente che la distribuzione degli utili aziendali ai lavoratori, essendo una tantum perché dipendenti dal bilancio dell'azienda, non incidono sulle aliquote fiscali, perché altrimenti risultano svantaggiose per chi ne fruisce. Pensiamo all'ISEE e a tutte le altre misure di valutazione dei redditi per ottenere i pubblici servizi.
Questi sono i punti critici, poi ci sono dei limiti. Il primo è che il disegno di legge non affronta adeguatamente la necessità della formazione dei lavoratori, fondamentale per far maturare quelle competenze utili affinché i lavoratori abbiano un ruolo attivo e non soltanto simbolico o di facciata nella gestione dell'impresa. In secondo luogo, preoccupa il modo escogitato per la partecipazione economica: viene introdotta la forma della partecipazione azionaria, col rischio però che questo strumento venga posto come alternativa a una quota della retribuzione, senza averne né la sicurezza né la stabilità. Questo tipo di partecipazione non può sostituire la retribuzione, ma deve affiancarsi ad essa come parte di un sistema che garantisca comunque un salario equo e, come è detto, che non venga poi risucchiata dai nostri meccanismi fiscali sicuramente complessi. Inoltre, rispetto al testo iniziale c'è stata la cancellazione della quota minima di lavoratori nei consigli di sorveglianza delle imprese. Nella proposta di base corrispondeva a un quinto dei dipendenti, mentre alla Camera si è si è deciso che si parla solo di uno o più rappresentanti dei lavoratori. Infine, ai dipendenti è stata negata la possibilità di influire sulle politiche gestionali degli istituti bancari ed è stata soppressa la figura del garante della sostenibilità sociale delle imprese, che era un altro punto a nostro avviso strategico, sempre nell'ottica di una responsabilità condivisa tra proprietà e lavoratori.
Per concludere, signora Presidente e colleghi, si tratta sì di un primo passo nella giusta direzione, ma è molto vago e facoltativo nelle disposizioni concrete. La partecipazione non può essere un'idea astratta, ma è un principio chiave ad alta valenza strategica nella gestione dei processi complessi, come complesso è fare impresa in questa fase storica di grandi cambiamenti sul piano tecnologico e delle regole.
Per tutte queste ragioni, signora Presidente, il Gruppo per le Autonomie voterà sì a favore, ma con la convinzione e l'attesa che presto questo testo dovrà essere ulteriormente e profondamente evoluto, per andare davvero incontro agli obiettivi che si pone. (Applausi).
GELMINI (Cd'I-UDC-NM (NcI, CI, IaC)-MAIE-CP). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GELMINI (Cd'I-UDC-NM (NcI, CI, IaC)-MAIE-CP). Signora Presidente, come è stato sottolineato, il disegno di legge al nostro esame riveste una grande rilevanza per diverse ragioni.
Innanzitutto, si tratta di una proposta di legge di iniziativa popolare e sono 400.000 i lavoratori che l'hanno sottoscritta. È un'iniziativa che proviene da un sindacato autenticamente riformista, come la CISL, ma soprattutto rappresenta finalmente un cambio di paradigma nelle relazioni tra i lavoratori e i datori di lavoro. Veniamo, infatti, da un'impostazione ideologica novecentesca, che ha voluto registrare sistematicamente una contrapposizione, una conflittualità e una distanza fra le ragioni della produzione da un lato e la condizione di lavoratore dipendente dall'altro. Ci voleva un sindacato coraggioso come la CISL per far fare a questo Paese un passo avanti e ci voleva anche una maggioranza consapevole del cambiamento dei tempi.
Non solo: abbiamo tardato nella attuazione dell'articolo 46 della Costituzione, che è uno dei più illuminati e voluti dai Padri costituenti, che prova appunto a rendere sinergiche, da un lato, le aspettative dei lavoratori di essere compartecipi e protagonisti nelle strategie aziendali e dall'altro le ragioni della produttività. Si è provato, nell'arco di diverse legislature, ad attuare l'articolo 46 della Costituzione, ma non ci si è mai riusciti. Il fatto che oggi registriamo, da un lato, una spaccatura dell'opposizione di fronte a questo disegno di legge e, dall'altro, il coraggio della maggioranza nel votare a favore del provvedimento, la dice lunga sul tasso di riformismo del Paese, perché il provvedimento introduce, accanto alla contrattazione collettiva, che non viene meno e non viene indebolita, la responsabilità delle parti nel trovare sinergie per aumentare la produttività e la competitività.
All'interno di questo disegno di legge sono previste diverse forme di collaborazione: quelle gestionali, quelle organizzative, quelle consultive, quelle finanziarie. Sono diverse le modalità con cui, anche attraverso percorsi di formazione, si prova a trovare delle sinergie, per ottenere il risultato di migliorare la qualità di vita dei lavoratori, non dimenticando però la grande necessità di questo Paese di tornare a crescere, ad essere competitivo e a puntare sulla produttività. Peraltro, conforta il mio entusiasmo nell'affrontare questo tema il fatto che in altri Paesi europei - penso ai Paesi Bassi, ma anche alla Germania e alla Francia, dove da anni disegni di legge come questo sono già operativi - i risultati non hanno tardato ad arrivare, a significare che è la prova dei fatti che ci dimostra che questa è la strada da seguire.
Sono state stanziate delle risorse per circa 70 milioni, un fondo per avviare un percorso che poi, strada facendo, sicuramente dovrà essere emendato o migliorato. Però oggi usciamo dal Novecento, usciamo dalla logica della contrapposizione. Non ci illudiamo che basta un referendum, un quesito, un sì o un no per migliorare le condizioni del lavoro, perché da un lato c'è chi si illude che dall'abolizione del jobs act ci possano essere vantaggi per i lavoratori. Il jobs act sarà pure imperfetto, però non è tornando alla legge Monti-Fornero che si danno più tutele e più garanzie ai lavoratori, ma è semmai andando verso una logica compartecipativa, sinergica e collaborativa.
Colleghi, consentitemi di dire che non è dalla demonizzazione delle piccole e medie imprese, come si prova a fare all'interno di quesiti referendari farlocchi, che si può pensare di migliorare la qualità di vita dei lavoratori. (Applausi). Infatti, laddove si criminalizza l'impresa si fa anche il danno del lavoratore.
Certamente noi, da liberali, non pensiamo che sia lo Stato a garantire il lavoro, la produttività e la crescita, ma è semmai quel tessuto straordinario di piccole e medie imprese che fanno la forza del made in Italy e che anche durante la stagione del Covid non si sono arrese e hanno superato una delle stagioni più difficili per il nostro Paese.
Credo che la votazione di oggi sia importante anche per superare i divari e le contrapposizioni e per affermare quell'economia sociale di mercato di cui abbiamo un estremo bisogno e di cui siamo convintamente fautori. Credo anche che, a distanza di tanti anni, l'attuazione dell'articolo 46 della Costituzione ci colleghi ai contenuti della «Rerum novarum», un'enciclica che in questi giorni particolari è risuonata più volte con i suoi moniti molto forti sui temi sociali.
Per finire, penso sia anche un merito del Governo Meloni. Offro due dati precisi: la crescita dell'occupazione e l'approvazione di questa legge, in alleanza con il sindacato, a riprova che il Governo Meloni ha la capacità di dialogare con chi vuole farlo e con chi non utilizza il sindacato per fare politica e attaccare il Governo.
Per questi motivi, il nostro Gruppo voterà convintamente a favore del provvedimento. (Applausi).
MAGNI (Misto-AVS). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAGNI (Misto-AVS). Signor Presidente, il tema e la discussione mi appassionano molto. Io ho un'opinione radicalmente diversa e desidero entrare nel merito.
Questo provvedimento, che nel titolo reca la parola «partecipazione», in realtà prevede tutto fuorché la partecipazione. A decidere sono sempre l'impresa e l'imprenditore e i lavoratori e i propri rappresentanti non toccano palla in base a quanto contenuto nel provvedimento, per come è stato presentato. Se poi si discute in termini astratti, è un'altra cosa.
Sul livello di partecipazione sento qui dire delle cose. Sarò forse presuntuoso, ma io che ho fatto prima l'operaio e poi il sindacalista posso spiegarvi che quello della partecipazione è un problema che il movimento sindacale nel suo insieme ha sempre avuto e che si è posto a partire dagli anni Settanta. Forse non conoscete i contratti e vi invito a guardarli e studiarli. Forse non sapete come si costruisce, ad esempio, un premio di risultato dentro l'azienda: nasce sostanzialmente dalla discussione sull'organizzazione del lavoro, sull'efficienza, sugli investimenti e sul bilancio. Si tratta non delle azioni, ma della cosiddetta contrattazione di secondo livello. Ciò è sempre stato pensato dagli anni Settanta (sì, sono così vecchio, ma questo è il dato), è stato praticato e ha dato dei risultati. Forse bisognerebbe intervenire su questo e non scimmiottare la storia di altri. Se si vuole fare quello che c'è in Germania, allora bisogna prendere tutto l'insieme di quello che esiste in quel Paese sui consigli di amministrazione, sul ruolo che lo Stato ha dentro le imprese e sul ruolo della rappresentanza. È un insieme di cose e non un pezzetto.
Ho lavorato per 15 anni in un'azienda che è arrivata al massimo a 30 dipendenti e quindi so che cosa è la piccola e media impresa. Vengo da un territorio che vive sulla piccola e media impresa e che ha visto una contrattazione diffusa tra le parti sociali; da sempre e ancora oggi è in grado di fare questa cosa. Forse bisognerebbe, da un punto di vista ideologico, che ragionaste più su quello che succede realmente che su quello che vogliamo disegnare e qui nessuno si sottrae alla discussione.
Se vale il discorso delle 400.000 firme, che io riconosco e rispetto, allora potrei dirvi che vale anche quello dell'oltre mezzo milione di firme che sono state raccolte, ad esempio, sul salario minimo, che voi però non volete affrontare, oppure sulla riduzione dell'orario di lavoro. Capite che ci sono temi diversi su questo terreno che si devono affrontare, non ci sono figli e figliastri. (Applausi).
Vorrei solo che questa discussione non fosse inficiata da questo dato della divisione sindacale che a me, ovviamente, fa male, essendo nato e cresciuto sulla questione unitaria e avendo lavorato fortemente su questo terreno, quindi figuratevi se penso a un'altra cosa. Il punto fondamentale, però, è se davvero, secondo voi, qui è affrontato il tema della partecipazione alla pari dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro rappresentanze presso il datore di lavoro. No, come diceva prima il senatore Spagnolli, qui è totalmente esclusa. Eppure, abbiamo delle esperienze fondamentali che dimostrano come questo vuol dire discutere reparto per reparto sulle condizioni, sulla posizione, sui carichi di lavoro, vuol dire professionalità, investimenti, formazione. Perché il lavoratore sia alla pari dal punto di vista del confronto con l'impresa, non si deve chiedere il permesso, affidandosi alla discrezionalità dell'impresa; bisogna sempre, ovviamente, distinguere tra chi dirige e chi è proprietario e i lavoratori e le lavoratrici, ma molti accordi, lo ripeto, sono fatti da chi ha queste capacità e quindi questa disponibilità.
Sono d'accordo che bisogna intervenire dando un senso di cogenza anche dal punto di vista della legge, ma questo vale per tutto: non si può dire che non bisogna intervenire legislativamente, ad esempio, sul salario minimo, perché così si interverrebbe sulla libera contrattazione delle parti, e poi invece in un altro momento si interviene sulla contrattazione e si limita addirittura il ruolo delle parti, perché questo è quello che avviene. Delle due l'una, bisogna decidere. Ci sono proposte che dicono espressamente che non si pone alcun limite alla contrattazione, ma si fissa una soglia in questa direzione.
Vogliamo parlare del jobs act e del diritto dei lavoratori? Io ho lavorato per 10 anni, perché ho iniziato nel 1961, e allora si poteva licenziare ad nutum. Sapete che cosa vuol dire? Vuol dire che si poteva venire licenziati con un cenno. Poi nel 1970 lo Statuto dei lavoratori ha fissato il diritto di essere una persona e che venisse riconosciuto il fatto che la Costituzione rappresentava anche il lavoratore all'interno della fabbrica e che era il datore di lavoro che doveva motivare il licenziamento per giustificato motivo, non per la riduzione del personale dovuta a crisi aziendale, ma l'onere della prova spettava al datore di lavoro. Il jobs act invece ha monetizzato, ha fatto diventare una merce la posizione del lavoratore, fissando un tetto economico per gli indennizzi in caso di licenziamento. Questo non è rispetto della Costituzione. Non parliamo di un feticcio, ma è un fatto che il lavoratore e la lavoratrice un diritto non ce l'hanno e in questi anni, purtroppo, i lavoratori e le lavoratrici hanno perso i rapporti unitari e hanno patito difficoltà di mobilitazione e di contrattazione, perché si pensava che la competitività del Paese si ottenesse attraverso la precarizzazione del lavoro, invece la competitività la si ottiene attraverso l'innovazione e la partecipazione, intervenendo sulle condizioni di lavoro e sulla formazione. Questi sono gli interventi utili a favorire la competitività dell'impresa, non quelli sui costi, sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. Questo è quello che è avvenuto e che oggi paghiamo dal punto di vista complessivo, come Paese. Vorrei, una volta tanto, fare una discussione vera su questi temi, senza questioni ideologiche. Perché un lavoratore precario ha paura di fare un'azione individuale? Perché c'è il salario povero?
In molte realtà se esiste la precarietà, i lavoratori non si sentono liberi di esprimersi, di iscriversi al sindacato, di fare lo sciopero. Non hanno e non sentono questo diritto perché sono esposti. Vogliamo discutere di queste questioni? Ne vogliamo proprio discutere? Discutiamone. Io non sono ideologicamente contro niente, il problema è di merito. Non concordo sul merito e per questa ragione Alleanza Verdi e Sinistra esprimerà un voto contrario sul provvedimento in esame. (Applausi).
SILVESTRO (FI-BP-PPE). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SILVESTRO (FI-BP-PPE). Signor Presidente, colleghi, dopo tanti decreti-legge e diversi disegni di legge di iniziativa parlamentare, oggi esaminiamo un testo di legge che è partito dalla iniziativa popolare, con il pieno sostegno del sindacato, della CISL in particolare, che ha contribuito a scriverlo. Il provvedimento arriva dopo un lungo esame della Camera che lo ha ampiamente integrato e modificato, tenendo conto del fatto che al testo iniziale sono state affiancate altre cinque proposte di legge d'iniziativa dei deputati.
La ratio della proposta, che dopo l'approvazione senza modifiche del Senato diventerà legge, è quella di agevolare la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese. Ci saranno regole ulteriori per consentire la partecipazione dei lavoratori, già oggi una realtà in molte aziende anche importanti del nostro Paese. È una realtà perché le principali organizzazioni sindacali e la principale confederazione dell'industria italiana hanno già sottoscritto un accordo in materia di partecipazione organizzata. Un'intesa da cui sono nate migliori relazioni industriali e di contrattazione collettiva. Ci sono poi le esperienze sul campo, come quella delle Poste Italiane, che preludono a un maggiore coinvolgimento partecipativo dei dipendenti, oppure quella dell'INWIT (Infrastrutture Wireless Italiane), che gestisce le torri per la comunicazione, che intende condividere con i lavoratori le più opportune condizioni per raggiungere gli obiettivi aziendali, anche di produttività. Ci sono tante altre aziende, come Luxottica, FCA Ferrari, Lamborghini; cito solo le più note che hanno intrapreso la strada verso un maggiore coinvolgimento dei lavoratori. Si sta lentamente compiendo quell'adeguamento della nostra legislazione alla previsione costituzionale, come altri colleghi hanno ricordato, che prevede che la Repubblica riconosca il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende. Peraltro, dopo ottant'anni, con una società e un tessuto economico completamente diversi da quelli della società di allora, quella previsione costituzionale ci mostra tutta la sua modernità e, allo stesso tempo, la necessità di rendere cogente quella previsione.
Oggi le aziende migliori, quelle più performanti, sono quelle che coinvolgono i propri dipendenti e che, allo stesso tempo, creano quelle condizioni di welfare aziendale tali da non far sentire il dipendente al lavoro, ma parte di un processo produttivo di creazione di ricchezza e di benessere.
Ora si fa un passo in avanti rispetto alla possibile partecipazione gestionale dei lavoratori nei consigli di sorveglianza, ma anche nei consigli di amministrazione. Viene prevista la possibilità di far partecipare agli utili i lavoratori; lo si fa in maniera concreta, innalzando il limite dell'imposta sostitutiva. Lo Stato ci mette quindi anche una copertura finanziaria. È prevista altresì la partecipazione all'organizzazione del lavoro e all'innovazione aziendale ed anche queste previsioni comportano incentivi per le imprese che li adottano. Viene inoltre ritagliato un ruolo consultivo per i dipendenti sulle scelte aziendali che riguardano tutti i lavoratori.
A noi sembra un importante passo avanti che ora ci affianca ai Paesi più virtuosi d'Europa rispetto a questo tipo di politiche, come la Germania. Certamente vengono introdotte innovazioni che faranno il loro corso, inserendosi anche negli spazi della contrattazione aziendale tra datori di lavoro e lavoratori. Quello che bisogna assolutamente apprezzare è l'idea di un modello inclusivo, che potrà essere adottato da tutte le imprese. Nell'accogliere questo modello all'interno dell'azienda, ci saranno incentivi formativi e agevolazioni fiscali. Questo testo segna pertanto un evidente passo avanti nel miglioramento delle relazioni tra sindacati e aziende con un taglio non dirigista e con un approccio volontario.
Per queste ragioni annuncio il voto favorevole dei senatori del Gruppo Forza Italia. (Applausi).
MAZZELLA (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAZZELLA (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Castiello,
oggi ci troviamo di fronte a un'occasione storica purtroppo colpevolmente sprecata, un'opportunità che avrebbe potuto rappresentare un vero e proprio passo avanti nel rafforzare i diritti dei lavoratori e nel promuoverne una partecipazione più significativa e concreta. Questa occasione però si è dissolta in un'operazione di maquillage normativo fatta di titoli altisonanti, di dichiarazioni di intenti e di contenuti inconsistenti e insufficienti. Questa è una realtà che non possiamo ignorare, è un fallimento, è un'occasione perduta che avrebbe potuto cambiare radicalmente il volto della partecipazione dei lavoratori nel nostro Paese, che invece si riduce a una mera apparenza, un'illusione di progresso.
Il disegno di legge n. 1407, nato da una proposta di iniziativa popolare sostenuta da oltre 400.000 cittadini e cittadine (un dato che, a mio avviso, non dovrebbe essere sottovalutato), è stato profondamente snaturato nel suo impianto e nella sua visione originaria; è stato svuotato del suo significato politico, sociale e costituzionale. Si richiama l'articolo 46 della nostra Costituzione, che recita: «la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Un articolo che - ricordiamolo - è scritto con equilibrio e lungimiranza, con una chiara consapevolezza del ruolo dei lavoratori. Tuttavia, qui questa norma viene invocata per legittimare una legge che non la attua, bensì la elude, la tradisce, la svuota di ogni reale contenuto. (Applausi).
Lo diciamo senza mezzi termini: questo disegno di legge non garantisce ai lavoratori alcuna vera possibilità di collaborare alla gestione, ma si limita ad elencare una serie di strumenti facoltativi lasciati alla completa discrezionalità delle imprese; strumenti che vengono subordinati a condizioni vaghe e nebulose, spesso prive di impatto reale e duraturo. Nulla è obbligatorio, nulla è garantito, nulla è strutturale. Ci viene detto che tutto sarà affidato alla contrattazione collettiva. Ebbene, in un Paese come l'Italia, dove questa contrattazione è fortemente frammentata e disomogenea, dove milioni di lavoratori sono completamente esclusi da qualsiasi forma di rappresentanza effettiva, lasciare tutto al buon cuore delle parti sociali è un modo più che altro di eludere la propria responsabilità (Applausi), è un modo per abdicare al ruolo di legislatore, per delegare ma senza garantire nulla di concreto.
La verità, purtroppo, è che questa legge costruisce una partecipazione di facciata, una partecipazione che si riduce a un mero simbolo, a un'apparenza di coinvolgimento senza alcuna sostanza. Ciò si manifesta chiaramente quando si introduce un quadro di incentivi fiscali così limitati, come 1.500 euro di esenzione o la quota ridotta di dividendi, che di fatto non costituiscono mai uno strumento di reale redistribuzione della ricchezza. Lo stesso vale per i piani di partecipazione finanziaria: si parla di coinvolgimento, ma senza affrontare il nodo cruciale del diritto del lavoratore di scegliere se aderire o no. Si propone una partecipazione che, nella sostanza, rischia di essere un mero atto di fiducia, senza garanzie di stabilità reale, senza un valore effettivo delle azioni assegnate e senza la prospettiva di un coinvolgimento duraturo e non subordinato alle oscillazioni di mercato e alle congiunture economiche.
Questo è sostanzialmente un dato che voglio contrastare e voglio documentare in questa mia dichiarazione di voto. Lo si vede anche nella creazione di commissioni o referenti aziendali sui temi come il welfare, la formazione, la parità di genere; temi fondamentali che meritano attenzione e strumenti concreti.
Ma qui queste figure si riducono a entità prive di potere, senza strumenti, senza vincoli, senza capacità di incidere concretamente nelle decisioni aziendali. Sono figure simboliche, senza il minimo potere di influenzare davvero le scelte strategiche e operative.
La Commissione nazionale per la partecipazione presso il CNEL, invece di essere uno strumento di impulso e di monitoraggio attivo, si configura come un osservatorio passivo, privo di autonomia, senza compiti di controllo o di intervento reale. Anche qui si preferisce il simbolo all'azione, il talk all'azione concreta. (Applausi).
Ciò che più ci colpisce, alla fine, è l'assenza di una visione strategica a lungo termine. In un momento storico in cui il mondo del lavoro sta attraversando trasformazioni profonde, dall'automazione alle nuove forme di impiego, dall'instabilità salariale alla povertà lavorativa, all'intelligenza artificiale, la partecipazione dei lavoratori poteva essere il pilastro di una società più equa, di una coesione sociale più forte e di una giustizia più reale; avrebbe potuto rappresentare una risposta strutturale, capace di affrontare le sfide del presente e le incognite del futuro. Invece questo Governo si accontenta di poco, forse per non disturbare gli interessi di chi non vuole condividere davvero il potere o per egoismo politico o per semplice miopia.
Abbiamo detto alla Camera e ribadiamo qui al Senato che questo provvedimento, così come è stato modificato dalla maggioranza, non rappresenta un passo avanti. Anzi, è un pericoloso passo indietro, è l'ennesima occasione mancata di dare dignità, rappresentanza e peso reale ai lavoratori nel sistema economico e sociale del nostro Paese. È un provvedimento che parla di partecipazione, ma svuota la partecipazione, che dice di rafforzare la contrattazione collettiva, ma la rende inutile, che si richiama alla Costituzione, ma la tradisce, lasciando i lavoratori in un'area di incertezza e di invisibilità.
Per queste ragioni e per rispetto alla proposta originaria, per rispetto dei cittadini che l'hanno sostenuta, ma soprattutto per rispetto della dignità dei lavoratori e delle lavoratrici, il nostro voto sarà convintamente contrario. (Applausi).
MURELLI (LSP-PSd'Az). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MURELLI (LSP-PSd'Az). Signor Presidente, colleghi senatori, colleghe senatrici, oggi ci accingiamo a votare un provvedimento che è un passo importante verso un modello di economia più equo, partecipativo e moderno, perché introduciamo disposizioni per favorire la partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa.
Dal punto di vista tecnico, il disegno di legge stabilisce che le imprese possono riconoscere una quota agli utili dei lavoratori attraverso accordi aziendali o territoriali, con una disciplina che garantisce trasparenza, sostenibilità e volontarietà. Sono previste misure fiscali agevolate per le imprese che attivano tali meccanismi, anche in forma di premi di risultato detassati e di strumenti di welfare. Il provvedimento consente inoltre l'erogazione degli utili sotto forma di partecipazioni azionarie o quote, aprendo la strada a un coinvolgimento anche patrimoniale dei lavoratori nelle dinamiche aziendali.
Questo impianto normativo si ispira a modelli già affermati in altri Paesi, come la Germania e la Francia, dove la partecipazione dei lavoratori ha prodotto effetti positivi in termini di produttività, stabilità occupazionale e dialogo sociale, in un'ottica di sinergia tra i lavoratori e gli imprenditori, sempre per ottenere il massimo risultato come obiettivo aziendale. Non si tratta di un obbligo, ma di un'opportunità per le imprese di fidelizzare e motivare sempre di più i lavoratori, di essere riconosciuti non solo come un costo, ma come un fattore strategico di crescita.
Dal punto di vista politico, noi sosteniamo convintamente questo provvedimento, anche perché ha assorbito un disegno di legge della Lega a prima firma del capogruppo alla Camera Molinari, con il contributo di Luigi Sbarra.
Crediamo che, in un'economia sociale di mercato che metta al centro la persona, il lavoro e la responsabilità condivisa, dare ai lavoratori la possibilità di partecipare agli utili non significa solo riconoscere il merito, ma rafforzare il patto tra capitale e lavoro su cui si fonda il tessuto produttivo del nostro Paese.
C'è un articolo della Costituzione, l'articolo 46, che molto spesso viene dimenticato, che così dice: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Questo disegno di legge va esattamente in quella direzione, rendendo concreta una visione costituzionale finora rimasta inattuata.
È una norma che non ha carattere ideologico, ma profondamente riformista. Valorizza il ruolo del lavoro, promuove la competitività delle imprese e stimola un clima aziendale più partecipativo e di innovazione. La qualità delle relazioni industriali deve camminare di pari passo con l'evoluzione tecnologica. Il nostro sostegno nasce anche dalla convinzione che il benessere delle imprese sia strettamente legato a quello dei lavoratori: dove c'è il coinvolgimento, ci sono migliori risultati economici, minore conflittualità e maggiore stabilità.
L'auspicio è che questa legge diventi un volano di sviluppo e di coesione per tutto il sistema produttivo italiano. Per queste ragioni, annuncio il voto favorevole del Gruppo Lega-Salvini Premier, anche come rappresentante di un territorio fatto di piccole e medie imprese, che ogni giorno crescono grazie al contributo fondamentale dei loro dipendenti. (Applausi).
CAMUSSO (PD-IDP). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CAMUSSO (PD-IDP). Signora Presidente, onorevoli colleghi, potremmo intitolare la discussione che stiamo facendo «C'era una volta»: c'era una volta una legge di iniziativa popolare, presentata da un'importante organizzazione sindacale, la CISL, che non a caso, come Partito Democratico, avevamo detto dovesse essere il testo base della discussione sul tema della partecipazione.
Non avete, però, come maggioranza, resistito alla tentazione di appropriarvi di quel testo e svuotarlo. Non è neanche un'iniziativa originale. L'avevate già fatto con il testo sul salario minimo e lo fate in continuazione con le proposte di legge. La dimostrazione di questa operazione, quella di appropriarsi di un testo e poi svuotarlo. l'avete data anche nel cambiamento del titolo.
Da un titolo che citava la governance dell'impresa partecipata dai lavoratori, con la chiara ambizione di fare un salto di qualità nel ruolo partecipativo dei lavoratori, nella possibilità di esercitare anche una loro funzione, siamo passati a quello che stiamo votando: disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili d'impresa.
Che cosa ci dice tutto questo? Nel momento in cui scompare la governance, scompare il lavoro, scompare il fatto che questa avrebbe dovuto essere un'operazione utile a permettere ai lavoratori di discutere della loro condizione, magari anche di migliorarla. Invece, esiste solo il capitale, la finanza. Il lavoro non è più il soggetto, ma diventa l'oggetto della pura questione finanziaria. Esisti, quindi, come lavoratore, se sei un azionista; non esisti, come lavoratore, se sei un dipendente che ogni giorno lavora per la produttività e la qualità di quell'impresa.
Non è un caso, infatti, che la prima cancellazione determinata dalla maggioranza su quel testo abbia riguardato la partecipazione nelle imprese pubbliche e partecipate dallo Stato. Eppure queste sono imprese che hanno una storia nel nostro Paese. Forse non ve la ricordate, forse non vi siete occupati di lavoro in quegli anni, ma dal protocollo IRI al diritto di informazione sui contratti nazionali, a tutte le procedure sui cambiamenti e gli interventi, c'è una lunga storia della contrattazione che, giustamente, parte dal fatto che, essendo imprese partecipate a responsabilità pubblica, erano un luogo in cui si potevano esercitare forme di partecipazione più avanzate.
Quell'esperienza si è fermata quando le imprese pubbliche hanno deciso di entrare in Confindustria, di non avere più una rappresentanza propria. Da questo punto di vista, non mi stupisce quella cancellazione dell'intervento sulle imprese partecipate e l'allinearsi a un veto che in questo Paese è sempre stato esercitato da Confindustria rispetto a tutte le forme di partecipazione dei lavoratori.
Vorrei però dirvi che così restano le parole, non i fatti, a differenza dello slogan che la Presidente del Consiglio troppo spesso usa a sproposito. Eppure il pubblico è un datore di lavoro. Lo è nelle pubbliche amministrazioni, lo è nelle imprese partecipate.
Non è un neutrale osservatore di quello che può succedere, e quando si decide, per esempio, che le forme di partecipazione dipendono solo dalla volontà dell'impresa di attuare o non attuare, vorrei sapere se, come Stato datore di lavoro, vi riservate questo diritto, il che significherebbe un arretramento anche di condizioni già esistenti.
Devo dire che in realtà c'è e si manifesta grande disattenzione rispetto alle questioni inerenti al rapporto tra la partecipazione e la contrattazione. Vorrei dire che il patto della fabbrica, siglato da CGIL, CISL e UIL qualche anno fa, è, sul terreno della partecipazione organizzativa, effettivamente più avanzato del disegno di legge che oggi ci accingiamo a votare. Forse lo avreste potuto copiare, essendo così rispettosi della contrattazione e del ruolo delle parti sociali.
Voi, però, in realtà non lo siete perché, come abbiamo visto durante il dibattito parlamentare alla Camera, siete ambigui sul terreno della rappresentanza dei lavoratori. Troppo spesso cercate formule che mettano in discussione quel principio di rappresentanza che è fondamentale per determinare quell'equilibrio di poteri che non c'è. Non c'è un equilibrio di poteri tra i lavoratori e i datori di lavoro, come sappiamo bene c'è uno squilibrio ed è proprio questo il punto quando non si prevede che la presenza nei consigli di amministrazione possa essere tale per cui, di fronte a elementi che riguardano la vita dell'azienda e dei lavoratori (le ristrutturazioni, i licenziamenti e così via), ci siano delle procedure che permettano ai lavoratori di confrontarsi e di determinare eventuali scelte differenti, almeno sulla sospensione e il tempo. Devo dirvi che questo è un arretramento rispetto a tanta legislazione già esistente in questo Paese, che affrontava i processi di ristrutturazione attraverso il fatto che i soggetti della rappresentanza potessero intervenire con una modalità di questo tipo. Potremmo anche abolire i tavoli al Ministero delle imprese e del made in Italy, perché, se non c'è tempo per discutere di ristrutturazioni e di licenziamenti, si aumenta il livello di azione.
Da questo punto di vista, una scelta di ridurre il lavoro ad attore passivo comprime gli stessi lavori, spesso riferiti al fatto che sia necessario - come abbiamo sentito anche nella relazione - evitare il conflitto. Vorrei ricordarvi che il conflitto è stato una parte essenziale della storia dei diritti dei lavoratori nel nostro Paese: senza quello non avremmo i diritti universali del lavoro. Certo, il conflitto deve essere democratico, deve essere rappresentanza, perché bisogna riconoscere il lavoro, l'importanza dell'organizzazione del lavoro, dell'autonomia, della libertà sul lavoro. È per questo che anche le ambiguità che ci sono sul riconoscimento dei contratti nazionali come soggetto sono preoccupanti.
Noi volevamo lavorare a un testo sulla partecipazione che rappresentasse un passo in avanti rispetto a quanto la contrattazione aveva già conquistato. In questo senso andavano tutti gli emendamenti che abbiamo presentato sia alla Camera che in Senato, per ottenere dei risultati collettivi soprattutto per il lavoro. Come sempre, però, è valso il pregiudizio. Ciò che caratterizza questa maggioranza è il fatto che, di fronte agli emendamenti delle opposizioni, dice no e continua a dire no.
Alla fine, da un testo molto interessante, importante, forte delle firme che sono state raccolte, che come Partito Democratico abbiamo proposto di integrare e rafforzare, abbiamo visto un testo sostanzialmente svuotato soprattutto in quelle parti che parlavano di responsabilità pubblica e che avremmo potuto determinare. Ci troviamo di fronte, quindi, a una conclusione che definire imbarazzante è abbastanza un eufemismo. È questa la ragione per cui il Gruppo Partito Democratico si asterrà, per il rispetto dell'origine tradita del disegno di legge di cui oggi discutiamo. (Applausi). Una ragione che era, invece, una possibilità di avanzamento; soprattutto, però, ci asteniamo per dire quanto avete svilito una proposta che, invece, era importante per il lavoro e il nostro Paese. (Applausi).
BERRINO (FdI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BERRINO (FdI). Signora Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, oggi è una giornata molto importante per il Parlamento, se pensiamo che nelle ultime sette legislature solo cinque leggi di iniziativa popolare sono state approvate dal Parlamento. Oggi, quindi, stiamo vivendo un giorno importante, su un tema fondamentale, forse si tratta della legge di iniziativa popolare più importante nella vita del nostro Parlamento.
Oggi noi contribuiamo ad approvarla, a far sì che 400.000 firme e un sindacato importante come la CISL vedano la loro proposta divenire legge, come avverrà tra pochi minuti.
Quando i Costituenti inserirono l'articolo 46 nella nostra Costituzione, forse non si immaginavano o non si sarebbero mai immaginati che ci sarebbero voluti decenni, fino al 2025, per arrivare a una legge che attuasse un articolo così importante, che fu inserito come una speranza nella nostra Costituzione, la speranza di trovare un modello di sviluppo differente da quello che era stato conosciuto fino al 1947 e di poter dettare le regole e la tutela delle parti "in causa", quindi tra il datore di lavoro, le società, quello che una volta veniva chiamato il padrone, e i lavoratori, quella che una volta era chiamata la classe operaia.
L'articolo 46 della Costituzione trova le sue fondamenta filosofiche e di pensiero anche nella dottrina sociale, nell'enciclica «Rerum Novarum» di Leone XIII, che ipotizzava già una partecipazione attiva dei lavoratori come metodo per elevarsi nella società. Quindi, quell'articolo fu inserito in Costituzione, ma perché non fu mai realizzato? Non fu realizzato per la grande contrapposizione che, per decenni sul mondo del lavoro, ci fu tra la parte padronale e la parte lavorativa; contrapposizione che ha impedito fino al 2025 che ci fosse una qualsiasi proposta di legge che arrivasse a compimento, per interessi, forse per colpa, di entrambe le parti, che fecero pressione sulla politica affinché non si smarcasse - com'è stato detto - da un conflitto forte che negli anni Sessanta-Settanta e anche in parte Ottanta ha fatto vivere due parti dell'Italia in contrapposizione.
Devo dire che la volontà e la forza delle 400.000 persone nel firmare la proposta della CISL di portare all'attenzione della politica questo tema sono state una novità devastante. Potremmo dire che si dà un colpo di grazia alla lotta di classe grazie a questa legge, si sminano molti conflitti che finora ci sono stati e nessuno ha voluto risolvere (Applausi). Forse per questo ancora adesso ci sono parti che si oppongono a questa legge? Abbiamo sentito no al jobs act, ma anche no a questa proposta di legge. Abbiamo sentito echi degli anni Sessanta e Settanta, quasi che il conflitto fosse una cosa romantica a cui tendere anche nei prossimi anni. Penso invece che la politica abbia il dovere di sminare il conflitto, di far sì che i lavoratori e le aziende - non mi piace più parlare di padrone e classe operaia - non si scontrino invece di incontrarsi.
Penso che oggi stiamo facendo un buon lavoro e dovremmo anche interrogarci sul perché lo facciamo su un'iniziativa popolare e non su un'iniziativa della politica. Devo però dire anche che, in mezzo ad alcune critiche tecniche che abbiamo sentito, alcune critiche invece forti su cosa oggi andremo a votare, proprio perché la legge è di iniziativa popolare, non possiamo non portare qui le parole di chi quella legge l'ha proposta e il commento che è stato fatto dopo le trasformazioni, anche forti, che sono state apportate alla Camera.
Mi ricordo - ci ricordiamo tutti - cosa disse, proprio il giorno dell'approvazione alla Camera del provvedimento che ci apprestiamo a votare, Daniela Fumarola, segretaria generale della CISL: l'approvazione alla Camera rappresenta un passo fondamentale verso un traguardo storico per il mondo del lavoro e per l'intero Paese. Dopo 77 anni, finalmente, ci si avvicina all'attuazione dell'articolo 46 della Costituzione, che trova vita in questa legge.
Il testo approvato - su questo mi permetto di richiamare la vostra attenzione - secondo chi ne è stato promotore, mantiene intatti i principi cardine della proposta, che penso sia la cosa importante e per cui oggi noi voteremo orgogliosamente a suo favore.
La valorizzazione della contrattazione collettiva è motore degli accordi partecipativi e, quindi, non è vero che essa viene esclusa da questo provvedimento ma, anzi, trova fondamento forte. È inoltre previsto sostegno economico alla partecipazione attraverso incentivi concreti, ossia i famosi 69 milioni di cui parlava la senatrice Gelmini: il Governo ha investito soldi per la realizzazione di questa legge affinché sia vera e le imprese siano contente di far sì che i lavoratori entrino nella partecipazione dell'azienda. Sono poi previsti la salvaguardia e il riconoscimento delle quattro forme di partecipazione, che sono a fondamento del provvedimento stesso.
Non trovo allora un motivo valido per non approvare, seppur da qualche parte criticamente, il disegno di legge. Oggi, a votazione avvenuta, sul tabellone che è sopra le nostre teste, ci sarà la bandiera italiana, con dei puntini rossi e bianchi, ma fortunatamente con tanti punti verdi che segnaleranno l'approvazione di questa importante legge, a cui il Gruppo Fratelli d'Italia dà il suo sostegno forte e il suo voto positivo. (Applausi).
Presidenza del presidente LA RUSSA (ore 12,48)
PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo del disegno di legge, nel suo complesso.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B). (Applausi).
Sospendo la seduta fino alle ore 16 e ricordo che la Conferenza dei Capigruppo è convocata alle ore 17,30.
(La seduta, sospesa alle ore 12,49, è ripresa alle ore 16,04).
Presidenza del vice presidente RONZULLI
Discussione del disegno di legge:
(1432) Conversione in legge del decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza (Relazione orale)(ore 16,04)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1432.
Il relatore, senatore Lisei, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni, la richiesta si intende accolta.
Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore.
LISEI, relatore. Signor Presidente, si dà conto del disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2005, recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza.
A seguito dell'esame della Commissione, il decreto-legge si compone quindi di quattro articoli.
L'articolo 1, al comma 1, introduce l'articolo 3-bis alla legge n. 91 del 5 febbraio 1992, con cui si stabilisce la preclusione all'acquisto automatico della cittadinanza per i nati all'estero in possesso di cittadinanza di Stato estero. Tale nuovo articolo, in deroga a determinazioni e disposizioni vigenti, stabilisce che debba considerarsi non aver mai acquisito la cittadinanza italiana colui il quale sia nato all'estero e sia in possesso di altra cittadinanza anche prima dell'entrata in vigore della disposizione in esame.
La norma individua poi alle lettere da a) a d) una serie di eccezioni a suddetta preclusione. La norma fa salvi anzitutto i casi in cui lo Stato del cittadino sia riconosciuto, ossia accertato giudizialmente, in seguito rispettivamente a domanda o a domanda giudiziale presentata entro le ore 23,59, ora di Roma, del 27 marzo 2025. Fa salvo altresì, secondo una modifica introdotta in sede referente, il caso della domanda presentata all'ufficio consolare o al sindaco in tempo successivo, purché dietro appuntamento di cui sia stata data comunicazione entro quel medesimo termine all'interessato. Si applica in tal caso la normativa applicabile prima dell'entrata in vigore del presente decreto-legge.
Prevede inoltre, come eccezione alla preclusione secondo la modificazione apportata in sede referente, il caso in cui uno dei genitori, degli adottanti o dei nonni possieda o possieda al momento della morte esclusivamente la cittadinanza italiana. Si stabilisce altresì, come eccezione, il caso in cui uno dei genitori o degli adottanti sia stato residente in Italia per almeno due anni continuativi dopo l'acquisto della cittadinanza italiana e prima della data di nascita o di adozione del figlio.
Il comma 1-bis, introdotto sempre in sede referente, aggiunge i commi 1-bis e 1-ter all'articolo 4 della legge n. 91 del 5 febbraio 1992. La prima disposizione prevede che il minore straniero o apolide, discendente da padre o madre cittadini italiani per nascita, divenga un cittadino italiano qualora i genitori medesimi, ovvero il tutore, dichiarino la volontà di acquisto di tale status. Richiede inoltre che, successivamente a tale dichiarazione, il minore risieda legalmente e continuativamente per almeno due anni in Italia o, in alternativa, che tale dichiarazione di volontà sia presentata entro un anno dalla data di nascita del minore o dalla successiva data in cui sia stabilita la filiazione per un cittadino italiano anche per adozione.
La seconda disposizione che introduce l'articolo 1-ter prevede che il minore straniero apolide divenuto cittadino italiano ai sensi del nuovo comma 1-bis, il quale sia in possesso di cittadinanza di altro Stato, possa rinunciare alla cittadinanza italiana una volta raggiunta la maggiore età.
All'articolo 1, comma 1-ter, anch'esso introdotto in sede referente, si prevede che la suddetta dichiarazione di volontà sia presentata entro le ore 23,59, ora di Roma, del 31 maggio 2026, con riferimento allo straniero o all'apolide, il quale sia minore alla data dell'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge e sia figlio di genitori che abbiano acquisito la cittadinanza italiana ai sensi della lettera a) o, in alternativa, alla lettera a-bis). La lettera b) prevede che l'articolo 3-bis della legge n. 91 del 1992 preveda eccezioni.
L'articolo 1-quater dell'articolo 1, introdotto in sede referente, sopprime la prorogabilità fino al massimo di 36 mesi del termine, il quale pertanto risulta al massimo di 24 mesi non prorogabili. Su questo evidenzio che insiste un emendamento. Come dicevo, tale comma sopprime la prorogabilità fino al massimo di 36 mesi del termine per la definizione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza da parte del coniuge di cittadino italiano o di concessione della cittadinanza con decreto del Presidente della Repubblica.
Il comma 1-quinquies reca una disposizione transitoria, per questi stessi procedimenti, ove pendenti alla data di entrata in vigore delle nuove previsioni, disponendo l'applicazione della disciplina previgente.
Il comma 1-sexies, introdotto in sede referente, prescrive un requisito di residenza continuativa biennale in Italia, per l'acquisto della cittadinanza da parte di figli minori di genitore che acquisti o riacquisti la cittadinanza italiana, se conviventi.
L'articolo 1, comma 2, novella l'articolo 19-bis del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, intervenendo su taluni profili della disciplina della prova relativa alle controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana.
La norma introduce al richiamato articolo 19-bis i commi 2-bis e 2-ter. La prima disposizione stabilisce che, nelle suddette controversie, non siano ammessi il giuramento e la prova testimoniale. La seconda prevede che, nelle medesime controversie, l'onere di provare l'insussistenza delle cause di mancato acquisto o di perdita della cittadinanza previste dalla legge ricada su colui il quale chiede l'accertamento della cittadinanza.
L'articolo 1-bis, comma 1, introdotto in sede referente, consente l'ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato, al di fuori delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro, per lo straniero residente all'estero, discendente di cittadino italiano e in possesso della cittadinanza di uno Stato di destinazione di rilevanti flussi di emigrazione italiana. La determinazione di siffatti Stati di destinazione è rimessa ad un decreto del Ministro degli affari esteri, adottato di concerto con i Ministri dell'interno e del lavoro.
L'articolo 1-bis, comma 2, introdotto in sede di esame in Commissione, fissa a due anni il periodo di legale residenza in Italia, prescritto per la concessione della cittadinanza allo straniero il cui genitore o ascendente in linea retta di secondo grado sia o sia stato cittadino per nascita.
L'articolo 1-ter, introdotto in sede referente, prevede che chi sia nato in Italia o vi sia stato residente per almeno due anni continuativi, ed abbia perduto la cittadinanza in applicazione di alcune disposizioni della legge n. 555 del 1912, la riacquisti se effettua una dichiarazione in tal senso, tra il 1° luglio 2025 e il 31 dicembre 2027. Al contempo, il contributo per il riacquisto della cittadinanza, pari a 250 euro, come nella disciplina vigente, è annoverato tra i diritti da riscuotersi dagli uffici consolari.
L'articolo 2 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al dossier.
GIACOBBE (PD-IDP). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa intende intervenire, senatore Giacobbe?
GIACOBBE (PD-IDP). Signora Presidente, a nome del Gruppo Partito Democratico intendo depositare una questione pregiudiziale e, con il suo permesso, vorrei illustrarla.
PRESIDENTE. Comunico dunque che è stata presentata la questione pregiudiziale QP1.
Il senatore Giacobbe ha facoltà di intervenire per illustrarla.
GIACOBBE (PD-IDP). Signora Presidente, con questo provvedimento viene di fatto eliminato il diritto alla cittadinanza dei nostri connazionali nel mondo. Questo Governo avrà un record che si porterà a vita. Avete spezzato la catena. (Applausi).
Siete responsabili di aver spezzato la catena della trasmissione della cittadinanza. Contrariamente a quello che si diceva anche stamattina in Commissione, sono andato a rileggere il decreto-legge e non trovo nulla che indichi nuovi meccanismi che permettono l'acquisizione della cittadinanza, se non quello che chi ha la doppia cittadinanza non può più trasmetterla ai propri figli.
La cittadinanza esclusiva significa che quanti nascono in quasi tutte le Nazioni dove vivono i nostri connazionali e dove acquisiscono la cittadinanza locale alla nascita - non per scelta, non per decisione, ma alla nascita - non potranno più trasmetterla ai propri figli. Ma non è stata la legge n. 91 del 1992 che ha permesso agli italiani nel mondo di naturalizzarsi e mantenere la cittadinanza italiana? Noi abbiamo una legge legittima dello Stato, la n. 91 del 1992, che permette la doppia cittadinanza. Quanti nel mondo hanno usufruito di questa legge, dal 1992 ad oggi, ora vengono puniti, perché viene detto loro che, avendo acquisito una cittadinanza straniera, non hanno più la possibilità di trasmettere la cittadinanza italiana ai propri figli, i miei figli, i miei nipotini. Mi viene da pensare quale altra nazione al mondo non permetta ai propri parlamentari di trasmettere la cittadinanza ai loro figli e non riesco a pensarne una. Ebbene, questo è l'effetto del decreto-legge che stiamo per esaminare.
Non riesco a credere, signora Presidente, come una materia così delicata e fondamentale per la stessa esistenza dello Stato possa essere trattata in un decreto-legge, facendo leva su una presunta urgenza che però non trova riscontro in dati oggettivi. Stiamo parlando di cittadinanza, non di un provvedimento amministrativo.
Nella relazione è stato scritto che gli italiani all'estero rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale, così grave da richiedere interventi di emergenza con un decreto-legge. Questa teoria della cospirazione, su cui si fonda questo decreto, è stata smentita proprio qui, in quest'Aula, dal presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni quando, poco più di una settimana fa, seduta al banco del Governo, ha detto in maniera molto chiara a noi senatori, anche a quelli della sua maggioranza, che gli italiani all'estero sono la migliore rete diplomatica dell'Italia. (Applausi).
D'altronde, questo è stato fatto in più occasioni anche dal capo dello Stato Mattarella. Ultimamente è stato fatto dal Presidente del Senato in visita a Pechino, dove ha espresso apprezzamento per gli italiani all'estero, i nostri migliori ambasciatori del made in Italy. Lo stesso ministro degli Esteri Tajani, fra l'altro presidente del Consiglio generale degli italiani all'estero, ha sempre espresso parole di apprezzamento nei confronti delle comunità italiane nel mondo. Eppure, quando ha letto la giustificazione del decreto-legge, penso che nemmeno lui sia riuscito a credere a quello che leggeva.
Mi lasci aggiungere, infine, che il presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni ha detto che, ovunque c'è un italiano, c'è l'Italia; che gli italiani all'estero rappresentano per noi una risorsa straordinaria; che noi ci siamo e ci saremo sempre per chi è orgoglioso di essere italiano, qualunque sia la distanza che ci separa. Questa distanza oggi invece diventa fonte di differenza, introducendo differenze fra i cittadini italiani basate sul luogo di residenza dei loro ascendenti e sul numero di cittadinanze che hanno.
Penso che non vi siate resi conto che, spezzando la catena, nell'arco di una generazione non ci saranno più cittadini italiani nel mondo per discendenza. Quale rappresentanza? Come faremo a eleggere i rappresentanti in Parlamento, se fra una generazione i cittadini italiani all'estero saranno pochi, solo quelli che hanno lasciato l'Italia negli ultimi anni? Non so come farete a dirlo ai vostri compaesani. In tutte le Regioni italiane ci sono tanti emigrati, nella mia Regione, in Sicilia, in Calabria, in Veneto, in Friuli-Venezia Giulia. Andate a spiegare a coloro che vivono in Italia che i loro parenti andati via e costretti a lasciare il Paese negli anni Cinquanta e Sessanta, oggi, che si sentono più italiani di noi che siamo nati in Italia, non hanno più diritto alla cittadinanza. Io non so come spiegare al mio nipotino di quattro anni - che alla sua età canta l'inno nazionale, l'inno di Mameli - che non potrà trasmettere la cittadinanza ai suoi figli, quando sarà adulto, e che i suoi fratellini che verranno dopo o i suoi cuginetti non avranno nemmeno la cittadinanza. Sono cose che non riesco a capire. (Applausi).
Il Governo è partito dicendo: prima gli italiani. Poi si è passati a dire: prima gli italiani nati in Italia. Poi, ancora una volta, vi siete spinti a dire: prima gli italiani con cittadinanza esclusiva, come se la doppia cittadinanza fosse una colpa e non un diritto garantito dalla legge italiana.
Avete discriminato gli italiani persino nell'emendamento per il riacquisto della cittadinanza da parte di chi l'aveva persa prima del 1992. Ci avete ascoltati, riaprendo i termini. È dal 2013 che cerchiamo di ottenere questo risultato, quindi grazie per averlo fatto. Anche qui, però, avete voluto negare lo stesso diritto agli italiani non nati in Italia che, a causa della legge del 1912, per colpa non loro, perché il padre di famiglia si è naturalizzato, hanno perso la cittadinanza italiana: non sono nati in Italia, sono i figli nati all'estero di chi si è naturalizzato, e non hanno diritto alla cittadinanza.
Abbiamo assistito, in questi giorni, a uno spettacolo indecoroso all'interno della Commissione affari costituzionali, ma non per com'è stata condotta (sono anzi grato al Presidente per il tempo che ci ha concesso per esprimere le nostre idee): lo spettacolo è stato indecoroso per il fatto che, ogni volta che si veniva dentro, il Governo peggiorava la situazione, e lo faceva presentando nuove norme ed emendamenti peggiorativi di quelli precedenti.
Invece di discutere su come salvaguardare gli interessi dei nostri cittadini nel mondo, la maggioranza ha pensato a come bloccarli, violando anche il principio della irretroattività delle disposizioni, aggiungendo così un altro profilo di illegittimità. Il decreto, infatti, considera come non aventi mai acquisito la cittadinanza italiana coloro che, nati all'estero, non soddisfino i nuovi requisiti, anche se nati prima dell'entrata in vigore della norma; tale retroattività incide su diritti già acquisiti o in via di riconoscimento, violando il principio di irretroattività delle leggi sfavorevoli e della certezza del diritto.
Signor Sottosegretario, ma da quando varranno le nuove regole? Il 27 marzo 2025 erano state introdotte regole con il decreto-legge. Ora vengono cambiate, dopo i lavori in Commissione. Non si parla più di nati in Italia, ma di cittadinanza esclusiva. Allora avremo dei casi in cui, fino al 27 marzo, vale la regola del 27 marzo; quando sarà approvata la legge di conversione, ne varrà un'altra e poi ancora un'altra? Io non riesco ancora a capire come la norma funzionerà nei fatti. Lo dica a tutti noi, perché penso che abbiamo il diritto di saperlo. (Applausi).
Sebbene il decreto non revochi formalmente la cittadinanza, la sua applicazione retroattiva riguarda la negazione di un diritto già acquisito. Nel passato, infatti, la cittadinanza veniva riconosciuta automaticamente. Era un diritto: sei nato da genitori italiani, sei cittadino italiano. Quindi, vi sono centinaia di migliaia, milioni di persone che hanno acquisito quella cittadinanza grazie al fatto di essere nati da genitori italiani. Il 27 marzo di quest'anno interviene la bacchetta magica e non è più così. La cittadinanza che era stata acquisita, ma per un atto amministrativo non registrato, ancora non riconosciuta con il passaporto, da quel momento in poi non c'è più.
Questa è una norma retroattiva che indubbiamente presenta un vizio di legittimità. La legge e la giurisprudenza indicano con chiarezza che la cittadinanza non è un favore concesso dallo Stato, ma è uno status giuridico, per molti aspetti anche automatico.
La verità, signor Presidente, è che tutto ciò che è successo in queste settimane sottintende una verità neanche tanto sconosciuta. Questa maggioranza ha paura degli immigrati, sia di quelli che partono sia di quelli che arrivano. Ancor di più, questa maggioranza ha paura della cittadinanza e di chi può ottenerla. Ha paura della società dei diritti, dell'inclusione, del rispetto, del pluralismo: quello che i nostri emigrati da generazioni hanno contribuito a diffondere in ogni angolo del mondo, costruendo, di fatto, quello che oggi è il made in Italy.
Ma di che cosa avete paura? Del fatto che i nostri figli sono più italiani di noi che in Italia siamo nati? Del fatto che il mio nipotino a quattro anni e mezzo va in una scuola e, quando dipinge, porta un grembiule con un prodotto italiano di cui fa pubblicità? Se dovessimo pagare quella pubblicità, non so quanti soldi costerebbe. Questi sono gli italiani nel mondo: amano l'Italia, forse molto di più di quanto la amano quanti in Italia sono nati; ora però ci accingiamo a dire loro: non siete più benvenuti nella grande famiglia degli italiani.
Signor Presidente, siamo di fronte a un decreto che mortifica le nostre comunità all'estero. Mortifica gli italiani che hanno dovuto lasciare il nostro Paese non per scelta, ma perché lo Stato non era capace di garantire loro una vita dignitosa. Mortifica i nostri figli e i nostri nipoti che crescono e vivono nell'italianità quotidiana e vogliono essere riconosciuti come italiani dallo Stato. Mortifica tutto il sistema Italia all'estero che, onorevoli colleghi, si basa sulla rete che le nostre comunità hanno creato nel corso dei decenni.
Per questo vi faccio un appello: vi prego di riflettere, di pensare. Cogliete l'occasione rappresentata dalla questione pregiudiziale in esame per fermarvi e per bloccare un decreto-legge che si risolverà in una cascata di ricorsi e impugnazioni, alimentando un caos burocratico senza precedenti. Fermatevi e avviamo assieme una discussione serena e pacata, per una moderna legge sulla cittadinanza che trovi la convergenza di quante più forze politiche di maggioranza e opposizione. Fatelo, perché essere cittadini non è un crimine da combattere, ma un diritto da tutelare. (Applausi).
È per questi motivi che, anche a nome del Partito Democratico, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, chiedo di non procedere all'esame del disegno di legge. (Applausi).
MUSOLINO (IV-C-RE). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Su che cosa intende intervenire, senatrice Musolino?
MUSOLINO (IV-C-RE). Signora Presidente, vorrei illustrare la questione pregiudiziale che abbiamo presentato come Gruppo Italia Viva-Il Centro-Renew Europe.
PRESIDENTE. La senatrice Musolino ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale QP2.
MUSOLINO (IV-C-RE). Signora Presidente, con il decreto-legge in esame si ricorre nuovamente alla decretazione d'urgenza in una materia nella quale difettano i presupposti di fatto, e che soprattutto rappresenta un'evidente violazione di principi costituzionali che davvero mi lascia stupita.
Innanzitutto, si ricorre alla decretazione d'urgenza per una materia come quella della cittadinanza con una disposizione che sostanzialmente è una tagliola, perché sancisce una falcidia legale e stabilisce semplicemente che chi nasce da italiani che risiedono all'estero - quindi da un italiano che risiede all'estero - fino al 27 marzo 2025 è cittadino italiano, ma dal 28 marzo 2025 non lo è più; non avrà più diritto di ottenere un provvedimento col quale si costituisce il suo diritto, ma otterrà un provvedimento che si limita a dichiarare l'esistenza di un diritto che esiste per legge. Per questo, introdurre un meccanismo così brutale, con un automatismo burocratico che francamente già sarebbe brutto da applicare in una qualsiasi normativa, ma che a maggior ragione lo è per un diritto fondamentale come quello del riconoscimento della cittadinanza, è un qualcosa che mi lascia veramente basita.
Non sono bastati i lavori, né gli interventi di tutte le forze dell'opposizione in Commissione, per far comprendere l'abnormità giuridica di questo provvedimento, che viola una serie di disposizioni costituzionali, per le quali presentiamo appunto la pregiudiziale che sto per illustrare.
In primo luogo, cito l'urgenza. Ancora una volta, si ricorre alla decretazione d'urgenza per introdurre norme, in questo caso addirittura per negare l'esistenza di diritti che già esistono con la forma della decretazione d'urgenza, laddove l'urgenza sarebbe rappresentata dalle lamentele dei burocrati che lavorano nei consolati, dei Comuni e dei tribunali che hanno sollevato la voce dicendo di essere oberati dall'esame di domande di riconoscimento della cittadinanza. Allora la burocrazia vale più dei diritti, più di diritti fondamentali come questo? Alla lamentela che c'è un surplus di burocrazia si risponde non negando diritti, ma aumentando le risorse per l'esame delle domande e semplificando i procedimenti, non certo negando i diritti. (Applausi). Pertanto, in questo caso la condizione dell'urgenza non ricorre, signora Presidente, nella misura in cui lo ammette lo stesso Governo che, presentando il decreto-legge, precisa: in attesa di una legge di riordino.
Se si ha l'intenzione di varare una legge di riordino, su quella possiamo discutere, perché siamo consapevoli che da questo punto di vista c'è anche una deriva nel riconoscimento della cittadinanza; ci sono fenomeni di abuso che vanno sicuramente disciplinati meglio. Tuttavia, se si è consapevoli che c'è una deriva, mi chiedo se si sia consapevoli anche del fatto che il tempo è maturo per modificare le norme sul riconoscimento della cittadinanza e per aprire la casistica del riconoscimento non soltanto allo ius sanguinis, ma magari anche allo ius scholae o allo ius soli.
Comunque, se si è pronti a modificare, lo si fa con un disegno di legge ordinario, parlandone in Parlamento (Applausi), e non trincerandosi dietro un decreto-legge sul quale non avete neanche la piena coesione fra di voi, forze della maggioranza. Sappiamo quello che è successo sia in 1a Commissione, sia in Commissione bilancio, laddove, già al vostro interno, cominciano a esserci frizioni molto più che evidenti.
Sempre restando sul piano delle violazioni costituzionali, signora Presidente, si può mai, con un decreto-legge, disporre la negazione dell'esistenza di un diritto? Non soltanto si nega l'esistenza del diritto, ma lo si fa addirittura con efficacia retroattiva, violando il principio generale per il quale la legge - lo ricordo sempre a tutti - dispone sempre e solo per l'avvenire. Per disporre con efficacia retroattiva ci devono essere motivi particolari, non certamente che gli uffici sono ingolfati e quindi occorre chiuderla qua e mettere una saracinesca. Questo non è un modo di legiferare corretto. Non è un modo di rispettare la Costituzione, che è un faro verso il quale ci dobbiamo orientare e non possiamo mai pensare di derogarvi o addirittura di violarla apertamente come state facendo.
Un'altra violazione più che evidente, della quale sarete chiamati a rendere conto di fronte all'organo costituzionale, è la riserva di legge in materia di elettorato attivo, prevista dalla legge elettorale. Non può sfuggire a nessuno in quest'Aula - ma neanche in un dibattito esteso a tutte le piazze, in tutti i confronti - il fatto che, nel momento in cui con un decreto-legge si decide di recidere questo legame, si stabilisce che chi ha presentato la domanda entro il 27 marzo 2025 viene riconosciuto cittadino italiano e chi invece non l'ha fatto - perché magari nato dopo, quindi non ha fatto in tempo, o perché magari non lo sapeva, non essendo stato informato dell'esistenza di un decreto-legge del genere - non può più avere questo riconoscimento; si incide dunque sull'elettorato attivo: si nega a quelle persone la possibilità di iscriversi all'anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), quindi di votare ed esercitare i propri diritti di elettorato attivo.
Ricordo a me stessa - non so quanto valga ricordarlo qui alle forze della maggioranza, sempre ostinatamente sorde ai tanti rilievi che mi sembrano non soltanto fondati, ma anche assolutamente ragionevoli - che sulla legge elettorale c'è una riserva: non si può decretare d'urgenza. Ci avete provato pure con la legge sui ballottaggi, che volevate introdurre con un decreto-legge (Applausi), ma, per fortuna, c'è sempre un filo che collega Palazzo Chigi con il Quirinale, che ricorda che ci sono norme che non si possono modificare, fra cui la riserva di legge ordinaria in materia elettorale. Eppure, voi lo state facendo. Poco importa che sia una violazione indiretta; poco importa che lo si capisca soltanto ragionandoci un attimo, perché l'efficacia è questa e gli effetti sono esattamente questi.
C'è poi anche, signora Presidente, un'evidente sperequazione, quindi una violazione dell'articolo 3, che dovrebbe essere sempre il faro in tutta l'attività legislativa che portiamo avanti. Non si può fare un provvedimento che crea una discriminazione fra diritti che esistono, e questo lo è, perché il riconoscimento della cittadinanza, signora Presidente, avviene con un provvedimento che la Corte costituzionale ha più volte ribadito avere efficacia dichiarativa. Non si costituisce il diritto di cittadinanza, ma si dichiara, perché già preesiste, nella misura in cui si nasce da un cittadino italiano residente all'estero che abbia cittadinanza italiana. Questo è sufficiente. Il provvedimento amministrativo serve unicamente a sancirlo formalmente, ma il diritto esiste. Nel momento in cui si attua una disciplina come quella che volete portare avanti e sulla quale mi auguro che le parole delle pregiudiziali in esame vi facciano ragionare, chiaramente si creano una discriminazione, una sperequazione e una violazione evidente tra chi lo ha fatto e chi non lo ha fatto e non potrà più farlo, pur avendo le stesse medesime condizioni. Immaginatevi due fratelli: uno l'ha fatto e l'altro no, eppure uno sarà cittadino italiano e l'altro non lo sarà. Questa è palesemente una violazione dei nostri principi costituzionali.
Signora Presidente, questo è il Governo delle contraddizioni. È il Governo che dice che gli italiani all'estero sono il suo vanto, il suo orgoglio e le comunità a cui guardare sempre con ammirazione; eppure, è anche il Governo che le colpisce in modo non soltanto duro, ma anche immotivato.
Se qua il problema è costituito dalla lungaggine burocratica, dal numero delle istanze da esaminare e dal sovraffollamento degli uffici, allora occorre potenziare gli uffici, immettere nuovi dipendenti e semplificare le procedure. La settimana scorsa avete approvato la legge delega sulla semplificazione normativa, ma mai che in quel provvedimento si badi alla sostanza di quello che si deve fare per rendere la pubblica amministrazione più snella per consentire ai cittadini di esercitare i propri diritti. (Applausi).
Invece in questo caso, il testo non soltanto era fatto male dall'inizio ma, per effetto degli emendamenti presentati dal Governo, è stato anche peggiorato. Per esempio - come sarà espresso chiaramente nel corso del dibattito - nel consentire di riacquistare la cittadinanza italiana ai soggetti che non avevano potuto ottenerne il riconoscimento per effetto dell'entrata in vigore della legge del 1992 e nell'aprire una finestra temporale (ossia una moratoria), anziché semplificare e snellire il procedimento e comprendere che i cittadini devono esercitare i propri diritti (e che tale forma di esercizio non è una concessione), avete introdotto il balzello economico di 250 euro a domanda. (Applausi). Non avete neanche pensato di utilizzare quei soldi per esaminare le domande, così si sarebbe almeno trattato di una cosiddetta tassa di scopo, no: lo Stato li incamera e poi, siccome gli uffici sono sovraffollati di domande, stabilisce di introdurre un termine, e chi c'è c'è e chi non c'è non ci potrà essere più.
Signora Presidente, le violazioni costituzionali contenute nel testo sono evidenti. Se oltre ad essere il Governo delle contraddizioni, volete evitare di raggiungere anche il triste primato di essere l'Esecutivo che riceverà più pronunce di incostituzionalità sui propri testi - come già vi è accaduto con l'autonomia differenziata - vi invito, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, a non procedere all'esame del disegno di legge e a ragionare con il Parlamento nelle sedi opportune. (Applausi).
PRESIDENTE. Ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, sulle questioni pregiudiziali presentate si svolgerà un'unica discussione, nella quale potrà intervenire un rappresentante per Gruppo, per non più di dieci minuti.
MAGNI (Misto-AVS). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MAGNI (Misto-AVS). Signor Presidente, ringrazio il senatore Giacobbe e il Partito Democratico per aver presentato la questione pregiudiziale, perché il provvedimento che stiamo discutendo è sbagliato nel merito, ma in particolare nel metodo.
La materia è molto delicata, ostica e trasversale. Sul merito non sono totalmente d'accordo, ma il problema è che è molto trasversale. Ciò che mi irrita e che trovo sbagliato è il ricorso alla decretazione d'urgenza in una materia così complicata e delicata, che riguarda non solo il nostro Paese, ma il nostro Paese nel mondo, bisogna tenerlo presente ciò. Ad esempio, non si è avuta l'accortezza di sentire i parlamentari eletti nelle circoscrizioni all'estero e di fare i dovuti passaggi con le comunità per trovare il giusto equilibrio: si tratta di una questione di cultura. Il decreto-legge dimostra tutta la vostra prepotenza: noi siamo il Governo, decide il Governo e il Parlamento deve obbedire. Questa cosa è davvero inaccettabile sul piano del principio.
Infatti, in particolare su un tema di questa natura - lo sottolineo - è fondamentale cogliere gli aspetti più delicati e anche evitare, ovviamente, di parlare di cittadinanza a tutti. Il problema è davvero quello di intervenire su questo.
Voi avete pensato, invece, di varare un decreto-legge perché - anche questa è mancanza di rispetto nei confronti delle opposizioni - considerate le cose che dicono i senatori e le senatrici dell'opposizione un esercizio inutile, qualcosa che si può dire o non dire tanto voi alzate la mano (in questo caso, schiacciate un pulsante) e avete la maggioranza, ma non è così. Non è così nel Paese, perché è stato dimostrato anche nella discussione in Commissione che c'è un'articolazione degli emendamenti presentati e c'è un'articolazione anche all'interno della maggioranza.
Perché, allora, fare questa forzatura con il decreto-legge e imporre una decretazione d'urgenza? Davvero questo è un provvedimento che richiede la decretazione d'urgenza? Tale modo di procedere lede davvero il dettato costituzionale, perché la Costituzione prevede che si ricorra alla decretazione d'urgenza, come dice la parola stessa, qualora vi sia un'urgenza. Si sarebbe potuta affrontare insieme una discussione più pacata sulla cittadinanza a livello generale, nel nostro Paese, di chi vi nasce, perché questo è il confronto che bisognerebbe fare. Il tema fondamentale è essere in grado di affrontare una società che cambia, che è dispersa non solo nel territorio nazionale, ma anche a livello internazionale.
Nello stesso tempo, dobbiamo ringraziare anche i molti cittadini stranieri che sono presenti nel nostro Paese in modo del tutto regolare, con un contratto di lavoro regolare e che versano i contributi e pagano le tasse, che sono in grado di mantenere questa società un po' viva e sostanzialmente anche di ridurre il deserto demografico. È necessario affrontare questi temi così delicati, come ho detto all'inizio, ed è giusto che ognuno di noi ne discuta. Non penso, né ho mai pensato, che si debba liberalizzare tutto, perché ritengo che vi siano regole che ognuno di noi deve accettare e osservare, ma che vanno discusse e condivise, anche perché parliamo di una materia che riguarda le persone e che quindi non può essere oggetto di decreto-legge approvato con un voto a maggioranza.
Questo è quanto voglio esternare e sottolineare ed è per questo che condivido la presentazione della questione pregiudiziale, con la quale vi si chiede di fermarvi, di riprendere la discussione e di trovare una soluzione. Credo che questo Parlamento, anche per le culture diverse che ci sono tra maggioranza e opposizione, ma anche all'interno delle stesse opposizioni e della stessa maggioranza, sia in grado di trovare una sintesi più avanzata in grado di rispondere ai cittadini, in particolare ai nostri che sono all'estero, ma anche a quelli che sono considerati esteri nel nostro Paese. (Applausi).
CATALDI (M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CATALDI (M5S). Signor Presidente, sulle due questioni pregiudiziali il MoVimento 5 Stelle voterà a favore, ma non possiamo non esprimere il nostro disappunto per il modo in cui avete affrontato questa tematica. State trattando gli italiani che vivono lontani dalla loro terra come se fossero delle pratiche da smaltire, ne state facendo soltanto una questione di numeri. Signor Presidente, stiamo parlando di 80 milioni di persone, tra le quali ci sono italiani che parlano la lingua italiana, che hanno diritto di essere italiani, perché sono discendenti da italiani. I numeri non raccontano le storie di vita, né le difficoltà delle persone che sono state costrette a emigrare. Non raccontano le storie di famiglie che si sono dovute separare per cercare di vivere una vita dignitosa.
Presidente, questo è un provvedimento affrontato con una superficialità disarmante, senza tener conto della realtà. Voi applicate un filtro uguale per tutti, senza tener conto di quello che ci hanno detto gli auditi e di quello che ci dicono le associazioni di italiani all'estero, che ci hanno parlato di situazioni come quelle delle comunità che vivono nel Sud del Brasile, fatte da italiani che parlano il dialetto veneto e vivono lì da cinque generazioni. Come fate a dire che non sono italiani? Sono italiani nel cognome, nella lingua (Applausi), nella cucina che fanno e nelle tradizioni che hanno tramandato da cinque generazioni. Sono talmente italiani che vivono in città che hanno i nomi delle città italiane.
Presidente, gli italiani all'estero avrebbero diritto a molto di più, anzi meritano uno Stato che sappia riconoscere se stesso anche al di fuori dei confini territoriali, che sappia riconoscere che ci sono italiani che parlano la stessa lingua, che sappia riconoscere fuori dai propri confini che ci sono generazioni di italiani che vivono in Brasile, in Australia, in Venezuela o in Argentina e hanno l'Italia nel loro cuore.
Abbiamo cercato di presentare emendamenti per valorizzare il riconoscimento delle persone che sono italiane perché parlano la nostra lingua. Abbiamo fatto di tutto. Vi abbiamo messo sul tavolo proposte ragionevoli; no, voi avete scelto la strada della burocrazia, che cancella i numeri, sfoltisce le pratiche e le butta dentro un cestino. (Applausi).
PRESIDENTE. Ai sensi dell'articolo 93, comma 5, del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della questione pregiudiziale presentata, con diverse motivazioni, dal senatore Giacobbe e da altri senatori (QP1) e dalla senatrice Musolino e da altri senatori (QP2).
(Segue la votazione).
Il Senato non approva. (v. Allegato B).
Dichiaro aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Crisanti. Ne ha facoltà.
CRISANTI (PD-IDP). Signor Presidente, Governo, colleghe senatrici, colleghi senatori, il provvedimento al nostro esame modifica, da una parte, i criteri per il riconoscimento della cittadinanza agli italodiscendenti e, dall'altra, le modalità di trasmissione della cittadinanza ai cittadini italiani residenti all'estero.
Gli italodiscendenti perdono il diritto di acquisire la cittadinanza a meno che non possano dimostrare di aver trascorso due anni in Italia. Faccio fatica a capire come un argentino o un venezuelano soggetti ai flussi possano poi partecipare e passare due anni in Italia, rispetto per esempio ai cittadini della Comunità europea.
Per quanto riguarda i cittadini italiani, viceversa, soltanto quelli che hanno mantenuto esclusivamente la cittadinanza italiana potranno trasmetterla alla propria discendenza, altrimenti essa si ferma alla seconda generazione.
Questo provvedimento esce dalla Commissione modificato, ma a nostro giudizio sicuramente non migliorato. Pensiamo che sia fondamentalmente ingiustificato, ingiusto e intempestivo. È ingiustificato perché adotta la forma del decreto-legge. La ratio per adottare il decreto-legge è l'urgenza e quest'ultima deriva dalla minaccia alla sicurezza nazionale (la sicurezza nazionale è una cosa seria e ci dovremmo tutti preoccupare se venisse minacciata). Infatti anch'io mi sono preoccupato e ho cercato di capire da dove origini questa minaccia alla sicurezza nazionale. Partiamo dagli italodiscendenti. (Brusio). Presidente, mi scusi, ma questo brusìo mi dà un po' fastidio. (Richiami del Presidente).
Partiamo dagli italodiscendenti. Dal 2006 al 2018 hanno utilizzato questo strumento di naturalizzazione soltanto 70.000 persone. Questo numero è aumentato negli anni successivi fino a raggiungere la cifra di circa 100.000 all'anno, nel 2024. Con questi ritmi - 100.000 all'anno - prima che gli italodiscendenti raggiungano ciò che si paventa, ossia una cifra uguale a quella dei cittadini italiani, ci vorranno cinquecento anni. A questo punto mi sono tranquillizzato, perché forse l'urgenza non c'è.
Torniamo adesso invece ai cittadini italiani iscritti all'AIRE, che effettivamente sono aumentati negli ultimi tre anni: sono passati da 5 milioni a circa 7, per quattro ragioni fondamentali. La prima riguarda le nascite: i nostri cittadini all'estero fanno tanti figli, e questo dovrebbe farci riflettere sul perché. Poi, vi sono nuove iscrizioni all'AIRE: il numero dei cittadini italiani residenti all'estero era sottostimato. Le nuove misure, che prevedono anche multe salate a chi non si iscrive, hanno indotto un grosso fenomeno di emersione. Dopodiché, abbiamo l'emigrazione e non dobbiamo scordarci che ci sono decine e decine di migliaia di giovani che ogni anno lasciano l'Italia, non scordiamocelo. Inoltre, c'è il problema della naturalizzazione che, come abbiamo visto, è un fenomeno esclusivamente marginale.
Dove sta la minaccia? Sicuramente i cittadini italiani all'estero non rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale, ma rappresentano una minaccia per le ambizioni di questa maggioranza, perché sono lì sulla strada del premierato. (Applausi). La vera colpa dei cittadini italiani all'estero è che non votano i partiti della maggioranza: alle ultime elezioni, nel 2022, nella mia circoscrizione, mettendo insieme Partito Democratico, MoVimento 5 Stelle, Italia Viva e Azione, si arrivava al 60 per cento. Alle elezioni europee siamo arrivati al 70 per cento. Questa è la vera ragione per demonizzare prima e poi neutralizzare i nostri connazionali all'estero. (Applausi).
Si tratta di un provvedimento ingiusto? Il nostro ministro Tajani ha descritto la comunità degli italodiscendenti come opportunista: interessa loro solo il passaporto e vogliono andare in America e muoversi liberamente; sono approfittatori: vogliono utilizzare il nostro Servizio sanitario nazionale (qui obiettivamente ci vuole un po' di coraggio); e poi sono disonesti, perché approfittano delle modalità del voto per posta per manipolare il risultato delle elezioni. A tale proposito, mi preme ricordare a quest'Assemblea che gli unici due episodi che sono emersi - uno nelle elezioni del 2022 e uno nelle elezioni precedenti - riguardano la scoperta prima di 7.000 e dopo di 20.000 schede contraffatte che danneggiavano i partiti dell'opposizione e favorivano invece il Gruppo MAIE che è notoriamente associato alla maggioranza. Quindi, definire gli italodiscendenti come opportunisti, approfittatori e imbroglioni disonesti è un falso denigratorio, genera un nemico immaginario e suscita odio, ostilità e paura, ma soprattutto è ingiusto. Disarmare le parole significa astenersi dal fare queste affermazioni, specialmente da parte di chi ha ruoli importanti e istituzionali. È ingiusto, signor Presidente, perché tutti noi abbiamo un importante debito morale e materiale nei confronti degli italodiscendenti.
Dal 1870 al 1970 sono emigrate 29 milioni di persone. Sono emigrate perché in Italia non solo non avevano nessuna opportunità di promozione sociale, ma perché vivevano in condizioni disperate: condividevano le abitazioni con gli animali, non avevano scuole, non avevano educazione, non avevano sanità. In quest'Aula, Giustino Fortunato, all'inizio del secolo, ha chiaramente evidenziato la situazione dei nostri connazionali. Basta leggere Carlo Levi per vedere che trent'anni dopo la situazione non era ancora cambiata. Tali persone sono andate all'estero, ma non è che abbiano trovato situazioni migliori. Hanno trovato sicuramente l'opportunità di lavorare, ma a un prezzo durissimo. Mi sono rimaste molto impresse le parole che ho letto a Ellis Island, dove praticamente venivano sbarcati gli italiani prima di essere ammessi nel Continente americano. Un biglietto stropicciato diceva: sono venuto qui pensando che le strade fossero lastricate d'oro. Ho imparato tre cose: le strade non sono lastricate d'oro, non sono lastricate affatto e si aspettano che le faccia io. (Applausi).
C'è una ragione importantissima di carattere materiale. Gli italiani all'estero, lavorando, hanno incominciato a guadagnare. E cosa ci hanno fatto con quei soldi? Li hanno rimandati in Italia: è stato definito per anni un incredibile fiume d'oro che si è riversato sulle finanze italiane. Abbiamo la documentazione del direttore generale della Banca d'Italia e dell'Istat: dal 1870 fino all'inizio della Prima guerra mondiale la partita attiva del bilancio italiano era per l'80 per cento attribuibile alle rimesse degli italiani all'estero, che nel 1914 hanno raggiunto la cifra, pazzesca per l'epoca, di 700 milioni di lire, pari al 4,5 per cento del prodotto lordo nazionale. È come se oggi voi riceveste 80 miliardi di lire ogni anno. Ma vi rendete conto di qual è stato il contributo degli italiani all'estero? Adesso invece vengono demonizzati. Dobbiamo riflettere su quello che stiamo facendo.
Ho detto anche che è inopportuno, perché l'Italia ha bisogno di cittadini. Noi qui stiamo rescindendo per sempre un legame con una comunità vibrante, attiva, che non ha mai tagliato i ponti con l'Italia e che voi giustamente avete definito come la più efficace ambasciatrice della comunità italiana. (Applausi).
Ho anche un'esperienza personale da condividere, perché mio zio è andato in America e anche lui, grazie ai soldi che ha mandato a mia madre, mi ha aiutato a completare gli studi, quindi per me è veramente una ferita assistere a questo provvedimento.
Per concludere, voi sicuramente oggi avete i numeri per far passare questo provvedimento, ma non rimarrete lì per sempre. Noi sicuramente, quando saremo maggioranza, lo cambieremo. (Applausi).
Saluto ad una delegazione del Rotary club
PRESIDENTE. Saluto a nome dell'Assemblea una delegazione del Rotary club di Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, che sta assistendo ai nostri lavori. (Applausi).
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1432 (ore 16,55)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Scalfarotto. Ne ha facoltà.
SCALFAROTTO (IV-C-RE). Signora Presidente, direi che questo decreto-legge è proprio la dimostrazione scientifica, viene da dire la cartina di tornasole, della completa confusione nella quale si dibatte questo povero Governo.
Condivido il fatto che la legge n. 91 del 1992 non funzioni e lo spiego anche, perché ci sono ragioni evidenti: è una legge fatta per l'Italia fino al 1950, al 1960 o al 1970, cioè fino a quando era un Paese di emigranti, di gente che lasciava il proprio Paese e andava all'estero. Qual era pertanto il bisogno che avevamo come Paese? Mantenere un vincolo e un legame lungo con chi lasciava la Madrepatria e andava a cercare fortuna con il piroscafo, poi magari con l'aereo più avanti. Come Paese di emigranti, avevamo l'esigenza di stabilire un legame di sangue, quindi l'Italia si è dotata del principio dello ius sanguinis.
Ora, se andiamo a guardare invece un esempio di Paese di immigranti, e l'esempio preclaro sono gli Stati Uniti d'America - che, almeno fino alla presidenza Trump, avevano la Statua della Libertà, sotto la quale c'era questa iscrizione meravigliosa: fate venire a me i diseredati, fate venire a me chi non ce la fa, fate venire a me chi cerca fortuna - un Paese che ha costruito la sua grandezza sull'immigrazione, ha ovviamente adottato lo ius soli, cioè chi nasce qui è uno dei nostri.
Peccato che l'Italia, negli ultimi venti o forse trent'anni si sia molto trasformata, quindi non è più un Paese superomogeneo, che perdeva cittadini che andavano tenuti con una sorta di filo che non rompesse la continuità del rapporto con la Madrepatria.
Siamo diventati un Paese di immigrazione, nel quale, se uno apre la porta della classe di una scuola elementare, vede un'Italia multiculturale, fatta di persone che vengono da ogni dove a cercare fortuna da noi, come si faceva prima negli Stati Uniti e oggi si fa un po' meno. Si tratta di pensare che contribuiscono alla nostra fortuna, perché sono talenti, che lavorano, pagano i contributi e contribuiscono, con i trionfi sportivi e accademici, alla nostra grandezza.
Cosa fa, dunque, un Governo responsabile o almeno che non abbia gli occhi foderati di prosciutto? Dice: abbiamo una legge sulla cittadinanza disegnata per un Paese di emigranti, ma adesso siamo diventati invece un Paese che deve accogliere e favorire l'integrazione, l'armonia e il senso di fedeltà e di lealtà a se stesso. Quale problema avrebbe dovuto quindi porsi un Governo di media consapevolezza? Quello di mettere mano alla legge n. 91 del 1992 per rendere possibile alle persone che vivono e lavorano qui, che parlano italiano (e magari non parlano altro che l'italiano e non conoscono un altro posto che questo), di essere integrate.
Questo anche per evitare di dover gestire situazioni di disagio che, come abbiamo visto in altri Paesi, hanno portato ragazzi immigrati di seconda generazione a fare cose inconsulte: gli attentatori del Bataclan non erano venuti dall'estero, dal Medio Oriente, dal Pakistan o dal Nord Africa, ma venivano da Molenbeek, da Bruxelles e dalle periferie parigine.
Per questo chiedevamo un euro in cultura, un euro in sicurezza, perché bisogna stringere il legame culturale. Invece, questo Governo cosa fa? Ignora completamente la realtà e non si cura assolutamente del fatto che, appunto, le nostre scuole elementari (ma ormai non solo quelle) sono piene di ragazzi che vengono da fuori, ai quali non dà nessuna risposta. Ricordo che, per fortuna, abbiamo un referendum, l'8 e il 9 giugno, che almeno ci consentirà di avere una legge meno cervellotica della n. 91 del 1992. (Applausi). Il Governo cosa fa? Toglie la cittadinanza a quelli che già ce l'hanno: invece di migliorare la situazione di chi la cittadinanza non ce l'ha, noi andiamo a toglierla a chi ce l'ha, mancando clamorosamente il bersaglio. È una strategia da ubriachi. Io non so cos'altro dire. E questo lo dice uno che non ha un giudizio completamente positivo su uno ius sanguinis che consente di ottenere la cittadinanza dopo 150 anni che il tuo quadri-trisnonno se n'è andato dal paese in provincia di Treviso. Perché capisco benissimo anch'io, infatti, che vi è una sorta di progressione geometrica per cui il signore che è andato via da Treviso o da Torre Annunziata dopo 130 anni avrà 250 o 300 discendenti, i quali magari non hanno nessun rapporto con l'Italia, come non ce l'hanno neanche i loro i loro coniugi. Come sapete, infatti, la cittadinanza si acquista anche per matrimonio.
Quindi, da un emigrante italiano discenderanno migliaia di persone che magari non hanno nessun rapporto con l'Italia. Sappiamo che spesso si commettono abusi, anche reati, quindi non mi stupisco del fatto che un Governo metta mano a quella legge.
Ho però delle perplessità enormi - lo sottolineo - perché innanzitutto capisco qual è l'unica causa per la quale si è messo mano a questa legge, posto che voi dovreste essere molto amici degli italiani all'estero. L'elettorato agli italiani all'estero, infatti, è stato dato da Mirko Tremaglia e che il partito di Mirko Tremaglia tolga la cittadinanza agli italiani francamente è schizofrenico. Va bene che avete cambiato idea su tutto, dalle accise ai trattati commerciali, per cui quello che Giorgia Meloni diceva dieci anni fa non vale più, ma gli italiani prima o poi se ne accorgeranno e spero che si sveglino. Aspettiamo ancora il blocco navale, campa cavallo che l'erba cresce.
Tutto questo è causato da un mero problema organizzativo, signor vice ministro Cirielli, perché questo assurdo decreto-legge viene fuori out of the blue, come dicono gli inglesi, così all'improvviso, perché i consolati non ce la fanno. Dato che io ho avuto l'onore di servire nel suo Ministero, so benissimo che i consolati non ce la fanno: ci sono consolati che non fanno nient'altro in Argentina. Tuttavia, signor Vice Ministro, mettete mano al portafogli, perché state umiliando la Farnesina. Il suo Ministro ha detto che ora si può diventare diplomatici anche avendo la laurea in scienze motorie: mai visto un Ministro degli esteri che umilia i diplomatici in questo modo! Allora, se tenete al vostro Ministero, finanziatelo, rafforzatelo. Già non avete una politica estera, ormai non abbiamo neanche più un Ministero degli affari esteri, siamo messi così. Poi con cosa lo fate? Con un decreto-legge. Con un decreto legge? Voi andate a modificare lo status civitatis di milioni di persone con un decreto-legge. Già fate le norme penali con decreto-legge e i penalisti e costituzionalisti hanno tutti le mani nei capelli, anche perché questi decreti-legge li fate male e poi vanno pure cambiati, per cui da quando li emanate ed entrano in vigore a quando vengono convertiti diventano tutt'altro. Anche in questo caso sarà così, ma con un decreto-legge, dalla sera alla mattina, il 27 marzo a mezzanotte si prevede che chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Ma stiamo scherzando? Siete proprio dei dilettanti allo sbaraglio! (Applausi). Non lo so, siete dei poverini in libera uscita! È una roba incredibile!
Concludo, perché la severa Presidente mi richiama giustamente all'ordine, dicendo che io, la finalità, il fatto che bisogna mettere mano a questo ius sanguinis così ampio, la capisco; tuttavia, le modalità con le quali avete messo mano a questa cosa, Vice Ministro, urlano veramente vendetta. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Gaudiano. Ne ha facoltà.
GAUDIANO (M5S). Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, le disposizioni urgenti in materia di cittadinanza su cui oggi ci troviamo a discutere rappresentano l'ennesimo utilizzo inadeguato del metodo legislativo da parte di questa maggioranza. Il Governo, ancora una volta, ha deciso di aggirare il normale iter parlamentare per intervenire su un tema sensibile, un tema identitario come quello della cittadinanza, attraverso lo strumento del decreto-legge. Così facendo, ha deliberatamente limitato il confronto politico ed istituzionale, escludendo un dialogo necessario soprattutto con le comunità italiane all'estero, principali destinatarie di questo provvedimento.
Il sovraccarico burocratico degli uffici dovuto all'elevato numero di domande di corsi per la cittadinanza non può in alcun modo essere considerato una condizione sufficiente per dichiarare uno stato di straordinaria necessità e urgenza. Le difficoltà amministrative, per quanto rilevanti, non giustificano un intervento normativo d'urgenza che incide in modo profondo e potenzialmente irreversibile sui diritti fondamentali della persona. Quando in gioco c'è il diritto a vedersi riconosciuta la cittadinanza, che è a tutti gli effetti un diritto identitario costituzionalmente protetto, è inaccettabile che si intervenga con una logica emergenziale, pensata più per tutelare l'efficienza della macchina amministrativa che per garantire equità e giustizia ai cittadini e alle loro famiglie.
Secondo la giurisprudenza costituzionale consolidata, l'acquisto e la perdita della cittadinanza rientrano nell'ambito dei diritti fondamentali della persona e come tali richiedono un elevato grado di tutela normativa.
L'articolo 3 della Costituzione impone il rispetto del principio di uguaglianza, mentre l'articolo 22 stabilisce che nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici. Se ne ricava che ogni intervento in questa materia dovrebbe essere sottoposto a un rigoroso controllo di proporzionalità e ragionevolezza. Un decreto-legge che restringe retroattivamente i criteri di riconoscimento della cittadinanza rischia di violare questi principi, in quanto modifica d'imperio e senza un vero confronto pubblico un diritto legato all'identità personale e collettiva. È un metodo, quello usato da questa destra, che mortifica continuamente il confronto democratico, comprime il ruolo del Parlamento, e ignora il valore della partecipazione.
Il tema della cittadinanza richiederebbe una legge ordinaria, preceduta da una riflessione ampia, pluralista e partecipata: tutti passaggi democratici a cui la maggioranza, vedo, non è avvezza. Per questo, almeno in Commissione affari costituzionali abbiamo tentato di sopperire con le audizioni al mancato confronto con la società civile su un tema che coinvolge potenzialmente migliaia di persone. Abbiamo ascoltato, ad esempio, le comunità di italiani all'estero, costituzionalisti, magistrati e tutti hanno espresso perplessità sul testo e hanno sottolineato le gravi incongruenze e i rischi di frattura sociale che questo provvedimento introduce.
Siamo tutti d'accordo sulla necessità di migliorare l'efficienza amministrativa, ma non è accettabile sacrificare i diritti creando disparità insanabili. Sarebbe stato più semplice prevedere una sospensione temporanea delle nuove richieste e avviare un serio dibattito legislativo sul tema. Bloccare per un anno o due le richieste di cittadinanza avrebbe permesso agli uffici competenti di smaltire gli arretrati e in quel lasso di tempo sarebbe stato possibile ripensare organicamente i modi di acquisto della cittadinanza italiana. Abbiamo proposto questa soluzione in via emendativa, ma non si è voluto darle seguito.
Uno degli aspetti più gravi di questa norma è la retroattività negativa. Chi non ha presentato domanda entro il 27 marzo 2025, pur essendo discendente di cittadini italiani, si vedrà negata la possibilità di ottenere la cittadinanza. Questo perché le richieste presentate entro le ore 23:59 (mi riferisco all'ora di Roma) del 27 marzo 2025 saranno valutate secondo la normativa precedente, mentre quelle successive saranno soggette alle nuove disposizioni molto più restrittive, per le quali la discendenza è limitata alla seconda generazione. Una simile previsione mortifica il principio di certezza del diritto e rischia di escludere in modo discriminatorio migliaia di persone legate all'Italia da vincoli affettivi, culturali e storici.
Tutto questo porta con sé conseguenze illogiche. Il provvedimento, infatti, crea situazioni paradossali all'interno della stessa famiglia. Fratelli nati dagli stessi genitori potrebbero trovarsi in condizioni diverse solo perché uno ha fatto domanda prima del 27 marzo, l'altro no: una distorsione gravissima che nega il principio di uguaglianza tra i cittadini. Fino ad oggi la legge ha garantito il riconoscimento della cittadinanza italiana a chiunque potesse dimostrare di essere discendente da un cittadino italiano, anche a distanza di generazioni, a condizione che non ci fossero state interruzioni nella trasmissione della cittadinanza. Con il testo che quest'Assemblea è chiamata a votare, questo principio viene stravolto, perché il legame di sangue, seppur limitato nel tempo, non basta più. Ora serve anche un legame con il territorio, con la terra, come lo definisce il testo. In pratica, viene richiesto che almeno uno degli ascendenti, quindi mi riferisco in questo caso ai genitori o ai nonni, sia nato in Italia o vi abbia vissuto per un periodo continuativo.
L'introduzione del doppio criterio di cittadinanza sembra quasi una provocazione del Governo. Lo stesso Esecutivo, che si oppone da anni al riconoscimento della cittadinanza per chi nasce e cresce in Italia da genitori stranieri, oggi chiede che il figlio di un italiano all'estero abbia, oltre al sangue, anche un legame territoriale.
Si riconosce lo ius soli utilizzandolo in modo discriminatorio, visto che in tal modo si escludono molti discendenti legittimi solo perché i loro genitori o nonni non sono nati o vissuti in Italia. Inoltre, non si considerano disparità irragionevoli tra famiglie e territori. Pensate, ad esempio, al costo di sostenere un legame con il territorio italiano dall'America Latina rispetto a un'altra Nazione europea.
Questa maggioranza concepisce un singolare ius soli che resta riservato solo ai figli di italiani all'estero, mentre si nega ogni apertura ai figli di stranieri nati e cresciuti in Italia, anche dopo il completamento di un ciclo di studi.
Noi crediamo che la cittadinanza non possa essere compressa dentro un confine genealogico o anagrafico arbitrario. Per questo, chiediamo da tempo l'introduzione dello ius scholae che riconosca la cittadinanza ai minori stranieri che crescono, studiano e si formano in Italia. Questi ragazzi e ragazze, dopo un positivo percorso di studi, sono italiani di fatto e devono poter essere italiani di diritto.
Per questo, tra i nostri emendamenti presentati in Commissione a questo provvedimento, vi era quello, a mia prima firma, che introduce lo ius culturae come criterio, prevedendo un percorso di acquisizione della cittadinanza basato sulla conoscenza della lingua italiana.
Quello che resta assurdo è che questa maggioranza riconosce il diritto alla cittadinanza a chi ha un nonno nato in Italia, ma non a chi nasce e cresce nel nostro Paese da genitori stranieri, integrandosi pienamente nella nostra cultura, parlando la nostra lingua e formandosi nelle scuole e nelle università italiane. Si tratta di una visione ristretta, anacronistica e selettiva dell'identità nazionale, che nega la realtà di un'Italia plurale e interconnessa. Non possiamo pretendere un radicamento effettivo da chi vive all'estero, se non siamo disposti a riconoscere come italiani coloro che dell'Italia abbracciano valori e abitudini e che ne vivono quotidianamente la realtà territoriale.
Una riforma così pensata non costruisce un'identità nazionale, ma la smonta; non rafforza la cittadinanza, ma la svuota. Per questo motivo, noi continueremo ad opporci. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice La Marca. Ne ha facoltà.
LA MARCA (PD-IDP). Signor Presidente, siamo qui oggi per discutere e poi votare un provvedimento che, com'è stato sottolineato, per il modo in cui è stato concepito e i contenuti che propone, rappresenta una pagina veramente buia per chi, come me, da anni si batte per i diritti degli italiani all'estero.
Lo dico subito, Presidente, senza giri di parole: questo decreto-legge è sbagliato nel merito, ma soprattutto nel metodo con il quale è stato proposto. Il testo è stato approvato in fretta dal Consiglio dei ministri il 27 marzo scorso, senza alcun preavviso e neanche il minimo coinvolgimento dei parlamentari eletti all'estero, senza un confronto con le istituzioni che rappresentano gli italiani nel mondo, come ad esempio il Consiglio generale degli italiani all'estero. Questo, Presidente, non è soltanto uno sgarbo istituzionale, ma anche un tentativo di limitare l'influenza degli italiani nel mondo e smorzare la loro, la nostra voce.
Ho chiesto ed insistito perché si tenesse un ciclo di audizioni nella prima Commissione all'inizio dell'iter parlamentare. In quell'occasione, da più parti è stato evidenziato come questo provvedimento fosse una scelta sbagliata e come lo strumento del decreto-legge non fosse adeguato ad affrontare una materia così complessa e delicata quale la cittadinanza. In quelle audizioni ho avanzato una proposta concreta: rinviare l'attuazione del decreto-legge e avviare un percorso condiviso per una riforma seria e organica della legge sulla cittadinanza. Tuttavia, anche questo appello purtroppo è caduto nel vuoto. Anziché accogliere le critiche costruttive dei vari relatori, si è proceduto sostanzialmente, come se nulla fosse, all'esame del testo senza apportare alcuna modifica e correzione.
Entrando nel merito del provvedimento, il decreto introduce una norma che limita il riconoscimento della cittadinanza per discendenza alle sole prime due generazioni. Tale misura drastica esclude automaticamente tantissimi italodiscendenti nel mondo, anche laddove sussistano legami autentici e profondi con il nostro Paese.
Insieme ai colleghi del mio Gruppo, ho presentato emendamenti per modificare questo aspetto, introducendo criteri come la conoscenza della lingua italiana e della cultura civica per ovviare alla possibilità di comportamenti ai limiti della legalità. Ebbene, anche questi sono stati respinti. Allo stesso modo, nella prima versione del decreto non era prevista alcuna misura per il riacquisto della cittadinanza da parte di chi l'avesse persa per naturalizzazione, tema sul quale mi batto da anni.
Grazie alla raccolta firme che ho portato avanti con il sostegno del mio Gruppo sul disegno di legge a mia prima firma sul riacquisto della cittadinanza, alle mie numerose sollecitazioni e alla pressione esercitata anche direttamente con il ministro Tajani, il Governo ha finalmente accolto, anche se parzialmente, la mia proposta, presentando un emendamento che riapre i termini per il riacquisto della cittadinanza italiana a partire dal 1° luglio di quest'anno, per un periodo di due anni e mezzo. È un risultato importante - bisogna dirlo - che consente di sanare un'ingiustizia che si trascina dagli anni Novanta; prima del 1992, infatti, molti connazionali che si trasferivano all'estero erano spesso costretti, come ben sappiamo, a naturalizzarsi nel Paese di emigrazione e, soprattutto nei Paesi anglosassoni, a causa delle normative vigenti, perdevano automaticamente la cittadinanza italiana. Oggi, con l'emendamento approvato, si riapre finalmente la possibilità di riacquistarla. Una misura necessaria, come ho detto poc'anzi, attesa da decenni, che tuttavia non può farci dimenticare le gravi criticità ancora presenti nel testo complessivo del decreto.
Signor Presidente, in questi ultimi due mesi, da quando è stato annunciato il decreto, il mio ufficio ha ricevuto centinaia e centinaia, se non migliaia, di email da italodiscendenti che avevano iniziato l'iter per il riconoscimento della cittadinanza italiana e che dalla sera alla mattina sono stati esclusi dalla possibilità di riacquistarla: una tagliola che non fa altro che allontanare ancora di più chi già si sente italiano e vorrebbe contribuire allo sviluppo del nostro Paese.
Questa, signor Presidente, è la storia di tanti uomini e donne: è la storia di Carla, ad esempio, bisnipote di avi emigrati negli Stati Uniti durante la Prima guerra mondiale, costretti a lasciare l'Italia, ma che hanno cresciuto figli e nipoti insegnando loro l'unica lingua che conoscevano, l'italiano; è la storia di Antonio, i cui bisnonni emigrarono negli Stati Uniti in cerca di una vita migliore, senza mai recidere il legame con la loro terra, visitandola ogni anno. È la storia di tanti altri, che ancora oggi si sentono italiani nel cuore, ma che si sentono allo stesso tempo abbandonati dal loro Paese di origine per colpa di un passato lontano; ed è profondamente triste dover dire a queste persone, nonostante la loro conoscenza della nostra lingua, i contatti diretti e spesso investimenti in questo stesso Paese, che il sogno di diventare cittadini rischia di svanire del tutto.
Come se tutto questo non bastasse, nel Consiglio dei ministri in cui è stato approvato il decreto, sono stati annunciati anche due ulteriori disegni di legge. Il primo interviene sulle regole per l'acquisizione della cittadinanza da parte di figli minorenni, tema già in parte affrontato da alcuni emendamenti approvati e confluiti nel testo ad oggi all'esame dell'Assemblea. Il secondo, invece, si propone di modificare in modo radicale l'organizzazione degli uffici competenti, incidendo profondamente sull'iter per la richiesta di riacquisto della cittadinanza. Al momento, però, abbiamo potuto visionare solo il testo del primo disegno di legge; attendiamo di conoscere i dettagli del secondo, che potrebbe avere un impatto rilevante sull'effettiva applicabilità delle nuove misure.
Mentre mi avvio a concludere, Signor Presidente, mi sia permesso dai colleghi di ribadire, se non fosse già emersa con chiarezza dalle mie parole, la totale mancanza
di coerenza e di visione nell'azione di questo Governo.
Prima si annuncia, poi si approva in fretta un decreto-legge, successivamente si annunciano due disegni di legge che arrivano però in momenti diversi e in modo scollegato. Peggio ancora; si pretende che il Parlamento discuta tutto in tempi strettissimi, evitando di proporre una riforma organica e strutturata della normativa sulla cittadinanza. Una prova evidente di assenza di coraggio politico e di incapacità di affrontare seriamente una materia talmente complessa, sensibile ed importante quale quella della cittadinanza.
Presidente, colleghi della maggioranza, questo decreto-legge non è una riforma, è un arretramento, una chiusura e un muro che si alza tra l'Italia e i suoi figli e nipoti nel mondo. Il mio voto non può quindi che essere contrario, ma il mio impegno continua e continuerà nelle aule parlamentari, sul territorio, nelle comunità italiane del Nord e Centro America. Continuerò finché non avremo una legge sulla cittadinanza giusta, inclusiva e rispettosa della storia e dell'identità degli italiani nel mondo. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Della Porta. Ne ha facoltà.
DELLA PORTA (FdI). Signor Presidente, signor vice Ministro, colleghi, intanto possiamo dire che il provvedimento che ci occupa questa sera sconfessa il teorema secondo il quale tutti gli atti che siano di origine governativa comprimano l'azione del Parlamento. In Commissione abbiamo dimostrato di essere aperti invece ad un confronto bipartisan. Di questo voglio ringraziare il presidente Balboni, il relatore, senatore Lisei, e permettetemi un ringraziamento particolare al collega Menia per il lavoro svolto in 1a Commissione. (Applausi).
Con questo provvedimento non vogliamo rendere difficile diventare cittadini italiani, vogliamo solo renderlo giusto. Certo, molto ancora si può fare, però, colleghi, essere cittadini italiani non è solo un diritto: essere cittadini italiani è un privilegio (Applausi) e chi lo conquista deve in ogni caso dimostrare un atto di amore verso l'Italia. La cittadinanza è una cosa seria, che d'altra parte non può essere lasciata alla mercé di agenzie spregiudicate.
Il decreto-legge, in particolare, mira a rendere più stringente il principio di effettività del vincolo con l'Italia del richiedente la cittadinanza. Rimane quindi la preminenza dello ius sanguinis e si evita, come dicevo poc'anzi, il mercimonio delle pratiche di cittadinanza da parte di soggetti che lucrano a suon di migliaia di euro e che molto spesso vedono questi personaggi attivare la richiesta per poi utilizzare il passaporto per avere accesso legale in altri Stati.
In Commissione, come ho detto prima, abbiamo svolto un lavoro importante e abbiamo audito molti soggetti, tra i quali voglio ricordare la Fondazione Migrantes, un organismo della Conferenza episcopale italiana (CEI). La funzionaria che è intervenuta ci ha detto che l'Italia deve garantire una gestione ordinata della mobilità e un contrasto deciso a tutte le pratiche illecite che si inseriscono in modo fraudolento nelle procedure di acquisizione della cittadinanza. Lo dice la CEI, questo vuol dire che siamo comunque sulla strada giusta.
Abbiamo sentito però anche il sindaco della Val di Zoldo, un Comune piccolino un po' più grande del mio, con qualche centinaio di abitanti, che è però raddoppiato con le pratiche di cittadinanza, che ne hanno ingolfato l'ufficio amministrativo e l'anagrafe, con pochi funzionari (come ovviamente succede nei piccoli Comuni, che molte volte non riescono a soddisfare quelle richieste e vengono poi coinvolti in cause giudiziarie proprio per i ritardi, con accollo di spese importanti, che certamente non possiamo permetterci).
Va in primis ribadito che Fratelli d'Italia condivide il quadro generale definito dal decreto-legge che, di fronte all'esplosione di richieste di passaporto italiano e di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, con riferimento ad avi di quinta o sesta generazione, su cui lucrano studi, agenzie e approfittatori senza scrupoli, da parte di persone senza alcun legame reale con l'Italia, restringe tale riconoscimento a una discendenza reale.
Qualcuno prima di me ha nominato Mirko Tremaglia. Se permettete, Mirko Tremaglia lo vogliamo ricordare noi, perché è un patrimonio della destra italiana. (Applausi). Qualche anno fa, con grande slancio di vicinanza e affetto verso i nostri connazionali all'estero, introdusse per loro la possibilità di votare e anche di essere eletti. In quest'Aula ci sono quattro colleghi figli di quella generosità. Questo per dire che Fratelli d'Italia, e credo tutta la maggioranza, non è contraria ad una visione diversa e complessiva della cittadinanza, che però, onorevoli colleghi, non può essere svenduta. Le migliorie che abbiamo adottato grazie agli emendamenti che sono stati discussi in 1a Commissione, presentati innanzitutto da Fratelli d'Italia, hanno portato in particolare ad accordare il riconoscimento della cittadinanza, secondo le norme previgenti al decreto-legge, a coloro che ne avevano fatto richiesta prima della sua entrata in vigore, ma a cui non era stato ancora possibile iniziare o concludere il procedimento. È quindi possibile riconoscere la cittadinanza italiana anche alle terze generazioni, se il nato o minore adottato viene dichiarato alle autorità consolari entro un anno.
Le migliorie introdotte hanno portato poi ad individuare misure per favorire il recupero delle radici italiane degli oriundi e il conseguente acquisto della cittadinanza italiana. In pratica, si tratta della possibilità di un percorso privilegiato di accesso, al di fuori delle quote stabilite per i flussi, per gli italodiscendenti che potranno risiedere con contratto regolare di lavoro in Italia e riconquistare la cittadinanza dopo due anni, e non più tre.
Inoltre c'è l'emendamento governativo, che è nato sempre sulla spinta di Fratelli d'Italia, sulla riapertura dei termini per l'ottenimento della cittadinanza italiana per i connazionali che l'avevano perduta per naturalizzazione forzata nei Paesi in cui erano emigrati. Non solo, ma abbiamo comunque salvaguardato anche le richieste pendenti andando a mitigare gli effetti retroattivi della norma.
Mi avvio a concludere. È nostro dovere garantire che i flussi migratori siano regolari. Con questo decreto-legge poniamo un argine a quelle pratiche quantomeno anomale, se non illegittime, che vogliono regalare la cittadinanza a fronte di un lucro da parte di soggetti che stanno speculando sulla situazione. Poniamo questo argine, ma siamo aperti al confronto. Chi prima di me ha ricordato che ci sono disegni di legge depositati che avranno il compito di guardare in maniera complessiva questa materia deve sapere che da questa parte dell'emiciclo ci sarà la massima disponibilità al confronto. La cittadinanza non può e non deve essere una questione divisiva, per cui la affronteremo insieme. Oggi però abbiamo posto un primo tassello affinché la cittadinanza non sia merce in vendita. (Applausi). Faremo in modo con i prossimi interventi che sia davvero un provvedimento di natura e di portata complessive, che nel futuro darà la possibilità a chi davvero vorrà essere italiano di farlo guardando all'Italia con amore. (Applausi).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.
Sospendo la seduta, in attesa delle determinazioni della Conferenza dei Capigruppo.
(La seduta, sospesa alle ore 17,32, è ripresa alle ore 18,58).
Presidenza del vice presidente ROSSOMANDO (ore 18,58)
Interventi su argomenti non iscritti all'ordine del giorno
SENSI (PD-IDP). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SENSI (PD-IDP). Signora Presidente, è di queste ore la notizia che il partito di Orban in Ungheria, secondo un tetro copione di origine russa che vediamo in azione in altri Paesi europei, in Georgia ad esempio, sta introducendo un provvedimento, l'ennesimo, per colpire, penalizzare e controllare le organizzazioni non governative con la solita accusa, tipica dei regimi, di porre una minaccia alla sovranità nazionale.
Le organizzazioni messe sotto il mirino del torvo Ufficio per la protezione della sovranità potranno perdere finanziamenti ed essere sanzionate, e i loro aderenti finire in carcere, come ha sintetizzato il benevolo Orban, con l'obiettivo di rendere loro impossibile la vita dal punto di vista legale. È il culmine, Presidente, di un'escalation che negli anni in Ungheria ha colpito partiti, giornali, media, società civile e che avviene sotto gli occhi di ognuno di noi, in un Paese dell'Unione che puntualmente a livello europeo si pone, assieme alla Slovacchia, come la punta di lancia del Cremlino su tutti i dossier strategici per il futuro dell'Unione, come la difesa e il sostegno all'Ucraina.
Sollevo questo tema e concludo, non per usarlo politicamente contro i sovranisti di casa nostra che da anni si arrampicano sugli specchi di Orban con imbarazzo crescente, almeno in apparenza, ma per chiedere al Governo, per suo tramite, di venire a riferire con urgenza sui suoi amici nazionalisti, perché l'abisso antidemocratico e illiberale in cui stanno sprofondando un Paese grande e vitale come l'Ungheria ci riguarda come europei. Infatti, ogni diminuzione, restrizione, compressione, sterilizzazione, aggressione e lesione dei valori di libertà e democrazia su cui si fonda l'Europa diminuiscono, restringono, comprimono, sterilizzano, aggrediscono e ledono la libertà di ognuno di noi qui e adesso. (Applausi).
MINASI (LSP-PSd'Az). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MINASI (LSP-PSd'Az). Signora Presidente, porto all'attenzione dell'Assemblea un episodio di inaudita gravità avvenuto ieri in pieno giorno nella mia città, Reggio Calabria. Un giovane è stato accoltellato, con ben nove fendenti, sul lungomare cittadino, luogo simbolo della socialità reggina, a seguito di un banale diverbio: parrebbe per aver rifiutato una sigaretta, che nemmeno aveva.
Si è trattato dunque di un'aggressione brutale, priva di senso e sproporzionata, che non può essere archiviata come un semplice fatto di cronaca, ma che, al contrario, merita una riflessione politica profonda e urgente, perché ciò che si è verificato non è solo l'ennesimo episodio o atto di violenza urbana, ma il sintomo evidente di un clima che si fa ogni giorno sempre più insicuro, instabile e ostile alla civile convivenza, specie tra i giovani. Non si tratta di un episodio isolato: purtroppo, episodi di aggressione gratuita, esplosioni di violenza improvvisa e comportamenti del tutto scollegati da qualsiasi regola di buonsenso e rispetto per la vita stanno emergendo in numerosi centri urbani del Paese.
Particolarmente allarmante è la crescente diffusione di queste condotte tra i più giovani, talvolta persino minorenni, spesso già avvezzi all'uso improprio e pericoloso di armi da taglio e da offesa. Ci troviamo quindi di fronte a una deriva sociale che, se non affrontata con urgenza e decisione, rischia di trasformare le nostre città in luoghi di tensione permanente, dove il degrado prende il sopravvento sulla legalità.
Come Lega guardiamo a questa emergenza con estrema serietà e determinazione. Da tempo sosteniamo che la sicurezza dei cittadini non è una voce accessoria dell'agenda politica, ma un pilastro dello Stato democratico e una garanzia irrinunciabile che lo Stato è presente, sa proteggere e interviene quando l'ordine viene infranto.
È necessario - e lo chiedo formalmente in quest'Aula - rafforzare la presenza delle Forze dell'ordine, garantire strumenti operativi adeguati e intervenire nei quartieri più esposti con un'azione preventiva e coordinata tra istituzioni locali e centrali, ma serve anche una riflessione più ampia. È il tessuto sociale stesso che va ricucito attraverso percorsi educativi e il rilancio della cultura del rispetto e della legalità, che parta dalle scuole, dalle famiglie e dai luoghi della comunità, perché se un ragazzo arriva a colpire con un coltello per un pretesto futile, allora è chiaro che non basta più la repressione e occorre agire alla radice del malessere.
Mi rivolgo dunque al Governo affinché valuti l'attivazione di un piano straordinario per la sicurezza urbana, che affronti in modo sistemico questa escalation e restituisca serenità ai cittadini.
Non possiamo permettere infatti che si scivoli in una normalizzazione dell'insicurezza, che ci si abitui alla paura e si accetti la violenza come elemento connaturato alla vita pubblica. Chi colpisce oggi con un coltello, domani lo farà ancora con meno remore, quindi reagire è un dovere politico, istituzionale e morale. (Applausi).
Atti e documenti, annunzio
PRESIDENTE. Le mozioni, le interpellanze e le interrogazioni pervenute alla Presidenza, nonché gli atti e i documenti trasmessi alle Commissioni permanenti ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento sono pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.
Ordine del giorno
per la seduta di giovedì 15 maggio 2025
PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica domani, giovedì 15 maggio, alle ore 10, con il seguente ordine del giorno:
La seduta è tolta (ore 19,04).
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE
Disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese (1407)
ARTICOLI DA 1 A 15 NEL TESTO FORMULATO DALLA COMMISSIONE IN SEDE REDIGENTE, IDENTICO AL TESTO APPROVATO DALLA CAMERA DEI DEPUTATI
Capo I
FINALITÀ E ATTUAZIONE DEI PRINCÌPI COSTITUZIONALI
Art. 1.
Approvato
(Finalità e oggetto)
1. La presente legge disciplina la partecipazione gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione, all'organizzazione, ai profitti e ai risultati nonché alla proprietà delle aziende e individua le modalità di promozione e incentivazione delle suddette forme di partecipazione, in attuazione dell'articolo 46 della Costituzione e nel rispetto dei princìpi e dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea e internazionale, al fine di rafforzare la collaborazione tra i datori di lavoro e i lavoratori, di preservare e incrementare i livelli occupazionali e di valorizzare il lavoro sul piano economico e sociale. Introduce altresì norme finalizzate all'allargamento e al consolidamento di processi di democrazia economica e di sostenibilità delle imprese.
Art. 2.
Approvato
(Definizioni)
1. Ai fini e per gli effetti della presente legge, si intende per:
a) « partecipazione gestionale »: la pluralità di forme di collaborazione dei lavoratori alle scelte strategiche dell'impresa;
b) « partecipazione economica e finanziaria »: la partecipazione dei lavoratori ai profitti e ai risultati dell'impresa, anche tramite forme di partecipazione al capitale, tra cui l'azionariato;
c) « partecipazione organizzativa »: il complesso delle modalità di coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni relative alle varie fasi produttive e organizzative della vita dell'impresa;
d) « partecipazione consultiva »: la partecipazione che avviene attraverso l'espressione di pareri e proposte sul merito delle decisioni che l'impresa intende assumere;
e) « contratti collettivi »: i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria, ai sensi dell'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
f) « enti bilaterali »: gli organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro, di cui all'articolo 2, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
Capo II
PARTECIPAZIONE GESTIONALE DEI LAVORATORI
Art. 3.
Approvato
(Partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al consiglio di sorveglianza)
1. Nelle imprese nelle quali lo statuto prevede che l'amministrazione e il controllo siano esercitati da un consiglio di gestione e da un consiglio di sorveglianza, in base al sistema dualistico di cui agli articoli 2409-octies e seguenti del codice civile, gli statuti possono prevedere, qualora disciplinata dai contratti collettivi, la partecipazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori dipendenti al consiglio di sorveglianza.
2. L'individuazione dei rappresentanti dei lavoratori al consiglio di sorveglianza è regolata sulla base delle procedure definite dai contratti collettivi, nel rispetto dei requisiti di professionalità e onorabilità stabiliti per i componenti del consiglio nonché delle disposizioni delle lettere a) e b) del decimo comma dell'articolo 2409-duodecies del codice civile.
3. Tra i membri del consiglio di sorveglianza può essere prevista la presenza di almeno un rappresentante dei lavoratori che aderiscono ai piani di partecipazione finanziaria di cui all'articolo 6 della presente legge.
Art. 4.
Approvato
(Partecipazione al consiglio di amministrazione)
1. Nelle società che non adottano il sistema dualistico di cui agli articoli 2409-octies e seguenti del codice civile, gli statuti possono prevedere, qualora disciplinata dai contratti collettivi, la partecipazione al consiglio di amministrazione e, altresì, al comitato per il controllo sulla gestione di cui all'articolo 2409-octiesdecies del codice civile, ove costituito, di uno o più amministratori, rappresentanti gli interessi dei lavoratori dipendenti.
2. Gli amministratori di cui al comma 1 sono individuati dai lavoratori dipendenti della società sulla base delle procedure definite dai contratti collettivi.
3. Gli amministratori di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo devono essere in possesso dei requisiti di indipendenza di cui all'articolo 2409-septiesdecies del codice civile nonché dei requisiti di onorabilità e professionalità previsti dallo statuto della società o, in mancanza, dai codici di comportamento redatti dalle associazioni di categoria.
4. Gli amministratori designati ai sensi dei commi 1 e 2 non possono assumere incarichi direttivi, qualora non già ricoperti nella medesima impresa, entro il termine di tre anni dalla cessazione del mandato.
Capo III
PARTECIPAZIONE ECONOMICA E FINANZIARIA DEI LAVORATORI
Art. 5.
Approvato
(Distribuzione degli utili)
1. Per l'anno 2025, in deroga a quanto previsto dall'articolo 1, comma 182, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, in caso di distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota degli utili di impresa non inferiore al 10 per cento degli utili complessivi, effettuata in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, il limite dell'importo complessivo soggetto all'imposta sostitutiva disciplinata dal citato comma 182 è elevato a 5.000 euro lordi. Restano ferme le disposizioni dei commi da 183 a 189 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
2. Alle minori entrate derivanti dall'attuazione del comma 1, valutate in 49 milioni di euro per l'anno 2025 e in 800.000 euro per l'anno 2026, si provvede ai sensi dell'articolo 15, comma 1.
Art. 6.
Approvato
(Piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori)
1. Nelle aziende di cui all'articolo 1, in coerenza e nel rispetto della normativa vigente, possono essere previsti piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti. Tali piani possono individuare, oltre agli strumenti di partecipazione dei lavoratori al capitale della società di cui agli articoli 2349, 2357, 2358 e 2441, ottavo comma, del codice civile, determinando le condizioni di tale partecipazione, anche l'attribuzione di azioni in sostituzione di premi di risultato, ferma restando la disciplina di cui all'articolo 1, commi da 184-bis a 189, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Per l'anno 2025 i dividendi corrisposti ai lavoratori e derivanti dalle azioni attribuite in sostituzione di premi di risultato di cui al secondo periodo, per un importo non superiore a 1.500 euro annui, sono esenti dalle imposte sui redditi per il 50 per cento del loro ammontare.
2. Alle minori entrate derivanti dal comma 1, valutate in 21 milioni di euro per l'anno 2025, si provvede ai sensi dell'articolo 15, comma 1.
Capo IV
PARTECIPAZIONE ORGANIZZATIVA DEI LAVORATORI
Art. 7.
Approvato
(Piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell'organizzazione del lavoro)
1. Le aziende di cui all'articolo 1 possono promuovere l'istituzione di commissioni paritetiche, composte in eguale numero da rappresentanti dell'impresa e dei lavoratori, finalizzate alla predisposizione di proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell'organizzazione del lavoro.
Art. 8.
Approvato
(Soggetti di riferimento della partecipazione organizzativa)
1. Le aziende possono prevedere nel proprio organigramma, in esito a contratti collettivi aziendali, le figure dei referenti della formazione, dei piani di welfare, delle politiche retributive, della qualità dei luoghi di lavoro, della conciliazione e della genitorialità nonché quelle dei responsabili della diversità e dell'inclusione delle persone con disabilità.
2. Le imprese che occupano meno di trentacinque lavoratori possono favorire, anche attraverso gli enti bilaterali, forme di partecipazione dei lavoratori all'organizzazione delle imprese stesse.
Capo V
PARTECIPAZIONE CONSULTIVA DEI LAVORATORI
Art. 9.
Approvato
(Consultazione preventiva)
1. Fatto salvo quanto previsto dalla legge o dai contratti collettivi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 25, nell'ambito di commissioni paritetiche, le rappresentanze sindacali unitarie o le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, i rappresentanti dei lavoratori e le strutture territoriali degli enti bilaterali di settore possono essere preventivamente consultati in merito alle scelte aziendali.
2. I contratti collettivi definiscono la composizione delle commissioni paritetiche per la partecipazione consultiva nonché le sedi, i tempi, le modalità e i contenuti della consultazione.
3. Nel caso di consultazione sugli argomenti di competenza negoziale, le commissioni paritetiche possono fornire materiali ed elementi utili al tavolo contrattuale.
Art. 10.
Approvato
(Procedura di consultazione)
1. Il datore di lavoro convoca la commissione paritetica di cui all'articolo 9 mediante comunicazione scritta, trasmessa anche tramite posta elettronica certificata. La consultazione ha inizio entro cinque giorni dal ricevimento dell'istanza di convocazione. I rappresentanti dei lavoratori che compongono la commissione paritetica possono presentare, in sede di procedura di consultazione, un parere scritto, da allegare al verbale di consultazione. La procedura di consultazione, salvo diverso accordo, si intende conclusa decorsi dieci giorni dal suo inizio, anche in caso di mancato parere scritto da parte dei rappresentanti dei lavoratori.
2. Entro trenta giorni dalla chiusura della procedura, il datore di lavoro convoca la commissione paritetica al fine di illustrare il risultato della consultazione e i motivi dell'eventuale mancato recepimento dei suggerimenti proposti nel parere della commissione paritetica.
3. La consultazione si svolge con vincolo di riservatezza rispetto alle informazioni la cui divulgazione risulti in contrasto con norme di legge o con quanto stabilito dai contratti collettivi.
4. Nei casi di controversie interpretative in ordine alle modalità di esecuzione delle procedure, ovvero di presunte violazioni delle stesse, i componenti delle commissioni paritetiche possono rivolgersi alla Commissione nazionale permanente di cui all'articolo 17-bis della legge 30 dicembre 1986, n. 936, introdotto dall'articolo 13 della presente legge, per ottenere una sua pronunzia.
5. Al termine della procedura di consultazione, con riferimento ai temi ivi discussi, le aziende possono dare avvio alla definizione congiunta, nell'ambito delle commissioni paritetiche, di piani di miglioramento e di innovazione, secondo quanto previsto dall'articolo 7.
Art. 11.
Approvato
(Salvaguardia dei contratti collettivi)
1. Sono fatte salve le condizioni di miglior favore previste dai contratti collettivi.
Capo VI
FORMAZIONE E CONSULENZA ESTERNA
Art. 12.
Approvato
(Formazione dei rappresentanti dei lavoratori)
1. Ai fini dello sviluppo delle conoscenze e delle competenze tecniche, specialistiche e trasversali, per i rappresentanti facenti parte delle commissioni paritetiche di cui all'articolo 7 nonché per coloro che partecipano agli organi societari di cui agli articoli 3 e 4 è prevista una formazione, anche in forma congiunta, di durata non inferiore a dieci ore annue.
2. I corsi di formazione di cui al comma 1 del presente articolo possono essere finanziati attraverso gli enti bilaterali, il Fondo Nuove Competenze, di cui all'articolo 88, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e i fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua, di cui all'articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
Capo VII
ISTITUZIONE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE PERMANENTE PER LA PARTECIPAZIONE DEI LAVORATORI
Art. 13.
Approvato
(Introduzione dell'articolo 17-bis della legge 30 dicembre 1986, n. 936, concernente l'istituzione della Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori)
1. Dopo l'articolo 17 della legge 30 dicembre 1986, n. 936, è inserito il seguente:
« Art. 17-bis. - (Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori) - 1. Presso il CNEL è istituita la Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori.
2. La Commissione nazionale permanente è composta da:
a) un rappresentante del CNEL;
b) un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
c) sei esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori presenti presso il CNEL;
d) sei esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro presenti presso il CNEL;
e) tre esperti di diritto del lavoro e relazioni industriali o di gestione e organizzazione aziendale, scelti congiuntamente dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro presenti presso il CNEL.
3. Il Presidente della Commissione nazionale permanente è eletto a maggioranza tra i membri della Commissione stessa.
4. I componenti della Commissione nazionale permanente sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, su designazione degli organismi competenti, e durano in carica cinque anni. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabiliti le modalità e i termini per la designazione e l'individuazione dei componenti di cui al comma 2, lettere c), d) ed e).
5. La Commissione nazionale permanente:
a) si pronuncia con parere non vincolante su eventuali controversie interpretative che dovessero sorgere in ordine alle modalità di svolgimento delle procedure previste nelle imprese dei diversi settori;
b) propone agli organismi paritetici eventuali misure correttive nei casi di violazione delle norme procedurali relative alla partecipazione dei lavoratori;
c) procede alla raccolta e alla valorizzazione delle buone prassi in materia di partecipazione dei lavoratori attuate dalle aziende;
d) redige ogni due anni una relazione, a livello nazionale, sulla partecipazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro;
e) presenta al CNEL proposte volte a incoraggiare la partecipazione gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alle imprese;
f) raccoglie i verbali delle riunioni degli organismi paritetici.
6. Ai componenti e ai partecipanti alle riunioni della Commissione nazionale permanente non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati. Il CNEL provvede al funzionamento della Commissione nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica ».
Capo VIII
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 14.
Approvato
(Applicabilità alle società cooperative)
1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle società cooperative in quanto compatibili.
Art. 15.
Approvato
(Copertura finanziaria)
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione degli articoli 5 e 6 della presente legge, valutati in 70 milioni di euro per l'anno 2025 e in 800.000 euro per l'anno 2026, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2024, n. 207.
2. Il fondo di cui all'articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2024, n. 207, è incrementato di 100.000 euro per l'anno 2027. Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall'articolo 5 della presente legge.
DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO PROPOSTO DALLA COMMISSIONE
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza (1432)
PROPOSTA DI QUESTIONE PREGIUDIZIALE
QP1
Giacobbe, La Marca, Crisanti, Giorgis, Parrini, Meloni, Valente
Respinta (*)
Il Senato,
in sede di esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza;
premesso che:
il decreto-legge in conversione interviene su una materia di elevata complessità giuridica e di grande delicatezza sul piano costituzionale; esso, infatti, introduce nel corpo della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza, un articolo 3-bis che incide sui criteri di trasmissione della cittadinanza iure sanguinis, disponendo che è considerato non avere mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all'estero anche prima della data di entrata in vigore del decreto-legge ed è in possesso di altra cittadinanza, salvo che ricorrano una serie di condizioni, tra loro alternative e in particolare: che lo status di cittadino sia riconosciuto in via amministrativa o accertato giudizialmente a seguito di domanda presentata prima dell'entrata in vigore del decreto-legge ovvero un genitore, un adottante o un ascendente di primo grado presentino un legame con l'Italia (nascita o residenza per almeno due anni continuativi);
il decreto intende cosi porre argine al moltiplicarsi - nel corso degli ultimi anni - di domande volte all'accertamento della cittadinanza iure sanguinis da parte di persone discendenti da concittadini emigrati all'estero anche molti decenni fa e che non hanno - o non hanno più - un legame effettivo con il nostro Paese; il moltiplicarsi di tali domande ha determinato una situazione di forte sofferenza per gli uffici giudiziari - che, in alcuni distretti di Corte d'appello si sono trovati a dover istruire svariate migliaia di domande di accertamento giudiziale della cittadinanza - e anche per numerosi Comuni, molto spesso piccoli e collocati in aree interne del Paese, non attrezzati a gestire una mole considerevole di procedimenti di riconoscimento della cittadinanza;
la situazione sin qui descritta è nota, tuttavia, da molti mesi; ha avuto notevole risalto sulla stampa e nel dibattito pubblico e ha dato luogo alla sollevazione, da parte di alcuni tribunali, di questioni di legittimità costituzionale delle pertinenti disposizioni della richiamata legge n. 91/1992, al fine di limitare la trasmissibilità della cittadinanza iure sanguinis ai soli casi di effettivo e costante legame con la comunità nazionale;
nonostante ciò, il Governo ha ritenuto di intervenire sulla materia con un decreto-legge; come chiarito dalla Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 146/2024, la carenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza non viene peraltro sanata dall'intervento della legge di conversione;
appare particolarmente grave che una materia di stretto rilievo costituzionale e attinente allo status fondamentale di cittadinanza sia affrontata dal Governo mediante decretazione d'urgenza, anche considerato che risultano già assegnati alle competenti Commissioni parlamentari numerosi disegni di legge di iniziativa parlamentare in materia i quali - se del caso mediante il ricorso alla dichiarazione d'urgenza - avrebbero potuto essere oggetto di approfondita discussione e dibattito in sede parlamentare; tutto al contrario, ricorrendo al decreto-legge, il Governo impone ancora una volta una discussione contingentata su tematiche particolarmente delicate, che incidono direttamente sulla possibilità di accedere a specifiche garanzie costituzionali e diritti legati alla condizione di cittadino e che - data anche la loro estrema delicatezza e complessità giuridica - richiedono di essere affrontate nel tempo più disteso della discussione parlamentare ordinaria;
nel merito, inoltre, il decreto-legge in conversione presenta evidenti profili di incostituzionalità, dal momento che esso incide in modo retroattivo su diritti fondamentali; esso, inoltre, è stato predisposto con negligenza, in quanto fissa la data per una improvvisa e sostanziale revoca dello status di cittadino addirittura due giorni prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni, senza alcun periodo di salvaguardia o anche solo disponendo - come sarebbe doveroso - solo per l'avvenire; in ogni caso, si interviene senza preoccuparsi in alcun modo di ricercare soluzioni intermedie o temporanee, idonee a favorire il bilanciamento di esigenze e interessi contrastanti, ma tutti egualmente rilevanti: infatti, ferma restando la necessità di contrastare le degenerazioni e le pratiche non encomiabili che sono state descritte nelle audizioni, non bisogna tradire le aspettative delle comunità di italiani all'estero che intendono poter trasmettere la cittadinanza ai loro discendenti;
l'adozione del decreto-legge appare dunque del tutto inopportuna e grave e conferma, per l'ennesima volta, la tendenza ormai radicata ad esautorare il Parlamento, privandolo di prerogative fondamentali; tendenza a maggior ragione gravissima, quando vengano in rilievo diritti fondamentali o, come in questo caso, la cittadinanza stessa;
l'abuso della decretazione d'urgenza, per costante affermazione della Corte costituzionale - a partire almeno dalla sentenza n. 171/2007 - incide non solo sul corretto assetto dei rapporti tra Parlamento e Governo e, dunque, sulla tenuta della forma di governo parlamentare, ma ha anche rilevanti ulteriori implicazioni: dal momento che, infatti, la riserva alle Camere della funzione legislativa e la straordinarietà delle deroghe ad essa - come disciplinata dalla Costituzione - appaiono correlate "alla tutela dei valori e diritti fondamentali", l'abuso della decretazione d'urgenza, indebitamente spostando il baricentro della funzione legislativa dal Parlamento al Governo, allontana l'adozione delle norme primarie dall'organo "il cui potere deriva direttamente dal popolo" (C. Cost., sent. n. 171/2007, Cons. dir., par. 3); ciò appare suscettibile di incidere sulla stessa forma di Stato e sulla tenuta di molteplici parametri costituzionali specie quando, come nel caso del decreto-legge in conversione, la materia oggetto di intervento incida su diritti fondamentali quali quelli attinenti allo status di cittadino;
inoltre, discutere in tempi così serrati un intervento particolarmente incisivo sulla tenuta di diritti fondamentali, in una materia caratterizzata da elevata complessità tecnica rischia di condurre all'approvazione di disposizioni poco chiare e di scarsa qualità tecnica, idonee a generare difficoltà sul piano interpretativo e applicativo; ciò può determinare, dunque, un grave vulnus alla qualità sostanziale della legislazione incidendo, in termini generali, sul fondamentale principio di certezza del diritto (implicato, tra gli altri, dall'articolo 3 della Costituzione);
infine, l'apertura così repentina di una discussione parlamentare contingentata nei tempi su un tema - la cittadinanza - che è oggetto di fortissimo interesse nel Paese è un'occasione per e, soprattutto, non risolve il paradosso derivante dal mancato riconoscimento della cittadinanza italiana a centinaia di migliaia di persone minorenni, nate e cresciute in Italia, che ad oggi devono attendere il compimento del diciottesimo anno di età per poter sperare di ottenere, in tempi imprevedibili, il doveroso riconoscimento della cittadinanza;
per questo, sarebbe stato auspicabile e doveroso cogliere l'occasione per avviare un percorso di ampia discussione e confronto parlamentare per affrontare tutti i complessi aspetti legati a una ormai ineludibile revisione dei criteri che - dal 1992 - disciplinano nel nostro Paese il riconoscimento e la concessione della cittadinanza, senza la pressione ingiustificata dei tempi imposti dalla conversione di un decreto-legge e, soprattutto, al riparo da indebiti condizionamenti ideologici,
delibera, ai sensi dell'articolo 93 del Regolamento, di non procedere all'esame del disegno di legge.
________________
(*) Sulla proposta di questione pregiudiziale e su quella presentata in forma orale dalla senatrice Musolino e da altri senatori è stata effettuata, ai sensi dell'articolo 93, comma 5, del Regolamento, un'unica votazione.
Allegato B
Parere espresso dalla 5ª Commissione permanente sul disegno di legge n. 1407
La Commissione programmazione economica, bilancio, esaminato il disegno di legge in titolo, esprime, per quanto di competenza, parere non ostativo.
Parere espresso dalla 5ª Commissione permanente sul disegno di legge n. 1432
La Commissione programmazione economica, bilancio, esaminato il disegno di legge in titolo, esprime, per quanto di competenza, parere non ostativo.
VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA
SEGNALAZIONI RELATIVE ALLE VOTAZIONI EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA
Nel corso della seduta sono pervenute al banco della Presidenza le seguenti comunicazioni:
Disegno di legge n. 1407:
sull'articolo 6, il senatore Guidi avrebbe voluto esprimere un voto favorevole; sull'articolo 7, il senatore Sensi avrebbe voluto esprimere un voto contrario; sulla votazione finale, il senatore Lorefice avrebbe voluto esprimere un voto contrario.
Disegno di legge n. 1432:
sulla votazione della questione pregiudiziale, il senatore Martella avrebbe voluto esprimere un voto favorevole.
Congedi e missioni
Sono in congedo i senatori: Barachini, Bongiorno, Borgonzoni, Butti, Calenda, Castelli, Cattaneo, Cosenza, D'Elia, De Poli, Durigon, Fazzolari, Garavaglia, Iannone, La Pietra, Leonardi, Meloni, Mirabelli, Monti, Morelli, Nastri, Orsomarso, Ostellari, Pera, Rauti, Rubbia, Segre, Sisto e Turco.
Sono assenti per incarico avuto dal Senato i senatori: Craxi, Delrio e Mieli, per attività della 3ª Commissione permanente; Borghi Claudio, Borghi Enrico, Ronzulli e Scarpinato, per attività del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica; Floridia Aurora e Spinelli, per attività dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa; Castellone, De Cristofaro e Losacco, per attività dell'Assemblea parlamentare della NATO.
Commissioni permanenti, trasmissione di documenti
È stata trasmessa alla Presidenza la risoluzione della 6a Commissione permanente (Finanze e tesoro), approvata nella seduta del 13 maggio 2025, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento, sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive (UE) 2022/2464 e (UE) 2024/1760 per quanto riguarda le date a decorrere dalle quali gli Stati membri devono applicare taluni obblighi relativi alla rendicontazione societaria di sostenibilità e al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (COM(2025) 80 definitivo) e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2006/43/CE, 2013/34/UE, (UE) 2022/2464 e (UE) 2024/1760 per quanto riguarda taluni obblighi relativi alla rendicontazione societaria di sostenibilità e al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (COM(2025) 81 definitivo) (Doc. XVIII, n. 18).
Il predetto documento è trasmesso, ai sensi dell'articolo 144, comma 2, del Regolamento, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Presidente della Camera dei deputati nonché, ai sensi dell'articolo 144, comma 2-bis, del Regolamento, ai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio dell'Unione europea e della Commissione europea.
Disegni di legge, annunzio di presentazione
Senatori Della Porta Costanzo, Zedda Antonella, Sigismondi Etelwardo, Russo Raoul, Pellegrino Cinzia, Terzi Di Sant'Agata Giuliomaria, Rapani Ernesto, Spinelli Domenica, Rosa Gianni, Melchiorre Filippo
Introduzione di misure volte al contrasto del fenomeno della violenza nei confronti degli ufficiali di gara in occasione di manifestazioni sportive (1488)
(presentato in data 13/05/2025);
senatori Scurria Marco, Terzi Di Sant'Agata Giuliomaria, Sigismondi Etelwardo, Russo Raoul
Disposizioni in materia di targhe per autovetture di consolati onorari (1489)
(presentato in data 13/05/2025);
senatori Mennuni Lavinia, Rastrelli Sergio, Russo Raoul, Pellegrino Cinzia
Disposizioni in materia di promozione della lettura nelle scuole e nelle biblioteche scolastiche (1490)
(presentato in data 14/05/2025);
senatori Tubetti Francesca, Menia Roberto, De Carlo Luca, Russo Raoul, Spinelli Domenica, Rapani Ernesto, Farolfi Marta, Rastrelli Sergio, Pellegrino Cinzia, Sigismondi Etelwardo, Melchiorre Filippo
Disposizioni per la salvaguardia del patrimonio storico-culturale legato alla guerra fredda sul Monte Sabotino (1491)
(presentato in data 14/05/2025);
senatori Guidolin Barbara, Mazzella Orfeo, Pirro Elisa, Patuanelli Stefano, Croatti Marco, Nave Luigi, Naturale Gisella, Cataldi Roberto, Lorefice Pietro, Lopreiato Ada, Castellone Maria Domenica, Marton Bruno
Fondo per la conciliazione della vita lavorativa e familiare del personale del Servizio sanitario nazionale pubblico (1492)
(presentato in data 14/05/2025).
Disegni di legge, assegnazione
In sede redigente
1ª Commissione permanente Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione
Sen. Zanettin Pierantonio
Modifica all'articolo 81 della legge 1° aprile 1981, n. 121, in materia di collocamento in aspettativa degli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative (181)
previ pareri delle Commissioni 5ª Commissione permanente Programmazione economica, bilancio, 10ª Commissione permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale
(assegnato in data 14/05/2025);
2ª Commissione permanente Giustizia
Sen. Pellegrino Cinzia, Sen. Mancini Paola
Modifiche alla legge 9 gennaio 2006, n. 7, e al codice penale, in materia di prevenzione e divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile (1389)
previ pareri delle Commissioni 1ª Commissione permanente Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione, 5ª Commissione permanente Programmazione economica, bilancio, 7ª Commissione permanente Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica, ricerca scientifica, spettacolo e sport, 10ª Commissione permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale
(assegnato in data 14/05/2025);
6ª Commissione permanente Finanze e tesoro
Sen. Crisanti Andrea
Disposizioni in materia di TARI per i cittadini residenti all'estero (1453)
previ pareri delle Commissioni 1ª Commissione permanente Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione, 3ª Commissione permanente Affari esteri e difesa, 5ª Commissione permanente Programmazione economica, bilancio, Commissione parlamentare questioni regionali
(assegnato in data 14/05/2025);
9ª Commissione permanente Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare
Sen. De Cristofaro Peppe
Disposizioni in materia di raccolta, coltivazione e commercializzazione dei tartufi (1476)
previ pareri delle Commissioni 1ª Commissione permanente Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione, 2ª Commissione permanente Giustizia, 4ª Commissione permanente Politiche dell'Unione europea, 5ª Commissione permanente Programmazione economica, bilancio, 6ª Commissione permanente Finanze e tesoro, 8ª Commissione permanente Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica, 10ª Commissione permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, Commissione parlamentare questioni regionali
(assegnato in data 14/05/2025);
10ª Commissione permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale
Sen. Mazzella Orfeo
Istituzione dell'Albo nazionale degli informatori scientifici del farmaco e del parafarmaco (1254)
previ pareri delle Commissioni 1ª Commissione permanente Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione, 5ª Commissione permanente Programmazione economica, bilancio
(assegnato in data 14/05/2025);
10ª Commissione permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale
Dep. Pella Roberto
Disposizioni per la prevenzione e la cura dell'obesità (1483)
previ pareri delle Commissioni 1ª Commissione permanente Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione, 5ª Commissione permanente Programmazione economica, bilancio, 7ª Commissione permanente Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica, ricerca scientifica, spettacolo e sport, 8ª Commissione permanente Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica, 9ª Commissione permanente Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare, Commissione parlamentare questioni regionali
C.741 approvato dalla Camera dei deputati (assorbe C.1509)
(assegnato in data 14/05/2025).
In sede referente
3ª Commissione permanente Affari esteri e difesa
Sen. Scalfarotto Ivan ed altri
Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi:
a) Accordo di partenariato strategico tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e il Canada, dall'altra, fatto a Bruxelles il 30 ottobre 2016;
b) Accordo economico e commerciale globale tra il Canada, da una parte, e l'Unione europea e i suoi Stati membri, dall'altra, con Allegati, fatto a Bruxelles il 30 ottobre 2016, e relativo strumento interpretativo comune (1440)
previ pareri delle Commissioni 1ª Commissione permanente Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione, 2ª Commissione permanente Giustizia, 4ª Commissione permanente Politiche dell'Unione europea, 5ª Commissione permanente Programmazione economica, bilancio, 6ª Commissione permanente Finanze e tesoro, 7ª Commissione permanente Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica, ricerca scientifica, spettacolo e sport, 8ª Commissione permanente Ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica, 9ª Commissione permanente Industria, commercio, turismo, agricoltura e produzione agroalimentare, 10ª Commissione permanente Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale
(assegnato in data 14/05/2025).
Disegni di legge, presentazione del testo degli articoli
In data 14/05/2025 la 1ª Commissione permanente Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione ha presentato il testo degli articoli proposti dalla Commissione stessa, per il disegno di legge: "Conversione in legge del decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, recante disposizioni urgenti in materia di cittadinanza" (1432)
(presentato in data 28/03/2025)
Governo, trasmissione di atti e documenti
La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 13 maggio 2025, ha inviato, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni e integrazioni, le comunicazioni concernenti il conferimento dei seguenti incarichi:
- alla dottoressa Paola Noce, il conferimento di incarico di funzione dirigenziale di livello generale nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze;
- al dottor Giulio Puccio, il conferimento di incarico di funzione dirigenziale di livello generale nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze;
- alla dottoressa Angela Salvini, il conferimento di incarico di funzione dirigenziale di livello generale nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze;
- al dottor Gianluca Siviero, il conferimento di incarico di funzione dirigenziale di livello generale nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze;
- alla dottoressa Anna Maria Carfora, il conferimento di incarico di funzione dirigenziale di livello generale nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze.
Tali comunicazioni sono depositate presso il Servizio dell'Assemblea, a disposizione degli onorevoli senatori.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 13 maggio 2025, ha inviato, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 25 febbraio 1999, n. 66, le relazioni d'inchiesta relative ai seguenti incidenti aerei:
- incidente occorso all'elicottero Robinson R66 marche di identificazione RA-07370, a 6NM Sud Ovest dell'isola di Gorgona, il 22 luglio 2019 (Atto n. 777);
- inconveniente grave occorso all'aeromobile Airbus A 319 marche di identificazione G-EZBO, sull'aeroporto di Roma Fiumicino, il 29 aprile 2011 (Atto n. 778).
-
La predetta documentazione è trasmessa, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 8a Commissione permanente.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 2 maggio 2025, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, del decreto-legge 14 giugno 2021, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2021, n. 109, la relazione sull'attività svolta dall'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, riferita all'anno 2024.
Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 1a Commissione permanente (Doc. CCXVIII, n. 4).
Con lettera in data 12 maggio 2025, il Ministero dell'interno, in adempimento a quanto previsto dall'articolo 141, comma 6, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ha comunicato gli estremi dei decreti del Presidente della Repubblica concernenti lo scioglimento del consiglio comunale di Castelfranci (Avellino).
Corte dei conti, trasmissione di relazioni sulla gestione finanziaria di enti
Il Presidente della Sezione del controllo sugli Enti della Corte dei conti, con lettere in data 12 e 13 maggio 2025, in adempimento al disposto dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, ha trasmesso le determinazioni e le relative relazioni sulla gestione finanziaria:
dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Centrale, per l'esercizio 2022. Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento, alla 5ª e alla 8a Commissione permanente (Doc. XV, n. 381);
di PagoPA S.p.A., per l'esercizio 2023. Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento, alla 5ª e alla 6a Commissione permanente (Doc. XV, n. 382);
della Società italiana per le imprese all'estero - SIMEST S.p.A., per l'esercizio 2023. Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento, alla 5ª e alla 9a Commissione permanente (Doc. XV, n. 383).
Interrogazioni
VERSACE, BIANCOFIORE - Al Ministro della giustizia. - Premesso che:
la diffusione della violenza di genere e dei femminicidi ha indotto il legislatore a ripetuti interventi volti alla difesa delle persone vulnerabili, come l'allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e, dal 2009, il reato di atti persecutori (detto di stalking);
a seguire, con ulteriori interventi legislativi sul codice penale e di procedura penale, è stata approvata la legge n. 69 del 2019, il "codice rosso", che ha introdotto l'utilizzo dei mezzi tecnici di controllo remoto per il reo, ufficializzando l'utilizzo del "braccialetto elettronico", la cui applicazione è disposta con provvedimento dell'autorità giudiziaria;
purtroppo, pur essendoci diverse norme finalizzate alla prevenzione di atti violenti nei confronti delle donne, sempre più di frequente vengono denunciati femminicidi o tentati femminicidi causati dal mancato o cattivo funzionamento del braccialetto elettronico anti stalking;
malauguratamente, continuano a pervenire molteplici segnalazioni sul cattivo funzionamento, al quale si aggiungono anche le segnalazioni circa il limitato numero dei dispositivi, a fronte di un notevole incremento delle notizie di reato e delle misure cautelari;
infatti, proprio grazie alla modifica apportata con la legge n. 168 del 2023, che ha reso possibile l'utilizzo del braccialetto elettronico anche in caso di maltrattamento e stalking, sono aumentate le richieste di applicazione dei dispositivi, ma, a fronte dell'aumento della richiesta, si sono registrati ritardi nell'adempimento della fornitura da parte della società Fastweb incaricata dal Ministero dell'interno;
si è inoltre aggiunto il problema del mancato o errato funzionamento: sono stati segnalati numerosi casi di "falso allarme" e di disservizio degli apparecchi, a causa di una difettosa copertura della rete che non permette un effettivo controllo della geolocalizzazione;
secondo i dati diffusi dallo stesso Ministero dell'interno il contratto con la società prevedrebbe una disponibilità di 1.200 braccialetti elettronici mensili, che però non vengono distinti per tipologia applicativa, pertanto ciò avrebbe causato un notevole ritardo nella fornitura, nei tempi di applicazione e, quel che è peggio, casi di inadeguata messa a punto dell'apparecchio che ne garantisca il buon funzionamento,
si chiede di sapere:
quante siano le denunce pervenute a causa del malfunzionamento dei braccialetti anti stalking relativamente all'utilizzo per reati legati alla violenza domestica e di genere contro le donne;
quali iniziative immediate il Ministro in indirizzo intenda adottare per garantire una corretta applicazione del dispositivo e il numero necessario di braccialetti elettronici per il contrasto alla violenza di genere;
se ritenga che tale misura alternativa alla detenzione carceraria possa essere ritenuta efficiente per garantire la sicurezza delle vittime.
(3-01892)
BIZZOTTO, TESTOR, TOSATO, BERGESIO, SPELGATTI, DREOSTO, ROMEO - Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. - Premesso che:
il 6 dicembre 2024 il comitato permanente della Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali in Europa ha adottato la proposta dell'Unione europea di modificare lo status di protezione del lupo (Canis lupus) spostando la specie dall'allegato IV della Convenzione, relativo alle specie di fauna "rigorosamente protette", all'allegato V, specie di fauna "protette";
l'8 maggio scorso il Parlamento europeo ha approvato tale proposta, allineando lo status di protezione dei lupi alla Convenzione di Berna, consentendo agli Stati membri di disporre di una maggiore flessibilità nella gestione delle popolazioni di lupi, al fine di migliorare la coesistenza con gli esseri umani e ridurre al minimo l'impatto della crescente presenza di lupi in Europa;
negli ultimi decenni la popolazione di lupi è cresciuta notevolmente e ancora oggi è in fase di espansione; la popolazione di lupo in Italia, come certificato dai dati ISPRA 2023, negli ultimi decenni è passata da poche centinaia di esemplari ad oltre 3.300 esemplari, facendo dell'Italia il Paese dell'Unione europea con più lupi;
l'azione di conservazione e ripopolamento del lupo ha rappresentato in passato un passaggio importante per il mantenimento della biodiversità in una fase in cui la specie risultava effettivamente minacciata; tuttavia oggi risulta urgente e prioritario adottare adeguate misure di gestione che garantiscano l'incolumità dell'uomo e che tutelino le attività produttive, in particolare le attività zootecniche, pesantemente minacciate e danneggiate dalle scorribande dei lupi che provocano vere e proprie stragi di bestiame;
il Gruppo Lega Salvini Premier si è sempre impegnato, in ambito europeo e nazionale, per la modifica della direttiva "Habitat" e il declassamento dello status di protezione del lupo, al fine di garantire una gestione equilibrata del lupo e di tutelare, in primis, la sicurezza della popolazione e delle attività produttive e turistiche di montagna;
grazie ad un intervento emendativo della Lega, recentemente approvato, all'Atto Camera n. 2126 sulle disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane, sarà possibile, una volta completato l'iter del declassamento a livello europeo, adeguare automaticamente tale misura a livello nazionale,
si chiede di sapere come e con quale tempistica il Ministro in indirizzo voglia procedere al recepimento della modifica alla direttiva "Habitat", una volta approvata in sede europea, adeguando la normativa nazionale ad essa riferita, in linea con l'emendamento approvato alla Camera al disegno di legge recante "disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane", delegando alle Regioni e alle Province autonome la gestione del lupo con i conseguenti e necessari piani di contenimento.
(3-01893)
CUCCHI, DE CRISTOFARO - Al Ministro della giustizia. - Premesso che:
gli ultimi dati dicono che attualmente in carcere ci sono 62.487 persone detenute, a fronte di una capienza regolamentare di 51.280 posti, di cui 4.488 non disponibili: ciò significa che il tasso di affollamento ha superato il dato medio di 133 per cento, con picchi di oltre il 200 per cento. Rispetto al 2024 i detenuti sono 1.200 in più e la situazione, in tempi in cui la creazione di nuovi reati sembra essere una priorità per il Governo, in assenza di immediati provvedimenti, non potrà che peggiorare ulteriormente;
lo stato del sistema penitenziario minorile non è migliore: se a ottobre 2022, momento in cui si è insediato l'attuale Governo, le carceri minorili ospitavano 392 persone, del tutto in linea con il dato immediatamente precedente la pandemia, già un anno dopo l'entrata in vigore del cosiddetto decreto Caivano, i ragazzi nelle carceri minorili erano 569. Oggi si assiste ad una situazione di sovraffollamento consolidata. La capienza di tutti gli IPM è pari a 559 posti, ma i giovani presenti nelle carceri minorili sono più di 620. Le condizioni di detenzione all'interno della maggioranza degli istituti sono critiche, a parere di tutti gli osservatori: molte strutture versano in condizioni fatiscenti e non garantiscono la disponibilità di servizi minimi come acqua e riscaldamenti;
la situazione è gravissima. A dimostrarlo non sono solo i numeri sui suicidi: il 2024 è stato l'anno record per numero di suicidi in carcere, da quando il dato viene rilevato nelle statistiche ministeriali (oltre 30 anni) e nei primi 4 mesi del 2025 si è già superato i 30 casi. Ma a dirlo sono anche le lettere che quotidianamente riceve la prima firmataria del presente atto, di familiari disperati perché uno dei propri cari (affetto da una o più patologie psichiatriche e destinatario di un provvedimento che lo collocherebbe in una struttura apposita nella quale possa essere curato) è invece trattenuto insieme ai detenuti comuni, senza che gli vengano somministrate le cure appropriate. Sono malati dimenticati in carcere, cui vengono somministrati fortissimi psicofarmaci senza alcuna possibilità di guarigione e tanto meno di reinserimento, che spesso divengono vittime a loro volta, ultimi fra gli ultimi. Il sistema delle REMS, criticato già apertamente dalla Corte costituzionale, si dimostra del tutto inadeguato. Le 32 strutture REMS oggi esistenti in Italia dispongono di appena 630 posti letto: troppo pochi rispetto alle necessità, ne occorrerebbero almeno il doppio. E anche così non si riuscirebbe ad assorbire il numero delle persone in lista d'attesa, che sono più di 750;
in questo contesto, il ritardo di mesi sulla nomina del nuovo capo del DAP conferma quanto già dimostrato con l'approvazione del nuovo piano carceri, che, privo delle adeguate risorse, si è rivelato solo un modo per finanziare l'ennesima struttura tecnica al servizio del commissario straordinario: a parere degli interroganti, non è con la costruzione di nuove strutture detentive che si risolve il problema del sovraffollamento; tanto meno finanziando la realizzazione di celle prefabbricate secondo il modello "Albania", rivelatosi fallimentare, incostituzionale oltre che costosissimo,
si chiede di sapere quali iniziative urgenti il Ministro in indirizzo intenda intraprendere per far fronte alla disastrosa situazione del sistema penitenziario, con specifico riferimento all'emergenza carceraria per adulti, per minori e per la detenzione di persone affette da patologie psichiatriche o dipendenze.
(3-01894)
BERRINO, MALAN, SISLER, RASTRELLI, SALLEMI, CAMPIONE, RAPANI, SILVESTRONI - Al Ministro della giustizia. - Premesso che:
il Consiglio nazionale forense ha presentato, nel corso dell'agorà dei presidenti degli ordini e delle unioni, il 29 aprile 2025, una proposta di riforma dell'ordinamento forense, elaborata in collaborazione con gli ordini professionali e le associazioni rappresentative della categoria;
si tratta di una proposta di riforma strutturale della disciplina della professione forense volta ad affermare l'autonomia, la rappresentatività e la funzione pubblica dell'avvocatura, che riveste un ruolo fondamentale nella cultura della giurisdizione;
tra le novità si annoverano la regolamentazione della monocommittenza e dei rapporti di collaborazione continuativa, la compatibilità con altre attività, il tirocinio ed esame di Stato;
considerato che:
l'articolo 24 della Costituzione sancisce e assicura a tutti i cittadini il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, un diritto inviolabile e universale che costituisce il fulcro di ogni ordinamento fondato sullo stato di diritto;
l'avvocatura è posta a garanzia di questo alto principio costituzionale e, in quanto tale, deve essere dotata degli strumenti necessari a tale figura istituzionale nel delicato ruolo attribuitole;
risultano depositati in Parlamento diversi progetti di legge volti all'inserimento nella Costituzione della figura dell'avvocato come presidio della giurisdizione, garante del diritto di difesa, costituzionalmente riconosciuto,
si chiede di sapere quali siano le valutazioni del Ministro in indirizzo sui punti salienti e sulle finalità della proposta di riforma della professione forense e sul possibile inserimento della figura dell'avvocato all'interno della Carta costituzionale.
(3-01895)
BOCCIA, MISIANI, IRTO, MARTELLA - Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. - Premesso che:
la situazione dello stabilimento ex ILVA di Taranto è estremamente preoccupante: fino allo scorso 7 maggio 2025 erano in funzione solo due altiforni su cinque; la produzione è ai minimi storici e le misure in favore delle imprese dell'indotto, gravemente danneggiate dall'avvio della seconda procedura di amministrazione straordinaria, sono risultate gravemente insufficienti; non di rado si registrano picchi di emissioni nocive e, sotto il profilo occupazionale, vige una generale incertezza rispetto al futuro dei lavoratori;
il 7 maggio si è verificato un incendio all'interno dell'altoforno 1 che, fortunatamente, non ha causato ferimenti o decessi tra gli addetti presenti sul luogo;
secondo una nota di Acciaierie d'Italia, "si è verificata un'emissione non controllata in atmosfera, causata da un'anomalia improvvisa a un elemento del sistema di raffreddamento dell'impianto" e conseguentemente "la fuoriuscita di coke, che ha raggiunto il piano delle tubiere e l'area sottostante";
tuttavia, alcuni osservatori hanno avanzato l'ipotesi che l'incidente possa essere conseguenza diretta della riattivazione dell'altoforno, avvenuta appena lo scorso ottobre 2024 secondo procedure ancora non accertate e potenzialmente difformi da quelle standard;
l'incidente ha portato al sequestro probatorio senza facoltà d'uso dell'altoforno e all'apertura di un'indagine per i reati di delitti colposi di danno (ex art. 449 del codice penale) e getto pericoloso di cose (ex art. 674);
l'incendio, peraltro, sarebbe all'origine del presunto passo indietro compiuto dai vertici della Baku steel company rispetto alle operazioni di acquisizione degli stabilimenti siderurgici ex ILVA;
a fronte dell'incidente, il 13 maggio Acciaierie d'Italia ha comunicato alle parti sociali la richiesta di cassa integrazione per 3.926 lavoratori, di cui 3.538 nello stabilimento di Taranto, 178 del sito di Genova, 165 di Novi Ligure (Alessandria) e 45 di Racconigi (Cuneo), ossia circa il doppio rispetto ai livelli attuali e un migliaio in più della quota autorizzata nell'ambito del piano di ripartenza;
gli impianti ex ILVA operano, sin dall'agosto 2023, termine di scadenza dell'autorizzazione integrata ambientale, in regime di proroga;
attualmente, è in corso una procedura di riesame con valenza di rinnovo dell'autorizzazione relativa all'impianto siderurgico di Taranto;
in particolare, l'istanza presentata dal gestore riguarda il funzionamento dello stabilimento siderurgico per una produzione di 6 milioni di tonnellate all'anno di acciaio, per un periodo di 12 anni, mediante l'utilizzo di tre altiforni e due acciaierie;
secondo quanto appreso dagli organi di stampa, il gruppo istruttore del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica avrebbe formulato ben 477 prescrizioni ambientali e circa 700 adempimenti complessivi nel parere istruttorio conclusivo della nuova autorizzazione integrata ambientale (per costi superiori al miliardo di euro), essenziali per avere "un quadro cautelativo dal punto di vista ambientale e sanitario". Viene precisata, inoltre, la necessità di "una serie di approfondimenti e l'implementazione di un monitoraggio permanente ambientale e sanitario, da sviluppare in sinergia con gli enti territoriali, oltre a una serie di misure di ottimizzazioni impiantistiche e gestionali con un approccio di miglioramento continuo basato su dati misurati";
su parte di queste prescrizioni sarebbero state eccepite obiezioni dal gestore, che ha a sua volta formulato osservazioni attualmente all'esame del Ministero;
l'esame ha comportato il differimento della conferenza dei servizi, già rinviata dal 5 al 13 maggio, al prossimo 21 maggio;
alla luce dell'incendio, e considerata l'impossibilità di rimettere in funzione l'altoforno 1 in tempi ristretti, è plausibile attendersi un riavvio delle procedure di rinnovo dell'autorizzazione;
nel 2026 si chiuderà il regime di esenzione dal mercato UE dei "certificati verdi" per l'ex ILVA che, di conseguenza, dovrà affrontare i costi aggiuntivi per l'acquisto di tali certificati, con il rischio di un ulteriore impatto negativo sulla sua competitività;
l'obiettivo della decarbonizzazione, in favore del quale negli ultimi anni sono state individuate risorse e avviati progetti (anche nell'ambito del PNRR), sembra essere passato in secondo piano, così come la contestuale e graduale chiusura dell'area a caldo,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda rendere note nel dettaglio le prescrizioni formulate dal gruppo istruttorio del Ministero al gestore nell'ambito del rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale in corso per gli stabilimenti ex ILVA, i costi economici dei relativi adempimenti, nonché i soggetti su cui ricadono tali oneri;
se intenda chiarire le ragioni per cui la procedura di rinnovo in corso non prevede impegni perentori in materia di riconversione degli impianti produttivi e il motivo per cui si intende avallare un periodo tanto esteso di validità dell'autorizzazione stessa;
se intenda, alla luce dell'incendio avvenuto lo scorso 7 maggio, intraprendere le opportune iniziative al fine di riavviare la procedura di rinnovo dell'autorizzazione per gli stabilimenti ex ILVA;
se e quali iniziative di propria competenza intenda intraprendere, anche nell'ambito delle operazioni di vendita degli stabilimenti siderurgici, per garantire in tempi ragionevolmente brevi la transizione ecologica degli impianti produttivi ex ILVA.
(3-01896)
PAITA, BORGHI Enrico, RENZI, SCALFAROTTO, SBROLLINI, MUSOLINO, FREGOLENT, FURLAN - Al Ministro della giustizia. - Premesso che:
con la legge 24 novembre 2023, n. 168, recante disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, all'articolo 12 si è rafforzato l'utilizzo dello strumento dei "braccialetti elettronici", prevedendo che l'attivazione di tale misura avvenga obbligatoriamente nei casi di provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare, con la contestuale prescrizione di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri;
rispetto all'attivazione dei "braccialetti elettronici", a dicembre 2023 il numero di braccialetti attivi era 5.695, già decisamente in crescita rispetto ai 3.357 del 2022 e ai 2.808 del 2021: di questi, 5.695, circa un quinto, ovvero 1.018, era utilizzato per casi di stalking. Alla fine del 2024 i braccialetti elettronici attivi in Italia erano 10.458, di cui 4.677 con funzione anti stalking;
organi di stampa riferiscono come recenti femminicidi siano stati commessi nonostante fossero stati adottati e applicati i braccialetti elettronici, mettendo in risalto come non tutti questi strumenti siano correttamente funzionanti, a causa dei persistenti problemi di connessione;
diverse testimonianze, riportate dagli organi di stampa, hanno infatti raccontato come alcuni dispositivi presentino problemi tecnici come la scarsa durata della batteria, nonché il surriscaldamento della batteria; una scarsa ricezione del segnale in diverse zone del Paese; la mancanza dell'avviso di pericolo nelle vicinanze, nonché il ritardo dello stesso; mentre sono stati segnalati anche diversi casi di falsi allarmi: le negligenze del sistema operativo e dei software che governano il funzionamento dei dispositivi elettronici si sono verificate anche in recenti casi di femminicidio del nostro Paese, come quelli avvenuti tra settembre e ottobre 2024, dove tre donne in meno di un mese sono state uccise anche a causa del malfunzionamento dei braccialetti;
dopo gli inaccettabili casi di femminicidio legati, altresì, al non corretto funzionamento dei dispositivi elettronici, è necessario sapere quali azioni, da ottobre 2024 ad oggi, siano state messe in atto da parte del Ministro in indirizzo al fine di risolvere definitivamente il malfunzionamento dei braccialetti elettronici anti stalking,
si chiede di sapere quali azioni, da ottobre 2024 ad oggi, il Ministro in indirizzo abbia messo in atto al fine di risolvere i persistenti problemi legati al funzionamento dei braccialetti elettronici anti stalking, i quali mettono in serio pericolo le donne vittime di violenza e stalking come alcuni tristi casi di cronaca hanno testimoniato.
(3-01897)
GASPARRI, TREVISI, DAMIANI, DE ROSA, FAZZONE, GALLIANI, LOTITO, OCCHIUTO, PAROLI, RONZULLI, ROSSO, SILVESTRO, TERNULLO, ZANETTIN - Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. - Premesso che:
il decreto ministeriale n. 127 del 2024 ha disciplinato i criteri per la cessazione della qualifica del rifiuto (detto "end of waste") per i rifiuti inerti da costruzione e demolizione, ma anche altri rifiuti inerti di origine minerale (riportati in specifica tabella del decreto stesso con i relativi codici europei identificativi) ed ha rappresentato un notevole traguardo nello sviluppo dell'economia circolare per questo importante settore;
gli operatori e le autorità competenti evidenziano, tuttavia, alcuni aspetti applicativi per i quali sarebbero utili necessari indirizzi uniformi e in uno spirito di semplificazione;
permangono, infatti, alcuni dubbi interpretativi, in particolare sul campo stesso di applicazione del decreto che, se non risolti, rischiano di mettere in capo a molti operatori adempimenti molto difficilmente realizzabili e di creare, quindi, seri problemi ad alcune filiere di riciclo dei rifiuti da anni esistenti (ad esempio terre da bonifica, scorie metallurgiche, terre da spazzamento strade, scorie da incenerimento di rifiuti urbani, altri rifiuti da C&D);
in particolare, sarebbe necessario avere chiare indicazioni sull'applicazione del comma 2 dell'art. 1 del decreto ministeriale che, per meglio circoscriverne l'ambito applicativo, specifica che: "Le operazioni di recupero finalizzate alla cessazione della qualifica di rifiuto aventi a oggetto in tutto o in parte rifiuti non elencati nell'Allegato 1, Tabella 1, punti 1 e 2, del presente regolamento ovvero rifiuti elencati in tale allegato e destinati a scopi specifici differenti rispetto a quelli previsti dall'articolo 4, sono soggette al rilascio o al rinnovo delle autorizzazioni ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 3, del medesimo decreto legislativo";
mentre non sembrano sussistere particolari dubbi interpretativi in merito all'ipotesi in cui le operazioni di recupero non abbiano ad oggetto, in tutto, rifiuti non rientranti nel campo di applicazione del citato decreto, si chiedono informazioni in merito ai criteri da applicare laddove le medesime operazioni abbiano ad oggetto, solo in parte, rifiuti non rientranti nel campo di applicazione del decreto;
la conseguenza di un'errata interpretazione ed estesa applicazione dei criteri analitici del decreto ministeriale n. 127 del 2024 (vedi test di eluizione) a rifiuti non esplicitamente ricompresi nel decreto stesso porterebbe ad un'immotivata discriminazione di tutti i processi di recupero avanzati e consolidati in essere da anni e che hanno consentito il raggiungimento di percentuali di recupero tra le più elevate d'Europa. Peraltro la disapplicazione di quanto ad oggi autorizzato come "end of waste", sulla base di tale semplicistico approccio, porterebbe ad una svalutazione complessiva di sistemi di valutazione tecnica avanzati: ecotossicologia, analisi di rischio secondo scenari di utilizzo, sono alcuni esempi peraltro attuati anche nelle più evolute realtà europee e a conferma si ricordano ad esempio la delibera di Giunta della Regione Lombardia n. XI/5224 del 13 settembre 2021 e il parere dell'Istituto superiore di sanità prot. n. 313N/AMPPIA.12 del 9 febbraio 2016. Tale svalutazione condurrebbe ad una modalità di analisi esclusivamente chimica e con set analitico ridotto a cui vengono applicati limiti non rispettabili neppure da materiale in commercio per i medesimi usi (vedi ad esempio il cemento, lo stucco, il gesso che sono le materie prime per la costituzione dei futuri "end of waste");
quanto descritto è inoltre già riassunto nell'articolo 184-ter, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, che indica puntualmente criteri e condizioni "caso per caso" per la cessazione della qualifica di rifiuto,
si chiede di sapere quale sia la posizione del Ministro in indirizzo rispetto alle problematiche esposte.
(3-01898)
LOREFICE - Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. - Premesso che:
il tema dell'adeguato trattamento delle acque reflue è ormai da decenni al centro del dibattito pubblico e con esso ci si confronta ogni giorno: infatti, già nel 1991, l'allora Comunità europea ha riconosciuto la centralità del tema e ha adottato la direttiva 91/271/CE al fine di garantire un adeguato livello di tutela dell'ambiente in Europa;
da allora molti sono stati i passi avanti fatti al riguardo, ma l'Italia non è ancora riuscita a garantire che in tutto il territorio i reflui siano trattati nel rispetto dell'ambiente e di una risorsa, l'acqua, sempre più scarsa e preziosa;
come conseguenza di tale inadeguatezza, l'Italia ha quattro procedure di infrazione aperte sul tema, la n. 2004/2034, la n. 2009/2034, la n. 2014/2059 e la n. 2017/2181, di cui solamente due sono giunte a doppia sentenza: la prima, relativa alla procedura di infrazione n. 2004/2034, secondo un report della Corte dei conti di gennaio 2025, a oggi è costata ai cittadini italiani oltre 210 milioni di euro e, nello stesso report, si prevede che al 2030, termine stimato per la chiusura di questa procedura, arriverà a 300 milioni la somma che lo Stato avrà versato; la seconda, relativa alla procedura n. 2009/2034, giunta a doppia sentenza nel marzo 2025, prevede una somma forfettaria di 10 milioni di euro a carico del nostro Paese, cui vanno aggiunti 14 milioni a semestre fino al completo superamento della procedura;
in aggiunta, per la procedura n. 2017/2181, il 28 marzo 2024 la Commissione europea ha deciso di deferire il nostro Paese alla Corte di giustizia, facendo un ulteriore passo verso altre sanzioni pecuniarie;
considerato che:
per affrontare questa drammatica situazione, nel 2017 è stato nominato un commissario straordinario con il compito di sanare tutti gli agglomerati oggetto delle procedure di infrazione e giungere così alla chiusura dei relativi contenziosi con l'Unione;
nonostante le irregolarità riguardino tutte le regioni, il maggior numero di agglomerati non conformi si trova nel Mezzogiorno del Paese con una netta prevalenza di Sicilia, Campania e Calabria;
inoltre, a questi dati bisogna aggiungere la sempre maggiore scarsità d'acqua causata da una concomitanza di fattori su cui, senza dubbio, primeggia la crisi climatica, ma cui bisogna necessariamente aggiungere gli innumerevoli sprechi dovuti a una rete vetusta che spreca oltre il 42 per cento dell'acqua che viene immessa, con picchi oltre il 50 per cento in regioni quali Sicilia, Sardegna e Basilicata;
la mancanza di un adeguato trattamento delle acque reflue comporta un grave danno a ecosistemi già duramente colpiti dalla crisi climatica e dalle attività antropiche, motivo per cui l'Unione europea sta sanzionando l'Italia sul tema;
valutato che la drammaticità del quadro impone un cambio di marcia nel Paese concentrando i maggiori sforzi nelle regioni del Sud Italia dove la cattiva gestione delle acque si aggiunge a una sempre maggiore siccità, con grave nocumento per la salute degli abitanti e l'economia dei territori,
si chiede di sapere:
quali azioni il Ministro in indirizzo abbia già messo in atto e quali altre azioni intenda mettere in campo per affrontare e trovare soluzioni efficaci, efficienti e tempestive a questa drammatica situazione al fine di invertire la tendenza e uscire prima possibile dalle procedure di infrazione,
se vi siano progetti finanziati con fondi PNRR e, in caso, quale sia lo stato del loro avanzamento e se i relativi lavori possano essere completati entro la scadenza di giugno 2026;
se ritenga che l'operato del commissario e della sua struttura di supporto sia adeguata ad affrontare e trovare soluzioni efficaci, efficienti e tempestive a questa situazione e se ritenga che la sua dotazione finanziaria sia adeguata;
se ritenga ammissibile che una città metropolitana come Catania a oggi non sia completamente dotata di infrastrutture quali reti fognarie, di collettamento e depurazione e se non ritenga opportuno nominare un nuovo commissario solamente per la Sicilia, dove è concentrato il maggior numero di agglomerati oggetto delle procedure di infrazione;
se non ritenga opportuno concentrare maggiori sforzi in quelle regioni in cui insiste il maggior numero di agglomerati oggetto delle procedure di infrazione, in particolare Sicilia, Calabria e Campania;
in che modo e con quali tempistiche il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica monitori l'operato delle Regioni oggetto delle citate procedure di infrazione.
(3-01899)
Interrogazioni con richiesta di risposta scritta
PUCCIARELLI - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Premesso che:
in seguito all'emergenza sanitaria da COVID-19, l'Agenzia delle entrate ha introdotto l'obbligo di prenotazione per l'accesso agli sportelli, limitando o eliminando la possibilità di presentarsi direttamente senza appuntamento;
sebbene tale misura fosse giustificata in un contesto emergenziale, essa è rimasta in vigore anche a distanza di anni dalla fine dello stato di emergenza, senza un reale ritorno alla piena operatività pre pandemia;
questo sistema di prenotazione, che richiede un accesso digitale e una certa dimestichezza informatica, ha creato oggettive difficoltà a numerosi cittadini, in particolare a persone anziane e utenti con bassa alfabetizzazione digitale o privi di dispositivi adeguati;
si registrano, inoltre, ritardi significativi nella disponibilità di appuntamenti, con attese anche di settimane per pratiche urgenti, creando disagi e potenziali danni economici;
l'accesso libero agli sportelli rappresentava una garanzia di equità e tempestività nel rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, soprattutto nei casi in cui l'assistenza telefonica o on line non risulti sufficiente,
si chiede di sapere quali iniziative di propria competenza il Ministro in indirizzo intenda assumere al fine di disporre il ripristino, anche parziale, dell'accesso diretto agli sportelli dell'Agenzia delle entrate senza appuntamento, almeno per alcune categorie di utenti o per fasce orarie dedicate, al fine di garantire maggiore accessibilità, efficienza e inclusività del servizio pubblico fiscale.
(4-02088)
RANDO, ROJC - Al Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica. - Premesso che, a quanto risulta alle interroganti:
il Consiglio comunale di Modena nella seduta del 16 settembre 2024 ha approvato due delibere con le quali stabiliva di non poter esprimere voto favorevole alle istanze di autorizzazione unica per la realizzazione, nei pressi della centrale di Terna di S. Damaso nel comune di Modena, di due impianti di accumulo di energia elettrica (BESS), rispettivamente delle società Uranus S.r.l. e Neptune S.r.l., e delle relative opere connesse;
nella medesima seduta è stata approvata la relazione istruttoria che evidenziava le criticità e gli impatti ritenuti rilevanti dei due impianti, con particolare riferimento alla vicinanza con le residenze esistenti; si riteneva in ogni caso indispensabile un confronto tra le pubbliche amministrazioni in sede di conferenza dei servizi in forma simultanea, ai sensi dell'articolo 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241;
il 17 settembre 2024, di conseguenza, il settore pianificazione del Comune ha trasmesso al Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica le delibere del Consiglio comunale del 16 settembre n. 47 e n. 48, con la richiesta di convocazione della conferenza sincrona, il cui termine di convocazione era fissato al 24 settembre 2024, come da comunicazione di avvio del procedimento;
decorso inutilmente tale termine, il 30 settembre 2024 il Comune di Modena ha provveduto ad inoltrare al Ministero una comunicazione a firma del sindaco, avente ad oggetto la "richiesta di ulteriori chiarimenti in merito all'applicazione del modulo procedimentale della conferenza dei servizi al presente procedimento unico, così come disciplinato dall'articolo 14-bis della legge n. 241 del 1990";
considerato che:
in data 14 novembre 2024, il Comune ha ricevuto dal Ministero, per conoscenza, le comunicazioni inviate alle società Neptune e Uranus, con le quali il Ministero delegava alle società medesime le attività di notifica del vincolo preordinato all'esproprio per l'attuazione dell'ampliamento della stazione di Terna (funzionale alla realizzazione delle due aree di accumulo);
il successivo 18 novembre è stata data comunicazione formale al Ministero, a firma del sindaco, con cui è stato ribadito nuovamente l'obbligo, a carico del Ministero, di provvedere alla convocazione della conferenza dei servizi in modalità sincrona, in virtù dei pareri negativi espressi dal Comune e dall'Agenzia regionale per la prevenzione, l'ambiente e l'energia dell'Emilia-Romagna (ARPAE); contestualmente, sono stati richiesti chiarimenti in merito al procedimento in corso, con particolare riferimento alle procedure di pubblicità, trasparenza e partecipazione necessarie per la procedura di apposizione di un vincolo preordinato all'esproprio;
nella documentazione inviata dal Comune al Ministero si evidenzia come non risulti presente il progetto definitivo o esecutivo dell'opera di interesse pubblico, che costituisce presupposto essenziale per l'avvio del procedimento di esproprio, e che l'assenza di tale documentazione non consente di ottemperare agli obblighi di pubblicità e contradditorio procedimentale, che connotano i procedimenti di variante alla pianificazione vigente ed i procedimenti di esproprio, dando atto dell'impossibilità a procedere;
considerato altresì che:
in data 17 marzo 2025 sono state presentate al Comune ulteriori integrazioni ai progetti. Il successivo 3 aprile, le società interessate hanno inviato un'ulteriore richiesta di incontro per illustrare le modifiche apportate al progetto e valutare la possibilità di eventuali opere compensative;
gli uffici tecnici del Comune di Modena hanno predisposto una comunicazione formale con la quale hanno ribadito e sostenuto le medesime posizioni espresse dal Consiglio comunale;
il Ministero non ha, ad oggi, accolto l'istanza né ha mai risposto alle comunicazioni e richieste inviate, né è stata convocata la conferenza dei servizi in forma simultanea,
si chiede di sapere quali siano le ragioni che hanno determinato la decisione del Ministero di non convocare la conferenza dei servizi e se il Ministro in indirizzo non ritenga di procedere alla convocazione urgente, allo scopo di risolvere le problematiche evidenziate dal Comune di Modena in merito alle significative criticità rilevate, con particolare riferimento alla vicinanza degli impianti di accumulo di energia elettrica alle residenze esistenti.
(4-02089)
FLORIDIA Aurora, SPAGNOLLI, PATTON - Al Ministro dell'istruzione e del merito. - Premesso che:
l'assessore della Provincia autonoma di Bolzano Marco Galateo, competente, tra le varie materie, per l'istruzione e la cultura, nonché secondo vicepresidente della Giunta provinciale, ha pubblicamente attaccato una docente per aver espresso attraverso i propri canali personali sui social network il proprio dissenso nei confronti di alcune sue posizioni e comportamenti istituzionali;
l'assessore ha, infatti, rilanciato sul proprio profilo "Facebook" una serie di screenshot riguardanti post dell'insegnante, non premurandosi di oscurarne il nome e il cognome, altresì accusandola di essere parte di un problema educativo nazionale e di rappresentare una categoria di "insegnanti anarchici", causa di attività radicali e violente;
a ciò hanno fatto seguito, nel medesimo post su Facebook, diversi commenti, mediante i quali l'assessore ha esteso le sue affermazioni a tutto il corpo docente, affermando che "qualche docente pecora nera rovina la categoria", sollecitando, quindi, gli utenti a segnalare altri insegnanti "simili";
tale uso strumentale dei social media ha evidentemente esposto alla pubblica gogna la persona coinvolta per aver espresso le sue opinioni;
considerato che:
tali comportamenti, specie se assunti da un rappresentante delle istituzioni, destano profonda preoccupazione sotto il profilo della compatibilità con i principi costituzionali che disciplinano l'azione pubblica e tutelano i diritti fondamentali della persona;
l'art. 54 della Costituzione stabilisce, infatti, che "i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore", sancendo un vincolo etico e giuridico che impone a ogni titolare di incarico istituzionale di agire con responsabilità, rispetto e sobrietà, in coerenza con i valori democratici;
le modalità con le quali sono state pubblicamente esposte e stigmatizzate singole persone possono, inoltre, apparire lesive della dignità, valore fondante riconosciuto e protetto dall'art. 2 della Costituzione;
l'uso dei social network da parte di rappresentanti delle istituzioni per delegittimare pubblicamente singole persone o categorie professionali, al di fuori di qualsiasi percorso formale, istituzionale o sede competente, rappresenta un elemento fortemente distorsivo del dibattito pubblico, rischiando di comprimere gravemente la libertà di espressione ex art. 21 della Costituzione e l'autonomia del personale scolastico di cui all'art. 33 della Costituzione;
tali condotte, oltre a ledere i diritti individuali, possono contribuire ad alimentare un clima di sospetto, intimidazione e sfiducia nei confronti del personale scolastico e, più in generale, della scuola pubblica, e potrebbero generare episodi di violenza e conseguenze potenzialmente dannose per la coesione sociale e per il corretto rapporto tra cittadine, cittadini e istituzioni scolastiche,
si chiede di sapere
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti;
se non si consideri incompatibile con il ruolo di assessore per l'istruzione una persona che stigmatizza pubblicamente singoli insegnanti e alimenta campagne di delegittimazione ideologica;
quali azioni siano state predisposte o risultino in fase di aggiornamento in merito all'adozione di linee guida o codici di condotta volti a regolamentare l'utilizzo dei social network da parte delle cariche istituzionali, affinché sia sempre rispettoso dei principi costituzionali e dell'etica pubblica;
quali azioni intenda intraprendere per tutelare il personale docente da eventuali abusi e minacce, assicurandone libertà di espressione e rispetto della dignità professionale.
(4-02090)
BEVILACQUA, MARTON, LICHERI Ettore Antonio, PIRONDINI, LOPREIATO, PIRRO, CROATTI, CATALDI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro delle imprese e del made in Italy. - Premesso che Starlink services LLC, società sussidiaria della società Space exploration technologies corporation (SpaceX), fondata, presieduta e amministrata da Elon Musk, imprenditore sudafricano naturalizzato canadese e statunitense, senior advisor presso la seconda amministrazione Trump da gennaio 2025, avrebbe presentato una richiesta di accesso alla banda E (71.0-76.0 GHz e 81.0-86.0 GHz) in Italia per potenziare le comunicazioni tra le sue stazioni di terra e la rete satellitare, come riportato da fonti giornalistiche e confermato da esperti del settore;
considerato che:
il disegno di legge recante "Disposizioni in materia di economia dello spazio", approvato dalla Camera dei deputati il 6 marzo 2025 e attualmente in esame al Senato (AS 1415), all'articolo 26, rubricato "Iniziative per l'uso efficiente dello spettro radioelettrico per comunicazioni via satellite", prevede la promozione di iniziative per l'uso avanzato dello spettro radioelettrico, incluso lo studio di modelli tecnici di coesistenza per ridurre le interferenze tra sistemi spaziali e terrestri, in coerenza con il piano nazionale per l'economia dello spazio, che lo stesso disegno di legge, all'articolo 22, prevede che debba essere adottato dal COMINT (Comitato interministeriale per le politiche relative allo spazio e alla ricerca aerospaziale), sollevando interrogativi su possibili sperimentazioni anticipate rispetto alle normative internazionali;
la Regione Lombardia, attraverso ARIA (Azienda regionale per l'innovazione e gli acquisti), ha pubblicato un bando per la sperimentazione di connettività satellitare ibrida, con scadenza l'11 marzo 2025, cui hanno partecipato operatori tra cui il raggruppamento temporaneo di imprese FiberCop e Fastweb, evidenziando un interesse crescente verso l'integrazione di reti space based e terrestri;
considerato inoltre che esperti del settore hanno espresso preoccupazione circa l'avvio, possibile grazie al citato articolo 26, di sperimentazioni, anche su bande di frequenza finora non utilizzate come la banda E, dell'uso di satelliti Starlink di nuova generazione a potenze superiori rispetto a quelle attualmente consentite dalle regole non modificate dall'Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU) nella conferenza mondiale del 2023. Queste sperimentazioni avrebbero molteplici effetti negativi: consentirebbero infatti a Starlink di anticipare de facto le decisioni ITU rispetto ai limiti di potenza (come peraltro già fatto da Starlink in Romania); creerebbero diritti da "primo arrivato, primo servito" in una banda di frequenze (banda E) ora libera e assegnabile anche a usi innovativi come le "piattaforme d'alta quota" HAPS; consentirebbero a Starlink l'utilizzo sperimentale di possibili localizzazioni e infrastrutture di ricezione terrestre come ad esempio i siti di trasmissione di "Raiway", particolarmente adatti a fungere da stazione di ricezione e collegamento con le reti terresti (fisse e mobili). Questo porrebbe Starlink, grazie all'uso delle infrastrutture di ente a controllo pubblico, in una posizione di vantaggio rispetto a future costellazioni (inclusa la costellazione europea IRIS2), che avessero bisogno di realizzare una propria rete di stazioni riceventi di terra,
si chiede di sapere:
se e quali accordi siano attualmente in essere tra il Governo italiano e le società di Elon Musk, in particolare Starlink, relativamente all'uso della banda E e alle sperimentazioni tecnologiche in Italia;
quali siano le intenzioni del Governo riguardo alla concessione della banda E a Starlink, anche alla luce del suddetto articolo 26 e dell'attuale assenza di un coordinamento europeo sull'armonizzazione dello spettro;
come si collochi il bando di ARIA della Regione Lombardia per la sperimentazione di reti ibride satellitari-terrestri rispetto alle politiche nazionali sullo spettro e al disegno di legge "Disposizioni in materia di economia dello spazio", e se siano previsti interventi per garantire coerenza con gli interessi nazionali;
se abbia provveduto a verificare che nel bando ARIA non siano presenti elementi che consentano l'utilizzo provvisorio e sperimentale, con potenze fuori dai limiti attualmente previsti dalle regole ITU, di bande di frequenze libere quali quelle in banda E o altre bande attualmente non assegnate a operatori satellitari e che non sia previsto l'uso, anche sperimentale e provvisorio, dei siti di trasmissione di Raiway come punti di ricezione di terra dei segnali provenienti dalla costellazione Starlink;
quali iniziative intenda adottare per vigilare sulle attività di Starlink e altri operatori satellitari in Italia, al fine di tutelare la sicurezza nazionale, la concorrenza e la sovranità digitale del Paese.
(4-02091)
Risoluzioni in commissione
GARAVAGLIA - La 6a Commissione permanente,
premesso che:
sulle case di riposo gestite dalle onlus si sta aprendo un contenzioso con i Comuni in merito alla richiesta di pagamento dell'IMU sugli immobili utilizzati per l'attività istituzionale di tipo sociosanitario e assistenziale rivolta ad anziani non autosufficienti da parte di enti autorizzati, accreditati e convenzionati con i servizi sanitari regionali;
la recente sentenza della Cassazione n. 32690 del 2024 afferma che: "non è sufficiente che un immobile sia utilizzato per lo svolgimento di attività assistenziali o sanitarie, in regime di convenzione con il S.S.N. e con tariffe imposte dalla Regione in ossequio ai limiti fissati dal D.P.C.M. 29 novembre 2001 per la compartecipazione percentuale degli utenti ai costi delle prestazioni erogate, in presenza dei requisiti previsti dagli artt. 3 e 4, comma 2, del D.M. 19 novembre 2012, n. 200, da una fondazione senza finalità lucrativa e con carattere di ONLUS";
la Cassazione ha riconosciuto, da una parte, l'esistenza del decreto ministeriale n. 200 del 2012 ma, dall'altra, ha affermato che non basta il rispetto dei requisiti previsti dal decreto stesso per avere diritto all'esenzione IMU;
l'articolo 3 del decreto ministeriale prevede che le attività istituzionali sono svolte con modalità non commerciali quando l'atto costitutivo o lo statuto dell'ente non commerciale prevedono: a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte da legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività, ovvero altre attività istituzionali direttamente specificamente previste dalla normativa vigente; b) l'obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale; c) l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga analoghe attività istituzionali, salvo diversa destinazione imposta dalla legge;
l'articolo 4, riguardante gli ulteriori requisiti, prevede, alla lettera a) del comma 2, che le attività istituzionali, quali quelle assistenziali e sanitarie, si intendono svolte con modalità non commerciali quando esse sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte in ciascun ambito territoriale secondo la normativa vigente in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, e prestano a favore dell'utenza, a condizioni previste dal diritto dell'Unione europea e nazionale, servizi sanitari assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento per la copertura del servizio universale;
in merito alla lettera a), si precisa, quindi, che gli enti non commerciali beneficiano dell'esenzione IMU laddove rispettino i requisiti prescritti dalla norma, indipendentemente da eventuali importi di partecipazione alla spesa da parte dell'utente o dei familiari. In questi casi, infatti, si è in presenza di una forma di cofinanziamento di servizi prevista per legge, in quanto necessaria a garantire "la copertura del servizio universale";
in tutti i casi di accreditamento, contrattualizzazione, convenzionamento di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), nel settore assistenziale-sanitario si è quindi in presenza di attività svolte con modalità non commerciali, a prescindere dalla quota di partecipazione di volta in volta richiesta all'utente e alla sua famiglia;
si può affermare, pertanto, che gli enti non commerciali che svolgono tali attività e che soddisfano tutte le condizioni previste dalla legge non possono essere considerati imprese e, quindi, possano beneficiare dell'esenzione;
i giudici, compresa la Cassazione con la sentenza richiamata, non hanno mai tenuto conto di quanto sopra riportato e tale orientamento sta portando all'assoggettamento all'IMU anche degli immobili istituzionali degli enti non commerciali che svolgono attività sociosanitarie con modalità non commerciali. E il contenzioso comunale è in esponenziale crescita;
considerato che:
gli immobili utilizzati dagli enti del terzo settore per la gestione di servizio sociosanitari (quali residenze sanitarie assistenziali, residenze sanitarie per disabili, centri diurni integrati, comunità alloggio sociosanitarie, centri diurni per disabili, eccetera) attualmente sono classificati nella categoria catastale B/1 così come definita dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1142 del 1949;
il requisito essenziale per l'inquadramento in B/1 è che l'utilizzo dell'immobile sia coerente con una funzione sociale o assistenziale e che non vi sia un'attività imprenditoriale con fini di lucro;
l'Agenzia delle entrate sta emettendo avvisi di accertamento attribuendo a tali immobili la categoria catastale D/4 sostenendo il principio secondo cui tali immobili "potenzialmente" potrebbero generare lucro anche se gestiti da enti no profit. Così facendo, però, si svuoterebbe di contenuto la categoria B/1 perché tutti gli immobili che hanno le caratteristiche richieste per rientrare nella categoria B/1 potenzialmente potrebbero generare lucro;
la discriminante per l'inquadramento in D/4 non può essere che tali enti chiedono una retta a carico dell'ospite quale compartecipazione alla spesa, ad integrazione di quanto rimane invece a carico del servizio sanitario pubblico, in quanto a prescindere tali enti hanno il divieto di distribuire utili ed hanno invece l'obbligo di reinvestirli per il miglioramento della gestione dei servizi. Pertanto, fintanto che questi immobili "potenzialmente produttivi di reddito" vengono gestiti da ETS senza scopo di lucro, si ritiene che la loro corretta classificazione catastale sia la B/1,
impegna il Governo:
1) a recepire, in una norma avente rango di legge, quanto stabilito dalle istruzioni alla dichiarazione IMU degli enti non commerciali che, recependo il decreto ministeriale n. 200 del 2012, chiarisce che al fine di individuare quando un'attività istituzionale sia svolta con modalità non commerciali si rimanda ai requisiti elencati dallo stesso decreto visti in premessa: quelli di carattere generale, enucleati al comma 1 dell'articolo 3, e quelli più specifici esplicati al successivo all'articolo 4, comma 2, lettera a);
2) a chiarire che gli immobili accatastati in categoria B/1 posseduti da enti del terzo settore ed utilizzati per gestire servizi sociosanitari quali residenze per anziani o disabili, centri diurni per anziani o disabili e servizi sanitari quali riabilitazioni o reparti per cure subacute, proprio perché posseduti da enti senza scopo di lucro, non possono in alcun modo essere ricondotti alla categoria catastale D/4 finché vengono utilizzati per gli scopi istituzionali.
(7-00022)
Risoluzioni da svolgere in Commissione
A norma dell'articolo 50 del Regolamento, la seguente risoluzione sarà svolta presso la Commissione permanente:
6ª Commissione permanente (Finanze e tesoro):
7-00022, del senatore Garavaglia, sull'assoggettamento al pagamento IMU degli immobili del terzo settore adibiti a strutture socio-assistenziali.