Legislatura 18 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06385
Azioni disponibili
Atto n. 4-06385
Pubblicato il 20 dicembre 2021, nella seduta n. 388
DE BONIS - Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali e per le pari opportunità e la famiglia. -
Premesso che:
il problema della crisi demografica viene da lontano. Iniziata nella seconda metà degli anni '70 e precipitata nel 2009, la crisi demografica ha condotto a un calo di circa un quarto delle nascite negli ultimi 10 anni (erano più di un milione nel 1964, 576.000 nel 2008, 420.000 nel 2019). Secondo quanto emerge dal bollettino dell'ISTAT, Natalità e fecondità della popolazione residente, nel 2020 i nati sono stati 404.892 (meno 15.000 sul 2019). Il calo (meno 2,5 per cento nei primi 10 mesi dell'anno) si è accentuato a novembre (meno 8,3 per cento rispetto allo stesso mese del 2019) e dicembre (meno 10,7 per cento), mesi in cui si sono cominciate a contare le nascite concepite all'inizio dell'ondata epidemica. Nei primi 9 mesi del 2021 le nascite in Italia sono state 12.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2020, un calo quasi doppio rispetto a quanto osservato tra gennaio e settembre dell'anno precedente. Ancora un record negativo, dunque, per la natalità nel nostro Paese;
il forte calo dei nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, dopo quello già marcato degli ultimi due mesi del 2020, si legge nel Rapporto ISTAT, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall'epidemia. Il crollo delle nascite tra dicembre e febbraio, riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica, poteva essere dovuto al posticipo di pochi mesi dei piani di genitorialità. Tuttavia, dai primi dati disponibili, tale diminuzione sembra l'indizio di una tendenza più duratura in cui il ritardo è persistente o, comunque, tale da portare all'abbandono nel breve termine della scelta riproduttiva;
nel dettaglio, nel nord-ovest, più colpito dalla pandemia durante la prima ondata, a dicembre il calo ha toccato il 15,4 per cento. Il clima di incertezza e le restrizioni relative al lockdown sembrano, dunque, aver influenzato la scelta di rinviare il concepimento. A gennaio 2021 si è rilevata la massima riduzione di nati a livello nazionale (13,6 per cento), con picco nel Sud (meno 15,3 per cento) che è proseguita, in maniera più contenuta, anche a febbraio (meno 4,9 per cento); queste nascite sono, per la quasi totalità, riferibili ai concepimenti di aprile e maggio 2020;
per quanto riguarda il numero dei figli, sempre secondo il Rapporto ISTAT, è stato di 1,17 il numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana, il dato più basso di sempre. Il numero medio di figli per donna italiana si è registrato in calo al nord (da 1,16 a 1,14) e in egual misura nel Mezzogiorno (da 1,23 a 1,21). È rimasto, invece, stabile al centro (1,11). Al nord a detenere il primato della fecondità delle italiane vi è sempre la Provincia autonoma di Bolzano (1,62) seguita dalla provincia di Trento (1,27). Tra le regioni del centro, il livello più elevato si è osservato nel Lazio (1,13), mentre nel Mezzogiorno il picco si è registrato in Sicilia (1,30) e Campania (1,28); in Sardegna si è registrato il valore minimo pari a 0,94, ancora in diminuzione rispetto allo 0,97 del 2019;
rispetto al 1995, continua ancora il Rapporto ISTAT, nel 2020 l'età media al parto in Italia è aumentata di oltre due anni, raggiungendo i 32,2 anni; in misura ancora più marcata è cresciuta anche l'età media alla nascita del primo figlio, che si è attestata a 31,4 anni nel 2020 (oltre 3 anni in più rispetto al 1995). Confrontando i tassi di fecondità per età del 1995, del 2010 (italiane e totale residenti) e del 2020 (italiane e totale residenti) si è osservato uno spostamento della fecondità verso età sempre più mature. Rispetto al 1995, i tassi di fecondità sono cresciuti nelle età superiori a 30 anni, mentre sono continuati a diminuire tra le donne più giovani. Questo fenomeno è ancora più accentuato considerando le sole cittadine italiane per le quali, confrontando la fecondità del 2020 con quella del 2010, il recupero della posticipazione si è osservato solo a partire dai 38 anni;
considerato che:
l'allarme denatalità non è certamente nuovo in Italia, ma l'accelerazione del fenomeno, nel vedere nero su bianco certi numeri, fa decisamente un certo effetto e aiuta a ricordare che la questione non si esaurisce nel riportarla per alcuni giorni in prima pagina, con qualche dichiarazione di buoni intenti, per poi ritornare tutto come prima. L'interrogante ritiene che servano azioni concrete che aiutino a invertire la rotta, altrimenti, come ha ricordato il Presidente dell'ISTAT, nel giro di qualche decennio l'Italia sarà un Paese da 32 milioni di abitanti, ovvero, circa la metà di quanti sono ora;
la fecondità bassa e tardiva è l'indicatore più rappresentativo del malessere demografico del Paese. La scelta consapevole e deliberata di non avere figli è poco frequente, mentre è comune la decisione di rinviare nel tempo la realizzazione dei progetti familiari per la difficoltà delle condizioni economiche e sociali. Le donne inoltre vivono il rischio aggiuntivo degli effetti negativi di una possibile maternità, per contratti di lavoro e modelli organizzativi poco tutelanti la genitorialità e la scarsità, oltre che il costo, dei servizi per la prima infanzia. Dai dati dell'Ispettorato del Lavoro emerge che oltre il 70 per cento delle donne che lascia volontariamente il lavoro lo fa a causa della difficoltà a conciliarlo con la maternità e la cura dei figli;
la questione della denatalità è una priorità per il nostro Paese. Fare figli non deve continuare ad essere considerata una scelta privata, ma un investimento da sostenere, sia dal punto di vista economico che sociale, nell'interesse della collettività. I bambini sono un bene comune, la vera ricchezza di un Paese. Un Paese senza bambini è un Paese senza futuro. Diminuiscono i giovani, mentre aumentano gli anziani, il che rende l'Italia uno dei Paesi più vecchi del mondo (al primo gennaio 2020 ci sono 178,4 persone di età superiore a 65 anni ogni 100 giovani con meno di 15 anni);
le soluzioni ci sono. La ripresa della fecondità in Francia o nei Paesi Scandinavi registrata negli ultimi anni ha dimostrato che gli strumenti più efficaci per indurre le coppie ad andare oltre al primo figlio sono politiche finalizzate a facilitare la conciliazione tra famiglia e lavoro ed un rapporto più equilibrato tra i generi, con particolare riguardo ai congedi parentali,
si chiede di sapere:
quali iniziative, che saranno sicuramente supportate dal Parlamento, intendano intraprendere i Ministri in indirizzo, al fine di affrontare in maniera seria un problema molto serio, aggravato dalla pandemia che, innalzando il numero dei morti e aumentando il saldo negativo sulla popolazione, ha determinato anche un impatto psicologico importante sulle scelte riproduttive delle coppie;
se non ritengano che siano estremamente preoccupanti i dati della denatalità riportati nelle premesse e che la questione vada governata e vadano individuate le migliori misure per orientare la tendenza nel verso opposto. Probabilmente si è pensato che il problema della denatalità lo risolvesse l'immigrazione, ma questa deve essere considerata solo un contributo, non la soluzione.