Legislatura 18 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06115
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Atto n. 4-06115
Pubblicato il 19 ottobre 2021, nella seduta n. 368
DE BONIS - Al Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. -
Premesso che:
"La portualità italiana è da sempre affidata a scelte a dir poco discutibili. I vari potentati locali tirano l'acqua ognuno al suo mulino, creando tutto tranne che un sistema interconnesso che risponda ad obiettivi comuni per adeguarsi alla globalizzazione ormai consolidata": è quanto scrive l'ingegner Roberto Di Maria, ricercatore in infrastrutture dei trasporti, in un articolo online su "Calabria.live" del 6 ottobre 2021;
secondo l'ingegnere, il piano nazionale di ripresa e resilienza punta sui porti di Genova e Trieste: a loro milioni di container e ai porti di Gioia Tauro e Taranto restano solo briciole. Anche nel settore della portualità il PNRR dimostra il suo sbilanciamento a favore delle regioni ricche. Eppure solo gli scali del Sud sono alla portata dei convogli ferroviari più lunghi;
"Il tanto decantato PNRR ha cercato di superare la litigiosità e le ambizioni locali in maniera del tutto singolare. Lungi dal creare un unico sistema sinergico della logistica italiana, in grado di competere con lo strapotere nordeuropeo, ha puntato tutto su due porti, relegando la parte rimanente della portualità italiana ad un ruolo del tutto marginale. In tal modo si è concepito un insieme di investimenti che puntano a potenziare Genova e Trieste, mentre ai porti del Sud rimane il compito di dedicarsi al crocierismo e poco altro": insomma, pesca e turismo al Sud, milioni di container al Nord, in perfetta antitesi con i dettami dell'Unione europea che, con il "Recovery Plan", voleva eliminare le diseguaglianze anche all'interno dei singoli Stati;
se non fosse già deciso tutto, e si dovesse valutare il modo di rendere competitiva la logistica italiana, non ci sarebbe alcun dubbio su quali porti privilegiare. Sarebbero certamente quelli meridionali, con preferenza per Taranto e, soprattutto, Gioia Tauro. I due porti, infatti, sono alla portata di treni di sagoma PC/80, vale a dire quella massima, capace di convogliare non soltanto container di qualsiasi tipo, ma anche i TIR posizionati su appositi pianali; i treni, inoltre, potrebbero raggiungere lunghezze prossime ai 750 metri. L'itinerario è quello adriatico (quello tirrenico è stato realizzato più per l'alta velocità che per l'alta capacità) che consente di raggiungere la pianura Padana da Gioia Tauro via Taranto-Bari-Ancona;
secondo una cartina dell'Italia relativa ai "moduli", scrive il ricercatore, appare evidente l'iniquità di chi ha lasciato una discontinuità complessivamente breve (facilmente sanabile grazie a un vecchio progetto di Italferr tra Battipaglia e Sapri, al costo complessivamente modesto di circa 2 miliardi di lire, all'epoca) ostacolando il grande piano di realizzare quella "portualità diffusa" che rappresenta l'unico modo che ha l'Italia per competere con i porti del mare del Nord e, in un prossimo futuro, con quelli dell'emergente sistema greco-adriatico orientale. Analogamente, per portare sulla dorsale adriatica le merci di Gioia Tauro, mancano ancora diverse tratte "trasversali" che sembrano poter essere finanziate col PNRR e il fondo complementare. La loro assenza impedirebbe una reale crescita del grande scalo calabrese;
Genova e Trieste non si trovano nella stessa condizione e soffrono di forti limitazioni nella lunghezza dei convogli (massimo 650 metri). È proprio per questo che ci si è affannati tanto a creare il terzo valico, pur avendo a disposizione già due linee a doppio binario tra la pianura Padana ed il porto ligure. Per un importo di circa 5 miliardi di euro, ovviamente a carico di tutti gli italiani. Ma c'è di più: com'è noto, il porto ligure, a differenza di quelli di Gioia Tauro e Taranto, non può permettere l'attracco delle enormi navi porta container, anche per ragioni di bacino d'utenza;
pertanto, secondo l'ingegner Di Maria, pensare di riprodurre a Genova una struttura paragonabile a quella di Rotterdam è un'illusione. Senza contestare gli stanziamenti miliardari previsti dal PNRR, e nella certezza che sia impossibile completare i lavori per il 2026, bisogna avere la consapevolezza della modestia dei risultati perseguibili. "Invece, per i porti meridionali pronti già oggi a costituire un gateway europeo diffuso, il PNRR prevede pochissimo: elettrificazione delle banchine e qualche ammodernamento impiantistico. Semplicemente ridicolo";
sarebbe bastato avviare un programma di ampio respiro, ponendosi obiettivi che vanno dalla portualità all'aumento dei posti di lavoro nel Sud, dalla crescita sociale allo sviluppo delle mille attività indotte da una rete portuale moderna per legittimare il potenziamento dei retroporti di Gioia Tauro e Taranto, creare un polo logistico di formidabile attrattività, realizzabile in pochi mesi. Si tratterebbe in pratica di materializzare quel progetto, denominato "ALI" che avrebbe messo a sistema anche la Sicilia, tramite il ponte sullo stretto di Messina e la formidabile potenzialità di ormeggio di Augusta, pari alla somma dei due porti citati. Con tanto di interporti già abbondantemente individuati e, in alcuni casi (Nola, Marcianise, Bari Lamasinata) parzialmente realizzati;
in buona sostanza, questo sistema logistico è già operativo: lo dimostra la stessa attività di Gioia Tauro che comincia a formare treni container, adesso che si intravede la possibilità di instradarli su ferro. Il porto calabrese, infatti, è stato appena dotato di un raccordo ferroviario, ovvero da quando sono stati aperti all'esercizio le poche centinaia di metri di ferrovia che lo collegano alla dorsale tirrenica, di cui ci si era "incredibilmente dimenticati per decenni",
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non voglia prendere in considerazione quanto riportato, frutto di studio e ricerche da parte di persone competenti e preparate, che denunciano quanto alcune scelte nazionali siano fallimentari e continuino ad ignorare la parte meridionale della nostra penisola: un enorme molo proteso sul Mediterraneo, mare in cui transita un quarto del traffico mondiale di container; un molo che farebbe del nostro Paese il terminale europeo della nuova via marittima della seta;
se non ritenga che la portualità italiana non debba affidarsi unicamente a Genova e Trieste, porti che da decenni sono decisamente poco in crescita e che per renderli veramente operativi occorrerà non solo aspettare il 2026 ma alimentarli anche con ingenti risorse pubbliche. Non solo il Meridione, ma l'intero Paese perderà inutilmente oltre un lustro per attrezzare due soli porti su cui si è puntato, a giudizio dell'interrogante inspiegabilmente, tutto.