Legislatura 18 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-04151
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Atto n. 4-04151
Pubblicato il 5 ottobre 2020, nella seduta n. 260
DE BONIS - Ai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico. -
Premesso che:
l'interrogante ha appreso da organi di stampa che pochi giorni fa è stato siglato un accordo tra Sogin e Ispettorato per la repressione delle frodi (ICQRF) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per la tracciabilità degli alimenti;
si legge, infatti, nell'agenzia "ANSA" del 24 settembre 2020: "Sviluppare un processo per la tracciabilità dei prodotti agricoli ed agroalimentari in base alla presenza di isotopi naturali al loro interno. È questo l'obiettivo che si pone l'accordo di collaborazione tra l'ICQRF e la SOGIN, la Società Gestione Impianti Nucleari, siglato alla presenza del Sottosegretario Giuseppe L'Abbate. I due enti, infatti, intendono avviare ricerche sperimentali per l'applicazione delle tecniche di derivazione nucleare per verificare l'accuratezza e l'effettività dei requisiti relativi all'origine dei prodotti agricoli ed agroalimentari";
l'accordo, di durata biennale, si pone l'obiettivo di trovare soluzioni innovative a tutela dei produttori di qualità e dei consumatori. Secondo il sottosegretario di Stato, l'obiettivo sarebbe la codificazione di determinate tecniche radiochimiche attraverso l'uso di radionuclidi specifici per proteggere e promuovere alimenti a valore aggiunto, ovvero attraverso la determinazione del rapporto di taluni isotopi in elementi come idrogeno, ossigeno e carbonio e la misura della concentrazione di questi elementi in un campione, in modo da ottenere un'impronta digitale unica funzionale ad indicare il luogo di origine del prodotto esaminato;
considerato che:
la SOGIN è una società per azioni, a capitale interamente pubblico, costituita nel 1999, nell'ambito del processo di liberalizzazione del mercato elettrico di cui al decreto legislativo n. 79 del 1999, con il compito di gestire il decommissioning delle quattro centrali già dell'ENEL (Latina, Trino Vercellese, Garigliano e Caorso, tutte spente da anni), la chiusura del ciclo del combustibile nucleare, i rifiuti radioattivi presenti nelle stesse centrali;
dal 2003 alla SOGIN è stata attribuita, sempre ai fini del decommissioning, anche la gestione degli impianti del ciclo del combustibile esistenti in Italia, anch'essi chiusi da anni. Si tratta specificatamente degli impianti sperimentali e di ricerca dell'ENEA: impianto Eurex a Saluggia (Vercelli); impianti Plutonio e Opec in Casaccia (Roma); impianto Itrec a Trisaia di Rotondella (Matera), nonché l'impianto di fabbricazione di combustibile di Bosco Marengo (Alessandria), quest'ultimo divenuto poi, dal 2005, di proprietà della SOGIN stessa;
nel 2004, la SOGIN ha rilevato dalla società Ambiente, del gruppo ENI, la quota del 60 per cento della Nucleco (il restante 40 per cento è di proprietà dell'ENEA), nata per gestire i rifiuti radioattivi prodotti dall'ENEA nel centro della Casaccia e dal 1985 effettua il ritiro, il trattamento e lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi prodotti in Italia nell'ambito delle attività sanitarie, industriali e di ricerca;
il decreto legislativo n. 31 del 2010 ha infine affidato alla SOGIN il compito di ricercare il sito per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e di realizzare e gestire il deposito stesso. Il complesso delle funzioni e delle attività ricordate fanno della SOGIN di gran lunga il più importante gestore italiano di rifiuti radioattivi;
tenuto conto che:
da un'inchiesta condotta per il "Corriere della Sera" da Milena Gabanelli si apprende, anzitutto, che tutti i costi per smantellare le centrali nucleari chiuse dopo il referendum del 1987 sono coperti dalla bolletta elettrica pagata ogni bimestre dai consumatori. La tabella di marcia relativa all'attività della SOGIN ha presentato, e presenta tuttora, notevoli e costosissimi ritardi: trattamento e stoccaggio dei rifiuti radioattivi entro il 2014 e smantellamento di centrali e impianti entro il 2020, al costo di 4,5 miliardi di euro. Ma nel 2013 si slitta in avanti, fino al 2025, e la previsione di spesa sale a 6,48 miliardi di euro. Passano altri 4 anni, si insedia un nuovo consiglio di amministrazione (quello attuale) e a novembre 2017 viene stabilito un ennesimo piano industriale, che fissa al 2036 (11 anni di ritardo sul precedente) la fine dei lavori, mentre i costi lievitano a 7,25 miliardi;
insomma, a 32 anni dal referendum si promette di partire finalmente con la parte impegnativa del decommissioning e, mentre ancora si attendono gli adempimenti, questa società rappresenta una voragine per i cittadini. Infatti, dal 2001 ad oggi 3,7 miliardi di euro sono stati pagati dagli utenti all'interno della bolletta elettrica, però solo 700 milioni sono stati utilizzati per lo smantellamento, il resto è stato speso per i costi di gestione. Considerando che resta da eseguire più del 70 per cento delle attività e che negli ultimi due anni l'avanzamento dei lavori è stato del 2 per cento all'anno, se non ci sarà un'improvvisa accelerazione è facile prevedere che la conclusione non ci sarà prima del 2050 e ogni anno in più porterà con sé un ulteriore incremento dei costi. Le spese di gestione (che si aggiungono al costo dei lavori) sono, oggi, di circa 130 milioni di euro all'anno. Solo dal 2010 al 2015, per fare un esempio, il personale è passato da 650 a 1.030 unità e oggi si è stabilizzato intorno alle mille unità. Il trend dei costi totali potrebbe così addirittura superare quota 10 miliardi di euro, tutti pagati a piè di lista dalle bollette della luce, cioè dai contribuenti;
l'Autorità per l'energia, che doveva vigilare, ha sempre rimborsato senza battere ciglio, nonostante siano previste penalità nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi. Anche il Ministero dello sviluppo economico, che deve vigilare, finora non è parso particolarmente attivo, precisa l'inchiesta;
intanto, per quanto riguarda i rischi per la popolazione in Basilicata, la magistratura ha posto sotto sequestro alcuni impianti di trattamento acque. Da almeno 3 anni venivano riversati in mare dei solventi utilizzati negli anni '60 e '70 per il combustibile della centrale nucleare di Latina, mentre nei contenitori vecchi di 50 anni, custoditi nei capannoni, ci sono nitrati di uranio -235, nitrati di torio e altri prodotti da fissione nucleare. Sempre nell'impianto Itrec di Trisaia di Rotondella ci sono anche 64 barre di combustibile torio-uranio, che si sommano ad altri 4 metri cubi di rifiuti liquidi acidi ad alta attività contenenti uranio arricchito. La conclusione dei lavori in questo impianto, prevista per il 2023, è già stata prorogata al 2036, con il rischio che quei contenitori potrebbero non reggere per altri 18 anni;
infine, viene evidenziato sempre nell'inchiesta, anche il deposito nazionale nel quale dovranno confluire rifiuti e scorie ancora non c'è, ma è noto che la spesa prevista è di 2,5 miliardi di euro,
si chiede di sapere:
quali siano le ragioni che hanno condotto il Ministero delle politiche agricole ad affidare alla SOGIN, società nata col precipuo compito di gestire impianti nucleari, l'incarico di verificare l'accuratezza e l'effettività dei requisiti relativi all'origine dei prodotti agricoli ed agroalimentari, considerate le costose e rischiose lentezze evidenziate nell'ambito dello smantellamento delle centrali nucleari;
perché non sia stato affidato, invece, il suddetto incarico ad alcune delle numerose università italiane che già svolgono, in maniera costante, studi e ricerche sperimentali per l'applicazione delle tecniche di derivazione nucleare, finalizzate ad identificare il luogo di origine dei prodotti agricoli ed agroalimentari ai fini di una maggiore tutela dei produttori e dei consumatori;
quali iniziative intendano assumere i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico per una rapida conclusione degli incarichi affidati alla SOGIN, senza concedere ulteriori proroghe che comportano solamente aggravi di spese per i cittadini e allontanano sempre più la messa in sicurezza di quei luoghi contaminati dai rifiuti radioattivi.