Pubblicato il 23 settembre 2020, nella seduta n. 259
DE BONIS - Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. -
Premesso che:
gli ultimi dati diffusi dall'ufficio statistico europeo "Eurostat" evidenziano come in Italia, a fronte di una diminuzione del prezzo del grano, i prezzi del pane siano superiori del 14,5 per cento rispetto alla media in Europa, dove il prezzo più alto è in Danimarca e il più basso in Romania;
dal grano al pane il prezzo aumenta di quasi 15 volte per effetto delle speculazioni e delle importazioni selvagge di prodotto dall'estero. Oggi un chilo di grano tenero è venduto a meno di 21 centesimi (contro i 27 centesimi per il grano duro), mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini a valori variabili attorno ai 3,1 euro al chilo, con un rincaro, quindi, di quasi 15 volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l'acqua per ottenere un chilo di prodotto finito;
secondo i dati dell'osservatorio prezzi, se a Milano una pagnotta da un chilo costa 4,22 euro, a Bologna si arriva addirittura a 4,72 euro. A Napoli si scende fino a 1,89, mentre a Roma costa 2,63 euro, a Palermo 3,02 euro e a Torino 3,05 euro;
la forte variabilità da una città all'altra è, peraltro, un'evidente dimostrazione che l'andamento del prezzo del pane dipende solo marginalmente dal costo del grano e le quotazioni dei prodotti agricoli sono, ormai, sempre meno legate all'andamento reale della domanda e dell'offerta e sempre più ai movimenti finanziari ed alle strategie speculative, favorite dalla mancanza di trasparenza;
da alcuni giorni anche a Matera il prezzo del pane è aumentato di 50 centesimi al chilo e l'interrogante vorrebbe conoscere quali siano le ragioni di questo incremento, visto che l'andamento dei prezzi del grano duro si mantiene quasi sempre basso, addirittura inferiore a quello dell'anno scorso;
già nel 2008 e nel 2014 era accaduto un episodio analogo, a fronte però di un generale innalzamento del costo del grano duro e delle semole. Rispetto a quel periodo il costo della materia prima è sostanzialmente calato di circa la metà ma il prezzo del pane è rimasto inspiegabilmente invariato fino alla scorsa settimana, quando la maggior parte dei panificatori della città dei Sassi ha deciso questo ulteriore aumento del prezzo del pane;
considerato che la situazione del grano italiano, stretto tra speculazioni di filiera ed importazioni fuori controllo e non più tollerabili, è "la punta dell'iceberg" delle difficoltà che deve affrontare l'agricoltura italiana. Il risultato è che gli agricoltori devono vendere ben 4 chili di grano per potersi pagare un caffè. Allo stesso modo, per ogni euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi, come frutta e verdura, solo 22 centesimi arrivano al produttore agricolo. Ma il valore scende addirittura a 2 centesimi, secondo l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), nel caso di prodotti trasformati, dai salumi fino ai formaggi, mentre il resto viene diviso tra l'industria di trasformazione e la distribuzione commerciale, che assorbe la parte preponderante del valore,
si chiede di sapere:
per quale motivo si verifichino aumenti del prezzo del pane se l'andamento dei prezzi del grano duro si mantiene quasi sempre basso, addirittura inferiore a quello dello scorso anno;
se e quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda assumere per tutelare non solo l'intera filiera cerealicola ma anche i consumatori di un prodotto considerato "primario";
se non ritenga che vadano garantiti un giusto compenso agli agricoltori, senza pesare sui cittadini, realizzando al più presto la commissione unica nazionale per la trasparenza dei prezzi del grano duro e la valorizzazione dei primati del made in Italy, distinguendo il grano italiano da quello estero attraverso l'indicazione obbligatoria in etichetta. Solo così sarà assicurata la sostenibilità della produzione in Italia e il riconoscimento di un prezzo di acquisto "equo", basato sugli effettivi costi sostenuti.