Legislatura 18 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-03369
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Atto n. 4-03369
Pubblicato il 6 maggio 2020, nella seduta n. 214
DE BONIS - Al Ministro dello sviluppo economico. -
Premesso che:
lo Svimez, Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, ha condotto un'analisi sugli effetti del coronavirus al Centro-Nord e al Sud. Dal report si legge che "il rischio di default è maggiore per le medie e grandi imprese del Mezzogiorno. La situazione di incertezza determinata dal lockdown, investe tempi e modalità delle riaperture minando le prospettive di tenuta della capacità produttiva. Il blocco improvviso ed inatteso coglie impreparate le molte imprese meridionali che non hanno ancora completato il percorso di rientro dallo stato di difficoltà causato dall'ultima crisi. Rispetto alla grande crisi, il processo di selezione, allora dispiegatosi lungo un arco temporale ampio, oggi è anticipato all'inizio della crisi con un'interruzione improvvisa che ha posto immediatamente al policy maker l'urgenza di intervenire a sostegno della liquidità delle imprese, di ogni dimensione";
è possibile, quindi, trarre alcune utili considerazioni sui rischi, più concreti per le imprese meridionali, di non sopravvivere alla fase corrente se non adeguatamente supportate con iniezioni di liquidità, con particolare riferimento alle imprese medie e grandi, quelle cioè con un fatturato superiore agli 800.000 euro. Le evidenze su grado di indebitamento, redditività operativa e costo dell'indebitamento portano a stimare una probabilità di uscita dal mercato delle imprese meridionali 4 volte superiore rispetto a quelle del Centro-Nord;
secondo le stime del rapporto Svimez la chiusura delle attività produttive costa circa 47 miliardi di euro al mese, 37 persi al Centro-Nord, 10 al Sud. La straordinarietà della dimensione del lockdown si legge nella quota di impianti fermi: più di 5 su 10 in Italia. Nella media nazionale, senza considerare i settori dell'agricoltura, le attività finanziarie e assicurative e la pubblica amministrazione, crollano del 50 per cento fatturato, valore aggiunto e occupazione. Il blocco colpisce duramente, sia pure con diversa intensità, indistintamente l'industria, le costruzioni, i servizi, il commercio;
analizzando nello specifico l'impatto del lockdown sull'occupazione, risulta evidente che le categorie maggiormente a rischio sono i lavoratori autonomi e quelli con partiva IVA. "Considerando l'intero sistema economico, tenendo conto anche del sommerso, sono interessati dal lockdown il 34,3 per cento degli occupati dipendenti e il 41,5 per cento degli indipendenti. Al Nord l'impatto sull'occupazione dipendente risulta più intenso che nel Mezzogiorno (36,7 per cento contro il 31,4 per cento) per l'effetto della concentrazione territoriale di aziende di maggiore dimensione e solidità";
la perdita complessiva di fatturato è di oltre 25,2 miliardi di euro in Italia, così distribuiti territorialmente: 12,6 al Nord; 5,2 al Centro e 7,7 nel Mezzogiorno. La perdita di fatturato per mese di inattività ammonta a 12.000 euro per autonomo o partita IVA, con una perdita di reddito lordo di circa 2.000 euro, 1.900 e 1.800 per mese di lockdown rispettivamente nelle tre macroaree;
considerato che:
il direttore dello Svimez, nel corso di un'intervista rilasciata a metà aprile a "la Repubblica" ed a "Radio Tre", ha spiegato la necessità di "una strategia unificata per la cosiddetta fase 2 di uscita dalle misure per contenere l'economia. Non serve una corsa tra regioni o peggio tra Nord e Sud a chi riapre prima le fabbriche. Ciò che serve è una strategia nazionale di attuazione della cosiddetta fase 2 che consenta un riavvio equilibrato delle varie attività produttive, anteponendo sempre la garanzia della salute dei lavoratori";
il report predisposto dallo Svimez evidenzia chiaramente come gli effetti economici e sociali del lockdown siano diffusi con grande intensità in tutto il Paese e che il Sud rischia di pagare un prezzo molto alto sia in termini di impatto sociale, per effetto della maggiore precarietà del mercato del lavoro e della più alta diffusione di aree di disagio e di povertà, sia in termini di rischio di chiusura di moltissime piccole e micro imprese finanziariamente più fragili. In una successiva intervista il direttore Svimez ha evidenziato come "il problema del Mezzogiorno dopo il coronavirus è l'impatto sociale della crisi, perché il tessuto sociale del meridione ne esce molto indebolito: ci sono meno lavoratori, più lavoro nero, e tutto questo può determinare redditi molto bassi in alcune famiglie. Il Sud, oltre a problemi di reddito, ha anche problemi di servizi, e, ha ammonito, le politiche di ricostruzione stiano attente alle nuove generazioni e ai più deboli";
tenuto conto che:
il meridione d'Italia ha un divario nella spesa storica mai colmato. L'Italia "non riparte senza il Sud" non deve rimanere un vuoto slogan da campagna elettorale e oggi, più che mai, la crisi provocata dal COVID-19 deve far sì che questo slogan diventi una realtà. L'azione del Governo deve dunque concretizzarsi agendo nel rispetto del principio di uguaglianza costituzionalmente tutelato. Certo non deve mancare il sostegno all'economia del settentrione d'Italia, colpito maggiormente dall'emergenza sanitaria, ma non deve mancare nemmeno all'economia meridionale. I fondi europei sono indispensabili per attuare l'auspicata coesione nazionale per i quali gli stessi sono stati istituiti e cioè per recuperare il gap economico-infrastrutturale maturato in 159 anni e che, di fatto, divide l'Italia. Il Governo deve fugare il rischio che al Mezzogiorno siano sottratti 46,6 miliardi di euro, una perdita che impedirebbe al Sud di risollevarsi e ripartire dopo questa ennesima emergenza, compromettendo la ripresa di tutta la nazione;
trasferire fondi del Sud al Nord, approfittando della pandemia, potrebbe significare l'origine del declino italiano;
certo il "decreto liquidità" (ma che sarebbe più corretto definire "decreto illiquidità", così come definito da Roberto Napoletano nel suo editoriale) se per avere 25.000 euro bisogna compilare decine di moduli per poi vedersi comunque negato il prestito, per non parlare dei finanziamenti fino a 800.000 euro e poi fino a 5 milioni, per i quali non ci sono neppure le istruzioni per chiederli, e l'inderogabile burocrazia fanno presagire solo un aumento del tasso di fragilità delle imprese meridionali, che è già 4 volte superiore a quello delle imprese del Nord. Si è poi ancora in attesa del "decreto aprile" e l'interrogante teme che, se dovesse contenere misure farraginose e territorialmente circoscritte, tutte quelle attività che non hanno ancora avuto niente avranno già chiuso per sempre,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga che debbano essere prese solide e concrete misure, urgenti e libere da vincoli burocratici, affinché la pandemia e il lungo e indistinto lockdown non rischino di accelerare la desertificazione dell'apparato produttivo del Sud, incidendo negativamente sulla fragile struttura produttiva, che peraltro è già stata messa a dura prova dalla precedente lunga crisi, prima recessiva e poi di sostanziale stagnazione e dalla quale non è mai riusciti ad uscire del tutto: bisogna evitare, con tutti i mezzi ed in tutti i modi, questo grave rischio di default per le imprese del Sud e immettere la liquidità necessaria alla ripresa perché sicuramente ne beneficerà la nazione intera.