Legislatura 18ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 219 del 20/05/2020
Azioni disponibili
SENATO DELLA REPUBBLICA
------ XVIII LEGISLATURA ------
219a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO
MERCOLEDÌ 20 MAGGIO 2020
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Presidenza del presidente ALBERTI CASELLATI,
indi del vice presidente CALDEROLI,
del vice presidente TAVERNA
e del vice presidente LA RUSSA
N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Forza Italia Berlusconi Presidente-UDC: FIBP-UDC; Fratelli d'Italia: FdI; Italia Viva-P.S.I.: IV-PSI; Lega-Salvini Premier-Partito Sardo d'Azione: L-SP-PSd'Az; MoVimento 5 Stelle: M5S; Partito Democratico: PD; Per le Autonomie (SVP-PATT, UV): Aut (SVP-PATT, UV); Misto: Misto; Misto-Liberi e Uguali: Misto-LeU; Misto-MAIE: Misto-MAIE; Misto-Più Europa con Emma Bonino: Misto-PEcEB.
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RESOCONTO STENOGRAFICO
Presidenza del presidente ALBERTI CASELLATI
PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 9,35).
Si dia lettura del processo verbale.
CARBONE, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del giorno precedente.
PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.
Comunicazioni della Presidenza
PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato, nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.
Sull'ordine dei lavori
PRESIDENTE. Informo l'Assemblea che all'inizio della seduta il Presidente del Gruppo M5S ha fatto pervenire, ai sensi dell'articolo 113, comma 2, del Regolamento, la richiesta di votazione con procedimento elettronico per tutte le votazioni da effettuare nel corso della seduta. La richiesta è accolta ai sensi dell'articolo 113, comma 2, del Regolamento.
Discussione e reiezione delle mozioni di sfiducia individuale nn. 230 e 235 nei riguardi del Ministro della giustizia (Procedimento abbreviato, ai sensi dell'articolo 157, comma 3, del Regolamento) (ore 9,38)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni di sfiducia individuale 1-00230, presentata dai senatori Romeo, Ciriani, Bernini e da altri senatori, con procedimento abbreviato ai sensi dell'articolo 157, comma 3, del Regolamento, e 1-00235, presentata dalla senatrice Bonino e da altri senatori, nei riguardi del ministro della giustizia, onorevole Bonafede.
Ha facoltà di parlare il senatore Pepe per illustrare la mozione n. 230.
PEPE (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signori rappresentanti del Governo, la mozione di sfiducia n. 235 nei confronti del ministro Bonafede arriva all'esame dell'Assemblea al culmine di un fallimento complessivo che ha caratterizzato la sua gestione del Dicastero; culmine che non è stato raggiunto in una trasmissione televisiva, ma che è stato conosciuto grazie ad una trasmissione televisiva, a proposito della quale vorrei soltanto rivolgere un ringraziamento ad un giornalista, Massimo Giletti, che con la sua professionalità e il suo coraggio ha raccontato tante verità agli italiani. (Applausi).
Infatti, signor Ministro, noi presentiamo la mozione di sfiducia nei suoi confronti perché lei ha scritto la pagina più buia del Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria (DAP).
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, nessun assembramento. Prendete i vostri posti.
PEPE (L-SP-PSd'Az). Lei ha nominato il capo del DAP, una sua prerogativa che va esercitata nei confronti di persone che hanno un alto profilo istituzionale, con competenze in materia penitenziaria e in materia di antimafia. Purtroppo però lei ha nominato il dottor Basentini, che non ha competenze né in materia penitenziaria né tantomeno in materia di antimafia, per cui, al di là del gioco di parole, lei deve assumersi integralmente la responsabilità di questa nomina e le conseguenze che ne derivano. (Applausi).
Venendo per un accenno a quella trasmissione televisiva, si è parlato, sia da parte sua che da parte del dottor Di Matteo, di due ruoli: il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) e di quello di direttore generale degli affari penali. Due ruoli che non sono assimilabili tra loro e che, soprattutto, per quanto riguarda il secondo - quello di direttore generale degli affari penali - non è riconducibile minimamente a quello che fu del dottor Falcone, perché oggi lei lo ha praticamente soppresso, accorpando il 19 giugno del 2019 la direzione generale affari penali con quella degli affari civili, creando un'anonima direzione affari interni. A noi non interessa ora se in quella conversazione ha mentito rispetto alle sue intenzioni al dottor Di Matteo, ma certamente ha mentito, ancora una volta, agli italiani durante il suo intervento in quella trasmissione. (Applausi).
Chiediamo la sua sfiducia, signor Ministro, perché lei è il Ministro che non ha saputo prevedere e far fronte alle rivolte spaventose che ci sono state nelle carceri italiane, che hanno avuto una magnitudine e una intensità spaventose; per i numeri, dato che hanno coinvolto circa 6.000 detenuti, di cui 14 morti per overdose, circa 40 agenti feriti, 72 evasi e per cui ci sono voluti 30 milioni di euro soltanto per eseguire i primi interventi di recupero. Per di più è serpeggiata l'idea che queste rivolte fossero gestite dalla regìa della criminalità organizzata. Non a caso, tante procure d'Italia hanno aperto dei fascicoli nei quali sono confluite informative del Nucleo investigativo centrale (NIC) e del Gruppo operativo mobile (GOM). Secondo questa ricostruzione, le rivolte erano finalizzate ad alimentare discussioni su indulti, amnistie e provvedimenti, che avrebbero potuto alleggerire le carceri anche con riguardo agli uomini della criminalità organizzata. Lei, signor Ministro, in tutta risposta, invece di avversare con forza e con chiarezza queste idee perverse, ha aperto a ipotesi di interventi normativi volti incredibilmente ad accogliere le richieste dei rivoltosi e, ancor di più, ad accettare il principio, indimostrato e scientificamente falso, secondo il quale ci sarebbe un nesso di causalità tra detenzione in carcere e contagio.
Noi vogliamo la sua sfiducia, signor Ministro, perché lei è il Ministro delle scarcerazioni allegre. (Applausi).
Il 17 marzo entra in vigore il cosiddetto Cura Italia, che con l'articolo 123 permette, per combattere l'emergenza Coronavirus, di scontare la pena di diciotto mesi di detenzione, anche se residuo di maggior pena, ai domiciliari. È vero, questa disposizione non includeva i mafiosi, ma è anche vero che includeva quel nesso di causalità cui facevo accenno prima.
Per non dimenticare la circolare del DAP del 21 marzo 2020, con la quale si chiedeva alle Direzioni di comunicare con solerzia all'autorità giudiziaria per le eventuali determinazioni di competenza, il nominativo del ristretto che dovesse trovarsi nelle predette condizioni di salute (o altre valutate di analogo rilievo dalla direzione sanitaria). Tutti i provveditori e direttori degli istituti penitenziari hanno ricevuto dal Ministero della giustizia l'obbligo di comunicare alle autorità giudiziarie i nominativi di detenuti affetti da patologie con il rischio di complicanze, per eventuali determinazioni. Soltanto dopo le clamorose scarcerazioni dal 41-bis di numerosi boss mafiosi, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha cercato di smentire quella nota in maniera infelice, volendo far credere che si trattasse soltanto di una richiesta di monitoraggio. Così però non è stato, perché di fatto il DAP ha voluto scaricare sulla magistratura di sorveglianza qualsivoglia responsabilità.
Noi vogliamo la sua sfiducia, signor Ministro, perché non è stato in grado di far fronte nelle istituzioni carcerarie all'emergenza Coronavirus, non ha messo in atto alcuna misura e non ha intrapreso alcuna strategia per proteggere innanzitutto gli agenti della polizia penitenziaria, i detenuti, gli operatori e tutti quanti i visitatori. (Applausi).
Non è stato in grado di proteggere nemmeno gli avvocati penalisti, i quali, a causa della carenza di modalità operative telematiche omogenee per il deposito degli atti penali in tutti i tribunali italiani, si sono esposti concretamente al rischio del contagio. Per di più, la fase 2 dei tribunali - quella partita l'11 maggio 2020 - ha creato tanti rischi e tante difficoltà, e continuerà a crearne.
Avviandomi a concludere, signor Ministro, vogliamo la sua sfiducia semplicemente perché si è manifestato nei fatti concretamente inadeguato al ruolo che ormai sta ricoprendo da ben due anni. (Applausi).
A seguito delle note vicende, il dottor Basentini ha rassegnato le dimissioni e lei, signor Ministro, ha dimostrato una scarsa conoscenza dell'attività e dell'organizzazione della macchina ministeriale. Faccio alcuni esempi: ha dichiarato di essere venuto a conoscenza di intercettazioni dal NIC, quando il contenuto dovrebbe essere conosciuto solo da chi le ha effettuate materialmente e dall'autorità giudiziaria che le ha disposte.
Ministro Bonafede, lei nel Governo Conte-bis si è contraddistinto per una molteplice serie di provvedimenti al limite della costituzionalità e spesso non rispettosi degli articoli 27 e 111 della Costituzione, utilizzando la decretazione d'urgenza.
Signor Ministro, al DAP ha istituito un vero e proprio mostro che ha consentito, con il suo silenzio, la scarcerazione di pericolosissimi boss mafiosi. Le faccio soltanto un accenno: il tribunale di sorveglianza di Sassari ha chiesto riscontro al DAP rispetto non ad Arsenio Lupin, il ladro galantuomo, ma a Pasquale Zagaria, un pericolosissimo boss dei casalesi, condannato a ventun anni di reclusione, sette mesi e un giorno. Il DAP non ha dato alcuna risposta e questo silenzio ha consentito la scarcerazione ai domiciliari di Pasquale Zagaria. (Applausi).
Signor Ministro, ciascuno di noi lascerà un ricordo della propria vita terrena ai posteri, sia nella vita privata che nella vita pubblica, come in questo caso, e lei passerà alla storia come il Ministro che voleva a tutti i costi arrestare gli evasori - anche quelli che non hanno potuto pagare le tasse perché incorsi in disgrazia - ed è finito per liberare i boss mafiosi. (Applausi).
È un pessimo ricordo, signor Ministro: ha fatto esattamente ciò che Cafiero De Raho, il procuratore nazionale antimafia, ha detto di non fare: guai a liberare i mafiosi. Se si liberano i mafiosi, si dà un segnale di debolezza dello Stato. (Applausi). Se si liberano i mafiosi, si rafforzano i mafiosi sul territorio. Lei ha fatto questo. Devo riconoscerle, tuttavia, il grande gesto che ha compiuto nella sua gestione del Dicastero, quando ha indossato la divisa dei baschi azzurri. Questo è stato un gesto che abbiamo tutti apprezzato; peccato che la sua gestione non è stata all'altezza di quelle donne e di quegli uomini che, con onore, quotidianamente, rappresentano lo Stato italiano non soltanto nelle carceri, ma anche fuori dalle carceri.
Voglio concludere con una parola a voi tanto cara: onestà. Onestà, ricordate questa parola? Riecheggia ancora in questa Aula come in tante piazze: onestà.
L'onestà non è soltanto di chi non ruba, perché per noi quella è una precondizione per accedere alla vita pubblica e agli incarichi istituzionali; l'onestà è anche di chi mantiene fede alla parola data agli italiani, di chi mantiene le promesse fatte agli italiani e lotta quotidianamente per concretizzarle. L'onestà è di chi mantiene fede al patto con gli italiani, e lei, signor Ministro, non soltanto non ha rispettato quel patto, ma lo ha stracciato e lo ha completamente calpestato. (Applausi).
In queste ore si è aperto un subdolo dibattito politico di veti incrociati e di minacce incrociate tra il Partito Democratico e Italia Viva.
La sfiducia al ministro Bonafede significa sfiducia al Governo. Colleghi, un motivo in più per votarla: gli italiani ve ne saranno grati. (Applausi).
Pertanto, Presidente, chiediamo che il Senato, ai sensi dell'articolo 94 della Costituzione e dell'articolo 161 del Regolamento del Senato, esprima la propria sfiducia nei confronti del ministro Bonafede e ne conseguano le immediate dimissioni. (Applausi).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la senatrice Bonino per illustrare la mozione n. 235.
BONINO (Misto-PEcEB). Signor Presidente, colleghi, signor Ministro, innanzitutto voglio ringraziare tutti coloro che hanno firmato questa mozione. Certo da sola, per ovvie ragioni regolamentari, non avrei potuto presentarla, ma sono felice che i motivi per cui l'ho proposta siano stati condivisi anche da parlamentari di altri partiti e schieramenti politici.
Non sono molto scaltra, diciamo, nei colloqui di Palazzo. (Brusio).
PRESIDENTE. Per cortesia, sento troppo brusìo e vorrei ascoltare. (Applausi).
Prego, senatrice Bonino.
BONINO (Misto-PEcEB). Dicevo che non sono particolarmente scaltra nei contatti di Palazzo. So, però, non sono poi così marziana, che nelle discussioni e nei voti in cui è in gioco la sopravvivenza di un Ministro, finiscono per pesare e prevalere considerazioni che non hanno a che fare direttamente con l'oggetto delle discussioni e della decisione. E così avviene anche oggi.
Considerato tutto quello che ho letto anche sui giornali, e temo anche quello che ascolteremo in quest'Aula, del merito delle questioni che noi proponiamo non si farà parola. Si parlerà sempre e solo di chi ne trae giovamento.
A quanti mi diranno che non si può sfiduciare il Ministro per non mettere a rischio il Governo, mi limito a ricordare che oggi si discute di altro e cioè di quale politica per la giustizia serva all'Italia. È mia profonda convinzione, e inviterei tutti a riflettere su questo, che se la continuità del Governo dovesse significare la continuità della politica della giustizia, signor ministro Bonafede, che lei ha praticato, l'Italia non ne avrebbe alcun giovamento, neanche nei dati della ripresa che vogliamo affrontare. (Applausi).
Non può essere l'unica risposta, cari colleghi, il fatto che non si può far cadere il Governo. Io sto ponendo una questione di mele e voi mi rispondete arance. Ma vi sembra una risposta? Ora, è bene, secondo me, che ciascuno affronti il dibattito senza arroganza, senza reticenza e ci proverò.
La ragione della nostra posizione è rappresentata dalla distanza letteralmente siderale tra quello che noi pensiamo della giustizia e ciò che lei ha dimostrato di pensare. A questo pensiero condiviso da molti colleghi provo a dare voce.
Noi pensiamo che la giustizia sia un'istituzione di garanzia dei diritti dei cittadini, imputati e condannati compresi, non un mezzo di lotta politica, di rivoluzione sociale, né tantomeno di moralizzazione civile. Non crediamo che la logica dell'emergenza e dell'eccezione ai principi dello stato di diritto possa meritare il nome di giustizia. Non ci rassegniamo all'idea che la giustizia sia semplicemente la pretesa punitiva dello Stato e che qualunque mezzo possa essere giustificato al servizio solo di questo fine.
L'ipocrisia e la malafede di chi confonde la richiesta di garanzie per tutti con la pretesa di impunità dei colpevoli, facendoli coincidere con tutti i sospettati, e considera il sospetto l'anticamera della verità, non ci appartengono. (Applausi).
Ora, signor Ministro, il sospettato è diventato lei e a diffondere il sospetto è stato un magistrato cui lei aveva proposto incarichi pare importanti in via Arenula, in uno scontro che è tutto interno al partito a cui lei appartiene e di cui dall'esterno possiamo cogliere allusioni e messaggi in codice tutt'altro che trasparenti. C'è oggi chi le dice delle cose, ritorcendo contro di lei le sue stesse parole. Quattro anni fa lei disse che, se c'è un sospetto, anche chi è pulito deve dimettersi. Se lo ricorda? No? Peccato. (Applausi). Come tutti i propagatori della cultura del sospetto, non immaginava un giorno di diventarne vittima.
Chiediamo le sue dimissioni per la ragione esattamente opposta: non perché lei è sospettato, ma perché non vogliamo un Ministro della giustizia che sia il rappresentante della cultura del sospetto. (Applausi).
Due giorni fa è stato il trentaduesimo anniversario della morte di Enzo Tortora. (Applausi). Egli è stato compagno di lotta straordinario in quella battaglia per la giustizia giusta, che non era un auspicio, ma un programma di riforme concrete per rendere il potere giudiziario coerente con i principi del diritto e la salvaguardia della libertà dei cittadini. Ma non c'è una sola di quelle riforme che lei non abbia avversato, contraddetto e ribaltato secondo i canoni del più estremistico populismo penale.
Ho scelto, d'accordo con alcuni firmatari, di intitolare la mozione a Enzo Tortora, ma non per ragioni simboliche - tantomeno retoriche - quanto per contrapporre con chiarezza e precisione un'idea della giustizia a un'altra. Non starò a ripetere i punti della mozione che altri colleghi illustreranno meglio di me, ma posso citare la prescrizione, il fine processo mai, il diritto alla difesa, il processo penale, le intercettazioni ampliate a dismisura e le pene detentive. Se dovessi esprimere il punto in cui la nostra idea di giustizia e la sua più divergono è esattamente nell'idea che la giustizia coincida con le manette, la pena con la galera e la forza del diritto con quella che Leonardo Sciascia chiamava la terribilità. (Applausi).
E non voglio tacere sulle condizioni terribili delle carceri. Ci sono state, riprese anche qui, infinite polemiche sulla scarcerazione di tutti - a quanto pare - i boss detenuti. Signor collega, le comunico, come lei ben sa, che i boss al 41-bis scarcerati sono 3, di cui 2 malati e ultraottantenni. (Applausi). Dico questo per essere chiari. Le dico anche che nella lista dei 300-400 detenuti scarcerati, oltre 120 non hanno mai avuto neanche il primo grado di processo e altri 200 non hanno mai avuto condanne definitive. (Applausi).
E se voi siete contenti che un giornalista spari in prima serata l'elenco (nome e cognome, senza neanche la data di nascita), a me questo fa paura, perché tanti possono essere i casi di omonimia e tante persone possono finire in questo macello giudiziario. (Applausi).
Ieri nelle carceri italiane c'erano ancora 21.000 detenuti in attesa di giudizio, il 40 per cento del totale. Vi sembra possibile? Lei così non governa le carceri, ma paga semplicemente una tangente ideologica al populismo penale, anzi al populismo penitenziario. (Applausi). E lei sa che, tra gli altri che rimangono, più di 17.000 hanno meno di due anni da scontare e 8.000 solo un anno; quindi tra un anno saranno comunque fuori. Io non so, signor Ministro, cosa succederà; lo scopriremo presto. Sappiamo però che della malattia della giustizia italiana lei è solo un sintomo e non un rimedio; quindi non sarà lei a liberarcene. Al contrario, se rimarrà in via Arenula, contribuirà a renderla cronica, diffondendo come sentimenti prevalenti non la fiducia, ma la paura della giustizia.
In conclusione: dov'è finita la riforma del codice penale? Mi dica anche dov'è finita la promessa riforma del Consiglio superiore della magistratura, così tanto in prima pagina, e non per buone ragioni, in questi giorni? (Applausi).
Basta tutto questo, per me, per dire che voglio una giustizia che non faccia paura ai cittadini, ma restituisca loro la fiducia nel giusto processo e nella corretta amministrazione. (Applausi).
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
È iscritto a parlare il senatore Nencini. Ne ha facoltà.
NENCINI (IV-PSI). Signor Presidente, membri del Governo, signor ministro Bonafede, non v'è dubbio che nel dibattito che si è aperto vi sia una sproporzione decisa e netta tra la mozione di sfiducia rivolta verso un Ministro e l'eventuale (quale provocazione) caduta del Governo. Se nella scorsa legislatura questo criterio fosse stato posto al centro del tavolo, le richieste di dimissioni dei singoli Ministri avanzate con mozione di sfiducia dal MoVimento 5 Stelle avrebbero provocato, qualora approvate, la crescita di un numero tale di Governi quale la Repubblica italiana non ha conosciuto negli ultimi quarant'anni.
Io continuo a pensare, signor Ministro, che questo non sia il tempo e quindi non ci sia bisogno di mettersi in cerca di maggioranze alternative. Quel che sarebbe un bene per l'Italia ed è un bene in generale, soprattutto nei momenti di straordinaria emergenza che si vivono (raramente, per fortuna) nella storia delle Nazioni, è un Governo di tipo "ciellenista", fortemente europeista. Però questa soluzione, una soluzione quale quella che l'Italia conobbe fortunatamente alla fine della Seconda guerra mondiale, non viene resa possibile per la presenza di una fortissima destra radicale, che non può essere annoverata fra quelle che amano l'Unione europea, nemmeno se, come avviene in questi giorni, ti salvano dal precipitare dentro un baratro.
Noi non abbiamo sempre condiviso le misure assunte dal Governo e non abbiamo sempre condiviso il metodo con cui queste sono state assunte; ne parleremo fra l'altro oggi pomeriggio, quando l'Assemblea discuterà la conversione del decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020. Ha prevalso sempre, signor Ministro, l'interesse nazionale sopra ogni altra valutazione, il silenzio sulle polemiche, la fiducia sul dissenso. Però - lo dico chiaro - il caso che oggi viene portato in Aula va trattato con perfetta attenzione, anche se la tempistica non è assolutamente perfetta, perché ne discutiamo in un momento particolarmente difficile, nel bel mezzo della fase 2 di una pandemia e nel bel mezzo del crollo di 9 punti e mezzo del nostro PIL, con tutte le conseguenze che ci aspettano, soprattutto - immagino - all'inizio del prossimo autunno.
Nondimeno questo è l'argomento del giorno e quindi dobbiamo affrontarlo come tale, ma non dubito che sarebbe stato meglio farlo a valle, oppure a monte, di una situazione così critica, perché non fosse legato a doppio filo alla ragion di Stato e perché - non c'è dubbio - affrontare oggi il dibattito non fa altro che mettere il Ministro al riparo dal rischio, proprio perché si ragiona - e non dubito che sia un'opzione assolutamente corretta - di ragion di Stato.
Tuttavia, per chi le parla, signor Ministro, ci sono dei princìpi che sono laicamente irrinunciabili, e oggi non è venuto il giorno per tradirli. In concreto, comincio dalla fine anche se - lo ammetto - non si tratta assolutamente del caso più eclatante, anzi, e sottolineo «anzi». Parlo del caso Bonafede-Di Matteo, che è la prova di quanto la separazione tra bene e male spesso non sia altro che una finzione: un candidato, da parte vostra, al Ministero della giustizia che si ribella al suo sponsor dopo aver subito - a suo dire - un secondo e chiaro impedimento. Noi le avevamo chiesto di venire in Aula mesi fa per spiegare perché prima si prende una decisione e poi la si contraddice. Non è stato fatto, ed è stato commesso un errore. Tuttavia, nulla giustifica la telefonata di un magistrato, peraltro membro del Consiglio superiore della magistratura, a una trasmissione televisiva, con una coda velenosa, rovesciando con questo un assioma al quale purtroppo anche lei spesso si è riferito, con una citazione rovesciata - quindi impropria - di Giovanni Falcone, e con una frase incompleta. Non si fa. La frase era la seguente: il sospetto «non è l'anticamera della verità, è l'anticamera del khomeinismo»; questo è il Giovanni Falcone pensiero. Purtroppo, la resa dei conti tra giustizialisti spesso provoca la reazione che mi fa ricordare le parole di Pietro Nenni: c'è sempre uno più puro alla fine che rischia di epurarti.
La verità è che in questi due anni - e questa la ragione per la quale il Ministro non gode della nostra fiducia - mancata calendarizzazione del processo penale dopo gli impegni presi; cancellazione della prescrizione; gestione del Dipartimento delle politiche penitenziarie; mancata riforma del CSM - ancorché annunciata - hanno creato le condizioni perché i pilastri della civiltà giuridica venissero erosi e la tutela dei diritti dei cittadini venisse lesa. Questa è la motivazione che mi ispira a sostenere la mozione che è stata testé presentata.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Dal Mas. Ne ha facoltà.
DAL MAS (FIBP-UDC). Signor Presidente, signor Ministro, membri del Governo, colleghi, possiamo dire che una trasmissione televisiva è stata il presupposto, l'ubi consistam, nel linguaggio cinematografico hitchcockiano il "MacGuffin" attraverso il quale abbiamo pensato e pensiamo di raccontare una storia. È la storia che oggi scriverà questo Parlamento distinguendosi intorno a due mozioni, che però hanno un medesimo fine, che evidentemente è quello di dimostrare l'incapacità - non dico l'inadeguatezza, perché sarebbe un'espressione eccessiva dal punto di vista morale - oggettiva da parte di un Ministro che ha fatto del rancore, del giustizialismo, del provvedimento spazzacorrotti, dell'eliminazione di princìpi costituzionali del giusto processo - penso alla prescrizione e al "fine processo mai" - una visione che praticamente ci riporta nel Medioevo del diritto, ad un rito che pensavamo di aver dimenticato.
Non appartengo a coloro i quali ritengono che lei debba lasciare l'incarico di Ministro per effetto delle insinuazioni di un magistrato, che non si sa a chi risponda, perché, in questo cortocircuito di poteri, un magistrato del CSM può fare illazioni di ogni tipo e nessuno si pone il problema della fondatezza e della ricerca di quella verità che dice lui (Applausi), mentre i politici rispondono in Parlamento, tant'è che lei, signor Ministro, oggi è qui a rispondere alle richieste del Parlamento. Il professor Fiandaca in questi giorni ha detto che, se c'è una ragione per la quale bisogna votare la sfiducia al ministro Bonafede, non è certo per ciò che è stato adombrato in una trasmissione televisiva, nel cosiddetto sistema del massimalismo, anzi di una magistratura che cerca gli aspetti solo mediatici. Non è per questo, ma per la sua inadeguatezza e per le riforme che ha fatto.
La mozione illustrata dalla senatrice Bonino è intitolata giustamente ad un grande e dolorosa vicenda del Paese, quella di Enzo Tortora. (Applausi). Lei, signor Ministro, in una trasmissione televisiva è riuscito a dire - poi si è corretto - che in Italia nessun innocente finisce in galera: ciò è smentito dai fatti, dalla storia (Applausi), da ciò che è successo e dal fatto che il 30 per cento dei detenuti nelle nostre carceri, che sono sovraffollate e per cui siamo sotto continuo e costante giudizio da parte dell'Unione europea - le ricordo il caso Torreggiani: magari forse potrà rispolverare quel problema - è ancora in attesa di giudizio definitivo (e nella nostra Costituzione non si è colpevoli sino al giudizio definitivo). Signor Ministro, mi può allora spiegare come può affermare che nel nostro Paese una persona innocente non finisce mai in galera? (Applausi). Ciò è smentito dai fatti, è smentito dalla storia ed è smentito dalla vicenda Tortora, ma potremmo citare mille altri casi.
Signor Presidente, vedo che la luce sul microfono sta lampeggiando e quindi mi avvio alla conclusione, anche per lasciare spazio ai colleghi del mio Gruppo. Un importante penalista, in questi giorni, ci ha ricordato le parole di Beccaria, secondo cui non possiamo trasformare le persone in cose. Vorremmo che, in questo Stato democratico e nella nostra democrazia, frasi e princìpi come «Buttare via le chiavi» o «Deve marcire in galera» escano una volta per tutte dal nostro lessico politico (Applausi); non sono accettabili da coloro i quali occupano posizioni istituzionali!
Signor Ministro, lei ha cavalcato la tigre del giustizialismo politico e del rancore, negli atti che ha compiuto e in ciò che contiene la sua idea di giustizia. Forse, probabilmente, è arrivato il momento in cui da quella tigre potrebbe ricevere qualche graffio. Il collega intervenuto in precedenza ha citato Pietro Nenni ed ha ragione: quando si fa gara con chi è più puro, c'è sempre qualcuno più puro che ti epura. (Applausi. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Prima di dare la parola al prossimo iscritto a parlare, voglio dire che non mi va di ricordare continuamente all'Assemblea che non si possono creare assembramenti. Mi corre l'obbligo di ricordare che non siamo un buon esempio per tutti i cittadini in questo momento.
Solo dal rispetto delle regole di sicurezza sanitaria dipenderà l'apertura di tutte le attività produttive, quindi la ripresa economica, e credo che non sia poca cosa. Pertanto, fate in modo che io non debba fare richiami, perché spesso vedo assembramenti e persone che parlano vicine. Non vi richiamo più, ma non siamo un buon esempio.
È iscritto a parlare il senatore Pellegrini Marco. Ne ha facoltà.
PELLEGRINI Marco (M5S). Signor Presidente, colleghe senatrici, colleghi senatori, rappresentanti del Governo, Bertolt Brecht diceva: «Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi». Io non so se lei, ministro Bonafede, sia un eroe o no, ma di sicuro lei è esattamente il Ministro della giustizia che il MoVimento 5 Stelle sognava, che il Paese meritava e che questo Governo e questa maggioranza sostiene con forza. (Applausi).
La sfiducia alla quale alcune forze politiche la stanno sottoponendo è, in realtà, l'attacco a un nuovo modello di Paese, più vicino ai cittadini, più equo, più solidale, forte con i potenti e giusto con gli ultimi e gli indifesi. (Applausi).
Lei, fino ad oggi, si è dimostrato un Ministro capace di affrontare con coraggio, determinazione e risolutezza problemi lasciati irrisolti dai suoi predecessori per decenni; penso, ad esempio, al problema del contrasto alla corruzione dilagante nel Paese. Per anni le istituzioni europee hanno sollecitato l'Italia ad adottare interventi efficaci per arginare i fenomeni corruttivi, ormai insostenibili per la nostra economia, e per assicurare che i colpevoli fossero messi in condizione di non nuocere, in quanto la perpetuazione di questo grave reato, ormai presente in ogni ambito della pubblica amministrazione e nella gestione della cosa pubblica, stava distruggendo il Paese: ha sottratto risorse alla collettività, specie ai più deboli, ha fatto esplodere il debito pubblico e ha costituito una palla al piede allo sviluppo della nostra economia e agli investimenti degli operatori economici stranieri. Ce lo chiedevano l'Europa e i consessi internazionali. La legge n. 3 del 2019, cosiddetta spazzacorrotti (e lei che l'ha promossa, signor Ministro), ha ricevuto riconoscimenti unanimi in campo internazionale, tranne ovviamente che dai corrotti e dai loro amici. (Applausi. Commenti).
Da allora, lei, signor Ministro, e il MoVimento 5 Stelle siete diventati i nemici da abbattere, da insultare, da ridicolizzare, da delegittimare. Siamo diventati i nemici che non consentono di rubare sulla pelle dei cittadini; quello siamo.
Che la legge spazzacorrotti sia efficacissima e che costituisca un concreto e imponente deterrente per chi voglia commettere questi reati lo testimonia proprio la sentenza della Corte costituzionale in tema di non applicabilità retroattiva dei benefici alternativi alla detenzione per questo reato. L'Alta corte, con un comprensibile mutamento di orientamento giurisprudenziale, ha in buona sostanza reso esplicito quello che tutti noi sapevamo: precedentemente all'entrata in vigore di questa legge chi si macchiava del reato di corruzione lo faceva perché sapeva che, con tutta probabilità, l'avrebbe fatta franca e che l'ipotesi di andare in galera era meno probabile di farsi una passeggiata sulla luna. Questa era la verità. (Applausi).
Lei è intervenuto anche sulla prescrizione, che è l'altra faccia della medaglia della corruzione e ne costituisce il necessario completamento, per i comportamenti criminali. Gli italiani erano stufi che migliaia di processi finissero nel nulla, che tante vittime non ricevessero giustizia, che episodi, parte di reati gravissimi, come la strage di Viareggio, rimanessero impuniti.
Ma la sua azione non si è fermata a questo: la riforma per lo snellimento del processo penale, affinché abbia una durata ragionevole di quattro anni nei tre gradi di giudizio e che possa dare giustizia e risposte ai cittadini, porta la sua firma. Se la Lega non avesse messo i bastoni tra le ruote, la legge delega avrebbe visto la luce l'anno scorso e non quest'anno. (Applausi).
A differenza di quanto sostengono i suoi detrattori, che le imputano di essere un "manettaro", lei ha agito anche sul fronte del carattere rieducativo della pena, sottoscrivendo circa 70 protocolli concernenti lavori di pubblica utilità per i detenuti e per il loro reinserimento nella società.
Inoltre, ha affrontato l'annoso problema della carenza degli agenti di polizia penitenziaria e dei posti nelle carceri. Dal 2018 - mi avvio alla conclusione, signor Presidente - sono stati immessi in ruolo quasi 4.000 agenti di polizia penitenziaria e, nel contempo, sono aumentati i posti detentivi disponibili, riconvertendo in istituti di pena vecchi complessi militari. Proprio in queste settimane apriranno nuovi padiglioni a Parma, Lecce, Trani, Sulmona e Taranto. Lei ha predisposto un piano che porterà complessivamente alla creazione di 5.000 nuovi posti detentivi, cioè poco meno del 10 per cento dell'attuale occupazione degli stessi.
Lei ha messo in campo tutta una serie di norme che rendono meno conveniente delinquere e rubare risorse ai cittadini ed è per questo che è attaccato con polemiche pretestuose da chi nel 2006, per esempio, ha votato l'indulto. (Applausi).
Lei viene attaccato da Forza Italia, da quella stessa forza politica in cui militano due parlamentari raggiunti nei giorni scorsi dalla richiesta di misure cautelari per reati di corruzione commessi quando guidavano la provincia di Napoli.
Vogliamo parlare poi di qualche suo predecessore? Faccio veramente un rapidissimo accenno: vogliamo parlare dell'ex ministro Alfano, che ha firmato la legge n. 199 del 2010, cioè proprio quella in base alla quale alcuni detenuti sono stati posti ai domiciliari?
Concludo chiedendole, signor Ministro, di andare avanti e di non farsi intimidire: gli attacchi che da mesi sta subendo sono medaglie che si può appuntare sul petto.
PRESIDENTE. Concluda davvero, senatore.
PELLEGRINI Marco (M5S). Ho terminato, signor Presidente.
Continui nella sua azione meritoria. Il Movimento 5 Stelle e i cittadini hanno bisogno del suo operato e continueranno a sostenerla convintamente. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Paragone. Ne ha facoltà.
PARAGONE (Misto). Signor Presidente, io ero e sono con Nino Di Matteo senza se e senza ma.
Di Matteo: «Bonafede cambiò idea sulla mia nomina al DAP per lo stop di qualcuno». Siccome sono con Nino Di Matteo senza se e senza ma, leggo quanto riferito da Di Matteo. «Ho tenuto il telefono spento, ho lavorato» - questo è quello che dice Di Matteo alla giornalista di «la Repubblica» dopo la famosa trasmissione di Giletti «Non è l'Arena» - e riconferma i fatti tali e quali: «Sì, i fatti sono quelli. Il mio ricordo è preciso e circostanziato».
Ripercorriamoli allora quei fatti: «Era lunedì, il 18 giugno. Ero a Palermo, a casa, il giorno dopo sarei tornato a Roma, nel mio ufficio alla procura nazionale antimafia. Squillò il telefono una prima volta, con un chiamante sconosciuto. Non risposi. Suonò di nuovo. Era Bonafede. Con lui non avevo mai scambiato una parola. C'era stato solo un incontro alla Camera nel corso di un convegno sulla giustizia e poi un altro alla convention di M5S a Ivrea». C'ero anch'io a Ivrea e mi ricordo bene come il Movimento accolse Nino Di Matteo. Ebbene, signor Ministro, se oggi siamo qui è perché c'è un fatto che è esattamente legato alla proposta che lei fece a Nino Di Matteo e che lui continua a ribadire, cioè la ricostruzione di Nino Di Matteo rimane tale e quale.
Aristotele diceva: «Platone è mio amico, ma la verità lo è di più». Lo so che non è non è agevole reggere lo sguardo e osservarmi, Ministro, però a tradire sia gli amici che la verità ce ne vuole e lei, di fatto, ha tradito un simbolo, anzi, molto di più, perché Nino Di Matteo era ed è un simbolo della lotta antimafia. Evidentemente però quel simbolo non era degno della sua coerenza, visto che ancora oggi non è chiaro il motivo per cui quel Nino Di Matteo al quale lei offrì un incarico prestigioso in alternativa ad un altro - capo del DAP o, in alternativa, quello di direttore generale degli Affari penali - scelse la casella del DAP.
Cosa sia successo dopo non lo so. Lei dice che non ha sub'to pressioni. Benissimo, non faccio fatica a crederlo, ma non abbiamo ancora capito il motivo per cui alla fine Nino Di Matteo al DAP non ci è andato. La questione è molto semplice: «sì, sì; no, no»; è quasi evangelica per alcuni tratti, è binaria. Non c'è bisogno delle sfumature e, anzi, è proprio nelle sfumature che c'è di mezzo il diavolo e io non voglio assolutamente pensare alle tentazioni del diavolo.
Siccome, però, il fatto in questo caso è esclusivamente politico, lei, oltre a essere Ministro della giustizia, è anche capo delegazione del Movimento al Governo e non ho ancora capito come il Ministro della giustizia, che è anche capo delegazione del Movimento 5 Stelle al Governo, riesca a sopportare la riconferma del signor Descalzi alla guida di ENI, che è imputato per quella che, secondo la procura di Milano, è la più grande tangente internazionale mai pagata da ENI. Quando solo era indagato, da quei banchi si veniva qua a fare casino, ma erano altri tempi. Forse era solo indagato? Sappiate che c'è una differenza sostanziale tra essere indagati e imputati. Chiedevate che non fosse confermato alla guida di ENI quando era indagato e oggi, che è imputato, mi domando come facciate a sostenere ancora Descalzi alla guida di ENI.
Lei, che è Ministro della giustizia, oltre a essere il capo delegazione del MoVimento 5 Stelle, che senso di giustizia ha quando è imputato? Poi ci sarebbe anche un altro imputato - che cito - che si chiama Profumo, prima alla guida di Monte Paschi di Siena, ora coinvolto nel processo MPS, e che è stato confermato alla guida di Leonardo-Finmeccanica. Evidentemente anche qui ci sono delle poltrone, dei giochi e dei posti in consigli di amministrazione da spartirsi e sono contento che anche noi finalmente abbiamo "Captain America" che può sedere nel consiglio di amministrazione di Leonardo perché finalmente anche noi abbiamo un pezzo di America in mezzo a un volume... (Il microfono si disattiva automaticamente). Sono contento che abbiamo un pezzettino di America, rappresentato soltanto da un nome in un mare di Cina che ci sta invadendo.
Signor Ministro, sicuramente non le confermerò la fiducia e faccio mio quanto diceva il buon Aristotele: «amico è Platone, ma più amica la verità».
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cucca. Ne ha facoltà.
CUCCA (IV-PSI). Signor Presidente, signori del Governo, colleghi senatori, preliminarmente anche per un fatto di simpatia personale che nutro nei suoi confronti, esprimo la mia vicinanza al ministro Bonafede sia sul piano personale che sul piano umano, in un momento che è comunque difficile da affrontare serenamente. Oggi tuttavia non siamo qui per parlare di questo; ma per valutare un problema di natura evidentemente politica in un momento così drammatico che sta vivendo il Paese.
È un fatto notorio che, quando si è insediato il nuovo Governo, abbiamo reiteratamente richiesto discontinuità rispetto al Governo giallo-verde, soprattutto sui temi della giustizia. È noto, altresì, che nel corso della precedente esperienza governativa siamo stati in totale disaccordo e apertamente in dissenso rispetto ai provvedimenti approvati a colpi di maggioranza senza alcuna sensibilità verso i prudenti suggerimenti che provenivano dall'opposizione. Tali provvedimenti manifestavano una visione sui temi della giustizia che era ed è tutt'ora diametralmente opposta rispetto alla nostra, sempre improntata sul garantismo, sul rispetto totale dei principi costituzionali del giusto processo, sulla tutela dei diritti degli individui, anche di quelli che abbiano sbagliato percorso di vita e, magari, siano stati condannati da un giudice, la cui discrezionalità e imparzialità (principali e fondamentali prerogative appartenente a quella categoria) abbiamo sempre difeso e tutelato. Questi princìpi sono stati reiteratamente messi in discussione e insediati durante il Governo giallo-verde.
Si rilevava un progressivo, ma costante attacco ai princìpi cardine del nostro sistema giudiziario e penitenziario, che costituivano un modello da imitare negli ordinamenti degli altri Paesi.
Si pensi al principio di non colpevolezza, all'attacco al garantismo, al diritto di difesa, al tentativo di introdurre uno Stato di polizia che soppiantasse lo Stato di diritto, insinuando anche l'idea che ciascuno potesse farsi giustizia da sé: una volontà esclusivamente punitiva, che non lasciava spazio alla possibilità di favorire la rieducazione e il reinserimento del reo secondo il dettato costituzionale. Si pensi a provvedimenti riguardanti la prescrizione, le intercettazioni, la legittima difesa, la cosiddetta legge spazzacorrotti, solo per citarne alcuni, tutti lontani dalla nostra idea di una giustizia giusta. Tutto questo, e tanto altro che il poco tempo a disposizione non consente di trattare, rivelava inequivocabilmente un modo e un'idea differente di concepire la giustizia.
Mi aspettavo che, una volta insediatosi il nuovo Governo, ci fosse un cambio di passo rispetto al precedente, perché quando si sta in coalizione ci si confronta e si trova la sintesi sulle rispettive posizioni, rinunciando ai provvedimenti spot e alle posizioni populiste che avevano condotto all'approvazione di provvedimenti che hanno minato l'articolazione del nostro sistema giudiziario, favorendo le gogne mediatiche, i processi fatti in TV e sugli organi di informazione, talvolta subìti da soggetti rivelatisi poi innocenti. Insomma, un continuo, difficilissimo incontro-scontro su temi importanti e complessi, culminato con la vicenda relativa alla gestione delle carceri, per la quale reiteratamente avevamo richiesto per primi la rimozione del capo del DAP, che si era rivelato non idoneo a svolgere quel delicato incarico. Anche in quella circostanza, siamo rimasti inascoltati, generando le note, gravissime conseguenze e l'epilogo che - ne sono certo - neanche lei si aspettava. Tutti questi temi erano ben noti, perché a più riprese li avevamo rappresentati. Tuttavia, quella discontinuità che avevamo auspicato e invocato a più riprese non c'è stata, se non in maniera molto blanda e per nulla incisiva. Noi abbiamo da sempre manifestato grande responsabilità, formulando proposte sempre dirette non alla ricerca di visibilità, ma solo al perseguimento dell'interesse superiore del Paese. Così abbiamo fatto anche in questa circostanza. Nonostante ciò sia sotto gli occhi di tutti, in questi giorni abbiamo sentito commenti denigratori da parte di persone, anche ben titolate, che reclamano l'unità della coalizione, ma poi sono i primi a pensare di essere i soli ad avere la dignità che invece compete e va riconosciuta a tutte le parti di una maggioranza, nella quale tutti sono indispensabili, come oggi è ampiamente dimostrato; commenti, esternazioni, avvertimenti talvolta sfociati in vere e proprie minacce da parte di persone evidentemente consapevoli dei propri limiti, che da tempo provano inutilmente a rincorrere chi si manifesta sempre e costantemente collaborativo e propositivo.
È tuttavia evidente che il senso di responsabilità, signor Ministro, non è illimitato e mai deve essere dato per scontato, soprattutto se non emerge il riconoscimento della pari dignità di cui ho già parlato e se non si mostrano chiari segnali di discontinuità e di volontà collaborativa. A onor del vero, in quest'ultimo periodo ci sono stati diversi segnali di apertura su altri importantissimi temi, che sicuramente hanno rinvigorito questa maggioranza, ma nessuno può credere che ci siano forze politiche cui assegnare il ruolo di stampella.
Credo, signor Ministro, che sia arrivato il momento di dimostrare il senso di responsabilità che l'alta carica che ella ricopre le impone e sono certo che saprà fare quanto necessario per dare tale dimostrazione per il bene della coalizione, ma soprattutto per il bene superiore del Paese, che noi abbiamo sempre perseguito e tutelato a dispetto di chi sostiene che rincorriamo posti di sotto - Governo, di Governo o simili, che oggettivamente non ci sono mai interessati e abbiamo ampiamente dimostrato anche questo nel corso di questi anni. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Urso. Ne ha facoltà.
URSO (FdI). Signor Presidente, i giornali anche stamattina si sbizzarriscono nel cercare quale baratto vi sia stavolta tra il partito di Renzi e il Governo per non sfiduciare il Ministro: parlano della prescrizione, della riapertura dei cantieri, di un posto di Ministro all'onorevole Boschi, di un "rimpastino" o anche solo di uno strapuntino; uno strapuntino in cambio della giustizia italiana. Una vergogna nella vergogna!
Noi riteniamo invece che nulla possa essere merce di baratto quando si tratta della giustizia, quando si tratta dello Stato di diritto, quando si tratta della libertà degli italiani; quando si tratta della sicurezza degli italiani, nulla può essere merce di baratto. Eppure, signor Ministro, il baratto sembra essere l'elemento che contraddistingue il suo Dicastero, il suo mandato; il baratto o comunque la sudditanza a chi dal carcere le faceva sapere che proprio Di Matteo non poteva essere nominato per quella posizione: le fecero sapere con i cosiddetti pizzini, cioè le intercettazioni che si usano in quei casi, che per loro sarebbe stata la fine. Lei sapeva, lo ha ammesso lei stesso e lo ricorda anche il procuratore antimafia nella sua testimonianza sui giornali. Lei sapeva e si è adeguato; ha barattato la sua tranquillità con il no a Di Matteo, cui lei stesso aveva pensato. Per questo, signor Ministro, noi ci auguriamo le sue dimissioni, come atto della sua coscienza prima che come atto del Parlamento.
Vi è, però, un secondo e più grave mercimonio, quello fatto con i reclusi nelle carceri. Chiunque aveva avuto conoscenza di quel mondo aveva subito capito che le rivolte erano organizzate, frutto di una strategia; persino i giornali parlavano di una strategia criminale. Eppure, invece di opporsi al baratto (fine dell'emergenza nelle carceri con la scarcerazione dei detenuti), lei ha fatto come Ponzio Pilato: ha subìto il baratto e 500 pericolosi criminali, in parte anche mafiosi, sono stati liberati in poche ore. Quando il senatore Alberto Balboni lo denunciò in quest'Aula, il MoVimento 5 Stelle insorse, perché diceva che era una fake news; poi con il decreto-legge n. 29 del 2020, un provvedimento tampone, ha ammesso che era tutta verità cui bisognava porre rimedio. Purtroppo i 5 Stelle sono abituati alle fake news e purtroppo il baratto è avvenuto anche altrove. Sono giunte, infatti, le dimissioni del direttore del DAP Basentini; dimissioni certamente dovute, che sono apparse simili ad altre. Proprio i 5 Stelle ricordavano in quest'Aula il ministro Alfano. Lo faccio anch'io e ricordo che le dimissioni del suo Capo di gabinetto, quando una cittadina kazaka fu consegnata a quel regime, che furono usate per coprire le responsabilità politiche del Ministro di allora. Ricordo anche le parole in quest'Aula del senatore Giarrusso che, evocando il baratto e le dimissioni concertate, parlò di grande menzogna invocando le dimissioni di Alfano.
Il MoVimento 5 Stelle oggi cambia totalmente, perché deve difendere i posti al Governo, la cui delegazione è guidata dal ministro Bonafede. Succede quindi che i 5 Stelle e persino il Partito Democratico dicono che, se il ministro Bonafede viene sfiduciato, si va al voto. Ma come, il voto non doveva essere un'araba fenice? Il voto mentre il Paese è in emergenza? Avete detto per mesi e lo dite anche in questi giorni che non si può votare perché il Paese è in emergenza, ma si deve votare se cade il ministro Bonafede? Bene, si deve votare e ci auguriamo che quello che quest'Assemblea non riesce a fare lo possano fare in quel caso i cittadini italiani, determinando con il loro voto le dimissioni non solo sue, ma del Governo italiano e di gran parte dei parlamentari che la difendono a spada tratta perché difendono sé stessi.
Ebbene, in questa sede è stata evocata la legge cosiddetta spazzacorrotti: si è detto che lei non si può dimettere perché ha fatto quella legge. Proprio l'altra sera la trasmissione televisiva «Report» ha svelato l'inganno di quella legge, che è una clamorosa fake news. Quella normativa inizialmente chiamava in causa tutti coloro che avevano fatto politica negli ultimi dieci anni (800.000 cittadini, tranne i 5 Stelle) e tutte le associazioni (persino la Caritas), tranne la Casaleggio Associati, che non è coinvolta nemmeno da quella legge. Poi l'avete modificata con il "favore delle tenebre", quando il Partito Democratico è entrato al Governo, con il decreto-legge n.34 del 2019, il cosiddetto decreto crescita, per escludere dalla sua applicazione le fondazioni del Partito Democratico e permettergli di evadere quella legge; anche quello è stato un baratto per il nuovo Governo. Bene, noi lo possiamo dire perché secondo «Report» siamo una delle poche fondazioni che rispettano integralmente quella legge, perché per noi la legge, chiunque l'abbia fatta, è sempre una legge da rispettare: si può poi cambiare, ma innanzitutto si deve rispettare (ciò che non hanno fatto tutte le altre fondazioni, comprese quelle che fanno riferimento agli esponenti del Governo).
La cosiddetta legge spazzacorrotti è una fake news, è una legge fatta per i social. È una legge inapplicabile e infatti inapplicata! Per questa ragione lei si dovrebbe dimettere: ha illuso il Paese e i cittadini del MoVimento 5 Stelle.
Aggiungo che si dovrebbe dimettere per l'ultimo e più grave episodio: le dimissioni del suo capo di gabinetto. Cari colleghi, chi di spada ferisce, di spada perisce. Un sistema di intercettazioni che lei e il suo MoVimento avete eretto a regime di intercettazioni, fa emergere come non sia lei a comandare nel suo Dicastero; fa emergere come altri decidessero nomi e incarichi, anche più delicati; fa emergere che persino le nomine di magistrati in posti apicali e decisivi nel suo Dicastero erano decise da altri. Anche in questo caso ha fatto dimettere il suo capo di gabinetto e non ha avuto la coscienza di dimettersi lei. Per questo mi aspettavo che dai loro banchi i colleghi del MoVimento 5 Stelle, a gran voce, come fecero tante volte quando erano all'opposizione, dicessero «Dimissioni, dimissioni, dimissioni», come fecero con Alfano. No, oggi dicono che deve resistere, abbarbicato. Lei deve resistere perché altrimenti cade il Governo e si va al voto, cioè decidono gli italiani sulle sue dimissioni.
Noi diciamo esattamente il contrario, proprio perché lei ha trasformato il Ministero della giustizia, la giustizia su cui si fondano gli Stati, nel Ministero del baratto e del mercimonio, spesso segreto e inconfessabile, con i criminali mafiosi che le indicano di non nominare Di Matteo, con i criminali che fanno sollevare le carceri per essere rilasciati, così come con i magistrati che influiscono nelle sue decisioni.
Ebbene, delle due l'una rispetto a ciò che emerge anche oggi nei giornali dopo il calare delle tenebre: o lei ha accettato, ancora una volta, con il favore delle tenebre, di cambiare la sua politica giudiziaria, accogliendo le istanze del gruppo di Matteo Renzi per non essere dimissionato dal voto dell'Assemblea - e in questo caso deve dire in quest'Aula come cambia la politica sulla giustizia del Governo - oppure - e lo dico ai colleghi del Movimento 5 Stelle - su di lei si è realizzato, potremmo dire ancora una volta con il favore delle tenebre, un baratto, un mercimonio sulla giustizia italiana. Si parla di RAI, di nomine, di nuovi Sottosegretari, di investimenti sulle infrastrutture; cosa c'entrano questi temi con la giustizia che deve essere uguale per tutti ed amministrata davvero con alto senso dello Stato?
Credo che non resti altro, per la sua coscienza prima ancora che per le condizioni politiche del partito che rappresenta nel Governo, che le dimissioni.
Caro Ministro, concludo. La giustizia non si baratta: ce lo insegnano proprio la Croce, Cristo, la nostra religione, cioè la nostra civiltà, che nasce su un baratto, su quello che Ponzio Pilato... (Il microfono si disattiva automaticamente): su quel baratto. Non a caso, la nostra civiltà nasce sulla condanna di quel baratto e sulla sua condanna può rinascere un Governo che finalmente sia espressione del popolo italiano. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Giarrusso. Ne ha facoltà.
GIARRUSSO (Misto). Signor Presidente, onorevoli colleghi, certamente lei, ministro Bonafede, è una persona perbene, e nessuno in quest'Aula lo può negare. Tuttavia, oggi siamo qui per esaminare il suo operato in qualità di Ministro, tutto il suo operato. Partiamo, dall'inizio, da ciò che ha fatto non appena arrivato al Ministero della giustizia. Ha fatto quello che in politica si chiama tradimento: il tradimento di 11 milioni di cittadini che ci avevano mandato in Parlamento per cambiare le cose, per dare un segnale forte, per combattere la mafia. Quel segnale era impersonato da un simbolo, da una persona (Di Matteo) che era stata sbandierata in campagna elettorale come destinataria di importanti incarichi.
Di Matteo voleva dire tanto per la lotta alla mafia, ma soprattutto per la capacità che, per la prima volta, questo Stato aveva dimostrato di processare se stesso in un'aula di tribunale e di arrivare a delle condanne nel processo trattativa. Ebbene, cosa è successo? Il Ministero è stato consegnato a una banda di amici di Palamara. Questo è quanto emerge, e Palamara non è uno qualsiasi. Palamara è colui che dal CSM capeggiò l'attacco alle inchieste Why Not e Poseidon di De Magistris. Non è persona qualsiasi. Ma andiamo avanti.
Ministro, lei è una brava persona, però ha interferito con le prerogative del Parlamento in maniera gravissima, secondo me, con l'atto successivo.
Stavamo approvando la legge istitutiva della Commissione antimafia - colleghi, lo ricorderete - e io avevo appreso sulla mia pelle che un qualunque soggetto sottoposto all'attenzione della Commissione antimafia poteva portare in tribunale uno qualunque dei commissari per gli atti compiuti nell'ambito della stessa, per una sentenza - una in cinquant'anni di esistenza della Commissione, una sentenza spuria - secondo la quale i commissari dell'antimafia non avevano le stesse guarentigie dei membri delle Commissioni parlamentari, e quindi ne rispondevano, davanti ai tribunali. È lì, infatti, che siamo stati portati io e la presidente Bindi dal Grande Oriente d'Italia, a rispondere del nostro operato in Commissione antimafia.
Presentai un emendamento semplicissimo - se lo ricorda, signor Ministro? - che si chiama di interpretazione autentica, glielo ricordo io: ai membri delle Commissioni parlamentari d'inchiesta si applica l'articolo 68 della Costituzione come per gli altri commissari. Una norma che nemmeno doveva essere scritta: lei me l'ha fatta ritirare, signor Ministro.
Signor Ministro, lei è una brava persona, glielo riconosciamo, eppure, dopo pochi mesi, non ha avuto ritegno nel mettere la sua firma su un decreto che espone una testimone di giustizia fra le più importanti della nostra storia, i suoi figli e il marito, alle ritorsioni della mafia scoprendone nomi, luogo di nascita e luogo di residenza dopo trent'anni di coperture. C'è la sua firma su quel decreto, signor Ministro, c'è la sua firma. Ma lei è persona perbene, ha detto davanti a me che questa firma le dispiaceva, che avrebbe fatto di tutto per ritirarla.
In questo momento, quella testimone di giustizia, grazie alla sua firma non può andare nemmeno a farsi operare per una grave malattia, e non ha fatto niente - vero, onorevole Crimi? - per rimuovere questo decreto. Ma lei, signor Ministro, è una brava persona, certo. Concludo, Presidente.
Poche settimane fa abbiamo avuto... (Il microfono si disattiva automaticamente). Non ero arrivato nemmeno a cinque minuti e mi avete tolto la parola. Ho qui il cronometro. (Commenti). Ma vaffanculo, va'! (Rivolgendosi alla parte sinistra dell'emiciclo).
PRESIDENTE. Non ho capito perché sta protestando.
GIARRUSSO (Misto). Perché mi ha tolto la parola.
PRESIDENTE. Il microfono si disattiva automaticamente e io le ho dato la parola.
Prosegua e concluda.
GIARRUSSO (Misto). Grazie Presidente. È sotto gli occhi di tutti che poche settimane fa c'è stata una rivolta organizzata nelle carceri che ha causato 13 morti e danni enormi e la risposta dello Stato, proprio perché siamo in una fase di emergenza straordinaria, con il Paese e l'economia in ginocchio e sotto possibile assalto delle mafie, doveva essere durissima. La risposta qual è stata? Ottomila scarcerazioni e cinquecento mafiosi messi fuori e noi della Commissione giustizia del suo Gruppo, quando ne facevo parte, e della Commissione antimafia non alla centesima scarcerazione - colleghi eravate presenti - ma alle prime scarcerazioni abbiamo chiesto di intervenire. La risposta è stata la proposta di presentare una interrogazione perché non si poteva intervenire. Poi ha presentato tre decreti, lei che diceva che non poteva intervenire, dopo la liberazione di cinquecento mafiosi. Tre decreti ci sono voluti per farla smuovere.
No, signor Ministro, lei sulla lotta alla mafia ha mancato tutto. Lei da un anno e mezzo non si è mai presentato in Commissione antimafia e nemmeno domani verrà, come ci ha già comunicato il presidente Morra ieri. Lei non viene perché non ha un programma di lotta alla mafia. Non ha niente da poter presentare per la lotta alla mafia.
Signor Ministro, la ringrazio per quanto ha fatto nella lotta alla mafia. Le persone per bene si dimettono di fronte ad errori gravi come questi, a disastri come questi. L'inferno è pieno di queste persone per bene. (Applausi).
MORRA (M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. A che titolo?
MORRA (M5S). Per fatto personale, essendo stato citato.
PRESIDENTE. Per fatto personale si parla a fine seduta. Mi pare che il Regolamento lo prescriva e credo che tutti voi dobbiate attenervi ad esso.
La protesta mi pare un fuor d'opera.
È iscritto a parlare il senatore Casini. Ne ha facoltà.
CASINI (Aut (SVP-PATT, UV)). Signor Presidente, credo che quella di oggi non sia una seduta semplice perché da tempo, ormai, sul tema della giustizia si gioca gran parte della vicenda politica di questo Paese, purtroppo anche per la nostra incapacità di arrivare a segno con progetti di riforma che erano assolutamente indispensabili.
Pensiamo, ad esempio, a ciò che è capitato recentemente nel Consiglio superiore della magistratura e alla necessità di varare finalmente una riforma del CSM. Purtroppo si procede di rinvio in rinvio.
Ma la ragione per cui sono intervenuto oggi - altrimenti non lo avrei fatto - mi è stata fornita dal collega del Movimento 5 Stelle e da alcuni altri interventi che ho ascoltato prima in Aula. Colleghi, con grande chiarezza, nel corso del dibattito qualcuno ha evocato mercimoni e baratti. Il dibattito è pieno di contraddizioni e noi dobbiamo avere il coraggio di dire che tali contraddizioni non sono solo nel Governo e nel ministro Bonafede ma sono anzitutto in quest'Assemblea, a partire dalla presentazione di due mozioni con due interventi di grande responsabilità, che hanno però evidenziato a tutti noi come il contenuto delle suddette mozioni sia esattamente opposto. (Applausi).
Qualcuno ha evocato Giletti (che stimo perché è un bravo giornalista) come esempio di buon giornalismo a supporto della propria mozione. La senatrice Bonino ha detto esattamente l'opposto, perché esattamente opposto è il contenuto delle due mozioni. Tuttavia - mercimonio, baratto - non si faranno certamente scrupoli nell'unire voti, per motivazioni opposte, su mozioni opposte. I voti degli opposti si uniranno.
Abbiamo sentito parlare di Nino Di Matteo. Colleghi - è forse la nemesi storica dello scontro tra giustizialisti - Di Matteo, che per qualcuno era un diavolo, nel giro di qualche mese è diventato un santo pur di attaccare Bonafede. Io sono semplicemente garantista e non ho motivo di non credere a quanto il Ministro ha detto sul suo colloquio con Di Matteo. Ma, anche qui, c'è una certa disinvoltura nell'aver capovolto i ruoli e nell'assegnare le parti alle persone.
Infine, c'è chi dice che qui si parla di giustizia e che non si può confondere il destino del Governo con la giustizia. Scusate, ma qui siamo veramente al colmo dell'ipocrisia. Nel momento in cui, oggi, giudico e decido di dare il mio voto, non posso non valutare il fatto che il voto di sfiducia al ministro Bonafede coincide legittimamente con un voto di sfiducia al Governo, in quanto il capo delegazione del MoVimento 5 Stelle è il Ministro della giustizia. Non viviamo sulla luna, siamo in sede politica. Mi meraviglierei dell'opposto, cioè se questo non capitasse. Ma anche in questa sede qualcuno fa finta di meravigliarsi del fatto che ciò possa capitare.
Colleghi, vorrei chiedere una cosa al ministro Bonafede, perché la sua replica a questo dibattito non è scontata. Molti di noi hanno grandi perplessità sulla gestione del Ministero della giustizia e - lo dico con onestà - io sono uno di questi. Sono molto perplesso su alcuni indirizzi della politica giudiziaria che il Ministro ha dato. Sono molto perplesso e preoccupato per l'atto che è seguito alla rivolta nelle carceri (evidentemente guidata da alcuni poteri al loro interno) e i successivi provvedimenti del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Signor Ministro, se lei vuole corrispondere realmente al giuramento che ha fatto davanti al Capo dello Stato, deve evitare di riproporre, nell'intervento che seguirà di qui a pochi minuti, l'impostazione che il suo Movimento 5 Stelle ha espresso con l'intervento fatto prima dal senatore Marco Pellegrini. Infatti, non è la strada giusta quella di offendere i presentatori delle mozioni e l'opposizione e di spiegare che, sostanzialmente, tutto quello che di positivo il Movimento 5 Stelle ha fatto, lo ha fatto perché gli altri tutto e sempre hanno sbagliato. No, Ministro, questa è un'impostazione - lo dico al Movimento 5 stelle con grande rispetto - da rigettare al mittente. Non siamo all'anno zero nella lotta alla mafia e alla criminalità; non siamo all'anno zero da alcun punto di vista. E non è accettabile la concezione...(Il microfono si disattiva automaticamente). (...) poiché è segnalato e messo al Governo legittimamente da un movimento, adesso solo debba rispondere. No, senatore Pellegrini, non funziona così.
Il ministro Di Maio persegue la politica degli esteri che il Governo e il Parlamento gli chiedono di seguire e si deve far carico (come i Ministri dell'interno, della giustizia, della difesa e, in particolare, tutti quei Ministri che sono nei crocevia più importanti delle Istituzioni del nostro Paese) di una collegialità di voto che riceve e assume dal Parlamento e dalla sua maggioranza.
PRESIDENTE. Senatore Casini, la invito a concludere.
CASINI (Aut (SVP-PATT, UV)). Pertanto il Ministro oggi non deve rispondere alla propaganda del Movimento 5 Stelle, ma deve rispondere agli interrogativi seri che molti colleghi della maggioranza gli hanno posto (io sono tra questi). Questi colleghi chiedono di avere un chiarimento importante dal responsabile di un Dicastero che risponde alla maggioranza, ma vorrei dire all'intero Parlamento. Serve più rispetto serve alla causa, cari colleghi del Movimento 5 Stelle; tante volte alcune difese dissennate sono molto autolesioniste. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Mirabelli. Ne ha facoltà.
MIRABELLI (PD). Signor Presidente, dico subito che voteremo con convinzione contro le mozioni in discussione oggi; lo faremo per ragioni di merito e di metodo. È infatti evidente il tentativo delle opposizioni di usare un tema tanto importante e tanto delicato, come quello della giustizia, per provare a far cadere il Governo, scommettendo sulle differenze che convivono in una maggioranza di coalizione.
Senatrice Bonino, non so se sono mele o pere, ma la strumentalità di tutto ciò è evidente - lo diceva adesso il senatore Casini - quando ci sono e ci saranno senatori di centrodestra che voteranno o addirittura hanno firmato mozioni tra loro contrapposte e inconciliabili, pur di provare a far cadere il Governo. Scopriremo oggi che sulle carceri si può essere contemporaneamente per il giustizialismo, con buona pace del senatore Dal Mas, si può essere per il "buttiamo via la chiave", ma si può anche essere garantisti e attaccare il Governo per aver tenuto troppe persone in carcere. Tutto legittimo, giudicheranno gli italiani. Ma per noi un'opposizione che, in questo momento tanto grave per il Paese, sceglie questa strada, la strada delle mozioni di sfiducia individuali, prima nei confronti del Ministro dell'economia e ora nei confronti del Ministro della giustizia, è un'opposizione senza argomenti, che, come se fossimo in una situazione normale, preferisce tentare di logorare il Governo piuttosto che aiutare a rispondere ai problemi urgenti dei cittadini. (Applausi). Non credo sia quello che serve al Paese; non credo sia questa la responsabilità di chi dovrebbe essere al servizio del Paese.
Ma anche sul merito non sono condivisibili le mozioni in discussione. Sulla gestione di un problema cronico del nostro Paese, come quello del sovrappopolamento delle carceri, in una fase emergenziale come questa della pandemia, si fanno ricostruzioni assolutamente strumentali e false di ciò che è stato fatto. Non c'è stato nessuno "svuota carceri" e nessun rilascio degli autori delle rivolte che ci sono state, nessuna liberazione. Smettiamola con la propaganda: ne va della credibilità dello Stato. Con il decreto-legge cura Italia abbiamo dato la possibilità a chi aveva meno di diciotto mesi da scontare di andare agli arresti domiciliari con il controllo dei dispositivi elettronici e abbiamo allungato le licenze per chi già lavorava fuori dal carcere.
Come si sa noi, il Partito Democratico, avremmo voluto fare di più, perché, nonostante ciò che scrive la mozione della Lega, è evidente a tutti che, in un ambiente in cui si sta in sei in una cella di 10 metri quadrati, il distanziamento fisico per prevenire il virus è impossibile. Comunque penso che i numeri li darà il Ministro. Grazie a quell'intervento e allo straordinario lavoro della magistratura di sorveglianza, che ha usato tutte le norme disponibili per ridurre la popolazione carceraria e salvaguardare la salute dei detenuti, si è difeso un principio costituzionale e si è evitata la diffusione del coronavirus nelle carceri.
Ancora sul merito delle mozioni, speravo che almeno in quest'Aula nessuno potesse usare strumentalmente la telefonata di un magistrato a una pur importante trasmissione televisiva (Applausi) per giustificare un atto parlamentare importante come quello della sfiducia a un Ministro. Ma ci siete riusciti. Non solo, abbiamo anche ringraziato in Aula il giornalista che ha raccolto quella telefonata.
Su questo noi non abbiamo ragione di dubitare delle risposte date più volte dal Ministro anche in quest'Aula. Ma certamente grave e preoccupante è stata la messa in detenzione domiciliare, non la liberazione - stiamo attenti alle parole -, di troppi detenuti condannati o sotto processo per reati di mafia; detenuti che il decreto-legge cura Italia prevedeva esplicitamente non potessero godere dei benefici in esso previsti.
Non c'è stata alcuna nuova norma del Governo che abbia consentito quelle scarcerazioni, ma certamente si sono rivelati esserci problemi gravi nel funzionamento del DAP e gravi responsabilità di chi lo ha guidato perché, oltre a non garantire il rapporto con le direzioni antimafia, non ha saputo predisporre soluzioni che evitassero la detenzione domiciliare per questi detenuti, senza compromettere la loro salute. Su questo il Governo e la maggioranza unita sono intervenuti efficacemente e prontamente con gli ultimi due decreti-legge, per impedire che si possano ripetere le troppe scarcerazioni di detenuti per mafia e accelerarne il rientro in carcere.
Quali sono dunque le ragioni della sfiducia? Il fatto che il Ministro pretenda che i cittadini paghino le tasse, come ho sentito prima? Logorare il Governo? Far cadere il Governo? Comunque - lo ribadisco - nulla di utile per la giustizia né per gli italiani.
Detto questo, chiarite le ragioni per cui voteremo contro queste mozioni, voglio chiederle, signor Ministro, di cogliere oggi l'occasione per aprire una discussione in maggioranza e nel Paese per cercare soluzioni ai grandi problemi della giustizia, trovando una sintesi tra le diverse culture politiche che hanno dato vita a questa maggioranza.
Lei è stato Ministro anche del Governo precedente e si è intestato provvedimenti che noi - lo sa - non abbiamo condiviso. Insieme alla Lega - ricordiamocelo - ha votato il provvedimento spazzacorrotti, e con la Lega - che leggo essersene dimenticata - ha abolito la prescrizione dopo il primo grado di giudizio. (Applausi). Con il precedente Governo ha buttato il lavoro del suo predecessore sulla riforma delle carceri e sulla riforma del processo.
È chiaro a tutti che oggi lei è Ministro di un Governo diverso e che la discontinuità con quello precedente deve essere maggiore di quanto è stata finora: questo le chiediamo, signor Ministro. Le chiediamo, forti anche di questo passaggio parlamentare, di costruire insieme un'agenda condivisa che indichi le priorità e definisca concretamente una discontinuità con il passato. Le riforme del processo civile e penale sono ancora di più oggi necessarie, perché anche la giustizia possa contribuire ad affrontare la fase difficile che si apre per il Paese. Soprattutto sul processo penale, signor Ministro, andiamo avanti spediti sulle proposte e le idee che abbiamo già condiviso, e in questo passaggio riaffrontiamo il tema della prescrizione, perché le modifiche introdotte nel decreto-legge del Governo non sono sufficienti; ce lo siamo già detti.
Ancora, signor Ministro, rimettiamo in agenda i temi della riforma carceraria, dell'esecuzione della pena e il tema dei diritti, a partire dalla legge contro l'omofobia. Su queste questioni, signor Ministro, troverà un PD disponibile ma esigente, e serve una coalizione che faccia sintesi, guardando avanti e non indietro. Deve essere lei ad imporre e proporre la discontinuità necessaria. Il PD su queste cose c'è e valuterà l'azione di Governo sulla giustizia. Noi, signor Ministro, non siamo come quelli che aboliscono la prescrizione stando in maggioranza e quando vanno all'opposizione gridano allo scandalo e vogliono reintrodurla. (Applausi). Né siamo come quelli per cui dire "tutti dentro" o "tutti fuori" è uguale, se serve strumentalmente ad indebolire il Governo.
Abbiamo proposte e idee e abbiamo fiducia che lei saprà farne tesoro e saprà fare una sintesi positiva dentro la coalizione e dentro la maggioranza. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ostellari. Ne ha facoltà.
OSTELLARI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, signor Ministro, non devono essere giorni facili per lei e, dal punto di vista umano, le sono anche vicino. Ma si consoli, perché per la gran parte degli italiani questi sono giorni anche peggiori.
Lo sono - e questo la riguarda direttamente - per i colleghi avvocati, per i loro assistiti, per i magistrati, per i cancellieri, per le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, per il personale amministrativo, per i magistrati onorari, per tutte le donne e gli uomini che ogni giorno lavorano nei tribunali e nel mondo della giustizia. Signor Ministro, lo sono soprattutto per chi ha subìto un grave reato e per i parenti di chi non è sopravvissuto e che sono stati disonorati dallo Stato. (Applausi). Uno Stato che, con la sua complicità, signor Ministro, ha scarcerato mafiosi e assassini.
Signor Ministro, lei non accetta consigli: non li accetta se arrivano dalla Lega o dal centrodestra, non li accetta dalle associazioni di avvocati, dai magistrati, dagli accademici e talvolta nemmeno dai suoi compagni d'avventura (abbiamo sentito, in precedenza, il senatore Cucca). Negli anni Sessanta la RAI ha trasmesso uno sceneggiato in quattro puntate, dedicato al protagonista di un libro di Gončarov: "Oblomov". Se non ha letto il libro, le consiglio quantomeno di guardare lo sceneggiato, perché il personaggio di Oblomov per certi versi le somiglia molto: vive di ansie, non prende decisioni, lascia che le cose accadano, scarica la colpa sugli altri o sul destino e, piano piano, permette che tutto attorno a lui cada in rovina.
Signor Ministro, la giustizia italiana, che lei si trova a guidare, non ha bisogno di un Oblomov, ma ha bisogno di coraggio, di competenze, di capacità di dialogo e di pragmatismo, ha bisogno di prerogative, che lei ha dimostrato di non possedere. È questo il motivo per cui, inascoltati, le abbiamo chiesto più e più volte di fare un passo indietro. È questo il motivo per cui siamo qui, oggi, a chiedere al Senato di mettere la parola fine sulla sua esperienza di Ministro.
I testi delle mozioni - voglio dirlo, anche se in questo momento il senatore Casini non c'è - sono chiaramente diversi, ma il punto centrale è il medesimo e puntano al merito della questione: lei ha commesso troppi sbagli e non può continuare. (Applausi). È sul merito della questione che i colleghi senatori e tutti noi oggi siamo chiamati a rendere conto! Se boss e assassini sono usciti di galera, la colpa è di chi non ha ascoltato i dubbi dei magistrati di sorveglianza e non li ha aiutati a decidere in maniera differente. (Applausi). Se nelle carceri ci sono stati scontri, evasioni e decessi, la colpa è di chi ha ignorato le richieste dei sindacati della Polizia penitenziaria. (Applausi). A tal proposito, signor Ministro, le segnalo che ieri si è suicidato un altro agente di Polizia penitenziaria, a Padova, la mia città. Se dallo scoppio dell'emergenza sanitaria i tribunali sono nel caos, con protocolli diversi da Regione a Regione, talvolta da città a città, la colpa è di chi ha rifiutato il confronto con i presidenti di tribunale, con i magistrati e con le associazioni degli avvocati. Se le libertà costituzionali sono messe in pericolo dalle mancate riforme, la colpa è di chi ha scelto di non fare i conti con la realtà.
Signor Ministro, anche io leggo i giornali: per molti suoi compagni di avventura, oggi, non si vota la sfiducia al ministro Bonafede, ma si decide il destino del Governo, perché senza di lei questo Governo non potrebbe andare avanti. Senza di lei, il Governo che tassa le partite IVA, ma regala monopattini, non avrebbe futuro. (Applausi).Mi spiace, signor Ministro.
Il senatore Casini ha sicuramente più cinismo e più esperienza politica di me, ma a me piace pensare che non debba essere così. Vorrei che questo Esecutivo raccogliticcio si ritirasse per restituire la parola agli italiani, ma questo non succederà, come dice Casini. Non può allora succedere che un Governo, per quanto inadeguato e deludente, non possa fare a meno di chi è rimasto a guardare in occasione delle rivolte nelle carceri, di chi è rimasto a guardare le scarcerazioni dei mafiosi, consapevole dell'esistenza di circolari del DAP o, peggio, ignaro delle stesse, per poi dare la colpa ai magistrati di sorveglianza. Mi rifiuto di credere che un Governo non possa andare avanti senza chi ha gettato i tribunali nel caos. Mi rifiuto di credere che un Governo possa sopportare qualsiasi affronto al diritto e al buon senso, pur di non rinunciare a un Ministro; solo perché quel Ministro è amico di Conte? Solo perché fra il Premier e lei c'è un debito di amicizia?
A proposito di amicizia, Cicerone diceva che non c'è affatto amicizia quando, fra due presunti amici, uno non vuole udire la verità e l'altro è pronto a mentire; quando, nel caso, uno non ascolta la voce delle vittime di mafia e dei loro parenti e l'altro mente per salvare se stesso e la propria posizione di potere. (Applausi).
Caro Ministro, voglio credere che lei possa essere sfiduciato. Colleghi, cos'altro dovrebbe combinare il ministro Bonafede per meritare la nostra sfiducia? Perché se non la merita oggi, per la logica che il Governo deve campare, non la meriterà mai. Non mandarlo a casa oggi significa dare un salvacondotto perpetuo alle irresponsabilità. Senza la sfiducia, senza un atto di dignità da parte di quest'Assemblea, passerà un messaggio terrificante: tutti gli errori sono concessi. (Applausi). Quanto fanno o non fanno i Ministri non conta, qualsiasi cosa succeda, nulla deve essere toccato, perché l'importante è campare.
Ma attenti, perché oggi gli italiani non campano più. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Vitali. Ne ha facoltà.
VITALI (FIBP-UDC). Signor Ministro, lei non finisce di meravigliarmi. Infatti, appartenendo lei al Movimento 5 Stelle, quel movimento che ha fatto della difesa delle istituzioni e degli interessi della collettività la propria bandiera e il proprio cavallo di battaglia, in un momento così delicato, in cui la sua maggioranza è traballante, in un momento particolarmente delicato per il Paese, mi sarei aspettato da lei le dimissioni: un segnale che avrebbe ricompattato la sua maggioranza e fatto andare avanti questo Governo. Ma così non è stato. Per presunzione? Per arroganza? Per mancanza di consapevolezza? Per gusto del rischio?
Adesso le citerò alcuni elementi per i quali il suo mandato non è stato all'altezza della situazione. Prima di entrare nel merito, voglio dire che anche per me lei è una brava persona, ma adesso stiamo facendo delle valutazioni politiche.
È stato detto che la legge n. 3 del 2019, cosiddetta spazzacorrotti, che qualcuno esibisce come un totem (non si capisce bene in virtù di cosa), è stata scritta male e rischia di alimentare la corruzione. (Applausi). Non lo dico io e non lo dice Forza Italia; lo dice Cantone, che è stato il commissario anticorruzione. Infatti, caro Ministro, la sua legge spazzacorrotti è stata dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Corte costituzionale e addirittura l'Avvocatura dello Stato, che normalmente difende gli interessi del Governo, ha preferito gli interessi del diritto a quelli della politica e ne ha chiesto la disapplicazione. (Applausi).
Questo è un suo insuccesso, non di altri.
Parliamo poi della prescrizione: uno strabismo legislativo (non lo dico io, lo dice Gherardo Colombo), una mostruosità (non lo dico io, lo dice Carlo Nordio), una norma che va contro l'articolo 111 della Costituzione sulla ragionevole durata dei processi, che stabilisce il processo senza fine, l'imputato senza fine.
Potrei continuare con le intercettazioni, con l'agente sotto copertura che diventa agente provocatore e che quindi stimola la commissione del reato, per non parlare del trojan, che era stato istituito per i reati più gravi e che viene invece ampliato a dismisura entrando nella vita privata dei cittadini. (Applausi).
Parliamo poi anche della crisi del sistema carcerario. Signor Ministro, le scarcerazioni non sono dipese dai giudici di sorveglianza, che hanno applicato la legge, e non sono dipese neanche dal capo del Dipartimento che non ha dato tempestivamente le risposte a quei giudici di sorveglianza che le avevano chieste. Le scarcerazioni dei mafiosi sono dipese da lei, signor Ministro della giustizia, che sapeva da gennaio che andavamo incontro alla pandemia e che non ha fatto nulla per tutelare la salute dei pregiudicati, sia pure mafiosi, che comunque vanno trattati dal punto di vista umano esattamente come tutti gli altri cittadini. (Applausi). Questa è una sua responsabilità.
Per non parlare della diffusione del contagio all'interno delle carceri, con i poliziotti penitenziari, e all'interno dei tribunali, come quello di Milano, dove lei non è stato in grado di prevedere tempestivamente le misure a tutela dei lavoratori.
È il caso dei tribunali oggi, per i quali lei non è stato ancora in grado di fare un protocollo per fissare da Aosta a Caltanissetta le stesse regole per esercitare l'attività giurisdizionale, che è un diritto dei cittadini. (Applausi).
C'è poi la riforma del processo penale. Chi l'ha vista? Sempre annunciata e mai realizzata.
Voglio parlare poi delle sue amicizie. Nel 2017 ha portato Luca Lanzalone a Roma, arrestato per corruzione. Ha nominato il capo dell'Ispettorato, indagato poi per corruzione, per non parlare delle dimissioni del capo del DAP e del capo di gabinetto. O lei è sfortunato - e le consiglio di farsi battezzare, di farsi cresimare, di fare qualcosa, una macumba - o lei è parte del sistema.
Un ministro della Repubblica è come la moglie di Cesare: non solo deve essere trasparente, ma deve anche apparire tale. Io non so se lei lo sia, ma sicuramente non appare tale. (Applausi).
Veniamo poi alle sue gaffe: confonde il 4-bis dell'ordinamento penitenziario con il 416-bis del codice penale; lei non sa la differenza tra reati dolosi e colposi, visto che va in televisione e dice che, quando un reato non è doloso, è sicuramente colposo e la prescrizione è più breve, dimostrando di non conoscere neanche la legge che ha scritto... (Il microfono si disattiva automaticamente).
Quando poi dice che non ci sono innocenti in carcere, lo sa, signor Ministro della giustizia, che ogni anno vengono processati 150.000 innocenti e 1.000 hanno patito il carcere? Lo sa o non lo sa? (Applausi).
Lei non ha avuto il coraggio di assumersi la responsabilità politica di dire di aver preferito Basentini a Di Matteo: io non tifo per nessuno, ma rivendico l'autorevolezza della politica a decidere. Lei non ha avuto il coraggio di fare neanche questo, cincischiando e mettendo una pezza peggiore della toppa.
Lei manca di autorevolezza, prestigio, credibilità e, mi permetta, di competenza. Sarà una brava persona, ma non è in grado di fare il Ministro della giustizia.
Avviandomi a concludere, voglio dirle che, prima di lei, nella prima e nella seconda Repubblica si sono dimessi Ministri importanti. Lattanzio si è dimesso perché era scappato Kappler: non era lui il carceriere di Kappler, era il Ministro della difesa e si è assunto la responsabilità. Zamberletti dopo il terremoto del Friuli-Venezia Giulia prese una decisione difficile e si dimise: «Un sindaco friulano venne arrestato per una tangente legata al terremoto, e io per questo mi dimisi dal Governo: il motivo era che avevo promesso di rispondere di ogni cosa fosse successa in Friuli, quindi non solo dei miei errori, ma anche di quelli altrui». Questo è quanto fa una persona seria e responsabile. (Applausi).
Si dimetta, dunque, signor Ministro, e si assuma le sue responsabilità. Noi ci assumeremo le nostre perché, se il Movimento 5 Stelle è pervaso dal masochismo, noi no, i cittadini italiani no. Pertanto, se lei non si dimetterà - ed è ancora in tempo - noi voteremo convintamente la sfiducia nei suoi confronti. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Lomuti. Ne ha facoltà.
LOMUTI (M5S). Signor Presidente, colleghi senatori, pensavo di aver visto tutto durante questi primi due anni di legislatura, ma evidentemente mi sono sbagliato. E me ne sono reso conto leggendo il contenuto delle mozioni. Non lo dico per la loro provenienza perché, altrimenti, dovrei concludere l'intervento con un giudizio di inattendibilità, ma lo dico perché oggi ci sono due mozioni contrastanti. Una dice il contrario dell'altra, ma hanno qualcosa in comune, una parola: «ipocrisia». Questo è. (Applausi).
L'accusa verso il ministro Bonafede dove è? È per la gestione delle carceri? Le scarcerazioni o le nomine del DAP? Voglio darvi un'informazione: dispone le scarcerazioni con il Ministro della giustizia, ma la magistratura che da sempre rispettiamo. (Applausi). Lo ha fatto in base all'esecuzione di alcune leggi vecchie di decenni: la legge n. 199 del 2010 che il centrodestra ha approvato, che si è sempre chiamata ed è famosa con il nome di svuota carceri. (Applausi). Questa è la vostra storia.
Cosa ha fatto il ministro Bonafede? È intervenuto su quella legge con il famoso articolo 123 del cura Italia, che ha limitato l'applicazione dei benefici domiciliari, ha escluso i detenuti che hanno commesso reati gravi e sono stati protagonisti delle sommosse nelle carceri nel mese di marzo e ha aggiunto l'uso del braccialetto elettronico. Questo ha fatto il ministro Bonafede, e non solo!
Il ministro Bonafede, qualche giorno fa, ha firmato due decreti che intervengono proprio sulle scarcerazioni possibili future e su quelle passate. Questa è stata l'azione del ministro Bonafede. Poi si viene in questa sede a sindacare le scelte sul DAP. Informiamo che oggi ai vertici del DAP ci sono persone che della lotta alla mafia hanno fatto la loro ragione di vita. Ecco che cosa è stato fatto. (Applausi). È notizia di ieri che un boss molto pericoloso è tornato a essere sottoposto all'articolo 41-bis e, quindi, si iniziano a vedere già gli effetti degli interventi posti in essere.
Sulle nomine, però, del DAP e sul famoso episodio del 2018 le opposizioni si sono superate. Hanno fatto sull'intervento Di Matteo una strumentalizzazione senza precedenti. Voglio ricordare a coloro che si sono stracciati le vesti durante le indagini del pubblico ministero Di Matteo sulla trattativa tra Stato e mafia che, se fosse per loro, il popolo italiano non avrebbe mai avuto conoscenza del fatto che lo Stato in passato ha trattato con la mafia. (Applausi). Oggi strumentalizzano il nome del grande magistrato Nino Di Matteo perché fa comodo. D'altronde, fanno così anche con il popolo italiano: fanno finta di amarlo finché non hanno qualcosa da regalare, ma la loro lealtà nei loro confronti finisce proprio quando finiscono di trarne benefici. Questa è la loro storia.
La farsa più grande, poi, si legge nella parola «legalità» contenuta nelle mozioni. Noi non accettiamo lezioni di legalità da chi ha iniziato il Governo con un decreto Biondi, con una legge sul legittimo impedimento. (Applausi). Noi non possiamo accettare lezioni di legalità da chi annovera all'interno dei gruppi senatori che sono stati raggiunti da richieste di arresto. E non vogliamo lezioni di legalità nemmeno da Fratelli d'Italia, che in pochi mesi ha avuto cinque consiglieri regionali raggiunti da provvedimenti di arresto. Questo siete voi e oggi venite qui vestiti di una coscienza pulita che vi sta stretta di maniche. Questo è sotto gli occhi di tutti.
Quanto alla mozione, invece, della senatrice Bonino, che fa la morale al ministro Bonafede su temi che sono sui tavoli politici da ben trent'anni, e è in politica dagli anni Settanta e ha rivestito ruoli di Governo, essendo stata anche Ministro, le chiederei cosa ha fatto per quei problemi. Con riferimento ai due anni di incarico possiamo giudicare il ministro Bonafede rispetto al piano sull'edilizia penitenziaria e giudiziaria e alla riforma della giustizia civile e penale. Non voglio parlare della legge spazza corrotti, che questo Paese aspettava da trent'anni. (Applausi). Non voglio parlare del DASPO ai corrotti. Non voglio parlare del potenziamento degli strumenti delle indagini. Il discorso è uno: la visione della società parte dalla sua riorganizzazione ed è il motivo per il quale noi oggi, giustifichiamo e motiviamo il nostro no alle mozioni di sfiducia. Se, vogliamo partire da uno Stato di diritto, da uno Stato basato sulla legalità, oggi non possiamo fare altro che rigettare le mozioni di sfiducia nei confronti del ministro Bonafede. (Applausi).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione.
Ha chiesto di intervenire il ministro della giustizia, onorevole Bonafede. Ne ha facoltà.
Ricordo che è in corso la diretta televisiva con la RAI.
BONAFEDE, ministro della giustizia. Signor Presidente, quando si giura sulla Costituzione come Ministro della Repubblica, si decide di essere in tutto e per tutto uomo delle istituzioni. Nelle ultime tre settimane, fuori da qui, si è sviluppato un dibattito gravemente viziato da allusioni e illazioni, ma per rispetto delle istituzioni, piuttosto che alimentare polemiche, ho condiviso fin dall'inizio l'esigenza del Parlamento di un confronto che si è già sviluppato al Senato con quattro interrogazioni a risposta immediata e alla Camera con due interrogazioni a risposta immediata, un'audizione in Commissione giustizia e un'informativa urgente in Aula.
Ripercorrerò adesso i punti delle mozioni presentate, le cui ragioni sono praticamente opposte tra di loro, e replicherò alle stesse portando avanti molto semplicemente la forza e l'evidenza dei fatti, tutti qui documentati.
Cominciamo con il primo punto, vale a dire l'ormai nota vicenda della nomina del vertice del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) del giugno 2018. La vicenda è stata ormai a dir poco sviscerata in ogni sua parte ed è stata oggetto di dettagliata informativa alla Camera. Sono stati ampiamente sgombrati tutti gli pseudo dubbi che il dibattito politico e mediatico ha volutamente costruito sulle parole pronunciate nel corso di una telefonata a una trasmissione televisiva dal dottor Di Matteo. Parliamo di colloqui informali risalenti a quasi due anni fa e che con una certa fatica mi sono incredibilmente ritrovato a dover ricostruire, ma tant'è.
Lunedì 18 giugno 2018 contattai telefonicamente il dottor Di Matteo per proporgli di valutare la possibilità di entrare nella squadra che stavo costruendo per il Ministero della giustizia. Parlammo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) e della Direzione affari penali, evocando quello che era stato il ruolo di Giovanni Falcone. Nel corso della telefonata mi accennò esternazioni di boss mafiosi all'interno del carcere preoccupati di una sua possibile nomina al vertice del DAP, informazione che non mi lasciò sorpreso. Colgo l'occasione per precisare, visto che una delle mozioni fa specifico riferimento a questo punto, che si trattava non di intercettazioni in senso tecnico, bensì di esternazioni di detenuti ascoltate dalla polizia penitenziaria e trascritte in relazioni di servizio, già note al Ministero dal 9 giugno 2018 e, quindi, ben prima della telefonata in questione. Confermai, ovviamente, la volontà di incontrarlo il giorno dopo. Martedì 19 giugno 2018, ore 11, incontro al Ministero il dottor Di Matteo come da accordi.
Nel dibattito di queste settimane si vuol far passare l'idea per cui, dopo la proposta, ci fu una chiusura da parte mia. Tutt'altro: dopo la prima telefonata e in occasione di quel primo incontro semplicemente mi convinsi che l'opzione migliore sarebbe stata quella di riproporgli un ruolo equiparabile a quello che era stato di Giovanni Falcone. Avrebbe richiesto certamente più tempo e avrebbe implicato probabilmente una riorganizzazione del Ministero, ma ne sarebbe valsa la pena, perché nel progetto che avevo in mente avrei consentito al dottor Di Matteo di lavorare in via Arenula, al mio fianco. Dopo lungo colloquio, ci lasciammo proprio con quest'ultima idea e, non trattandosi di una prospettiva immediata, non ci fu bisogno di fissare un ulteriore appuntamento nel breve periodo. Tuttavia, nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno, ricevetti una telefonata dal dottor Di Matteo, il quale mi chiese di poterlo incontrare il giorno dopo. Mi resi ovviamente disponibile. Siamo a mercoledì 20 giugno 2018, ore 11. Il dottor Di Matteo torna a trovarmi al Ministero e mi comunica che non è più disponibile per una collaborazione perché avrebbe preferito il DAP. Visto come c'eravamo lasciati il giorno prima, appresi questa sua determinazione con sorpresa.
Tra l'altro gli comunicai che, avendo tempi stretti a causa di scadenze istituzionali, avevo già inviato al Consiglio superiore della magistratura nel pomeriggio del giorno prima, la richiesta per la nomina di Francesco Basentini, al quale avevo già dato la mia conferma.
Questi sono i fatti che - diciamocelo pure - non hanno niente di particolare, né tantomeno di eccezionale rispetto alle modalità e alle dinamiche di una qualsiasi nomina fiduciaria e discrezionale. (Applausi). Tutti i fatti sono chiari e lo sono sempre stati. Vanno fissati due punti una volta per tutte.
In primo luogo, alla domanda se ci furono condizionamenti, ancora una volta la risposta è no. Chi lo sostiene se ne faccia una ragione; non sono più disposto a tollerare alcuna allusione o ridicola illazione. Lo stesso dottor Di Matteo, tra l'altro, a proposito delle esternazioni dei boss, ha chiarito in un'intervista a «La Repubblica» del 6 maggio 2020 - cito testualmente - che durante la prima telefonata: «Il Ministro si mostrò informato della questione».
Il secondo punto concerne il confronto tra i due possibili ruoli di cui parlammo con il dottor Di Matteo. Anche in questo caso la risposta è molto semplice: nella mia determinazione, condivisibile o meno che fosse, il dottor Di Matteo avrebbe avuto la possibilità di lavorare in via Arenula in un ruolo più specifico e potenzialmente incidente su tutte le questioni penali. La mafia, che vive di segnali, non sarebbe andata a guardare l'organigramma del Ministero per verificare quale ruolo fosse più in alto o più in basso. La mafia avrebbe semplicemente constatato una sola circostanza: Di Matteo, all'interno delle istituzioni, lavorava al fianco del Ministro della giustizia. (Applausi).
Fin qui può considerarsi esaurita la trattazione degli argomenti risalenti al 2018, ma sia detto per inciso che in questi due anni da Ministro della giustizia ho scritto e portato avanti leggi che - come è normale che sia - hanno ricevuto apprezzamenti - tra l'altro anche a livello internazionale - ma anche critiche. Queste ultime, che io rispetto sinceramente, nascono molto spesso sia dalle diverse sensibilità giuridiche e culturali, sia dal fatto che, del tutto legittimamente, si è ritenuto che gli stessi obiettivi potessero essere perseguiti attraverso strumenti o norme differenti. Ma c'è un punto che risulta evidente a tutti: la ferma determinazione, che rivendico, con cui quelle leggi combattono il malaffare ed è proprio la lotta al malaffare, senza compromessi, che ha sempre animato e sempre animerà la mia attività politica.
Chiusa questa parentesi, vorrei passare alla questione legata alla gestione dell'impatto dell'emergenza coronavirus nelle carceri, su cui mi si accusa di non aver approntato cautele sanitarie e misure efficaci. Le misure adottate e i risultati raggiunti sono tutti documentati. Prima di arrivarci, però, cominciamo con il dire che, a fronte di una pandemia, la situazione delle carceri presenta due aspetti peculiari: da un lato, parliamo di strutture chiuse per definizione, dove è più difficile per il virus entrare; dall'altro lato, nel caso in cui il virus riesca a entrare, all'interno dell'istituto penitenziario, così come in qualsiasi altra struttura chiusa e come - per esempio - è drammaticamente accaduto nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA), la concentrazione di persone all'interno ne aumenta potenzialmente la sua capacità di diffusione. Chiarisco che non sto esponendo una rivoluzionaria ipotesi scientifica: siamo di fronte a una semplice ed elementare costatazione logica e di buon senso. D'altronde, non c'è Paese al mondo colpito dalla pandemia che non si sia posto il problema delle carceri come una delle linee di frontiera più complesse nel contrasto al virus.
Dunque, questo problema è sempre stato chiaro a tutti, tranne - stando alle mozioni - alle opposizioni, che ancora oggi affermano nella loro mozione che l'articolo 123 del decreto-legge n. 18 del 2020, cosiddetto cura Italia: «Introduceva il pericoloso, indimostrato e falso nesso di causalità tra il rischio di contagio e lo stato di detenzione». Quindi, il rischio di contagio nelle carceri, che - lo ripeto - per tutto il mondo è un dato di fatto, in Italia secondo le forze di opposizione lo avrebbe inventato il Governo con l'articolo 123 del decreto-legge cosiddetto cura Italia. Ad ogni modo sia chiaro che tutte le misure adottate in Italia trovano il presupposto in specifiche indicazioni di carattere medico-scientifico dell'autorità sanitaria competente. L'obiettivo è sempre stato chiaro: la tutela della salute, e non solo di coloro che lavorano e vivono all'interno delle carceri, ma anche della collettività tutta, nell'evitare che eventuali focolai potessero aggravare le difficoltà del sistema sanitario in quel momento già drammaticamente sovraccarico.
Per evitare ciò il 22 febbraio l'allora capo Dipartimento, dottor Basentini, prescriveva il rispetto da parte degli istituti penitenziari e del personale delle indicazioni provenienti dal Ministero della salute, invitando allo stesso tempo ogni direzione a coordinarsi con le autorità sanitarie locali. Con la medesima circolare veniva subito istituita l'unità di crisi presso la Direzione generale dei detenuti e del trattamento. Da quel momento sono state adottate le seguenti misure: sospensione temporanea dei colloqui di persona dei detenuti con conseguente sostituzione con modalità di colloquio a distanza (il nostro esempio su questo punto è stato seguito da tutti i più grandi Paesi europei); predisposizione di controlli in ingresso, anche tramite thermoscan, dei detenuti cosiddetti nuovi giunti, nonché del personale dell'amministrazione penitenziaria; distribuzione dei dispositivi di protezione, in sinergia con la Protezione civile, che ringrazio; installazione di 145 tensostrutture agli ingressi degli istituti penitenziari, per permettere il cosiddetto pre-triage; individuazione negli istituti dove non è presente una tensostruttura di appositi spazi interni; predisposizione di assistenza sanitaria specifica per soggetti contagiati, con personale medico a cui è rimessa la valutazione circa la necessità di eventuale ricovero presso strutture sanitarie esterne; individuazione degli spazi e delle sezioni idonee per l'eventuale isolamento sanitario in caso di sospetto contagio; divieto di trasferimento dei detenuti, se non dopo visita medica ed eventuale tampone negativo; sanificazione dei locali che hanno ospitato detenuti contagiati e con sospetto di contagio.
Inoltre, grazie alla collaborazione con la Protezione civile e con gli altri Ministri competenti - permettetemi di ringraziare i ministri Speranza e Boccia - sono stati assunti in via straordinaria 1.000 operatori sanitari per le carceri.
Infine, dall'inizio dell'emergenza coronavirus, sono stati immessi anticipatamente in ruolo 1.100 nuovi agenti di polizia penitenziaria; in due anni parliamo di circa 3.900 agenti.
Fatto l'elenco delle misure adottate, la domanda da porsi a questo punto è la seguente: queste misure hanno funzionato? Giudicate voi. Alla data del 19 maggio 2020, dei 53.458 detenuti, risultano accertati 102 casi di persone recluse attualmente positive, di cui soltanto una ricoverata in strutture sanitarie esterne. (Applausi). Anche considerando il periodo in cui la pandemia in Italia ha raggiunto i livelli più alti, all'interno delle carceri abbiamo avuto un massimo di 162 detenuti contemporaneamente positivi in tutto il territorio nazionale. Sono finora guarite 122 persone recluse e purtroppo, con profondo dispiacere, devo ricordare il decesso di un detenuto oltre ad altre due persone che si trovavano già in detenzione domiciliare.
Per quanto concerne il personale in servizio, su 40.751, sono 154 i dipendenti attualmente positivi, di cui 4 del personale amministrativo e 150 tra gli agenti della nostra polizia penitenziaria. Risultano guariti in 142.
Permettetemi di esprimere tutta la mia vicinanza alle famiglie di Gianclaudio Nova e Nazario Giovanditto, i due agenti che hanno perso la vita a causa del coronavirus. (Applausi). A tutta la polizia penitenziaria e a tutto il personale dell'amministrazione penitenziaria va la mia più profonda e sincera gratitudine per la professionalità e l'abnegazione dimostrate, ancora una volta, anche in occasione dell'emergenza.
Quelli enunciati sono numeri che parlano da soli e dicono che, contrariamente a quanto affermato dalle due mozioni, il piano di prevenzione e il contrasto del contagio non solo c'era, ma, almeno fino a questo momento, ha anche funzionato. È totalmente falsa l'immagine di un Governo che avrebbe spalancato le porte delle carceri, addirittura per i detenuti più pericolosi. Dati alla mano, la riduzione della popolazione detenuta in Italia è stata determinata, nella stragrande maggioranza dei casi, dall'applicazione di leggi vigenti nel nostro ordinamento da decenni e che nessuno ha mai cambiato nonostante i numerosi anni trascorsi al Governo del Paese. (Applausi).
La scelta di questa maggioranza è stata semplicemente quella di intervenire senza intaccare il principio della certezza della pena per semplificare il funzionamento delle leggi già vigenti, arrivando a imporre l'uso del braccialetto elettronico nei casi in cui non era in precedenza previsto.
In particolare, non era previsto nella legge n. 199 del 2010, approvata da un Governo di centrodestra, che mandava in detenzione domiciliare i detenuti senza braccialetto. Tra l'altro, il nuovo sistema di distribuzione, adottato in piena sinergia con il Ministero dell'interno - ringrazio la ministra Lamorgese, oltre al commissario straordinario Arcuri - potrà assumere un ruolo cruciale nel consolidamento di questo strumento, il braccialetto elettronico, soprattutto per quanto concerne i detenuti in attesa di giudizio.
Tutte le dichiarazioni delle opposizioni che hanno parlato di svuota carceri avrebbero dovuto specificare semplicemente che si riferivano non a una legge di questa maggioranza, bensì a una loro legge, approvata con un Governo di centrodestra. (Applausi).
C'è un punto, in particolare, che svela l'inconsistenza delle accuse che vengono mosse al sottoscritto e al Governo. Il decreto-legge cura Italia parla chiaro: sono esclusi dall'accesso alla detenzione domiciliare sia i detenuti condannati per reati di mafia e altri reati più gravi - cosiddetti ostativi - sia ovviamente tutti coloro che hanno partecipato ai gravi disordini nelle carceri nei primi giorni di marzo, su cui sono in corso le relative indagini da parte dell'autorità giudiziaria, e non entro nel merito.
Ora mi chiedo: a fronte di una legge che esclude esplicitamente rivoltosi e mafiosi dai benefici penitenziari, com'è possibile sostenere - come fanno le opposizioni - che di questa legge si possono avvantaggiare in qualsiasi modo proprio i mafiosi e i rivoltosi che sono invece esplicitamente esclusi? (Applausi). La domanda che a questo punto sorge spontanea è la seguente: in base a quale legge sono usciti dal carcere i detenuti condannati definitivamente per i cosiddetti reati di mafia? È molto semplice. Nella maggior parte dei casi risulta che sia accaduto in base agli articoli 146 e 147 del codice penale del 1930, in combinato disposto con le norme dell'ordinamento penitenziario del 1975, che stabiliscono il proseguimento dell'esecuzione della pena in detenzione domiciliare per motivi di salute. E le norme appena citate sono in qualche modo riconducibili all'attività mia o di questo Governo? No, non lo sono, a meno che qualcuno non voglia affermare che siamo al Governo da più di cinquant'anni. Ricapitolando, i giudici hanno applicato leggi vigenti, nella migliore delle ipotesi, da oltre cinquant'anni che nessuno ha mai cambiato.
Si continua a fare riferimento alla nota del DAP del 21 marzo 2020, adottata sulla base di precise valutazioni provenienti dall'autorità sanitaria; una nota che in piena pandemia offriva al magistrato competente un quadro sanitario completo di tutti i detenuti presenti nell'istituto penitenziario. La nota in questione, tra l'altro, è stata emanata in adempimento oltre che dei principi sanciti dalla nostra Costituzione, come la tutela del diritto alla salute, anche del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 che stabilisce - non da adesso con questa maggioranza, ma da vent'anni, per l'appunto - che, in caso di determinate patologie, la direzione dell'istituto trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza per i provvedimenti di rispettiva competenza. C'è di più. Come già detto più volte anche in quest'Aula, si tratta comunque di una comunicazione amministrativa che, per sua stessa natura, non può certamente vincolare la decisione di un magistrato.
La Costituzione, certo, non lascia spazio a ipotesi in cui la nota di un direttore generale di un dipartimento di un Ministero possa dettare o anche solo condizionare la decisione del magistrato, e questo non è - come si continua a dire - uno scaricabarile nei confronti della magistratura. È proprio il contrario: è rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.
Per questo respingo ogni strumentalizzazione politica e riconosco - lo sottolineo - ai giudici di sorveglianza di aver svolto un lavoro importante in un momento difficilissimo in cui la pandemia, nonostante tutte le cautele adottate, ha messo a dura prova l'intera infrastruttura generale del nostro Paese e, a maggior ragione, un'amministrazione delicata e complessa come quella penitenziaria.
Per inciso, a proposito delle condizioni dell'edilizia delle nostre carceri, in quasi due anni ho portato avanti tutta una serie di progetti di edilizia penitenziaria che - per esempio - sta portando all'apertura, proprio in queste due settimane, di quattro nuovi padiglioni per 800 posti detentivi. Nei prossimi tre anni sono già definiti e stanziati investimenti per migliorare le condizioni delle nostre carceri e realizzare un aumento complessivo di circa 5.000 nuovi posti.
Ma vorrei soffermarmi sulla finalità rieducativa della pena, sancita dall'articolo 27 della Costituzione, che è un principio che sta guidando questa maggioranza e questo Governo in tutti i provvedimenti relativi alla materia dell'esecuzione penale. Siccome in una delle due mozioni si parla di mancanza di investimenti mirati a potenziare la funzione rieducativa della pena, ricordo che sono aumentati, proprio per volontà di questa maggioranza, gli investimenti nell'ambito dell'area trattamentale. Ricordo che è stato potenziato il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità che sovraintende proprio all'esecuzione esterna della pena e si sono moltiplicati i protocolli di lavoro di pubblica utilità per i detenuti passando da uno a circa 70 in due anni. (Applausi). Ricordo che è stato istituito l'ufficio centrale per il lavoro dei detenuti. Proprio ieri è stato pubblicato il bando per dirigenti penitenziari dopo oltre ventitré anni e a fine mese sarà pubblicato un concorso per 95 educatori, mentre è in corso la selezione per i mediatori culturali.
Chiaramente la situazione è ancora difficile e c'è tanto da fare. Ci sono stati magistrati che, in un momento di grave emergenza epidemiologica, hanno deciso la scarcerazione di detenuti per motivi di salute - lo ribadisco - in base a norme esistenti da decenni e, senza entrare nel merito di tali decisioni, il Governo è immediatamente intervenuto con due decreti che stanno già dando importanti risultati. Con il primo, il n. 28 del 2020, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e le direzioni distrettuali rendono un parere obbligatorio rispetto a decisioni in relazione alle quali prima non si prevedeva alcun tipo di coinvolgimento. Nonostante adesso siano in tanti a dire cosa avrebbero fatto, l'unico dato certo è che nessuno ha mai pensato a questa importante innovazione. Noi, questo Governo, questa maggioranza, abbiamo introdotta quella innovazione. (Applausi).
Grazie al secondo decreto antimafia, il n. 29 del 2020, nel giro di due settimane tutti i condannati o imputati per reati gravi, scarcerati per motivi di salute legati al rischio Covid-19, che sono non 497 bensì 256, tornano davanti al giudice alla luce del mutato quadro sanitario della fase 2 e il DAP assume per legge un ruolo che prima essa non gli attribuiva. Ciò detto, sto chiaramente portando avanti tutti gli accertamenti necessari che competono al Ministro e al Ministero della giustizia.
Nel frattempo, c'è stato un tempestivo cambio ai vertici del DAP con l'arrivo del nuovo capo, il dottor Bernardo Petralia, e del vice capo, il dottor Roberto Tartaglia. Anche su questo, in una delle due mozioni vengono rivolte contestazioni ardite e infondate secondo le quali la nomina del dottor Tartaglia sarebbe illegittima. Il relativo atto di nomina, formalizzato con decreto del Presidente del Consilio dei ministri del 30 aprile 2020, risulta perfettamente conforme alla normativa vigente, come confermato dall'esito assolutamente positivo del controllo effettuato sia dal Consiglio superiore della magistratura che dalla Corte dei conti.
Infine, si contesta la mancata assunzione di provvedimenti adeguati nel settore dell'organizzazione degli uffici giudiziari, soprattutto in vista della fase di ripartenza iniziata lo scorso 11 maggio. Contrariamente a quanto affermato nelle mozioni, il Ministero della giustizia si è immediatamente attivato per assicurare agli uffici giudiziari il supporto necessario per far fronte a ogni difficoltà riscontrata. Anche in questo caso mi limito all'elenco delle determinazioni assunte: costante confronto già dal 24 febbraio con i vertici degli uffici giudiziari per assicurare la corretta impostazione e il presidio delle necessità nella cosiddetta fase 1. Nei decreti legge n. 18 e 28 del 2020 sono state date disposizioni in tema di informatizzazione in ambito processuale, civile e penale. In secondo luogo, vi è stato l'ampliamento delle notificazioni telematiche nel processo penale; l'addio del deposito penale telematico a valore legale per gli atti difensivi di cui all'articolo 415-bis, comma 3, del codice di procedura penale; il deposito obbligatorio di atti introduttivi tramite processo civile telematico; l'avvio del processo civile telematico in Cassazione; lo sblocco delle procedure di correzione degli esami degli avvocati e dei concorsi di magistratura e notariato. Il tutto è avvenuto nel fattivo confronto con l'avvocatura e il mio grazie va a tutti coloro che lavorano negli uffici giudiziari, in condizioni certamente difficili e con gravi disagi.
Per l'avvio della cosiddetta fase 2, lo sforzo è stato indirizzato alla graduale riapertura degli uffici, concentrando le attenzioni sull'aspetto della sicurezza dei luoghi di lavoro.
Nessuno poteva illudersi che fosse un percorso semplice e privo di ostacoli, ma gli sforzi già compiuti e quelli in corso di svolgimento, con le ingenti risorse contenute nel cosiddetto decreto rilancio, permetteranno di affrontare tutte le difficoltà che l'emergenza ci sta ponendo. È una sfida che il Ministero aveva già accettato; il processo di cambiamento era già stato avviato e ha subito un'accelerazione importante in conseguenza della pandemia.
Mi avvio ora alla conclusione. Le misure concrete adottate durante l'emergenza sono il frutto del lavoro di squadra di tutto il Governo, che ha deciso di considerare la giustizia una vera priorità. (Applausi). Sono il Ministro della giustizia di un Governo di coalizione e il ruolo cruciale della giustizia, che sta a cuore a tutti gli operatori economici e a tutti i cittadini in generale, assume un'importanza addirittura maggiore in questo momento di ripartenza per il nostro Paese.
È fondamentale che cittadini sappiano di poter contare su un processo che abbia tempi certi e ragionevoli. Tante volte all'interno della maggioranza ci siamo interrogati e anche divisi in ordine - per esempio - all'impatto conseguente alla riforma della prescrizione. Su questo punto, così come su tutto l'andamento dei tempi del processo, sarà importante, sulla scia di quanto già fatto per il cosiddetto codice rosso, istituire una commissione ministeriale di approfondimento e monitoraggio dei tempi che permetta di valutare l'efficacia della riforma sia del nuovo processo penale, sia del nuovo processo civile. La garanzia del diritto alla difesa e la ragionevole durata del processo sono due valori imprescindibili che vanno di pari passo e rappresentano l'obiettivo principale delle riforme del processo civile e di quello penale. A tal proposito, visto che in relazione a una delle due mozioni mi si imputa il fatto che non sia stata calendarizzata, ricordo che questo - come è noto a tutti - appartiene alla sovranità del Parlamento, su cui non interferisco.
Sempre in tema di garanzie e diritti fondamentali, rivendico con orgoglio la massima attenzione riservata alla gravissima patologia legata alle ingiuste detenzioni. Voglio chiarire che sono il primo Ministro della giustizia che ha disposto che l'ispettorato del Ministero verificasse in via strutturale e sistematica tutti i casi in Italia di ingiusta detenzione per i provvedimenti che poi riterrà di dover portare avanti. (Applausi). Tra l'altro, il poderoso aumento, già disposto, delle persone che lavorano e lavoreranno nei tribunali, in sinergia con la ministra Dadone, con giudici togati e onorari e con personale amministrativo, è il miglior punto di partenza.
Altro fondamentale progetto di riforma è quello del Consiglio superiore della magistratura, a tutela dell'autonomia, ma anche dell'autorevolezza e del prestigio dell'Istituzione. Sul relativo progetto c'era già stata un'ampia convergenza nella maggioranza poco prima che cominciasse l'emergenza coronavirus. Sono consapevole che su tutti questi contenuti il confronto con tutte le forze politiche di maggioranza sarà costante, approfondito e improntato a una leale e reale collaborazione, così come accaduto - per esempio - in occasione della recente approvazione dei due decreti antimafia.
In questi primi mesi dell'anno le sfide affrontate sono state tante e hanno riguardato settori fondamentali non solo della giustizia, ma anche della salute e della vita economica del nostro Paese. Penso - per esempio - al disegno di legge governativo sulle agromafie, scritto insieme alla ministra Bellanova, che recepisce il progetto della cosiddetta Commissione Caselli. Allo stesso modo, bisognerà proseguire nel monitoraggio e miglioramento dell'efficacia degli strumenti di contrasto alla violenza sulle donne.
Di fronte a differenze culturali e politiche che esistono e vanno rispettate, la grande sfida da raccogliere consiste nella possibilità concreta di trovare una sintesi nella maggioranza, in nome e nella consapevolezza del fine ultimo della giustizia: vale a dire la tutela, la protezione e il rispetto dei diritti di tutti i cittadini che sono e devono essere realmente uguali davanti alla legge. (Applausi).
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione delle mozioni.
UNTERBERGER (Aut (SVP-PATT, UV)). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
UNTERBERGER (Aut (SVP-PATT, UV)). Signor Presidente, come si è visto anche nella discussione generale di oggi, in Italia, quando si parla di giustizia, si arriva sempre alle categorie di garantisti e giustizialisti. Mentre i garantisti sono fieri di esserlo e lo sottolineano con molta enfasi, i giustizialisti vengono chiamati così più dai loro avversari politici. Per dirlo in maniera banale: i garantisti sono quelli che nel processo penale ripongono maggiore attenzione sui diritti dell'imputato, mentre i giustizialisti sui diritti delle persone offese. È una categorizzazione tutta italiana: almeno nella mia lingua e nella mia cultura questa terminologia e queste categorie non esistono.
Nel caso che affrontiamo oggi, i rappresentanti del centrodestra, e tra loro un partito che del garantismo e dell'antifanatismo giudiziario ha fatto il pilastro della propria ragione politica, per primi hanno depositato una mozione di sfiducia contro il Ministro della giustizia. Ebbene, vediamo i punti della mozione uno per uno.
Dopo quasi due anni dalla sua mancata nomina a capo del DAP, un pubblico ministero interviene in una trasmissione televisiva per esternare il sospetto che il Ministro della giustizia non lo abbia nominato per non scontentare alcuni boss mafiosi. A prescindere dalle spiegazioni che il Ministro ha già offerto, mi chiedo: da che parte dovrebbe essere chi si vanta di essere garantista? Sicuramente non dalla parte del magistrato che usa la televisione per fare insinuazioni di tale gravità. (Applausi). Se quel magistrato fosse sicuro di quel che dice, perché non si è rivolto agli organi competenti? E poi vi chiedo: vedete il ministro Bonafede succube della mafia? Uno che è autore di una serie di provvedimenti che - come gli viene contestato nella stessa mozione di sfiducia - sarebbero di un tale giustizialismo da essere addirittura fuori dalla Costituzione? (Applausi). Se hanno una colpa Bonafede e il suo movimento, è quella di aver alimentato il mostro del sospetto e della giustizia spettacolo, che oggi si ritorce contro di loro. Ma questo non può essere un motivo per agire secondo gli stessi schemi.
Passiamo al secondo punto, le proteste nelle carceri. All'inizio dell'emergenza molti carcerati hanno protestato per il degrado e il sovraffollamento delle strutture - ancora più grave ai tempi del Covid - e per la sospensione delle visite, che spesso sono la sola possibilità di ricevere beni di conforto. Il Ministro ha reagito con una norma per concedere gli arresti domiciliari ai detenuti che avevano ancora una pena da scontare inferiore ai diciotto mesi, escludendo espressamente da questo beneficio i condannati per mafia e per i reati più gravi. Questa iniziativa è stata necessaria, figlia di una situazione in cui lo Stato non riesce a garantire la salute dei detenuti. E anche qui mi chiedo: i garantisti sono tali solo nella frase del processo? Se una persona viene condannata deve poi marcire in carcere, come tante volte abbiamo sentito dire? I boss mafiosi che sono andati ai domiciliari per motivi di salute si contano sulle dita di una mano, mentre il numero più nutrito è composto da persone in custodia cautelare. Certo, ogni boss mafioso che esce dal carcere è sempre di troppo, ma tutto questo è successo sulla base di norme che esistevano ben prima del ministro Bonafede.
Soprattutto, questa decisione è una prerogativa dei tribunali di sorveglianza? Non vi viene in mente che, dando la colpa al ministro Bonafede, state attaccando la divisione dei poteri che, per voi fieramente garantisti, dovrebbe essere il più sacro dei principi? (Applausi). Il Ministro ha fatto l'unica cosa che poteva fare scrivendo una norma che impone ai tribunali di sorveglianza di verificare periodicamente la sussistenza dei presupposti della loro decisione. E già questo, per alcuni, era troppo.
La mozione della collega Bonino rimprovera al Ministro di avere imposto la revisione con un asserito effetto retroattivo delle decisioni adottate dai giudici di sorveglianza; in più, che la misura di concessione degli arresti domiciliari a persone con una pena inferiore a un anno e sei mesi sarebbe insufficiente e sarebbe una negligenza derivante da un'idea puramente afflittiva della pena.
Due mozioni che si vantano di essere garantiste, ma che si contraddicono l'una con l'altra: per una, il Ministro avrebbe fatto scarcerare troppe persone, per l'altra, troppo poche; per una, i detenuti sono mafiosi che non meritano pietà; per l'altra, sono persone a cui non deve essere sottratta la dignità; per una, le rivolte sono strumentali per giungere all'indulto; per l'altra, le rivolte dovrebbero spingere a una riflessione in tal senso. (Applausi). Mi domando, allora, come si possa votare a favore di entrambe le mozioni; come una forza politica possa per metà firmare una mozione e per metà l'altra. (Applausi).
Qui non siamo davanti a idee diverse, siamo davanti a una mozione che è il bianco e all'altra che è il nero. La più originale delle tre contestazioni nella mozione del centrodestra è però l'ultima, quella sull'incostituzionalità dei provvedimenti. Se non ricordo male, provvedimenti di incerta costituzionalità sono stati emanati dal precedente Governo, la cui paternità politica è sempre stata orgogliosamente rivendicata dalla forza che oggi chiede la sfiducia. (Applausi). Ricordo le norme volute per limitare la discrezionalità dei giudici, per una giurisprudenza non gradita sui permessi per motivi umanitari o sul riconoscimento della legittima difesa. Ricordo, nel secondo decreto sicurezza, le sanzioni pecuniarie per chi salva le vite in mare o il ritiro della cittadinanza come pena accessoria. Per non parlare della violazione di accordi internazionali, sui quali è dovuto addirittura intervenire il Presidente della Repubblica.
A chi allude alla legge sulla sospensione della prescrizione, c'è da rispondere che non c'è traccia di incostituzionalità. Anzi, si tratta di un istituto giuridico che esiste in tutti gli altri Paesi europei, dove spesso la prescrizione si sospende già dal primo atto di indagine. Il grande e cronico problema della lunga durata dei processi va contrastato con interventi come la semplificazione delle norme processuali, dove spesso un esagerato garantismo delle forme, più che della sostanza, fornisce ai difensori una marea di eccezioni in grado di portare all'infinito la durata del processo; oppure obbligando lo Stato a rifondere le spese processuali a chi viene assolto con formula piena, magari con un diritto di regresso nei confronti di un pubblico ministero che porta avanti un'accusa palesemente infondata.
Anche sulla carenza di personale e dei giudici, sullo stato vetusto e il sovraffollamento delle carceri, su cui più volte ha preso posizione anche Amnesty International, lo Stato deve mettere mano. Invece di dividersi in maniera del tutto superficiale e piena di contraddizioni in giustizialisti e garantisti, tutti dovrebbero essere per un giusto processo, con un bilanciamento equilibrato di tutti gli interessi in gioco e con una pena che svolga finalmente anche la sua funzione rieducativa. Da un'opposizione responsabile uno si immaginerebbe sollecitazioni e proposte in tal senso e non una bassa propaganda politica, di cui si farebbe volentieri a meno in un periodo di così profonda difficoltà per il Paese.
Annuncio il voto contrario del Gruppo Per le Autonomie alle due mozioni di sfiducia. (Applausi).
RENZI (IV-PSI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENZI (IV-PSI). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, signor Ministro della giustizia, onorevoli colleghi, credo che se votassimo oggi secondo il metodo che ella, signor Ministro della giustizia, ha utilizzato nella sua esperienza parlamentare, nei confronti dei membri dei nostri Governi, lei oggi dovrebbe andare a casa: Angelino Alfano, Federica Guidi, Maria Elena Boschi, Maurizio Lupi, Luca Lotti, Claudio De Vincenti. Ma noi non siamo come voi.
Signor Ministro, mi auguro che questa vicenda che l'ha colpita - e sulla quale non ho dubbi, anche per conoscenza personale, nel dire che lei tutto è, tranne che una persona avvicinabile dalla mafia - la possa far riflettere, innanzitutto dal punto di vista personale e possa far riflettere i colleghi del MoVimento 5 Stelle. Essere additati ingiustamente, andare sui giornali, costringere le proprie famiglie a stare sui giornali e a subire l'onta di un massacro mediatico fa male. Passi la notte a pensare che è colpa tua, se le persone a te vicine, le persone che ami, stanno male. E allora io vi invito soltanto a fare una riflessione personale su questi temi, poi vengo alla politica, perché è la politica ciò che ci guida, non il populismo, non sono i sondaggi, sono i dati: i sondaggi ti dicono quanto sei simpatico, i dati ti dicono quanto sei competente. Non è il giustizialismo che ci guida, è la giustizia.
Siccome partiamo dalla politica, nell'annunciare che voteremo contro le mozioni di sfiducia, riconosciamo al centrodestra e alla senatrice Bonino di aver posto dei temi veri. Occorre, anche in momenti di difficoltà, riconoscersi reciprocamente e dire che le vostre mozioni non erano strumentali e lo dico, dicendovi che non le voteremo. Non le voteremo per motivi politici, in primis per ciò che ha detto il signor Presidente del Consiglio.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha detto con chiarezza che, ove vi fosse stato un voto, di una parte della maggioranza, contrario all'operato del Ministro o favorevole alla mozione di sfiducia, egli ne avrebbe tratto le conseguenze politiche. Quando parla il Presidente del Consiglio, si rispetta istituzionalmente e si ascolta politicamente.
Io credo che lei si assuma una responsabilità, signor Presidente del Consiglio, ma noi la seguiamo, perché in un Paese che conta circa 31.000 morti, che ha l'11 per cento di deficit stimato per quest'anno, che vede il debito pubblico andare verso il 160 per cento del PIL, in cui la disoccupazione è prevista, per la fine dell'anno, al 15 per cento, chi di noi si ritiene un patriota istituzionale, chi di noi crede alla ragion di Stato, rispetta ciò che dice il Presidente del Consiglio, se fa parte della maggioranza. (Applausi).
Da questo punto di vista, lo dico condividendo larga parte delle riflessioni della senatrice Bonino. Non lo dico quindi con un giudizio di merito, su cui arriverò tra un attimo, ma lo dico per un fatto politico e, mentre lo dico, riconosco al Presidente del Consiglio di avere, negli ultimi giorni, dato dei segnali importanti. Abbiamo molto apprezzato la sua posizione sull'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), abbiamo molto apprezzato la sua battaglia di legalità a fianco del ministro Bellanova e abbiamo apprezzato l'accelerazione sulle riaperture.
Tuttavia, signor Presidente del Consiglio, c'è ancora molto da fare, perché nel momento in cui ella decide di porre tutto il peso della sua autorevolezza politica a fianco del Ministro della giustizia, di certo non lo fa per una stima personale o professionale che pure noi, dai tempi di Firenze, ricordiamo, ma lo fa per un fatto politico. Noi dobbiamo essere conseguente con lei e dirle, signor Presidente del Consiglio, che se il Ministro della Giustizia ci avesse ascoltato, nel mese di febbraio 2020, sul Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), ciò che è accaduto sulle scarcerazioni non sarebbe avvenuto. (Applausi).
E dirle, signor Presidente del Consiglio, che a noi non interessa un sottosegretario, a noi interessa che si sblocchino i cantieri e che si sblocchino velocemente, perché se noi non sblocchiamo i cantieri, quel 15 per cento di disoccupazione si avvia verso il 18 o il 20.
E dirle, signor Presidente del Consiglio, che quando noi portiamo delle idee non stiamo, come dice qualche suo zelante collaboratore, cercando la visibilità, anche perché spesso sono idee che portano una visibilità negativa: stiamo cercando di affermare dei concetti. In quest'Aula - lo rivendico, signor Presidente - quando ho chiesto, in tempi non sospetti, di pensare alla riapertura delle scuole, ho sentito i mugugni non solo degli altri Gruppi, ma persino del mio Gruppo. Tuttavia, posso dire oggi, a distanza di un mese, che se noi consideriamo la scuola la prima cosa da chiudere, prima delle funivie, e l'ultima da riaprire, dopo i pub, noi diamo un segnale diseducativo ai nostri figli, diamo un messaggio sbagliato alle nuove generazioni. (Applausi).
Dirlo non è fare polemica o cercare lo 0,1 per cento in più di consenso; dirlo significa fare politica e noi rivendichiamo il diritto, in quest'Aula, di dirle che la seguiamo sulla sua valutazione politica, ma vi chiediamo un'assunzione di responsabilità.
Vengo al secondo punto per il quale non votiamo a favore delle mozioni. Esso ha a che fare, signor Ministro della giustizia, con il rapporto tra garantismo e giustizialismo. Signor Ministro, noi ci conosciamo da qualche anno e lei sa perfettamente che non è mai stato neanche immaginabile, per lo meno da parte mia, che una vendetta potesse essere servita su un vassoio così d'argento: ella attaccato dai giustizialisti. Peraltro, non entro nel merito delle discussioni, ma siccome in più di uno in quest'Aula avete citato il giudice Di Matteo, cui va il nostro rispetto e l'augurio di buon lavoro, permettetemi, per aver vissuto una certa pagina di storia di questo Paese, di esprimere un pensiero affettuoso al senatore, presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano: lui sa perché e voi sapete perché. (Applausi. Commenti).
Il fatto che qualcuno mugugni sul presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano vi qualifica per quello che siete e non vi fa rendere ragione dell'importanza di alcuni passaggi storici in questo Paese. (Applausi). Ma de minimis non curat praetor.
Vengo al punto, invece. Signor Ministro, avrebbe mai potuto immaginare - visto che ci confrontiamo da qualche anno, lei e io, a Firenze come a Roma - una occasione di vendetta così chiara? Ma lei e io - tutti noi - abbiamo un compito: spiegare alle nuove generazioni che la politica non è vendetta. Non si fa politica con un risentimento personale. (Applausi). Non si fa politica pensando di affermare una legge del taglione, dell'occhio per occhio, dente per dente. I ragazzi che ci seguono e che seguono questo dibattito sappiano, signor Ministro della giustizia, che certe sue espressioni sul giustizialismo sono espressioni che ci hanno fatto male. Lei, nel gennaio 2016, in un'intervista ad Annalisa Cuzzocrea, diceva che, se c'è un sospetto, anche chi è pulito si deve dimettere. No, signor Ministro. Se c'è un sospetto, chi è pulito non si deve dimettere. Bisogna rifiutare la cultura del sospetto, quella che faceva dire a Giovanni Falcone che «la cultura del sospetto non è l'anticamera della verità: la cultura del sospetto è l'anticamera del khomeinismo». Questo diceva Giovanni Falcone nel 1991. (Applausi).
Termino proprio su questo, perché mi piace pensare che, essendo nel mese di maggio, il mese in cui tra qualche giorno ricorderemo ancora una volta il sacrificio di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca e dei ragazzi della scorta (Applausi), lei e io, signor Ministro, non eravamo neanche diciottenni e molti di noi, in quest'Aula e forse anche fuori, hanno scelto il corso di laurea in giurisprudenza perché hanno visto in quella fase un momento terribile per la vita del Paese. Ci siamo iscritti a giurisprudenza perché pensavamo che quello fosse un modo per dire che rifiutavano la cultura di morte che la mafia stava esprimendo. Erano gli anni in cui facevamo l'esame di maturità, avevamo sedici, diciassette, diciotto anni. Eravamo sconvolti di fronte al fallimento dello Stato. Ecco perché io non posso credere che qualcuno immagini che Alfonso Bonafede abbia stretto un qualche rapporto con la mafia. Contemporaneamente, però, voglio dire a tutti noi che quella battaglia contro la cultura mafiosa non ci deve vedere divisi.
Termino ricordando un fatto personale. Noi siamo garantisti, sì, ma - mi rivolgo agli amici del centrodestra - non vuol dire che siamo buonisti. Essere garantisti significa rispettare le regole e i diritti dei cittadini.
Ma quando nel 2016, mentre ero Presidente del Consiglio, l'allora guardasigilli, il bravo guardasigilli Andrea Orlando venne a dirmi: «Abbiamo un problema, Matteo, sta morendo Bernardo Provenzano; ci viene chiesto di farlo morire a casa» e ipotesi identica si verificò l'anno successivo a proposito di Totò Riina, con un altro Presidente del Consiglio, l'onorevole Gentiloni, e sempre con il ministro Orlando, noi che siamo per la giustizia, non per il buonismo, abbiamo preso un impegno, che era quello di garantire a Bernardo Provenzano e a Totò Riina il massimo delle cure possibili perché noi eravamo, siamo e saremo lo Stato. Bernardo Provenzano e Totò Riina, però, sono morti in carcere, perché quello era il loro posto e questo non è buonismo, è giustizia.
Signor Ministro, sulla questione delle scarcerazioni c'è stata troppa superficialità da parte del DAP. Signor Ministro, sulla questione della prescrizione, del processo penale, del processo civile, c'è ancora molto da fare.
Signor Ministro, faccia il Ministro della giustizia, non il Ministro dei giustizialisti e vedrà che ci avrà al suo fianco. (Applausi).
BALBONI (FdI). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BALBONI (FdI). La ringrazio, signor Presidente.
Signor Ministro, lei non era tenuto a dare conto della sua scelta discrezionale in ordine alla nomina del capo del DAP: questo è assolutamente vero. Tuttavia, nel momento in cui ha deciso di darne conto addirittura in diretta televisiva, lei, tanto più perché è il Ministro della giustizia, aveva il dovere di dire la verità.
Tutti gli italiani hanno capito che lei la verità, purtroppo, non l'ha detta, non solo perché, come tutti sanno, non c'è paragone tra il DAP e la Direzione degli affari penali; non solo perché la Direzione degli affari penali non è più quello che era ai tempi di Falcone; non solo perché gli affari penali erano già occupati da un valente funzionario appena nominato e lei non aveva il potere di sostituirlo visto che, a differenza del DAP, gli affari penali non sono oggetto di una nomina discrezionale; non solo perché non c'è stata la grande riorganizzazione degli affari penali che lei aveva in mente e, anzi, sono stati ulteriormente depotenziati grazie alle sue decisioni; non solo per tutto questo, ma perché lei stesso ha affermato e ha ammesso che, nel momento in cui ha ipotizzato la nomina del dottor Di Matteo, le erano già note le esternazioni dei mafiosi preoccupati per la nomina a capo del DAP, non del dottor Basentini, ma del dottor Di Matteo. Lei allora che cosa fa? Lei, consapevole che la mafia paventa la nomina del dottor Di Matteo, nomina il dottor Basentini.
Quale occasione migliore avrebbe avuto per sfidare la mafia che quella di nominare il magistrato che la mafia non voleva? Ha fatto il contrario. E allora non è credibile perché, quando si danno delle spiegazioni non dovute, quelle spiegazioni devono essere veritiere e verosimili.
C'è comunque un fatto che taglia la testa al toro. Il dottor Di Matteo, in quella stessa intervista del 6 maggio che lei ha citato afferma che, quando lei gli ha proposto la nomina agli affari penali, ha pronunciato questa frase, caro Ministro: «non c'è dissenso o mancato gradimento che tenga».
C'è stato un dissenso, allora; c'è stato un mancato gradimento in relazione alla nomina del dottor Di Matteo al DAP, allora. E lei, nonostante sia stato più volte sollecitato non dalle opposizioni, ma dall'opinione pubblica e dai più importanti quotidiani nazionali, su questo non ha mai risposto. Noi vogliamo sapere chi ha espresso il dissenso e chi ha espresso il mancato gradimento.
Lei si sente offeso perché qualcuno ipotizza che lei non abbia nominato il dottor Di Matteo per non scontentare i boss. Io le credo; non penso che lei non abbia nominato il dottor Di Matteo per paura delle esternazioni dei criminali mafiosi, ma credo - perché lei non ha dato spiegazione su questo punto - ci sia stata un'opposizione a questa nomina e che lei abbia accettato questa imposizione rimangiandosi la parola nei confronti del dottor Di Matteo e mentendo in diretta televisiva agli italiani.
Ancora oggi, di fronte a questo ramo del Parlamento e all'intera opinione pubblica, lei, signor Ministro, arreca un danno gravissimo alla credibilità della giustizia ed è solo per questo che lei dovrebbe avere il buon gusto di dimettersi senza aspettare il voto di questa Assemblea. Forse sarà salvato dal voto di quest'Assemblea. Abbiamo ascoltato il senatore Renzi dire che voterà contro la mozione di sfiducia. Il senatore Renzi è andato all'incasso ancora una volta. Ne prendiamo atto: pensiamo che di questo passo, senatore Renzi, lei finirà per avere più poltrone che voti, ma questa è una sua scelta, non è un problema nostro.
Veniamo alla rivolta nelle carceri. Signor Ministro, lei ci ha fatto un elenco molto interessante di tutti i successi ottenuti nei mesi dell'emergenza e, ancor prima, dal dottor Basentini nella gestione delle carceri e poi lo costringe a dimettersi? Perché avete fatto dimettere Basentini se ha gestito così bene le carceri in questo momento? (Applausi). Soprattutto, perché lei ha accettato le dimissioni? Le ha accettate perché le ha sollecitate; se non fosse vero che le aveva sollecitate, le poteva respingere. Nulla di tutto questo.
Ci sono state rivolte nelle carceri, come hanno ricordato colleghi prima di me: sono stati stimati 30 milioni di euro di danni e ci sono stati 14 morti. Una cosa incredibile e lei come reagisce? Chiedendo o invitando i magistrati a procedere per direttissima e infliggere pene gravissime nei confronti dei rivoltosi? No, lei reagisce con l'articolo 123 del decreto-legge n. 18 del 2020, nel quale per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico - e lei è un giurista e non può non saperlo - si introduce un principio nuovo. Le scarcerazioni o le detenzioni domiciliari sono disciplinati dagli articoli 146 e 147 del codice penale e sono richiamati espressamente dall'ordinamento penitenziario, che prevede la detenzione domiciliare quando c'è una condizione patologica in atto del detenuto incompatibile con la condizione di carcerazione. Questo è il principio su cui dal codice Rocco, all'ordinamento penitenziario, alla legge del 2010 cui lei faceva riferimento il nostro ordinamento giuridico si è sempre basato, per un principio di pietà nei confronti di chi soffre. Se una persona soffre in carcere e non c'è modo di curarla in carcere, può essere messa alla detenzione domiciliare. Lei ha fatto una cosa assolutamente nuova: ha stabilito il principio che si può andare alla detenzione domiciliare non solo quando si è ammalati, ma anche quando c'è il rischio di ammalarsi.
Il rischio di contagio è stato inserito dall'articolo 123 nel nostro ordinamento giuridico come un motivo per mandare i detenuti alla detenzione domiciliare e poco importa che in quell'articolo si escluda che si possano mandare alla detenzione domiciliare i detenuti in regime di 41-bis o di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, perché questo principio è entrato e ovviamente i magistrati lo hanno utilizzato mandando a casa 8.000 detenuti, tra i quali 500 pericolosi criminali.
Questo è un altro risultato della sua arrendevolezza nei confronti delle pressioni della criminalità organizzata. Non lo dico io, ma lo ha detto il dottor Gratteri in audizione la settimana scorsa di fronte alla Commissione giustizia.
Come non bastasse, alla fine si dimette anche il suo capo di gabinetto. È un po' sfortunato, signor Ministro: il suo capo di gabinetto si dimette perché si è ritrovato invischiato in una brutta storia di intercettazioni e mercimonio correntizio di poltrone in relazione a importantissimi incarichi di magistrati.
Signor Ministro, credo che di fronte a tutto questo lei debba prendere atto della sua inadeguatezza a svolgere il compito così importante di Guardasigilli della Repubblica italiana e debba in modo almeno onorevole salvare la faccia e rassegnare le dimissioni. (Applausi).
GRASSO (Misto-LeU). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GRASSO (Misto-LeU). Signor Presidente, colleghi, signor Ministro, il dibattito di oggi è attraversato da un fastidioso filo di ipocrisie trasversali che poco hanno a che fare col merito di quanto andiamo discutendo e molto con piccole o grandi guerre di posizione, di posizionamento politico. Ne cito solo tre per evidenziare i controsensi. Chi ha sempre tuonato contro l'idea delle mozioni di sfiducia individuali si trova oggi tra i firmatari di una mozione di sfiducia individuale. Chi ha sempre criticato il mio amico ed ex collega Nino Di Matteo si trova oggi a sposarne, lancia in resta, non solo le idee e le argomentazioni, ma persino le percezioni. Chi ha traccheggiato su una seria riforma del Consiglio superiore della magistratura per evitare lo strapotere delle correnti oggi balbetta di fronte alla pubblicazione di scambi che coinvolgono non solo numerosi magistrati, ma altrettanto numerosi esponenti politici. Infine, a leggere i giornali parrebbe che i principi garantisti di pezzi della stessa maggioranza possano essere oggi oggetto di baratto. Sono voci che ritengo assolutamente false e calunniose, come dimostrano le smentite pervenute alle redazioni ed anche in quest'Aula.
Liberato il campo da questi macigni, veniamo al merito delle questioni sollevate. Ha suscitato molte polemiche la cattiva gestione della prima fase dell'emergenza nelle carceri. Io stesso, quando lei, signor Ministro, venne a rendere la sua informativa dopo le rivolte, sottolineai le indecisioni del Capo del DAP, indecisioni e balbettii che hanno reso quelle settimane davvero complicate negli istituti penitenziari. Altre grandi polemiche ci sono state poi per le scarcerazioni di centinaia di detenuti in regime di alta sicurezza o addirittura di alcuni al 41-bis, ma sgombriamo immediatamente il campo: le scarcerazioni nulla hanno a che fare con i provvedimenti emanati dal Governo. Come è noto, infatti, il differimento della pena per malattia, come ha precisato anche lei, era già previsto qualora lo stato di salute non fosse compatibile col regime carcerario, non è stato assolutamente introdotto dall'attuale decretazione d'urgenza.
Abbiamo assistito piuttosto - e questa è la mia valutazione - ad un annebbiamento generale, una somma di errori di valutazione commessi, va sottolineato però, in primo luogo dal DAP e da chi ne era a capo.
È stata proprio una circolare del DAP a trasformare un pericolo virtuale, cioè quello che alcuni detenuti in condizioni di salute più delicate potessero ammalarsi di Covid, in un rischio concreto. La magistratura di sorveglianza è stata in qualche misura indotta a disporre dei provvedimenti, talvolta anche in assenza di specifiche richieste dei detenuti stessi, alla luce della valutazione sul rischio di contagio proveniente proprio dal DAP.
D'altro canto non posso non rilevare l'acquiescenza di taluni tribunali e dei pubblici ministeri, che avrebbero potuto opporsi nei casi di detenuti per i quali il ritorno a casa, seppur temporaneo, è un rischio troppo grande per la loro pericolosità sociale.
Lo sappiamo: le mafie vivono di simboli e quanto è accaduto ha causato un grave danno d'immagine allo Stato, che ha mostrato un cedimento in tutte le sue articolazioni istituzionali. Sono però certo che i nuovi vertici da lei voluti saranno capaci di inaugurare un nuovo corso nella gestione delle carceri e se ne vedono già gli effetti, riparando ai danni della precedente gestione. (Applausi).
Il diritto alla dignità e alla salute dei detenuti vale quanto quello di tutti gli altri cittadini. Come tutti noi sappiamo, in questo momento nelle carceri del nostro Paese la realtà è ben diversa da quest'affermazione di principio, qualunque sia il reato da loro commesso.
I colleghi dell'opposizione hanno fatto poi riferimento al presunto scontro con Nino Di Matteo, sostenendo che il Ministro non lo abbia voluto come capo del DAP sulla scorta della trascrizione di dialoghi avvenuti tra boss mafiosi in carcere. È palesemente falso, ve lo dice un ex procuratore: quei dialoghi erano già chiaramente noti al Ministro, prima ancora della iniziale proposta a Di Matteo. (Applausi). Quella motivazione, quindi, non ha alcuna consistenza logica e non reggerebbe in nessun tribunale. Conoscendo poi il rispetto di Di Matteo per le istituzioni, non dubito che la sua esternazione sia avvenuta dopo ben due anni proprio perché all'epoca sarebbe stata letta come una forma di rivendicazione personale. Io colgo però l'occasione per ricordare a chi non lo ha mai fatto che la vicinanza e la solidarietà a un magistrato in pericolo come lui andrebbe dimostrata sempre, non solo quando conviene alla propria parte politica. (Applausi).
Archiviate le polemiche, concentriamoci sul presente e soprattutto sul futuro, signor Ministro, abbiamo moltissimo da fare. La recente pronuncia della Corte costituzionale sull'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario (l'ormai celebre regime ostativo) censura l'automatismo che lega la possibilità di accedere ai benefici penitenziari alla collaborazione con la giustizia. In Commissione antimafia stiamo lavorando ad una proposta da sottoporre quanto prima al Parlamento.
L'indipendenza, l'autonomia, l'imparzialità della magistratura sono messe in serio pericolo da un sistema di correnti che in passato, attraverso il CSM, ha fatto vittime illustri come Falcone e Borsellino. Appare drammaticamente scontato che il CSM necessiti di una riforma, a partire dalla sua elezione. È la cronaca di questi tempi a imporlo. Su questo il ministro Bonafede e la maggioranza - ne do atto - hanno iniziato prima del coronavirus un percorso per superare le dinamiche correntizie, ormai diventate un potere interno all'ordine, un veicolo di commistione con il potere politico. Ho anche proposto pubblicamente un'ipotesi di elezione su due livelli, che valorizzi la rappresentanza, la territorialità e il merito e che avvicini il CSM alla base, cioè a tutti i magistrati.
L'aver rinunciato da parte sua alla prima ipotesi, il sorteggio, mi fa capire che c'è la volontà di trovare una soluzione. Si tratta di dare le gambe anche a questo progetto.
Ricordi, signor Ministro, che oltre all'azione giudiziaria che oggi riesce anche a produrre gli anticorpi per far emergere i reati, anche commessi da magistrati, il suo ufficio rimane titolare anche di un'azione disciplinare, che può esercitare attraverso l'ispettorato, che però attualmente è privo di vertice.
Vi è poi l'urgente riforma del processo penale, l'unica che possa evitare i rischi da molti paventati di un fine processo mai, di un processo a vita. Non è diminuendo i tempi di prescrizione - lo sappiamo - che si risolve il problema, ma diminuendo effettivamente il tempo dei processi. Su questo aspetto però non ho ora il tempo di dilungarmi, come ho fatto in altre occasioni.
In conclusione, signor Ministro, il Gruppo di Liberi e Uguali le rinnova la fiducia e voterà contro entrambe le mozioni. (Applausi). Per onorare tale fiducia ora che le attività del Parlamento hanno ripreso il loro abituale corso e abbiamo ripreso ad affrontare temi non più legati alla pandemia, le chiediamo di continuare, con ancor maggior vigore, il proficuo confronto e dibattito con la Commissione giustizia e con la Commissione antimafia, per intervenire con più rapidità e incisività sui tanti temi che ci siamo impegnati a portare avanti. Buon lavoro, signor Ministro. (Applausi).
ROSSOMANDO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROSSOMANDO (PD). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, noi voteremo contro entrambe le mozioni. Si tratta, come è stato detto, di una questione politica. Nel mezzo di una crisi senza precedenti, in una gravissima situazione per il Paese, le opposizioni presentano legittimamente una mozione di sfiducia contro un singolo Ministro per aprire una crisi di Governo. Questo è il punto ineludibile. L'intento non è solo dichiarato, ma è dimostrato dal metodo e dai contenuti, come è stato già detto: si firmano contemporaneamente due mozioni che dicono cose opposte. Il mio non è ovviamente un giudizio moralistico, è lo svelamento della linea: in una mozione si denunciano le cosiddette scarcerazioni allegre, nell'altra, giustamente, ci si richiama al contrasto di una concezione puramente afflittiva della pena, ci si richiama al fine rieducativo della pena e verrà votata - pare - da chi ha detto che le persone devono marcire in galera. Non stiamo discutendo quindi di giustizia, ahimè, stiamo discutendo di aprire una crisi di Governo.
Voteremo contro anche perché se le mozioni devono rappresentare una minima prospettiva di alternativa a ciò che si vuol far cadere, noi siamo contro a un'impostazione che trae spunto, motivazione e adesione a una telefonata durante una trasmissione televisiva basata sul sospetto e sulle allusioni, tra l'altro con dichiarazioni di un magistrato illustre, appartenente anche al Consiglio superiore della magistratura. Certo, è stato detto più volte e verrebbe anche a me di fare una battuta sulla nemesi storica di certe metodologie. Noi siamo però contro: se questo è il presupposto per far cadere il Governo, siamo contro questa impostazione. Non è questo il profilo alternativo e non è da qui che bisogna discutere per parlare di giustizia.
Non ci sottraiamo però, perché la giustizia è il punto più alto dell'equilibrio costituzionale tra la separazione dei poteri ed è quindi anche il punto più critico a tutela delle libertà di tutti.
Forse è anche per questo che negli ultimi vent'anni il dibattito sulla giustizia è stato lo specchio del deterioramento del dibattito politico-istituzionale e della funzione della politica.
Voglio, allora, parlare della cultura delle garanzie, mi piace di più che garantismo che rischia di dare luogo a qualche equivoco. Penso sia sbagliato contrapporre garantismo a giustizialismo, in una sorta di allentamento sul controllo di legalità verso chi, invece, è per la legalità. No, la cultura delle garanzie è la cultura della legalità, perché se non c'è la legalità nel processo non c'è la legalità a tutto campo. (Applausi). Allora, la cultura delle garanzie è parte integrante; è il fulcro della cultura della legalità, e cos'è? Sono i princìpi costituzionali, la ragionevole durata del processo, la presunzione di non colpevolezza, il diritto di difesa garantito dal contraddittorio e dalla centralità del processo.
La cultura delle garanzie non è un garantismo per categorie di persone; è l'idea che vale sia per i colletti bianchi sia per i poveracci, e non c'è privilegio né dell'uno né dell'altro. Quando il singolo è di fronte al potere dello Stato, lì c'è la cultura delle garanzie, senza se e senza ma.
La cultura delle garanzie è non fare leggi sull'onda delle emozioni. (Applausi). Alzi la mano chi può chiamarsi fuori in quest'Aula; credo siano pochi, forse vale la pena mettersi un po' in discussione.
La cultura delle garanzie non è chiamare la piazza a raccolta quando si deve affrontare un processo (Applausi); chiamare il popolo in piazza quando il giudice pronuncia una sentenza in nome del popolo.
La cultura delle garanzie è tempi ragionevoli: non è il «processo mai» innalzato sia dalla prescrizione breve che dalla prescrizione mai, perché la prescrizione non è il modo di affrontare i tempi del processo. Non è l'esaltazione ad uso politico di quella o quell'altra figura di magistrato. È la centralità del processo nelle aule con tutte le sue garanzie e non nella gogna mediatica.
La cultura delle garanzie sono tempi certi per le indagini, e noi siamo quindi contro il populismo giudiziario così come siamo contro l'«intercettatici tutti», e non lasceremo sicuramente questo argomento. Abbiamo cominciato a trattarlo in modo diverso ma certamente non ha aiutato chi, nelle passate legislature, ha usato questo argomento per indebolire uno strumento di indagine; neanche quello è garantismo.
Mi è piaciuto il richiamo alla normativa degli anni Settanta sull'ordinamento penitenziario. È una normativa che va aggiornata, una norma di civiltà, perché quelle norme di civiltà hanno battuto la recidiva, nella civiltà giuridica e per la sicurezza di tutti i cittadini. (Applausi). È per questo che pensiamo che debba essere ripresa la questione sull'ordinamento penitenziario.
Ho quindi apprezzato, signor Ministro, la sua difesa chiara della magistratura di sorveglianza nella sua autonomia e indipendenza, perché anche l'autonomia e l'indipendenza della magistratura è cultura delle garanzie, contro i poteri forti di qualsiasi tipo. Ciascuno di noi vorrebbe essere giudicato da un giudice assolutamente indipendente e libero nel giudizio. (Applausi). E noi, nella passata legislatura, ci siamo battuti per cambiare le norme sulla custodia cautelare e contemporaneamente abbiamo introdotto una modifica sostanziale sul voto di scambio politico mafioso, che è stato in parte messo in pericolo da un'elaborazione alquanto singolare del collega Giarrusso, che, per fortuna, non è riuscito completamente nel suo intento. A volte l'imperizia andrebbe sanzionata.
Siamo per le misure deflattive. Nella scorsa legislatura ci siamo battuti per questo, e quando si parla di antimafia dovremmo essere tutti uniti. È stato detto - e sono assolutamente d'accordo - ma perché non sia una frase retorica, l'antimafia non è chiacchiere e distintivo; è togliere il terreno di cultura dell'antimafia. Siamo quindi per difendere la legge sul caporalato, che qualcuno che si dilunga sulle scarcerazioni dei mafiosi ha cercato di mettere in difficoltà e di annullare. (Applausi).
Proprio perché siamo a favore della democrazia liberale, contro il populismo giudiziario e l'autoritarismo di ogni sorta, vogliamo allora che ci sia la possibilità di cambiare. Per questo è un bene che non ci sia la passata maggioranza. È un bene che non ci sia più la passata alleanza di governo tra la Lega e i nostri attuali alleati. Per questo chiediamo discontinuità.
In conclusione, ho apprezzato, signor Ministro, il suo richiamo al Governo di coalizione che è diverso dal Governo del baratto. Il Governo di coalizione è l'esaltazione della politica nei suoi punti di equilibrio, nella sua elaborazione più alta. Il Governo del baratto è l'umiliazione della politica e, alla fine dei conti, è dannoso per il Paese. (Applausi). Se ci fosse stata una sintesi politica, forse non avremmo avuto legittima difesa in cambio di prescrizione mai. Questo va detto. (Applausi).
Auspichiamo una "fase 2" per la giustizia: serve la riforma del processo penale per avere tempi certi e per restituire centralità al processo come luogo deputato a difendersi provando e del contraddittorio. La garanzia del contraddittorio è l'emblema della cultura delle garanzie. È necessaria, inoltre, la riforma del processo civile che riguarda la gran parte delle persone, anche chi un processo penale non lo incontrerà mai, riguarda l'economia e l'imprenditoria di questo Paese. Inoltre, se fosse stata portata a compimento la riforma dell'ordinamento penitenziario, forse non avremmo avuto tutti i problemi che abbiamo avuto nell'emergenza sanitaria.
Infine è necessaria la riforma del Consiglio superiore della magistratura. Non è semplicemente una questione di riforma del metodo elettorale. Stiamo parlando di riforma, se vogliamo essere seri, del disciplinare e del metodo di scelta per le nomine. Tali criteri devono essere oggettivi, trasparenti e dichiarati, se vogliamo fare sul serio.
In conclusione, signor Presidente, si è invocata spesso l'unità nazionale in un momento così difficile come quello che stiamo attraversando. Poiché abbiamo richiamato - e non poteva essere diverso - la cultura delle garanzie e dei princìpi costituzionali, voglio richiamare anche lo spirito repubblicano, un percorso incompiuto nella storia del nostro Paese, legato al programma della nostra Costituzione. Il Presidente della Repubblica, quando ci richiama alle nostre responsabilità, io credo ci richiami a questo spirito repubblicano. Anche quando parliamo di giustizia, di princìpi, di crisi e dell'atteggiamento che devono tenere maggioranza e opposizione, io credo che dobbiamo, abbiamo la responsabilità e possiamo richiamarci a questo spirito repubblicano. (Applausi).
BONGIORNO (L-SP-PSd'Az). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BONGIORNO (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, signor Ministro, si chiude un cerchio. È inutile negarlo: una delle ragioni per le quali la Lega ha scelto di porre fine all'esperienza di governo è la sua politica omissiva. Lei omette di dire, lei omette di fare, lei omette di decidere, lei omette di assumersi le sue responsabilità e, durante la pandemia, ha omesso un fatto per me gravissimo: lei ha omesso di aiutare le donne perché ha bloccato una normativa che avrebbe permesso di farlo. Documenterò tutto quello che ho detto. (Applausi).
Omette di dire: ogni volta che qualcuno le fa critiche, lei ribatte di essere quello che ha inasprito le pene per i reati dei colletti bianchi (anche noi le abbiamo votate) ma omette di dire un pezzo di verità essenziale. Quelle pene lei le ha scritte con la mano destra e le ha cancellate con la mano sinistra perché vede, Ministro, è facile scrivere una pena: si prende l'articolo, si alza il numeretto e la sanzione è ben scritta. Il problema è che per applicare la pena servono sentenze definitive, per avere sentenze definitive servono i processi e per avere i processi serve che ci sia un sistema giudiziario con tempi certi. Quante volte ha promesso a noi della Lega prima e al PD dopo che avrebbe accelerato i tempi dei processi. Lei non li ha accelerati. Lei non ha fatto nulla sul codice di procedura penale. Lei sa che in questi giorni di pandemia alcuni rinvii sono andati al 2021?
La data del 2021 significa che lei può anche prevedere che, per un reato di un colletto bianco, quest'ultimo debba essere fucilato. Ma lei sa tra quanto tempo arriva la fucilazione se il processo inizia nel 2021? Nel 2031. Pertanto, scrivere delle norme di carattere sostanziale e dilatare i tempi della procedura significa stracciare le sanzioni.
Ricordo a tutti (sento sempre delle imprecisioni) che lei è l'unico responsabile, insieme al PD, dell'entrata in vigore della sciagurata norma che blocca la prescrizione. (Applausi). Su questa norma ci siamo scontrati e l'abbiamo differita. (Applausi). Le avevamo detto che per noi quella norma sarebbe potuta entrare in vigore solo dopo l'accelerazione del processo penale. È un dato di fatto che, finché la Lega è stata al Governo, quella norma non c'era; allo stesso modo, è un dato di fatto che io stessa l'ho definita una bomba atomica.
Lei ha omesso di decidere quando era essenziale farlo. Credo che lei abbia omesso di decidere in un momento drammatico del nostro Paese, che è quello della pandemia (che c'era e c'è ancora). A mio avviso, ci sono sicuramente stati ritardi del Governo nel bloccare una serie di attività, però c'è un fatto piuttosto strano. A un certo punto, finalmente, si sono chiusi le scuole e gli stadi. Lo sapete cosa rimaneva aperto? I tribunali. Gli stadi e le scuole erano chiusi, mentre i tribunali rimanevano aperti anche per i processi ordinari. Vi faccio presente che nei tribunali non vanno i giovani. In piena pandemia ho visto andare in tribunale, senza alcun tipo di organizzazione, avvocati di tutte le età e anche di ottant'anni, cioè le categorie a rischio che voi dicevate di voler tutelare. I tribunali sono stati chiusi molto dopo.
Le ricordo che Fabio Roia, Presidente della Sezione autonoma misure di prevenzione del tribunale di Milano, ha dichiarato che lei è stato sollecitato più volte a chiudere il tribunale di Milano quando già c'erano numerosi casi di coronavirus e zone rosse. (Applausi). E lei cosa ha fatto quando è arrivata la sollecitazione? Assolutamente nulla, con la conseguenza che - questo è un dato di fatto - avvocati, personale di cancelleria e magistrati si sono ammalati, incluso il presidente Fabio Roia, che le aveva sollecitato la chiusura.
Anche successivamente, quando era evidente che bisognava chiudere (e lei ha chiuso), di fatto lei è scappato, abdicando al suo ruolo e delegando alla magistratura ogni decisione, con la conseguenza che non ha nemmeno preso in considerazione un fatto. Voi, che siete il Governo dello smart working, vi siete dimenticati di permettere agli avvocati di depositare gli atti anche con una e-mail. Gli avvocati di tutta Italia, in piena pandemia, hanno quindi dovuto prendere gli atti e recarsi in tribunale. Voi siete quelli che dite di aver creato lo smart working, ma non avete adottato alcuna norma per permetterlo. Avvocati di ottant'anni sono andati in tribunale. Questo per me è un fatto gravissimo.
C'è poi il fatto che le dicevo prima. Non so quanto lei sia a conoscenza del fatto che, nel momento in cui si sospendono le norme del codice di procedura penale, si sospendono ovviamente delle norme molto importanti. Lei sa che in questo periodo tantissime donne sono state ostaggio di violenze a casa? Lei sa che a queste donne che cercavano aiuto si rispondeva cha era inutile che invocassero di essere sentite nell'immediatezza dei tre giorni perché sono sospesi i termini previsti dal codice rosso? Lei lo sa che è riuscito a sospendere i termini del codice rosso, o non sa nemmeno questo? (Commenti). Non c'è da speculare!
PRESIDENTE. Colleghi, nessuno è stato interrotto. Fate terminare l'intervento. Ognuno ha detto quello che ha voluto e non c'è stata interruzione di sorta.
Prego, senatrice Bongiorno.
BONGIORNO (L-SP-PSd'Az). Mi spiace molto che, di fronte a un'evidente défaillance del vostro Ministro, che probabilmente non è nemmeno consapevole di ciò, una donna anziché tutelare le donne si alzi. Si vergogni. (Applausi). Carceri e scarcerazioni... (Proteste. Applausi).
PRESIDENTE. Tutti hanno espresso le loro opinioni e nessuno è stato interrotto. Si metta la mascherina e non protesti.
Prego, continui, senatrice Bongiorno.
BONGIORNO (L-SP-PSd'Az). Il sovraffollamento è un problema antico, non ascrivibile al ministro Bonafede. Ma ciò che è ascrivibile a lui è l'ennesima omissione: non ha fatto nulla per porvi rimedio. Per chiarezza, la popolazione carceraria è fatta da detenuti definitivi e da detenuti in custodia preventiva. Noi della Lega crediamo che ciascuno di loro abbia diritto alla salute, ma crediamo anche che lei avesse il preciso dovere, di fronte all'eventuale compressione del diritto alla salute, di trovare delle strutture alternative. Invece cosa ha fatto? Non ha trovato strutture alternative e, mentre con una mano inasprisce la pena, con l'altra apre le celle, facendo uscire in anticipo detenuti che avevano pene definitive. Allora il mio dubbio è il seguente. Mettiamo caso che ci troviamo in una situazione in cui è indispensabile, perché non ci abbiamo pensato, far uscire qualcuno dal carcere; noi abbiamo una popolazione carceraria composta da detenuti definitivi e da presunti innocenti, cioè detenuti in custodia cautelare. Detenuto definitivo significa che lo Stato, dopo dieci anni, ha accertato le sue responsabilità; persone in custodia cautelare significa persone contro le quali spesso non c'è nemmeno una sentenza. Se lei doveva fare una scelta, mi spiega perché non ha fatto uscire quelli che erano in custodia cautelare, presunti innocenti, e invece ha tirato fuori i definitivi? Me lo spiega che scelta ha fatto? (Applausi).
Oggi lei ci dice che non ce l'ha con la magistratura di sorveglianza, ma in realtà io ho sentito reiteratamente scaricare la responsabilità sui magistrati di sorveglianza. Oggi lei ci dice che, se i magistrati hanno applicato delle norme sbagliate, lei non può farci nulla; ha aggiunto inoltre che si tratta di norme di decine di anni fa. Signor Ministro, lei non è un passante; se quelle norme non vanno bene, lei le deve cambiare. Glielo segnalo, signor Ministro. (Applausi).
In un'affannosa ricerca di rimedi, lei ha recentemente varato un provvedimento spot chiamandolo "acchiappa boss" (o forse "acchiappa applausi"). Abbiamo esaminato questo provvedimento chiamato "acchiappa boss": è quello in virtù del quale lei oggi rivendica di aver rimesso in carcere un po' di boss. C'è una cosa che non riesco a capire: quando escono è colpa del magistrato, perché lei non ha competenza, quando invece entrano la competenza è sua. C'è qualcosa che non va. (Applausi). La norma "acchiappa boss" - l'ho guardata - è una norma che non aggiunge nulla; è una norma vuota, che aggiunge solo qualche parere.
Visto che manca poco tempo, farò solo un breve cenno alla questione Di Matteo. Signor Ministro, c'è stato un periodo in cui bastava un solo sospiro di un collaboratore di giustizia per aprire processi e decapitare politici e imprenditori. Io credo che sia stato un periodo buio; era un periodo in cui bastava che Buscetta o Mutolo dicessero un cognome e facessero un sospiro per mandare delle persone in carcere, decapitate. È stato un periodo buio; io non credo ai pentiti. Immagino che lei sappia che in questi giorni è successo un fatto allarmante, di cui pochi parlano. Un pentito, guarda caso uno di coloro che poi hanno determinato queste condanne, ha dichiarato che in realtà, secondo lui, Di Matteo non è stato scelto al DAP come ripercussione della trattativa Stato-mafia. L'ha dichiarato pubblicamente all'Adnkronos. È vero che un pentito alla base di mille processi ha fatto una dichiarazione di questo genere? È una dichiarazione gravissima. Io non credo ai pentiti, signor Ministro, non ci ho mai creduto. Ma è grave quello che ha detto Mutolo. Lei, che rappresenta lo Stato, cosa intende fare di fronte a questa dichiarazione di Mutolo? Assumerà iniziative? Se sta calunniando qualcuno, è lei che deve prendere iniziative, perché Mutolo sostiene che quello che è successo con la mancata nomina di Di Matteo è stato frutto di una trattativa.
Ne vogliamo parlare o, visto che si parla di altri, questi pentiti non valgono nulla? (Applausi). Per me i pentiti non valgono, nulla, nulla, nulla. Spero che anche per voi non valgano nulla. Ma lei assume iniziative.
Per molte ragioni, e non solo per queste, la Lega voterà a favore di entrambe le mozioni. (Applausi).
AIMI (FIBP-UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
AIMI (FIBP-UDC). Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, membri del Governo, signor Ministro della Giustizia, onorevoli colleghi, ero in attesa di vedere quale posizione avrebbe assunto Italia Viva. Avevamo tutti ascoltato con grande attenzione le parole del senatore Cucca, ma non avevamo capito alla fine dove sarebbero arrivati. Allora abbiamo mandato qualche esploratore per capire, e il senatore Cucca - devo dirlo a suo onore - ha declinato solamente il grado e il numero di matricola.
Ma poi, quando il senatore Renzi ha preso la parola, abbiamo capito con precisione ciò che sarebbe avvenuto. Ma è una cosa che noi davamo francamente già per scontata. Devo dirlo con le parole che Dante usava quando parlò del Conte Ugolino, perché qui il nostro presidente Renzi ha detto: faccia il Ministro della giustizia, non dei giustizialisti. Noi pensavamo che sarebbe stato consequenziale; pensavamo che, dopo aver detto che le due mozioni fossero due mozioni votabili, si sarebbe arrivati ad una diversa conclusione. Invece, che cos'è avvenuto? Italia Viva voterà contro le nostre mozioni. Italia Viva ha applicato quel principio, quella frase: «più che 'l dolor poté i'l digiuno». Perché ora ci sono le nomine e sicuramente questa è la situazione nella quale si dibatte la maggioranza e nella quale sappiamo però ci sono molti di voi che hanno dovuto o dovranno assumere il Maalox per votare contro questi provvedimenti.
Vedete, chi vi parla era giustizialista. Mi capitò più di trentadue anni fa: ebbi in sorte di incontrare Enzo Tortora; fu un piccolo seme, ma fiorì. Diventai avvocato, frequentai le aule di giustizia; l'ho fatto per più di trent'anni, signor Ministro. So che cosa significa e so che cosa vuol dire guardare in faccia coloro che finiscono nel tritacarne della giustizia. So che cosa vuol dire - perché è capitato a tante persone - trovarsi in condizioni estremamente spiacevoli.
Noi apparteniamo ad una forza politica che ha subìto più di ogni altra, lottando per la libertà, una battaglia e una persecuzione giuridica, che continua. Voglio ricordare anche in questa sede l'amico Massimo Mallegni. Siccome si dice che non ci sono persone innocenti in carcere - qualcuno l'ha detto o forse se ne dimentica - ebbene Massimo Mallegni ne è uscito innocente e pulito, come tanti italiani. (Applausi). Dobbiamo tornare indietro nel tempo per ricordare anche ciò che accadde nel 1992, durante l'epoca di Tangentopoli: quanti morti, quanto sangue e quanta innocenza in quei momenti!
Allora dica ai suoi suggeritori in toga, signor Ministro, che in gattabuia non ci sono solo i colpevoli, ma ci sono anche gli innocenti, e un Ministro della giustizia avrebbe il dovere di occuparsi soprattutto di costoro. (Applausi). Noi siamo rimasti gli unici, insieme ad una piccola pattuglia di credenti, a difendere i principi della Costituzione. Non abbiamo visto fuori da quest'Aula le sciarpe viola, il popolo viola; non abbiamo visto i girotondi.
Lei, signor Ministro, più volte ha violato gli articoli fondamentali della nostra Carta costituzionale o se ne è dimenticato, tant'è che la stessa Corte costituzionale ha impugnato le sue leggi. Lei è un Ministro incostituzionale, è un Ministro anticostituzionale, è un Ministro che dovrebbe guardare ai princìpi fondamentali del nostro ordinamento, se li conosce. In Aula però ci siamo noi a difendere quei princìpi, a difendere il giusto processo e anche la magistratura, quella che non vuole implicazioni politiche, che si difende da coloro che la tirano per la giacchetta e soprattutto da coloro che vorrebbero realizzare, all'interno della magistratura stessa - e ci sono già riusciti, perché già dagli anni Sessanta è partito l'attacco alle istituzioni - lo sconfinamento dei tre poteri e il dimenticarsi della tripartizione di Montesquieu. C'è una corrente particolare, che ha una vocazione in questo senso ed è quella stessa corrente, che regola i conti anche in termini politici.
Signor Ministro, mi faccia capire: il suo Presidente del Consiglio, che siede a fianco a lei, il difensore degli italiani, ha portato la toga. Dal giorno alla notte, con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sono finite ai domiciliari 60 milioni di persone. (Applausi). Poi interviene lei. Arriva il DAP e lei non può dire "non potevo non sapere", perché è un principio ignobile, se applicato in termini giudiziari. Nel momento in cui è la politica che deve rendere conto, lei, signor Ministro, sapeva esattamente ciò che sarebbe accaduto. Peraltro, avrebbe potuto prevedere, senza grande difficoltà, le situazioni esplosive delle carceri. C'è una mia interrogazione, risalente addirittura al 28 gennaio di quest'anno, in cui annunciavo ciò che sarebbe puntualmente accaduto. Lei sapeva, signor Ministro. Per noi di Forza Italia questi sono argomenti che restano sullo sfondo, perché il punto non è nemmeno la questione relativa a Di Matteo e alle "torte in faccia" che vi siete tirati in diretta televisiva, così come non è nemmeno la grave questione delle carceri, con 70 evasi e 14 morti, tutti per overdose e 30 milioni di euro spesi solo per iniziare i lavori di ricostruzione e di ristrutturazione. Voglio dirle anche che siamo ad una distanza stellare dalle posizioni giustizialiste, non solamente sue, ma anche del dottor Di Matteo.
Signor Ministro, lei ha però realizzato un grande miracolo, l'incredibile miracolo di sant'Alfonso, che però non è Alfonso Maria de' Liguori. (Applausi). Il miracolo di sant'Alfonso è quello di aver cementato in maniera definitiva l'alleanza del centrodestra e di aver realizzato nella sua maggioranza una situazione di insopportabilità. Nel nostro piccolo Transatlantico del Senato, nella sala Garibaldi, si sente rumoreggiare: non ripeto quello che dicono, ma molti dei senatori che dovrebbero sostenerla, se potessero farlo liberamente, non la voterebbero. Questo è un dato di fatto. In questo miracolo lei è riuscito a mettere insieme tutti: a ricompattare il fronte degli avvocati e quello dei magistrati, i professori universitari, gli studenti, il personale delle cancellerie, tutti contro i principi infami che la sua attività ha realizzato.
Signor Ministro, non le auguro certamente di doversi ritrovare a veder deflagrare nel salotto di casa un procedimento penale. Le vogliamo bene, lei non è per noi un nemico, ma un avversario politico. Per noi nemiche sono le idee, che manifesta con tanta protervia, perché sappiamo dove ci vuole portare e abbiamo ben chiaro il suo percorso.
Vorrei dirle allora che, quando un procedimento penale deflagra nel salotto di casa, a farne le spese non è solamente il destinatario, magari, di un avviso di garanzia, ma sono anche le persone che gli sono vicine, gli affetti più cari, le persone anziane, che non sanno dare giustificazioni agli amici che chiedono cosa sia successo: dai, dimmi la verità, è andata così? Questo avviene: la gogna mediatica. A volte quelli che troviamo sulle prime pagine dei giornali, dopo qualche mese ce li ritroviamo nei necrologi. Questa è una vergogna. (Applausi).
È una vergogna che quest'Assemblea e lei, signor Ministro, non si battano per mettere un freno a tutto ciò. Lei dovrebbe avere, al contrario, maggiore attenzione.
Le dicevo che siamo stellarmente distanti: lei è figlio della cultura del sospetto; lei ha una cultura giacobina, un fanatismo sanzionatorio, è un giansenista. Già una volta in quest'Aula glielo avevo detto. Giansenio era quell'eretico che riteneva che l'uomo nascesse corrotto e fosse assolutamente irredimibile: non è così.
Ma questo ha delle conseguenze, non piccole, enormi a volte. Pensi a ciò che è successo a Roma, dove non si fanno le Olimpiadi per paura non si sa di che cosa. Pensi a ciò che accade nelle costruzioni, nelle imprese, negli appalti: nessuno fa più niente, tutto è bloccato. Per ricostruire il ponte Morandi abbiamo dovuto fare un'altra legge; questa è la situazione nella quale noi ci dibattiamo.
Ma noi siamo garantisti, viviamo nella cultura del rispetto, crediamo in un rapporto armonioso con lo Stato. Come dice il nostro presidente Berlusconi, siamo figli della cultura greco-romana e giudaico-cristiana; abbiamo portato la civiltà non solamente in Italia, ma in Europa e nell'Occidente. Abbiamo questo nel nostro DNA: siamo garantisti. Quando spetterà a noi - perché arriverà il momento in cui ci faranno votare... (Applausi).
Quando spetterà a noi, gli italiani vedranno le vere riforme e la difesa autentica della libertà. (Applausi).
PERILLI (M5S). Domando di parlare per dichiarazione di voto.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PERILLI (M5S). Grazie, signor Presidente. Signor Ministro, lei ha una grande pazienza, io la invidio, e tra l'altro anche un grande senso del dovere e delle istituzioni. Non credo che sia stato difficile da casa, per coloro che ci seguono, farsi un'opinione di ciò che è avvenuto.
La senatrice Bonino ha concluso l'intervento dicendo che bisogna far riconquistare ai cittadini il senso della giustizia e la fiducia nella giustizia. Io aggiungerei che questo senso si recupera non dicendo balle, non strumentalizzando quello che è avvenuto e non cercando di contravvenire a una regola fondamentale che credo valga anche in politica: che quando si ha la forza e il coraggio di dire certe cose, bisogna avere l'onestà alle spalle per poterla dire. Così non è avvenuto. (Applausi).
Mi spiego. Potrei dire, quasi confidenzialmente: Ministro, quello che lei non ha potuto dire, lo posso dire io, perché è quello che penso. Bisogna essere chiari ed equi rispetto alla storia di ciò che è avvenuto e di ciò che è stato.
La senatrice Bongiorno ha citato una trattativa. Credo che il dialogo tra Di Matteo e Bonafede abbia avuto esegesi che vanno forse al quarto lemma del vocabolario, per cercare di trovare una collocazione alle interpretazioni che si volevano dare. (Applausi).
È avvenuto di tutto. In base a una telefonata in una trasmissione televisiva si è ricostruito tutto quello che si è voluto vedere dentro questa vicenda, ma l'illazione - ha ragione il Ministro - su una contingenza e soprattutto un'interferenza della mafia non si può accettare. Questa infatti è un'offesa non a un Ministro, ma all'intero Paese che il Ministro rappresenta. (Applausi).
È stato evocato di tutto. Il senatore Paragone ha evocato addirittura il diavolo e Capitan America in quest'Aula; ha parlato di tutto, ma non del contesto, non del merito, ovvero che la storia e le posizioni, che qui stanno ben rappresentate, sono diverse. Diceva bene il senatore Renzi: noi non siamo come voi rispetto a tali questioni e l'abbiamo sempre dimostrato. Pertanto, queste mozioni devono essere lette esattamente al contrario di quanto viene detto.
La sfiducia non è per quello che è stato fatto sullo spazzacorrotti, per aver impedito la violenza, per aver introdotto sanzioni molto pesanti per la violenza sulle donne e il Daspo a vita per i corrotti nella pubblica amministrazione. Le mozioni vanno lette proprio perché abbiamo fatto queste cose (Applausi) e chi parla in un certo modo è chi nella storia di questo Paese le ha agevolate dal punto di vista normativo e non ha fatto nulla per tenere il freno. (Applausi).
Mi fa piacere che si parli della trattativa, ma credo che sia poco accorto, perché a me il termine trattativa fa ricordare la trattativa Stato-mafia che è avvenuta durante i Governi di Lega e Forza Italia (Commenti. Applausi): questi sono i Governi di quando si volevano abolire gli articoli 41-bis, 416-bis, l'ergastolo, i pentiti, le intercettazioni: questo è avvenuto (Applausi) e ci sono le sentenze.
Senatrice Bongiorno, lei è un avvocato come me e sa benissimo che cosa c'è scritto nella sentenza Dell'Utri, del fondatore di Forza Italia: c'è scritto che cosa si stava dicendo e voi avete il coraggio di parlare, di farci la lezione? (Applausi). Perché non rivolgete questo vostro ritrovato spirito di indignazione a quello che è accaduto, non ai provvedimenti che vanno in un'unica direzione?
Di Matteo e Bonafede stanno dalla stessa parte ed è stato detto chiaramente. (Applausi). Potranno subentrare delle incomprensioni, ma stanno facendo andare avanti il Paese nella lotta che li ha contraddistinti. (Applausi). Anche il detrattore più accanito del ministro Bonafede può dire di tutto, ma non può dire che non ci sia stata una lotta alla mafia: il Ministro lo ha spiegato punto per punto. Tra l'altro, oggi ho anche il piacere di dire - e questo smentisce tutte le vostre ricostruzioni - che torneranno in carcere Franco Cataldo (Applausi), che è stato condannato all'ergastolo per concorso nel sequestro di Giuseppe Di Matteo, come è tornato in carcere Bonura. (Applausi). Questi sono i fatti, non sono chiacchiere. Questi sono i fatti, questi sono i decreti che sono stati firmati.
Non so se qualcuno dei firmatari ha letto veramente il testo delle mozioni, ma in quella a prima firma della senatrice Bonino, si dipinge il Ministro come colui che ha attuato una manomissione dell'imparzialità della giustizia, ripeto, una manomissione dell'imparzialità della giustizia: ci troviamo dinanzi a un dittatore, neanche ad un Ministro della Repubblica, perché solo un dittatore può fare questo e non delle leggi che sono state.. (Commenti). Siamo seri, se chi fa certe leggi manomette, come si dice, l'imparzialità della giustizia, il Presidente della Repubblica - vi ricordo - non le avrebbe promulgate (Applausi), per cui voi state dicendo anche al Presidente della Repubblica, che ha una funzione importantissima, che è complice nel ritratto che avete fatto.
Nella mozione si dice, ancora, che l'azione del Ministro andrebbe contro i principi della civiltà giuridica e che agevolerebbe la gogna mediatica. Il ministro Bonafede starebbe agevolando la gogna mediatica, lui che è stato messo alla gogna mediatica? (Applausi). Bisogna avere un senso delle cose; anche negli attacchi bisogna essere appropriati, bisogna essere sul pezzo, non si può andare in maniera strumentale per colpire il Governo e questo è il secondo punto politico.
Questa strumentalità infatti va letta, perché questo è solo un attacco a tutto il Governo che compattamente è qui e vi risponde con la propria presenza, con il coraggio del proprio operato. (Applausi). Una dimostrazione sta nel fatto che, durante la discussione sulle mozioni di sfiducia individuale nei riguardi del Ministro Bonafede si è parlato dell'economia, della finanza, di tutto quello che si sta facendo, di quello che il Governo non ha fatto e che dovrebbe fare. È evidente quello che c'è dietro e che trova uniti in maniera trasversale pezzi di quest'Assemblea che vorrebbero buttare giù questo Governo, ma questo Governo lo butteranno giù i cittadini, quando e come diranno, non lo butterete giù voi. È chiaro? (Applausi).
Le lezioni poi non si possono sentire: se avete ritrovato questo spirito di legalità e di opportunità - si dice che anche le persone più pulite non devono avere l'ombra del sospetto - fate dimettere dalla Commissione antimafia chi ha avuto una richiesta di arresto. (Applausi). Fate questo gesto, abbiate il coraggio, abbiate il coraggio. (Applausi). Tra voi ci sarà infatti qualcuno che sente la questione, che la sa portare avanti, che può dire che è bene che si dimettano. (Applausi).
Non scendo sul personale, ma questo è un aspetto politico: che ci sia una situazione del genere in Commissione antimafia è una cosa gravissima e su questo neanche una parola, neanche una parola perché vi trincerate dietro al garantismo. Ha detto bene la senatrice Unterberger: voi, che avete sempre parlato di fanatismo giudiziario e quant'altro, adesso ricostruite la vicenda come vi pare. Dopo aver avversato Di Matteo in tutti i modi, in ogni momento, vi avventurate oggi nel definire quello che avrebbe detto al ministro Bonafede. (Applausi). Questa, colleghi, è disonestà intellettuale e politica. (Applausi. Commenti).
Il Paese lo deve sapere; deve sapere chi sta parlando; deve sapere chi si deve difendere e deve sapere come andrà avanti questa storia. (Applausi).
Ministro, noi faremo di tutto per darle sostegno. Parleranno le leggi, questo è vero: l'Assemblea farà questa giornata; c'è stato questo dibattito, ma le leggi rimarranno, salvo che qualcuno, come è già accaduto, non tenterà di ricancellarle come avete fatto con il finanziamento dei partiti. (Applausi). Ha il coraggio di parlare anche la Lega? Desse spiegazioni sui 49 milioni di euro perché i cittadini italiani vogliono sapere. (Commenti. Applausi). Date delle spiegazioni sull'emendamento Arata; date spiegazioni su come avete condotto questi Governi con Forza Italia, quando avete abolito e cercato di abolire tutte le leggi che i magistrati antimafia cercavano disperatamente di portare avanti. Avete fatto un bel connubio, una grande alleanza. Su questo, però, non dite una parola. Senatore Salvini, lei non dice nulla su questo? Questa è la realtà.
La realtà è unica: il ministro Bonafede ha il diritto, se non altro, di essere rispettato e queste illazioni non fanno solo male a un Ministro, ma a un Paese, a tutti colori i quali si vedono rappresentati in questo Governo. (Prolungati applausi).
*QUAGLIARIELLO (FIBP-UDC). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
QUAGLIARIELLO (FIBP-UDC). Signor Presidente, signor Ministro, signor Presidente del Consiglio, non credo personalmente di aver bisogno di lasciare agli atti di quest'Aula la distanza siderale che dal punto di vista culturale e politico mi separa da lei, Ministro del processo "senza fine" e del sospetto come anticamera della decrescita infelice.
Però, signor Ministro, c'è un però. La mozione di sfiducia che ha innescato questo dibattito prende spunto dalle dichiarazioni di un pm, che ha avanzato a mezzo TV ipotesi e ricostruzioni volte a opinare la scelta di affidare a persona diversa da lui la guida del DAP. La mozione sembra avallare il sindacato di un rappresentante di un altro potere circa l'esercizio delle prerogative di Governo.
Anche sul dottor Di Matteo, come su di lei, Ministro, ho un giudizio molto chiaro e non lo cambio, ma non è questo il punto.
La questione è che la sola idea che il potere giudiziario possa sindacare le scelte dell'Esecutivo inficia secoli di civiltà edificata da Montesquieu in poi sul principio di separazione. Sicché, signor Ministro, se a lei si può contestare qualcosa in questo frangente, è di aver balbettato con imbarazzo di fronte a quelle accuse improprie che, invece, avrebbe dovuto rispedire al mittente invocando l'intervento del CSM, come giustamente ha fatto il Presidente del Senato.
La mozione di sfiducia, dunque, non ci ha visto d'accordo e l'intenzione era di non votarla. Con una sola forte remora, perché in politica qualsiasi scelta è empirica e approssimativa. Si sceglie approssimativamente l'appartenenza a un Gruppo; figuriamoci il voto a una mozione. La remora era sottrarre il nostro voto a un'iniziativa che avrebbe potuto mettere in crisi un Governo che, a nostro parere, sta facendo il male dell'Italia in un momento molto difficile.
La mozione presentata dalla senatrice Bonino ci ha tolto da questo imbarazzo. Contro il ministro Bonafede abbiamo oggi una mozione non garantista e una mozione garantista. E, oltre al dato di principio, per la ferrea logica dei numeri, dobbiamo anche rilevare che, semmai lei, Ministro, dovesse cadere - è ovviamente un'ipotesi del terzo tipo -, sarebbe più facile che ciò avvenisse per la seconda che non per la prima mozione.
È un bene che sia così, per evitare che se ci sarà un Governo diverso da questo, come noi auspichiamo, il pubblico ministero di turno possa avanzare pretese circa le prerogative di altri poteri e citare a suo sostegno un precedente molto imbarazzante.
Per queste ragioni, più ancora che un dissenso, esprimo una dichiarazione di voto anche a nome dei colleghi Massimo Berutti e Paolo Romani, annunziando la non partecipazione al voto delle componenti IDeA e Cambiamo! del Gruppo Forza Italia sulla mozione non garantista e un convinto voto favorevole sulla mozione garantista.
CIAMPOLILLO (Misto). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
CIAMPOLILLO (Misto). Signor Presidente, la vicenda del Ministro della giustizia è purtroppo la dimostrazione evidente dell'ipocrisia di questo Governo e della sua assoluta incapacità di offrire risposte serie ai bisogni dei cittadini. Si doveva fare la lotta alle mafie e si sono scarcerati i boss mafiosi, così come del resto si doveva fare la lotta ai poteri forti e si sono confermati manager o presunti tali come Descalzi e Arcuri, solo per fare alcuni esempi. Per non parlare di quanto è stato fatto sulla TAP e sul TAV, gli F-35, i condoni ad Ischia di cui non parla più nessuno, o ancora lo scempio ambientale nella mia amata Puglia con il taglio inutile e criminale di migliaia e migliaia di splendidi ulivi secolari e millenari, per non parlare dello scempio dell'Ilva.
Sulla questione del ministro Bonafede siamo nel grottesco: Di Matteo, simbolo del MoVimento 5 Stelle e della lotta contro le mafie, che viene umiliato e mortificato a vantaggio di un anonimo funzionario, peraltro parente del ministro Speranza. Il giustizialismo che sconfessa sé stesso, che vale solo per gli altri e che quindi non vale niente. Le scarcerazioni dei boss sono uno scandalo vergognoso: si sono dimessi sia il direttore della DAP, sia il capo di gabinetto. A parti inverse, se a ricoprire la carica di Ministro della giustizia fosse stato un collega di Forza Italia, della Lega o di Fratelli d'Italia, il deputato Bonafede sarebbe andato sin sul tetto di Montecitorio per sventolare la bandiera dell'antimafia e chiedere a squarciagola le dimissioni, ovviamente con una diretta Facebook orchestrata dal solito Casalino. Sinceramente provo disgusto per tutto questo. Credo che per coerenza e rispetto istituzionale il ministro Bonafede avrebbe dovuto dimettersi immediatamente. (Commenti).
PRESIDENTE. Senatrice, la vuole smettere di urlare? Mi pare che quando ha parlato il senatore Perilli vi sia stato un silenzio tombale. (Commenti). Non mi piace che ci siano due pesi e due misure.
CIAMPOLILLO (Misto). Grazie, Presidente.
Come dicevo, credo che per coerenza e rispetto istituzionale il ministro Bonafede avrebbe dovuto dimettersi immediatamente; non lo ha fatto perché evidentemente, ai suoi occhi la poltrona di Ministro vale molto di più della dignità e del rispetto dei cittadini. Mi dispiace molto. Per queste ragioni voterò per la sfiducia.
BONINO (Misto-PEcEB). Domando di parlare per dichiarazione di voto in dissenso dal mio Gruppo.
PRESIDENTE. Ne prendo atto e le do la parola.
BONINO (Misto-PEcEB). Signor Presidente, colleghi, spero che ci calmiamo un attimo. Tanto per chiarire ad alcuni, Più Europa e la stragrande maggioranza degli altri firmatari non fanno parte né della maggioranza, né del Governo.
A noi spetta un'altra funzione altrettanto importante, quella di un'opposizione responsabile e costruttiva, quando possibile, e lei sa, signor Presidente, che ne abbiamo dato prova numerose volte.
Signor Ministro, lei con un profluvio di cifre ha risposto soprattutto alle contestazioni della mozione n. 230, però sui temi di fondo da noi e da me sollevati ha confermato la continuazione della linea politica attuata fin qui. Lo ha confermato sulle prescrizioni e sulle intercettazioni; ha confermato la sua politica che noi non ci sentiamo di condividere, perché non risponde alla nostra visione di uno Stato di diritto.
Per cortesia, signor Ministro, si faccia e ci faccia un favore: non dica più che in Italia non ci sono innocenti in carcere. L'ho sentita io, non lo dica più. (Applausi). Glielo chiedo per favore, questo è un insulto a migliaia di persone e di famiglie (le do anche le cifre) che hanno patito un'ingiusta detenzione: negli ultimi anni sono stati circa 20.700, mille all'anno. Sto parlando di ingiusta detenzione: lei ha presente i costi umani, reputazionali, i costi emotivi ed economici, la distruzione di imprese e di famiglie? Faccia il favore, cambi passo perché una giustizia giusta serve ai cittadini, al nostro Paese e anche alla ripresa economica. (Applausi).
LA RUSSA (FdI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Per che cosa?
LA RUSSA (FdI). Sull'ordine dei lavori, signor Presidente.
PRESIDENTE. Quale ordine dei lavori ci potrebbe essere di diverso?
LA RUSSA (FdI). Se lei me lo fa dire glielo dico.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire.
LA RUSSA (FdI). Signor Presidente, il sistema che abbiamo deciso di adottare all'unanimità è quello di votare per ordine alfabetico a gruppi di cinquanta senatori. Volevo correttamente avvisare il Presidente e l'Assemblea che sulla mozione n. 235, qualora la prima non venisse approvata, il Gruppo Fratelli d'Italia voterà tutto per intero nel corso della seconda chiama, per verificare l'atteggiamento di parte della maggioranza, anche se adesso è abbastanza chiaro.
Per correttezza diciamo quindi che voteremo nella seconda chiama; con questo prendiamo assolutamente atto della diversità delle due mozioni, sulla seconda delle quali abbiamo un atteggiamento parzialmente positivo e parzialmente non concorde. Pertanto, signor Presidente, credo di aver espresso correttamente le ragioni del mio intervento. C'era un sospetto ingiustificato.
PRESIDENTE. Mi scusi, non riesco a comprendere. Siccome la seconda chiama è prevista sempre e comunque, non capisco perché lei abbia sentito la necessità di questo chiarimento. Per chi non è presente, c'è la seconda chiama per la seconda votazione. Adesso procediamo alla prima.
LA RUSSA (FdI). Glielo dico subito, signor Presidente. Avendola preavvisata che nella seconda votazione voteremo tutti alla seconda chiama, lei, nello scegliere i 50 che vanno a votare, può tenerne conto se vuole. È questa la ragione.
PRESIDENTE. Ognuno fa come ritiene.
Votazione nominale con appello
PRESIDENTE. Indìco, ai sensi dell'articolo 94, secondo comma, della Costituzione e ai sensi dell'articolo 161, comma 1, del Regolamento, la votazione nominale con appello della mozione n. 230, presentata dai senatori Romeo, Ciriani, Bernini e da altri senatori.
Come stabilito dalla Conferenza dei Capigruppo, ciascun senatore voterà dal proprio posto, con entrata nell'emiciclo scaglionata a gruppi di cinquanta ogni dieci minuti secondo l'ordine alfabetico, iniziando dai senatori membri del Governo, ad accezione del senatore Calderoli, che voterà per primo per poi sostituirmi.
I senatori favorevoli alla mozione di sfiducia risponderanno sì; i senatori contrari risponderanno no; i senatori che intendono astenersi si esprimeranno di conseguenza.
Invito il senatore Segretario a procedere all'appello.
(Il senatore Segretario Carbone e, successivamente, la senatrice Segretario Ginetti fanno l'appello).
(Nel corso delle operazioni di voto assumono la Presidenza il vice presidente CALDEROLI - ore 13,42 -, indi il presidente ALBERTI CASELLATI - ore 14,28 -).
Rispondono sì i senatori:
Aimi, Alderisi, Alessandrini, Arrigoni, Augussori
Bagnai, Balboni, Barachini, Barbaro, Barboni, Battistoni, Berardi, Bergesio, Bernini, Biasotti, Binetti, Bongiorno, Borghesi, Borgonzoni, Bossi Simone, Briziarelli, Bruzzone
Calandrini, Calderoli, Caliendo, Caligiuri, Campari, Candiani, Candura, Cantù, Carbone, Casolati, Causin, Centinaio, Cesaro, Ciampolillo, Ciriani, Corti, Craxi
Dal Mas, Damiani, de Bertoldi, De Poli, De Siano, De Vecchis
Faggi, Fantetti, Fazzolari, Fazzone, Ferrero, Ferro, Floris, Fregolent, Fusco
Galliani, Gallone, Garnero Santanchè, Gasparri, Ghedini, Giammanco, Giro, Grassi
Iannone, Iwobi
La Pietra, La Russa, Lucidi, Lunesu
Maffoni, Malan, Mallegni, Mangialavori, Marin, Martelli, Marti, Masini, Messina Alfredo, Minuto, Modena, Moles, Montani
Nastri, Nisini
Ostellari
Pagano, Papatheu, Paragone, Paroli, Pazzaglini, Pellegrini Emanuele, Pepe, Pergreffi, Petrenga, Pianasso, Pichetto Fratin, Pillon, Pirovano, Pisani Pietro, Pittoni, Pizzol, Pucciarelli
Rauti, Ripamonti, Rivolta, Rizzotti, Romeo, Ronzulli, Rossi, Rufa, Ruspandini
Saccone, Salvini, Saponara, Saviane, Sbrana, Schifani, Serafini, Siclari, Siri, Stefani
Testor, Tiraboschi, Toffanin, Tosato, Totaro
Urraro, Urso, Vallardi, Vescovi, Vitali
Zuliani.
Rispondono no i senatori:
Abate, Accoto, Agostinelli, Airola, Alfieri, Anastasi, Angrisani, Astorre, Auddino
Bellanova, Bini, Biti, Boldrini, Bonifazi, Bottici, Botto, Bressa, Buccarella
Campagna, Casini, Castaldi, Castellone, Castiello, Catalfo, Cioffi, Cirinnà, Collina, Coltorti, Comincini, Conzatti, Corbetta, Corrado, Crimi, Croatti, Crucioli, Cucca
D'Alfonso, D'Angelo, D'Arienzo, De Lucia, De Petris, Dell'Olio, Dessì, Di Girolamo, Di Marzio, Di Micco, Di Nicola, Di Piazza, Donno, Durnwalder
Endrizzi, Errani, Evangelista
Faraone, Fattori, Fede, Fedeli, Fenu, Ferrara, Ferrari, Ferrazzi, Floridia
Gallicchio, Garavini, Garruti, Gaudiano, Giannuzzi, Ginetti, Girotto, Granato, Grasso, Grimani, Guidolin
Iori
L'Abbate, La Mura, Laforgia, Lanièce, Lannutti, Lanzi, Laus, Leone, Lezzi, Licheri, Lomuti, Lorefice, Lupo
Magorno, Maiorino, Malpezzi, Manca, Mantero, Mantovani, Marcucci, Margiotta, Marilotti, Marinello, Marino, Matrisciano, Mautone, Merlo, Messina Assuntela, Mininno, Mirabelli, Misiani, Mollame, Montevecchi, Moronese, Morra
Nannicini, Naturale, Nocerino, Nugnes
Ortis
Pacifico, Parente, Parrini, Patuanelli, Pavanelli, Pellegrini Marco, Perilli, Pesco, Petrocelli, Piarulli, Pinotti, Pirro, Pisani Giuseppe, Pittella, Presutto, Puglia
Quarto
Rampi, Renzi, Ricciardi, Rojc, Romagnoli, Romano, Rossomando, Ruotolo, Russo
Santangelo, Santillo, Sbrollini, Sileri, Stefano, Steger, Sudano
Taricco, Taverna, Toninelli, Trentacoste, Turco
Unterberger
Vaccaro, Valente, Vanin, Vattuone, Verducci, Vono
Zanda.
Si astengono i senatori:
Drago
(I senatori Berutti, Cangini, Quagliariello e Romani dichiarano di non partecipare al voto).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito i senatori Segretari a procedere al computo dei voti.
(I senatori Segretari procedono al computo dei voti).
Proclamo il risultato della votazione nominale con appello della mozione n. 230, di sfiducia individuale nei riguardi del Ministro della giustizia, presentata dai senatori Romeo, Ciriani, Bernini e da altri senatori:
| Senatori presenti | 297 |
| Senatori votanti | 292 |
| Maggioranza | 146 |
| Favorevoli | 131 |
| Contrari | 160 |
| Astenuti | 1 |
Il Senato non approva.
Votazione nominale con appello
PRESIDENTE. Indìco, ai sensi dell'articolo 94, secondo comma, della Costituzione e ai sensi dell'articolo 161, comma 1, del Regolamento, la votazione nominale con appello della mozione n. 235, presentata dalla senatrice Bonino e da altri senatori.
Come stabilito dalla Conferenza dei Capigruppo, ciascun senatore voterà dal proprio posto, con entrata nell'emiciclo scaglionata a gruppi di cinquanta ogni dieci minuti secondo l'ordine alfabetico, iniziando dai senatori membri del Governo.
I senatori favorevoli alla mozione di sfiducia risponderanno sì; i senatori contrari risponderanno no; i senatori che intendono astenersi si esprimeranno di conseguenza.
Invito la senatrice segretario a procedere all'appello.
GINETTI, segretario, fa l'appello.
Rispondono sì i senatori:
Aimi, Alderisi, Alessandrini, Arrigoni, Augussori
Bagnai, Barachini, Barbaro, Barboni, Battistoni, Berardi, Bergesio, Bernini, Berutti, Biasotti, Binetti, Bongiorno, Bonino, Borghesi, Borgonzoni, Bossi Simone, Briziarelli, Bruzzone
Calderoli, Caliendo, Caligiuri, Campari, Candiani, Candura, Cangini, Cantù, Carbone, Casolati, Causin, Centinaio, Cesaro, Ciampolillo, Corti, Craxi
Dal Mas, Damiani, De Bonis, De Poli, De Siano, De Vecchis
Faggi, Fantetti, Fazzone, Ferrero, Ferro, Floris, Fregolent, Fusco
Galliani, Gallone, Gasparri, Ghedini, Giammanco, Giro, Grassi
Iwobi
Lonardo, Lucidi, Lunesu
Malan, Mallegni, Mangialavori, Marin, Martelli, Marti, Masini, Messina Alfredo, Minuto, Modena, Moles, Montani
Nencini, Nisini
Ostellari
Pagano, Papatheu, Paroli, Pazzaglini, Pellegrini Emanuele, Pepe, Pergreffi, Perosino, Pianasso, Pichetto Fratin, Pillon, Pirovano, Pisani Pietro, Pittoni, Pizzol, Pucciarelli
Quagliariello
Richetti, Ripamonti, Rivolta, Rizzotti, Romani, Romeo, Ronzulli, Rossi, Rufa
Saccone, Salvini, Saponara, Saviane, Sbrana, Schifani, Serafini, Siclari, Siri, Stefani
Testor, Tiraboschi, Toffanin, Tosato
Urraro
Vallardi, Vescovi, Vitali
Zuliani.
Rispondono no i senatori:
Abate, Accoto, Agostinelli, Airola, Alfieri, Anastasi, Angrisani, Astorre, Auddino
Bellanova, Bini, Biti, Boldrini, Bonifazi, Bottici, Botto, Bressa, Buccarella
Campagna, Casini, Castaldi, Castellone, Castiello, Catalfo, Cioffi, Cirinnà, Collina, Coltorti, Comincini, Conzatti, Corbetta, Corrado, Crimi, Croatti, Crucioli, Cucca
D'Alfonso, D'Angelo, D'Arienzo, De Lucia, De Petris, Dell'Olio, Dessì, Di Girolamo, Di Micco, Di Nicola, Di Piazza, Donno, Durnwalder
Endrizzi, Errani, Evangelista
Faraone, Fattori, Fede, Fedeli, Fenu, Ferrara, Ferrari, Ferrazzi, Floridia
Gallicchio, Garavini, Garruti, Gaudiano, Giannuzzi, Ginetti, Girotto, Granato, Grasso, Grimani, Guidolin
Iori
L'Abbate, La Mura, Laforgia, Lanièce, Lannutti, Lanzi, Laus, Leone, Lezzi, Licheri, Lomuti, Lorefice, Lupo
Maiorino, Malpezzi, Manca, Mantero, Mantovani, Marcucci, Margiotta, Marilotti, Marinello, Marino, Matrisciano, Mautone, Merlo, Messina Assuntela, Mininno, Mirabelli, Misiani, Mollame, Montevecchi, Moronese, Morra
Nannicini, Naturale, Nocerino, Nugnes
Ortis
Pacifico, Parente, Parrini, Patuanelli, Pavanelli, Pellegrini Marco, Perilli, Pesco, Petrocelli, Piarulli, Pinotti, Pirro, Pisani Giuseppe, Pittella, Presutto, Puglia
Quarto
Rampi, Renzi, Ricciardi, Rojc, Romagnoli, Romano, Rossomando, Ruotolo, Russo
Santangelo, Santillo, Sbrollini, Sileri, Stefano, Steger, Sudano
Taricco, Taverna, Toninelli, Trentacoste, Turco
Unterberger
Vaccaro, Valente, Vanin, Vattuone, Verducci, Vono
Zanda
Si astengono i senatori:
Balboni
Calandrini, Ciriani
de Bertoldi, Drago
Fazzolari
Garnero Santanchè
Iannone
La Pietra, La Russa
Maffoni
Nastri
Paragone, Petrenga
Rauti, Ruspandini
Totaro
Urso
Zaffini.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito i senatori Segretari a procedere al computo dei voti.
(I senatori Segretari procedono al computo dei voti).
Proclamo il risultato della votazione nominale con appello della mozione n. 235, di sfiducia individuale nei riguardi del Ministro della giustizia, presentata dalla senatrice Bonino e da altri senatori:
| Senatori presenti | 302 |
| Senatori votanti | 301 |
| Maggioranza | 142 |
| Favorevoli | 124 |
| Contrari | 158 |
| Astenuti | 19 |
Il Senato non approva. (Applausi).
Sospendo la seduta fino alle ore 16,05 per dar modo di sanificare l'Aula.
(La seduta, sospesa alle ore 15,38, è ripresa alle ore 16,16).
Colleghi, sto verificando, attraverso l'audio, se è stata usata un'espressione che certamente non si confà a quest'Aula da parte del senatore Giarrusso, che mi spiace non essere ora presente in Aula. L'ho sentita ripresa in televisione, in Aula non l'ho sentita. Me ne dolgo e mi duole il fatto che nessuno me l'abbia segnalata.
Adesso verificherò ciò attraverso l'audio, perché è inaccettabile che in quest'Aula vengano usate espressioni come quella utilizzata dal senatore Giarrusso, che andrò a verificare. (Applausi). Ripeto, l'ho sentita al telegiornale e mi spiace non averla sentita qui.
In ricordo di Massimo D'Antona
PRESIDENTE. (Il Presidente e l'Assemblea si levano in piedi). Onorevoli senatori, esattamente ventuno anni fa il professor Massimo D'Antona, insigne giurista, consulente del Ministero del lavoro, cadeva vittima di un agguato mortale posto in essere da un commando aderente all'organizzazione terroristica delle Nuove Brigate Rosse. Nove furono i colpi di pistola che raggiunsero il professor D'Antona a pochi passi dalla sua abitazione, gli ultimi dei quali esplosi quando già il suo corpo giaceva a terra.
Massimo D'Antona era un cittadino mite, onesto, un uomo colto e sensibile, un docente universitario che insegnava con passione e con la stessa dedizione aveva messo le sue capacità, la sua competenza e la sua esperienza al servizio delle istituzioni e della collettività per proteggere il lavoro di tanti cittadini; quel lavoro che è il cardine della nostra democrazia, quel lavoro che è un diritto fondamentale e il primo strumento di dignità sociale ed economica per milioni di famiglie.
La sua fu una fredda esecuzione, premeditata e accuratamente pianificata in ogni dettaglio.
Ricordare Massimo D'Antona oggi, in questo triste anniversario, è prima di tutto un'occasione per rinnovare la vicinanza del Senato e di tutti gli italiani alla moglie Olga, alla figlia Valentina, ai familiari e a tutti gli amici. Ma questo nostro momento di raccoglimento deve rappresentare anche un'opportunità per riflettere sui doveri che, come istituzioni, abbiamo nei confronti di ogni cittadino e sul futuro che dobbiamo garantire al nostro Paese. Nessuna rivendicazione ideologica potrà infatti mai giustificare il progetto criminale che ha portato all'assassinio di Massimo D'Antona.
Oggi l'Italia sta attraversando un'emergenza economica e sociale grave e complessa, con milioni di cittadini che hanno perso o rischiano di perdere il posto di lavoro e centinaia di migliaia di famiglie sempre più povere. È un'emergenza che abbiamo il dovere di affrontare con consapevolezza, lungimiranza, condivisione e comune senso di responsabilità, per dare fiducia e speranza ai cittadini, perché è nella povertà, nel malessere, nelle disuguaglianze, nell'ingiustizia sociale che matura il seme della rabbia, del disordine, del conflitto e della violenza. Scongiurare questo pericolo, proteggere il lavoro, tutelare la dignità dei cittadini deve quindi essere oggi la nostra priorità comune; lo dobbiamo al sacrificio di Massimo D'Antona e di tanti altri italiani di valore.
In ricordo di Massimo D'Antona, invito pertanto l'Assemblea a osservare un minuto di silenzio. (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio. Applausi).
Sulla scomparsa di Ezio Bosso
PRESIDENTE. Senatori, com'è tristemente noto, venerdì scorso si è spento a Bologna, la città che da tempo lo aveva adottato, il maestro Ezio Bosso. Desidero ricordarlo oggi nella solennità di questa Aula legislativa, nella convinzione che il Parlamento, che è la voce di tutti gli italiani, abbia il dovere di rendere omaggio alla memoria di un suo concittadino non solo per il prestigio che ha donato al Paese, ma per l'incredibile lezione di amore, di cultura e di vita che ha lasciato a tutti noi.
Ezio Bosso era nato a Torino e sin dalla più giovane età ha lavorato con impegno e instancabile dedizione per affermare il proprio talento. Il successo raggiunto a livello nazionale, così come all'estero, è stato il più che meritato riconoscimento di tanti sacrifici, di tanto studio, di tanta passione. La terribile malattia che lo ha colpito appena quarantenne e che lo ha inesorabilmente consumato nel fisico non gli ha mai tolto la voglia di emozionare, di raccontare e di raccontarsi attraverso la musica. Fino a quando ne ha avuto le forze, fino all'ultimo giorno, Ezio Bosso non ha mai smesso di suonare, di comporre musica o di dirigere alcune delle più importanti orchestre italiane e internazionali. Parlando di se stesso diceva: «Non so se sono felice, ma tengo stretti i momenti di felicità». E quando suonava o teneva in mano la bacchetta, la malattia si faceva da parte e lasciava il posto al genio, al talento, al sorriso, un sorriso di gioia, un sorriso di amore.
Con la stessa maestria, Ezio Bosso ha diretto la complicatissima orchestra della sua esistenza, lasciandoci il patrimonio di un'opera suonata con gli strumenti dell'umanità, della poesia, della quotidiana capacità di reinventarsi, di rialzarsi, di ricominciare; un patrimonio in cui la musica non è il rifugio dal dolore, ma è una casa per l'anima, che trasforma il dolore, lo plasma e ne fa un messaggio universale di creatività, di entusiasmo e di coraggio.
In ricordo del maestro Ezio Bosso, invito pertanto quest'Assemblea a stringersi al dolore dei familiari e degli amici e ad osservare un minuto di silenzio. (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio. Applausi).
Discussione e deliberazione su proposte di questione pregiudiziale riferite al disegno di legge:
(1811) Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19 (Approvato dalla Camera dei deputati) (ore 16,27)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione e la deliberazione su proposte di questione pregiudiziale riferite al disegno di legge n. 1811, già approvato dalla Camera dei deputati.
Ha facoltà di parlare il senatore Augussori per illustrare la questione pregiudiziale QP1.
AUGUSSORI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, la questione di legittimità costituzionale è oggi più che mai rilevante. L'articolo 1 del provvedimento in esame reca infatti un elenco di tutte le misure che possono essere adottate per contenere il contagio e la diffusione del Covid-19. Ebbene, in nome della suprema necessità di tutelare la salute pubblica, nella sua forma collettiva e individuale, è lecito anche limitare le libertà costituzionalmente garantite, ma sempre nei limiti e in conformità a quanto previsto dalla nostra Costituzione.
La Carta costituzionale ammette infatti la possibilità di restrizioni della libertà personale nei soli casi e modi previsti dalla legge, come recita l'articolo 13, oltre che limitazioni alla libertà di circolazione per motivi di sanità o di sicurezza, come recita l'articolo 16. L'articolo 13 della Costituzione riconosce la libertà personale come inviolabile e prevede la competenza esclusiva della legislazione ordinaria per la sua disciplina. L'articolo 16, nell'affermare la libertà di poter circolare e soggiornare nel territorio nazionale senza limiti, affida alla legislazione ordinaria la competenza esclusiva per disciplinare le forme di restrizione.
Il nodo centrale, colleghi, è proprio questo: la legge ordinaria può intervenire in casi straordinari. La nostra Costituzione ha infatti previsto, all'articolo 77, uno specifico strumento normativo da adottare in condizioni di necessità ed urgenza: il decreto-legge. Questo atto è sottoposto, proprio per la sua importanza di intervento in situazioni straordinarie, al vaglio del Capo dello Stato e, soprattutto, al vaglio del Parlamento chiamato alla sua conversione. Il Parlamento è il supremo organo legislativo e la Costituzione prevede il suo coinvolgimento nelle situazioni eccezionali, addirittura per deliberare lo stato di guerra e attribuire al Governo i poteri necessari, come recita l'articolo 78 della Costituzione.
Citando il presidente della Consulta, vorrei sottolineare che la Repubblica italiana ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi, dagli anni della lotta armata a quelli più recenti della crisi economico-finanziaria, tutti senza mai sospendere l'ordine costituzionale, ma ravvisando al suo interno gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base a specifiche contingenze.
Il codice della Protezione civile non prevede la deliberazione dello stato di emergenza con una illustrazione preventiva al Parlamento. Pertanto non è dato il potere alle Camere di formulare indirizzi per poter orientare l'azione di Governo, per una questione probabilmente di immediatezza dell'intervento. A maggior ragione, proprio per questo, deve essere coinvolto il Parlamento nelle misure consequenziali allo stato di emergenza. È la Costituzione ad affidare competenza esclusiva alla legislazione ordinaria per disciplinare la limitazione alle libertà, laddove indispensabile.
Finora il Presidente del Consiglio ha scelto di intervenire per limitare o addirittura per sopprimere alcune libertà costituzionali attraverso lo strumento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, una fonte normativa secondaria, di natura regolamentare, che non ha forza di legge. Questa modalità adottata è illegittima e agisce a dispetto del principio della gerarchia delle fonti, che è il fondamento del diritto costituzionale italiano e che prevede una riserva di legge assoluta, con riguardo alle limitazioni della libertà.
Il provvedimento in esame risulta illegittimo, perché vuole garantire ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri la possibilità di intervenire sui diritti garantiti dall'articolo 13 della Costituzione, sulla libertà personale, dall'articolo 16, sulla libertà di circolazione, dall'articolo 17, sulla libertà di riunirsi, dall'articolo 18, sulla libertà di associazione, dall'articolo 19, sulla libertà di culto, dagli articoli 33 e 34, sulla libertà di insegnamento e di istruzione, oltre che dall'articolo 41, sulla libertà di iniziativa economica.
L'articolo 17 della Costituzione riconosce a tutti i cittadini la libertà di riunirsi pacificamente: la libertà individuale ad uso collettivo permette il libero scambio di opinioni e di persone e lo sviluppo della collettività. Se un provvedimento amministrativo può limitare la libertà di riunirsi, in nome della suprema tutela della salute pubblica, e se tale provvedimento può essere emanato da una sola persona, senza richiedere un'approvazione da parte del Parlamento, che è l'unico organo rappresentativo della volontà popolare, allora si rischia di compromettere gravemente l'assetto democratico della nostra Repubblica.
La conversione del decreto-legge in esame è un precedente pericoloso, in cui si esautora il Parlamento della sua funzione legislativa e rappresentativa e si concentra nelle mani di un solo uomo - con i famosi pieni poteri - la possibilità di emanare provvedimenti restrittivi delle libertà costituzionalmente garantite. Sanare l'illegittimità dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, emanati a partire dal mese di marzo, palesemente incostituzionali, attraverso il decreto-legge in fase di conversione, è di per sé un atto incostituzionale, che vorrebbe elevare la debolezza normativa riconosciuta agli atti amministrativi del Presidente del Consiglio al punto di trasformarli in provvedimenti aventi forza di legge, in grado di incidere su libertà costituzionali, protette dalla riserva di legge della Costituzione. Tutto ciò è manifestamente illegittimo e incostituzionale. (Applausi).
Presidenza del vice presidente TAVERNA (ore 16,33)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la senatrice Modena per illustrare la questione pregiudiziale QP2.
MODENA (FIBP-UDC). Signor Presidente, onorevoli colleghi, vedo con piacere che è qui presente il sottosegretario Sileri, dal momento che, riguardo alla questione pregiudiziale che sto per illustrare, vorrei fare anche un riferimento a ciò che egli ha recentemente affermato in un'intervista. Il punto sostanziale contenuto nella questione pregiudiziale è politico. Abbiamo avuto infatti uno stato di emergenza dichiarato il 31 gennaio e nessuno francamente se ne era neanche bene accorto, fino a quando non sono arrivati tutti i provvedimenti di fine febbraio e di marzo. Lo stato di emergenza ad oggi è bloccato al 31 luglio, perché molti costituzionalisti sono insorti, in quanto c'è stata anche la tentazione di arrivare con lo stato di emergenza alla fine dell'anno.
Lo stato di emergenza non può giustificare eternamente l'emissione di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e di provvedimenti di restrizione della libertà personale, di culto e di impresa, così come è stato sino ad oggi, senza un preventivo passaggio in Parlamento. Il Parlamento ha visto infatti dichiarare lo stato di emergenza il 31 gennaio, come dicevo in precedenza e, nonostante i dati di allarme evidentemente ci fossero, non è stato chiamato ad esprimersi su questo e ha assistito a una serie di conferenze stampa, che poi venivano tradotte, dopo due o tre giorni, in decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Nella sostanza, quindi, ci troviamo in una situazione che non può assolutamente essere tollerata dal Parlamento. Noi molto spesso chiediamo che il Parlamento, in via preventiva, dia il proprio parere e indichi i propri indirizzi. Ma in questo caso non è un richiamo di maniera, perché le decisioni sono state assunte sulla base di dati di cui noi non abbiamo assolutamente una conoscenza completa; sono state assunte sulla base di un comitato tecnico-scientifico, i cui documenti - almeno da quanto abbiamo letto qualche giorno fa - non sono noti neppure al Vice Ministro della salute.
Sono stati assunti una serie di provvedimenti, anche nei rapporti con le Regioni, per cui, da una parte, c'è stata una guerra formale con le Regioni e, dall'altra, sono state redatte delle linee guida che poi sono state oggetto di una trattativa notturna. Tutto questo, senza che il Parlamento toccasse palla.
Ci siamo trovati di fronte a criteri ulteriormente oscuri, che sono quelli del monitoraggio, che poi determineranno altri decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, presumo, o comunque altre decisioni più o meno a carico delle Regioni, assunte non si sa bene come. Nell'unico atto in cui ho trovato quantomeno la firma del Vice Ministro, la scorsa settimana, si parificava la Lombardia all'Umbria e al Molise come livello di allarme.
Ho detto che la questione pregiudiziale si pone per un motivo politico serio di base, perché questa situazione non è tollerabile. Non è tollerabile perché, a monte, il Parlamento non si è espresso su uno stato di emergenza serio e perché i provvedimenti vengono assunti alla luce di fantomatici pareri (neanche tanto fantomatici) dati da enti, da comitati tecnici o da staff, che non sono verificabili e i cui contenuti non sono neanche noti al Parlamento, per cui la maggior parte delle decisioni viene coperta come parere dei tecnici.
Questo non è tollerabile, non è costituzionalmente fondato.
Era altresì preoccupante il tentativo di prorogare questo stato di emergenza e per questo motivo noi sosteniamo che la situazione è gravemente incostituzionale. Riteniamo, quindi, che sia assolutamente necessario che il Parlamento prenda consapevolezza di una situazione che travalica i limiti della costituzionalità.
Pensate che dall'inizio dell'emergenza sono stati emanati talmente tanti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, nonostante il centrodestra avesse anche chiesto di procedere a un riordino, che si perde il riferimento ai numeri: il 23, il 25 febbraio, il 1°, l'8, il 4, il 9, l'11, il 3, il 22 di marzo, il 10, il 16 di aprile. Tutto questo comprimendo libertà sostanziali sulla base di documentazione che il Parlamento non conosce, senza che il Parlamento si sia espresso né in via preventiva, né a livello di informativa.
Per questo motivo noi riteniamo che debba essere approvata la questione pregiudiziale di costituzionalità. (Applausi).
PRESIDENTE. Nel corso della discussione potrà prendere la parola un rappresentante per Gruppo, per non più di dieci minuti ciascuno.
STEFANI (L-SP-PSd'Az). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
STEFANI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, siamo in sede di esame della questione pregiudiziale e anticipiamo la nostra posizione sull'ennesimo provvedimento presentato sotto forma di decreto-legge.
Dei decreti-legge si discute ampiamente in quest'Aula ormai da anni per una costante prassi che arriva ad abusare di uno strumento che è previsto dalla Costituzione e che ha requisiti e presupposti specifici, quelli della necessità e urgenza, ma che invero viene costantemente utilizzato dal Governo al fine di legiferare esso stesso in luogo di quello che dovrebbe essere il soggetto deputato, vale a dire il legislatore per eccellenza.
Ormai i disegni di legge di iniziativa parlamentare sono sempre più ridotti: si assiste sempre più all'iniziativa governativa e all'utilizzo di questo tipo di provvedimento.
Mai come in questo periodo sono stati usati i decreti-legge, tra cui il n. 19 di cui stiamo parlando, che si inserisce in una lunga sequenza nel momento di grave crisi emergenziale e sanitaria che stiamo vivendo. Sono decreti-legge che si sovrappongono e si accompagnano ad una lunghissima serie di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, a decreti ministeriali e a ordinanze regionali, il tutto, cari colleghi, a creare una situazione normativa di grandissima confusione, che ha determinato anche un suo problema di interpretazione e di applicazione delle norme. Anche solo per un fatto di successione delle leggi nel tempo, si tratta di riuscire a incastrare la norma prevista dal decreto-legge e poi magari quella eventualmente modificata nella legge di conversione, contemperandola con la nuova legge, magari con un nuovo decreto-legge che si interseca e si sovrappone negli stessi periodi.
È quanto abbiamo visto su alcuni provvedimenti, in particolare in Commissione giustizia, dove anche di recente, in sede di audizione, è stato denunciato che vi è veramente un problema, nonché delle contraddizioni con gli stessi provvedimenti. È inevitabile, però, quando vi è una proliferazione continua, quasi settimanale.
Com'è stato rilevato dalla collega Modena e dal collega Augussori che mi hanno preceduto, crea gravi problemi proprio a livello istituzionale, oltre che costituzionale, l'uso dei decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, norme che arrivano appunto con un provvedimento di natura regolamentare e quindi di rango sicuramente subprimario ad incidere su diritti costituzionali, se non a prevedere, come abbiamo visto tutti, una deroga allo stesso principio costituzionale.
È una grandissima confusione quella di cui abbiamo detto, come si evidenzia - voglio sottolineare per la verità un solo un passaggio dell'intero provvedimento, ma che in realtà mette in luce le problematiche a livello costituzionale e istituzionale - all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge, che recita: «Sono fatti salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base dei decreti e delle ordinanze emanati ai sensi del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, ovvero ai sensi dell'articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833».
Di che cosa stiamo parlando qui? Nel momento in cui si prevede questa norma è evidente e trasparente che si stanno cercando di sanare gli effetti prodotti in base ad una norma precedente, con ciò riconoscendo espressamente che in quella norma vi era un vulnus, una problematica, perché altrimenti non sarebbe stata necessaria questa sorta di sanatoria.
Ma vi è più di un lettore, più di un interprete che già pone delle grosse problematiche anche su questo punto e vi è fin da ora il dubbio che questa sanatoria possa mettere al riparo le norme e i provvedimenti - anche sanzionatori - emanati in seguito all'applicazione di queste norme, questo a creare una confusione, come dicevo, non solo nell'interprete, ma appunto per il cittadino e per tutto l'assetto istituzionale.
In realtà tutti noi dobbiamo ricordare che, all'inizio di tutta la catena del diritto positivo non può che esserci la Costituzione e che solo la Costituzione può dare una legittimazione all'emissione di una serie di provvedimenti normativi con alcune forme e con alcune conseguenze.
Tanti si sono posti delle problematiche e hanno fatto riflessioni sulla circostanza che i principi della tutela della salute e del primum vivere possano portare a una deroga dei principi costituzionali. Invero, i valori della vita e della salute sono già positivizzati e sono già norme costituzionali ed è solo alla Costituzione che possiamo far riferimento. Pensare a supposte diverse ragion di Stato o a diritti di necessità diversi che possono permettere a un Governo, a un Presidente del Consiglio, di emanare un certo tipo di norme creerà un grandissimo punto di domanda. Quanto si è realizzato in questi mesi con questa gestione della politica e dell'emergenza con l'utilizzo di un certo tipo di provvedimenti rappresenta una gravissima rottura costituzionale.
È una gravissima rottura istituzionale; la si è vista nel confronto e nel dibattito fra il Governo e le Regioni sulla possibilità, come si diceva prima, di sospendere con le loro ordinanze regionali eventualmente diritti costituzionali o addirittura di arrivare a delle deroghe. Siamo arrivati a dei decreti-legge emergenziali. Si cominciano già a leggere degli scritti di studiosi e di cattedratici che parlano di questi decreti-legge emergenziali. Lo stato di emergenza può sostituirsi all'individuazione dei requisiti di necessità e urgenza di cui all'articolo 77 della Costituzione? Possiamo considerare la crisi emergenziale e una crisi sanitaria come una sorta di urgenza e necessità per tabulas oppure devono essere motivate ogni volta? Riteniamo di aderire a questa seconda soluzione: deve essere motivato il perché venga utilizzato un decreto-legge e non un'altra forma.
Dobbiamo ricordare poi - lo abbiamo visto in questi mesi - che il Parlamento può lavorare, come lo stiamo facendo ora e come l'abbiamo sempre fatto. Il Parlamento poteva, pertanto, fin da subito essere convocato; poteva fin da subito esaminare i provvedimenti e si poteva evitare di arrivare al punto in cui questa Aula è diventata un mero ufficio di conversione di decreti-legge. (Applausi). Dobbiamo avere la possibilità di intervenire su queste norme e di riappropriarci della funzione legislativa. La collega Modena faceva riferimento a come i contenuti dei provvedimenti siano stati predisposti e previsti da questi comitati. Si tratta di comitati di cui non conosciamo le regole di ingaggio e di cui non conosciamo il metodo di funzionamento. Non sono organi deputati a legiferare, né a inserire decisioni. Con ciò voglio dire che dobbiamo riappropriarci della nostra funzione.
Ricordiamo con le poche parole con cui concludo l'intervento che qualcuno aveva detto che si può far tanto, che si possono sopportare grandi sacrifici in virtù di superiori principi. Noi ricordiamo, però, che una norma che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare bene è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà. (Applausi).
CALIENDO (FIBP-UDC). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CALIENDO (FIBP-UDC). Signor Presidente, con questo decreto-legge si introduce una nuova figura giuridica nel nostro Paese, nel senso che io ho sempre studiato e conosciuto il decreto-legge che entra in vigore nel momento in cui viene approvato ed è legge salvo ratifica da parte del Parlamento. C'è poi il decreto legislativo, che è il decreto che viene emanato dall'autorità esecutiva su delega del Parlamento. Qui invece siamo di fronte ad un decreto che sistema una serie di atti che sono stati adottati dal momento in cui si è verificato il primo contagio nel nostro Paese, con una serie di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che vengono regolarizzati, sia pure ex post. Quale sia la natura giuridica di questo nuovo decreto è difficile comprenderlo, se non quella che, trovandosi di fronte a un'emergenza, si sono adottati degli strumenti non del tutto corretti, che hanno tenuto fuori il Parlamento da qualsiasi valutazione. Questo provvedimento, però, mi dà la possibilità di avere un panorama di quello che è avvenuto, dal quale emerge che il 31 gennaio viene proclamato lo stato di emergenza sanitaria nazionale per sei mesi. Lei, Presidente, ha avuto notizia di quali erano gli elementi che hanno consentito al Governo di prevedere una così lunga emergenza sanitaria nazionale? Sei mesi, non tre mesi, quindi ci devono essere elementi abbastanza seri a conoscenza del Governo per arrivare a questo. Noi non sappiamo nulla. Si riferisce, poi, che il primo decreto-legge c'è stato il 23 febbraio e allora la domanda è: nel periodo intermedio, dal momento della dichiarazione dell'emergenza nazionale al primo decreto-legge, quali attività sono state svolte dal Governo in ordine all'acquisizione dei vari dispositivi di sicurezza necessari, la cui mancanza ha portato poi al decesso di molti medici sul territorio? Questo decreto-legge raccoglie un insieme di aspetti non tanto per il futuro, perché per il futuro si limita a inserire in altre norme quello che alcuni decreti del Presidente del Consiglio dei ministri avevano già individuato, quindi si tratta di una sistemazione ex post. Possiamo essere soddisfatti? Direi di no, perché onestamente avrei avuto la necessità - non vedo nessuno del Governo che abbia una competenza specifica - di sapere che cosa aveva portato il Consiglio dei ministri ad assumere quella delibera, perché lei capisce benissimo, con la sua esperienza, che nel momento in cui si delibera un'emergenza sanitaria per sei mesi vuol dire che si è avuta una serie di indicazioni che non sono state date al Parlamento. Questo è un problema, perché il Parlamento non è nelle condizioni non dico necessariamente di "fare le pulci", ma di garantire quel controllo democratico su qualsiasi attività del Governo che garantisca ai cittadini l'esistenza di un'istituzione che la Costituzione ha voluto per garantire proprio quel controllo, che non ha come fine quello di sferrare grandi attacchi a coloro che stanno al Governo (che poi non hanno realizzato quanto dovevano), ma solo, appunto, quello di un controllo democratico. Non abbiamo questa possibilità. Se si va a vedere l'articolo 1, questo rimette in piedi tutta una serie di condizioni che erano state individuate nei vari decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Solo questo sappiamo. Non sappiamo invece la ragione per cui non avevamo nemmeno la possibilità di riunirci immediatamente per poter approvare dei decreti-legge, perché non devo insegnare a nessuno che il Governo aveva la possibilità, con tre o quattro decreti-legge, di evitare tutti i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Ogni settimana poteva approvare un decreto-legge, come poi in alcuni casi è stato fatto. Per questa ragione, Presidente, credo che la finalità di questo provvedimento sia la sistemazione di un fatto avvenuto. Tuttavia veniamo meno al nostro compito se non abbiamo la forza di chiedere all'Esecutivo di comunicare al Parlamento quali elementi aveva alla data del 31 gennaio e quali elementi successivamente hanno giustificato un'inerzia del Governo fino a primo contagiato, il che è stato grave perché poi i costi dei dispositivi medici sono aumentati terribilmente e non se ne è più avuta disponibilità.
Per queste ragioni, signor Presidente, io voterò contro il decreto-legge n. 19 del 2020.
PRESIDENTE. Ai sensi dell'articolo 78, comma 3, del Regolamento, indìco la votazione nominale con scrutinio simultaneo della questione pregiudiziale presentata, con diverse motivazioni, dal senatore Romeo e da altri senatori (QP1) e dalla senatrice Bernini e da altri senatori (QP2), riferita al disegno di legge n. 1811.
(Segue la votazione).
Il Senato non approva. (v. Allegato B).
Discussione del disegno di legge:
(1811) Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19 (Approvato dalla Camera dei deputati) (Relazione orale) (ore 17)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1811, già approvato dalla Camera dei deputati.
Il relatore, senatore Parrini, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni la richiesta si intende accolta.
Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore.
PARRINI, relatore. Signor Presidente, membri del Governo, colleghi, è al nostro esame il decreto-legge n. 19, del 25 marzo 2020, del quale vado a fare una breve illustrazione. (Brusio).
PRESIDENTE. Chiedo cortesemente all'Assemblea la gentilezza di lasciare intervenire il senatore Parrini in un clima di silenzio, laddove ciò sia possibile. Chi si deve allontanare lo faccia senza fare assembramenti.
PARRINI, relatore. Signor Presidente, la ringrazio per questa cortesia. Il decreto-legge è un atto molto importante perché è l'atto che delinea la cornice giuridica che fa da contorno all'adozione delle misure di contrasto alla pandemia da Covid-19. È un provvedimento che sostituisce quasi integralmente il decreto-legge n. 6, emanato il 23 febbraio 2020, che è stato richiamato anche in alcuni interventi precedenti al mio in sede di discussione della questione pregiudiziale. Il provvedimento interviene... (Brusio). Faccio un po' di difficoltà ad illustrare il provvedimento in queste condizioni, Presidente.
PRESIDENTE. Sto cercando di ricondurre l'Assemblea all'educazione che le è dovuta, senatore Parrini; spero che i colleghi siano comprensivi nel permetterle di svolgere la sua relazione. Adesso siamo arrivati alla comprensione; ciò dovrebbe essere dovuto, colleghi.
PARRINI, relatore. Signor Presidente, chiedo attenzione anche perché avendo una gran voglia di intervenire nel merito e non potendolo fare illustrando la relazione, mi farebbe comodo almeno il favore del silenzio.
Il provvedimento sostituisce quasi integralmente il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio e interviene in maniera significativa sull'articolo 35 del decreto-legge n. 9 del 2 marzo. La nostra Costituzione, come è ben noto, impone una riserva di legge per l'introduzione in casi speciali di limitazioni ad alcuni diritti di libertà, giustificate da interessi costituzionali preminenti, quali quello della tutela della salute, il quale - voglio ricordare - è citato all'articolo 32 della Costituzione come un fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività.
Il provvedimento è composto, nella versione che ci è stata trasmessa dalla Camera, dove sono state apportate delle modifiche al documento iniziale, che reca le firme del Presidente del Consiglio e dei ministri Speranza, Bonafede e Gualtieri, di 8 articoli contro i 5 articoli originari e elenca tutti i tipi di misura che eventualmente sono applicabili, rimandando ai singoli provvedimenti attuativi l'indicazione delle più opportune ed efficaci scelte applicative di luogo e di momento.
Disciplina inoltre in generale cosa possono fare le Regioni e cosa i Comuni e quali sanzioni possono colpire le violazioni delle misure.
All'articolo 1, per fare una brevissima illustrazione dei contenuti principali, è presente una definizione dettagliata delle misure di contenimento potenzialmente applicabili.
All'articolo 2 si stabiliscono le misure di contenimento elencate nell'articolo 1, che siano adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito di norma il comitato tecnico-scientifico di cui all'ordinanza del capo del dipartimento della Protezione civile. È importante notare in sede di esame di questo articolo che è stato inserito, nel passaggio di conversione alla Camera dei deputati, l'obbligo del Governo di dare informazione preventiva alle Camere, quando le circostanze lo rendono possibile, e comunque quando particolari ragioni di urgenza non lo rendono possibile di... (Brusio).
PRESIDENTE. Posso chiedere la cortesia di lasciare almeno accanto al relatore lo spazio per poterlo far intervenire in Aula? Almeno questo, grazie.
PARRINI, relatore. È stato inserito l'obbligo di dare, nell'ambito dell'informativa che ai sensi del decreto ogni quindici giorni va resa alle Camere, la possibilità di acquisire eventuali indirizzi del Parlamento.
All'articolo 3 si regola il rapporto tra le misure statali adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per fronteggiare l'emergenza epidemiologica e i provvedimenti degli enti territoriali emanati per la medesima finalità.
All'articolo 4 si delinea il quadro sanzionatorio per la violazione delle misure di contenimento del contagio.
All'articolo 4-bis, introdotto dall'altro ramo del Parlamento, si prevede la proroga di novanta giorni dei piani terapeutici in scadenza durante lo stato di emergenza qualora includano talune prestazioni, ossia la fornitura di protesi, di ortesi, di ausili e di dispositivi necessari per la prevenzione, correzione e compensazione di menomazione o disabilità, il potenziamento delle abilità nonché per la promozione dell'autonomia dell'assistito.
L'articolo 5 dispone l'abrogazione - ad eccezione di alcune specifiche disposizioni - del decreto-legge n. 6 del 2020 nonché dell'articolo 35 del decreto-legge n. 9 del 2020 in materia di coordinamento tra misure statali e ordinanze sindacali di contenimento dell'epidemia.
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore De Vecchis. Ne ha facoltà.
DE VECCHIS (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, vorrei ragionare con i colleghi sul decreto-legge n. 19 per fronteggiare l'emergenza da Covid-19. Mi soffermo in particolare sull'articolo 4, dove sono elencate una serie di sanzioni per le violazioni delle misure del contenimento del contagio.
Innanzi tutto. vorrei esprimere la mia solidarietà a tutte le Forze dell'ordine che sono state umiliate e utilizzate in modo improprio, essendo state trasformate in controllori di autocertificazione. (Applausi). Lo ripeto, controllori di autocertificazione: un'umiliazione per chi porta la divisa.
In merito al suddetto articolo 4 vorrei fare alcuni esempi di violazioni non sanzionate: 25 aprile, quartieri del Pigneto e di Torpignattara, manifestazione non autorizzata dei centri sociali; inizio maggio, corteo non autorizzato dei centri sociali a Bologna. Sempre a Bologna, il 16 maggio le Sardine si divertono in un flash mob a difesa della cultura, dimenticando che Moro è stato ucciso dalle brigate rosse e non dalla mafia (ad ogni modo, non vedo il nesso fra cultura e Sardine, in verità). Arriviamo a noi: 16 maggio, a Roma, a Piazza del Popolo, alcuni ragazzi con delle mascherine tricolore vengono fermati, identificati e sanzionati. Ancora a maggio, manifestazione dei parrucchieri sotto Montecitorio: fermati, identificati e sanzionati. Siamo all'8 maggio, quando un barista viene fermato perché porta due caffè a dei poliziotti: sanzionato. Mi domando, allora: il Viminale è ancora gestito da un Ministro della Repubblica italiana o dai centri sociali comunisti? (Applausi). Lo chiedo perché in pratica ho capito che chi ha la tessera di sinistra non viene sanzionato; chi magari ha simpatie di destra viene sanzionato. O tutti o nessuno.
Chiedo quindi un'unica grande sanatoria per i parrucchieri multati: cancelliamo questa multa vergognosa, fatta a chi non ha potuto lavorare. È sciacallaggio politico! Dovremmo chiedere le dimissioni del Ministro dell'interno, che usa il manganello con chi non ha la tessera di sinistra e le caramelle dolci per i figli di papà dei centri sociali. Vergogna, Ministro, vergogna! Se questa è la vostra democrazia, vi dico che state sbagliando.
Conte, Arcuri, voi non concedete nulla; non siete nessuno per concedere ai cittadini la libertà. Ci sono le leggi e la Costituzione. Quindi, signori miei, ve lo dico proprio con forza: rischiamo veramente il golpe di una dittatura rossa e bianca. Non ci arrenderemo a queste intimidazioni; il 2 giugno saremo in piazza per riportare i cittadini a manifestare liberamente e a lanciare un grido di libertà.
Viva la libertà, che la Lega difende tutti i giorni sui territori. Quello che è avvenuto è veramente vergognoso. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Nisini. Ne ha facoltà.
NISINI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, onorevoli colleghi, la cornice offerta dal provvedimento di cui si chiede la conversione in legge è così ampia da ritenersi quasi eterea, tale infatti da aver consentito la presa di posizione di molti insigni costituzionalisti che non hanno tardato nel denunciare una prassi tanto illegittima quanto inusitatamente reiterata.
Vede, Presidente, è stato scritto da Alfred de Vigny che il Governo meno cattivo è quello che si mostra meno, che si sente meno, che si paga meno caro. E allora questo è forse il peggiore di sempre, nel momento più sbagliato di sempre, perché governare significa reggere le sorti di uno Stato, tutte però. (Applausi). Ma Bruto è un uomo d'onore, io non vengo qui a smentire Bruto ma a riferirvi quello che so. E sapete cosa so? So che il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza il 31 gennaio e da allora sono trascorsi ben centootto giorni in cui sono state fatte tante chiacchiere, pochi fatti ed un'infinità di proclami. So che i provvedimenti adottati entro i confini del decreto in conversione hanno sospeso tutti i principali diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta costituzionale. So anche che in tutto ciò il Parlamento non è stato autore ma semplice soggetto ratificatore. Un Governo incapace che ha messo le sorti del nostro meraviglioso Paese in mano ad esperti talvolta addirittura ricusati da quegli organismi internazionali dei quali si professavano esponenti. Il risultato è stato che la «potenza di fuoco» annunciata dal premier Conte in una delle sue tante dirette televisive si è rivelata un misero petardo e saranno gli italiani, purtroppo, a pagarne le conseguenze. (Applausi).
So anche che il ministro Bellanova, anziché pensare a soluzioni per salvare il mondo agricolo, ha pensato bene di portare avanti una sanatoria per regolarizzare gli irregolari che per il mondo agricolo sono inutili. Lei ha pianto, Ministro - e mi spiace che non sia in Aula - e per lei è finita lì. Ma con questa sanatoria verranno regolarizzati tutti gli irregolari e tra questi ci sono anche gli spacciatori che vendono morte ai nostri ragazzi. (Applausi). E allora tante saranno le famiglie - padri e madri - che piangeranno i figli morti per overdose e voi sarete responsabili di questo perché non ci avete pensato!
Però non vi ho visto piangere per i nostri medici, infermieri e operatori sanitari. Vi abbiamo sentito tutti chiamarli «eroi» per poi, con una pacca sulla spalla che sa di beffa, dimenticarvi di loro e togliere i mille euro promessi. Vi dovete vergognare di questo. Un Governo che si è limitato a delegare le scelte ora a questo ora a quell'altro comitato, e per chi osava protestare, o anche solo avanzare una prospettiva alternativa, la risposta era la stessa: avrebbe potuto far meglio quando e se gliene fosse stata data l'opportunità.
È mancata la capacità di analisi dei bisogni e l'attività imprescindibile di bilanciamento, di condivisione e di dialogo. Si è assistito ad una sempre maggiore privazione della libertà. Abbiamo ascoltato il grido delle famiglie con ragazze e ragazzi disabili, l'urlo dei più anziani resi ancor più fragili da un isolamento a volte difficile da comprendere, il pianto delle famiglie in difficoltà, l'accorato appello d'aiuto da parte degli amministratori locali (e mi ci metto anch'io in questo): prefetti che si sono assunti responsabilità enormi, Presidenti di Regione e sindaci che hanno avuto dovuto farsi carico di iniziative coraggiose sia nella fase dei divieti che nella fase della ripartenza, e sempre con un grande assente, il Governo, troppo impegnato a puntare il dito, a fare minacce e dirette Facebook e a simulare una leadership, anche in campo europeo, nei fatti del tutto inesistente.
Presidente, un pericoloso fascio-leghista come Antonio Gramsci sosteneva che se un uomo politico sbaglia la sua ipotesi è la vita degli uomini che corre pericolo, è la fame, è la rivolta, è la rivoluzione per non morire di fame. Parole che servono da monito, o meglio che sarebbero servite da monito per chiunque abbia responsabilità di governo in momenti di emergenza.
I contenuti del decreto-legge che si sottopongono a quest'Assemblea sono stati da noi condannati più volte; sono inadeguati, ma soprattutto sorpassati. L'unica motivazione, ormai sotto gli occhi di tutti, è quella di regolarizzare tutti i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) usati fino ad ora impropriamente. A dire ciò non sono io, ma il presidente Pesco, che ieri in Commissione bilancio, dove ero presente, ha dichiarato che il provvedimento in esame serve per regolarizzare i DPCM di Conte. (Applausi).
Aggiungo che con il decreto-legge in esame si dà mandato al premier Conte di continuare ad emanare indisturbato DPCM, esautorando di fatto il Parlamento delle sue funzioni. (Richiami del Presidente). Signor Presidente, ho concluso.
Oggi è in ballo la democrazia del nostro Paese e mi stupisco che i colleghi di maggioranza - mi rivolgo in particolare ai colleghi del PD - possano accettare tutto ciò. Un parlamentare viene eletto dal popolo; quel popolo che dovrebbe tutelare e difendere. Ma se voi voterete a favore del provvedimento, confermerete quanto già gli italiani sospettano, ossia che l'unico vostro obiettivo è quello di rimanere incollati alla poltrona. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Binetti. Ne ha facoltà.
BINETTI (FIBP-UDC). Signor Presidente, illustre membro del Governo, colleghi presenti in Aula, ci sono molte cose da dire sul provvedimento in esame, su cui peraltro pare che domani verrà posta la questione di fiducia, nonostante si tratti di norme che ormai sono già diventate di prassi comune.
C'è qualcosa, che è stato sottolineato dai colleghi con lo strumento delle questioni pregiudiziali, che indica il carattere quasi di scatole cinesi che hanno questi decreti-legge, ognuno l'uno dentro l'altro in modo da sottolineare ciò che è apparso accettabile a un certo livello di opinione pubblica (comunque a un certo livello di bisogni consolidati) e ciò che invece va eliminato e che quindi il decreto successivo assume come cosa da migliorare e poi in qualche modo rilancia, creando una sorta di testimone che rimanda al decreto seguente.
Stiamo assistendo a una staffetta tra i decreti-legge, in cui si passano il testimone dall'uno all'altro, in un filo rosso che li attraversa e che in qualche modo non cessa di lasciarci stupiti perché il Parlamento, in tutto questo, è esclusivamente sollecitato a esprimere il proprio consenso o dissenso informato e non già a intervenire per migliorare gli strumenti legislativi di cui disponiamo.
Quello che mi interessa sottolineare, però, è la differenza che c'è tra il decreto-legge adottato e il testo risultante dal passaggio alla Camera dei deputati. Desidero sottolineare tre punti di cui, come elementi attivi da tempo nel lavoro parlamentare, ma anche e soprattutto nei territori, noi siamo stati e ci riteniamo a buon titolo grandi animatori. Mi riferisco, ad esempio, al passaggio in cui si fa riferimento ai bambini che rientrano nello spettro autistico (si parla di soggetti con disabilità motorie o con disturbi dello spettro autistico). Ricordo perfettamente che nell'ultima settimana di marzo, proprio in previsione del 1° aprile, Giornata mondiale dedicata a un'attenzione particolare verso i soggetti autistici, abbiamo scritto al presidente Mattarella per evidenziare come lo strumento precedente non tenesse in alcun conto le esigenze e i bisogni delle persone in maggiore difficoltà.
Altro punto modificato: si fa riferimento all'adozione di protocolli sanitari d'intesa con la Chiesa cattolica e le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Ricordo che, proprio in occasione della Santa Pasqua, avevamo indirizzato - e qui in Aula molti colleghi l'avevano firmata - una richiesta esplicita al presidente Conte perché si rendesse conto dell'inopportunità di questa assoluta esclusione di quelli che possiamo considerare i luoghi privilegiati della preghiera, dell'incontro con Dio, della presenza reale del Signore nella Chiesa, che li rende un po' diversi per la Chiesa cattolica (perlomeno rispetto ad altri contesti). Avevamo semplicemente chiesto che tali luoghi fossero aperti secondo il modello di un normale supermercato, cioè fatte salve le distanze fisiche, fatte salve le mascherine e fatta salva la possibilità di igienizzazione delle mani (cose molto semplici). Viceversa, ci siamo in quel momento trovati a impattare con una chiusura; c'è voluto un altro decreto-legge, preceduto peraltro da dichiarazioni in televisione e da sollecitazioni da parte della Conferenza episcopale italiana, per poter ottenere quello che, a norma di buon senso, sarebbe stato già ottenibile precedentemente.
Altro passaggio: garantire la possibilità di svolgere individualmente, ovvero con un accompagnatore per i minori e per le persone non completamente autonome, attività sportivo-motoria, purché nel rispetto della distanza. Potrei andare avanti a leggere tutte queste puntualizzazioni, che ormai il decreto-legge successivo stabilisce ovviamente come prassi, esattamente come prassi stabilisce l'apertura dei locali, eccetera. Cosa aggiunge questo decreto-legge? Di cosa stiamo parlando? Stiamo votando una cosa che già esiste nella condotta di tutti gli italiani; sono cose che già sono state legittimate. Quando in partenza esse rivelavano la loro fragilità, e anche direi un'autentica distorsione rispetto al senso comune, abbiamo fatto di tutto; e di questo tutto c'è documentazione nelle interrogazioni, nelle lettere al Presidente della Repubblica e nelle lettere al Presidente del Consiglio. Ma dell'atteggiamento propositivo, sereno, costruttivo, che soltanto evidenziava i problemi affinché questi potessero essere risolti, nulla, nessun riconoscimento di un lavoro positivo in cui l'opposizione ha alzato la palla perché la maggioranza potesse schiacciare. Si può lavorare in questo modo in una condizione di emergenza?
Poi non voglio dirle lo stupore che mi ha colto quando ho appreso che il Vice Ministro - che, come lei ben sa, ha una relazione un po' particolare con la Commissione igiene e sanità del Senato, posto che l'ha presieduta per larga parte di questa legislatura - aveva appreso dai giornali alcune cose che poi erano diventate operative, in quanto venivano dalle suggestioni che le task force facevano. Quindi noi che, come Parlamento - in particolare il Parlamento rappresentato dall'opposizione - ci sentivamo ignorati, marginalizzati e sottovalutati potevamo anche lamentarci; ma è grave che il Governo, nella persona del suo Vice Ministro, avesse ignorato le sue prerogative di intervenire nei processi decisionali e fosse stato informato solo a decisione presa.
Quello che si riflette in questo strumento è come noi abbiamo spostato totalmente l'asse dal Parlamento alle task force. Questo non è, come si poteva intendere, un Governo di tecnici: peggio, perché i tecnici non sono al Governo: governano chi governa, tanto è vero che chi governa apprende dalla stampa le deliberazioni che avrebbero dovuto essere sua responsabilità personale assumere (io direi addirittura suo diritto). Noi stessi, che abbiamo cercato di fare l'uso più ragionevole che si può fare delle interrogazioni, delle mozioni e delle interpellanze, su questi punti non abbiamo trovato una voce; qualcuno ha semplicemente pensato che, tutto sommato, qualcosa di buono e di interessante c'era nella proposta e l'ha inserito nel decreto-legge successivo o in una rivisitazione del decreto-legge precedente. Credo che la democrazia sia davvero in grave sofferenza.
Stamattina nel dibattito abbiamo registrato la sofferenza del Ministero della giustizia, attraverso la sofferenza della persona del Ministro della giustizia. Vorrei però che si prendesse atto che c'è una sofferenza legata al Covid-19, di cui comunque il Covid-19 diventa l'indicatore, quella di chi ritiene che non può fare uso della sua responsabilità. Ciò che trovo maggiormente grave in questo momento è che nessuno di noi possa legittimamente assumere la sua responsabilità: quella per cui è stato votato, quella per cui ha scelto di lavorare in una determinata Commissione e per cui si fa parte attiva nella proposta di emendamenti e di tutti gli strumenti che le norme mettono a sua disposizione. Questo perché semplicemente esiste un'area difficile da identificare e che in qualche modo prende decisioni e le comunica. La democrazia non è comunicazione di qualcosa che è stato deciso da altri. La democrazia parlamentare è condivisione della responsabilità della decisione, ed è questo ciò che noi rivendichiamo.
Concludo, signor Presidente e membri del Governo. Vi assicuro che utilizzare il Parlamento esclusivamente per legittimare una cosa che in primo luogo è già nota, in secondo luogo è già legge e in terzo luogo la conosce tutto il Paese, rende molto difficile per noi tornare a casa questa sera e rispondere alla domanda «cosa avete votato oggi?»: «Abbiamo votato che si può fare questo o quest'altro». Ma cosa l'abbiamo votata a fare quando è già noto? Ci si potrebbe chiedere: «Che cosa siete andati a fare, a dire semplicemente di sì?». (Applausi). Francamente mi sembra molto poco. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Corti. Ne ha facoltà.
CORTI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo decreto-legge purtroppo racchiude tutte le incongruenze e le superficialità che questo Governo ha mostrato in questa drammatica situazione. Due giorni fa il lockdown è giunto finalmente una svolta con quella sospirata riapertura degli esercizi commerciali sollecitata dalle Regioni più produttive a guida Lega, e a cui si è aggiunta a ruota la Regione Emilia-Romagna. Finalmente, lunedì il popolo delle partite IVA ha avuto, seppur tra mille difficoltà, la possibilità di rialzare le saracinesche delle proprie attività commerciali, ma questo ha ulteriormente evidenziato la mancanza di una chiara e semplice comunicazione da parte di un Governo, incapace di venire incontro alle richieste degli imprenditori. Una possibilità che non tutti gli esercenti hanno potuto cogliere, perché una riapertura con queste stringenti regole non consente una sostenibilità economica alle piccole e medie imprese.
Come sappiamo, in molte zone della penisola ben quasi il 40 per cento dei ristoratori lunedì non ha riaperto. Lunedì scorso mi sono finalmente recato dall'abituale barbiere di paese, che da sempre si barcamena tra mille difficoltà. Ebbene, questo piccolo imprenditore, con ben tre dipendenti, ha riaperto l'attività e con certosino impegno ha igienizzato gli ambienti, distanziato i clienti, predisposto i dispositivi di protezione, accettato prenotazioni scaglionate di mezz'ora, separato ingresso e uscita, disinfettato il POS e con il sorriso sul volto ha svolto egregiamente e in sicurezza il suo lavoro. Ma purtroppo anche lui sa che, con queste modalità di lavoro, la sua attività sarà in perdita e presto dovrà licenziare i propri collaboratori per tentare di sopravvivere, perché al suo fianco è mancato lo Stato.
A noi senatori si rivolgono quotidianamente i cittadini e gli imprenditori in difficoltà; solitamente è così. Io credo che sia ora per gli inquilini di Palazzo Chigi, per un inquilino in particolare, di smettere di pensare solo a se stessi ed uscire in mezzo alla gente. Uscite dal palazzo e guardate in faccia il Paese reale. Nel collegio di Modena e Montagna, dove sono stato eletto, il comparto turistico delle nostre vallate è desolante. Dove sono quei ciclisti e motociclisti stranieri che riempiono le nostre strade di montagna in questo periodo? Dove sono gli appassionati di funghi che riempiono in questa stagione i nostri ristoranti? Dove sono i villeggianti che con le loro seconde case aiutano la nostra economia? Di questo non c'è più nulla, ma soprattutto non ci sono i soldi promessi in TV dal presidente Conte per fronteggiare l'emergenza. (Applausi).
A parte poche aziende agricole, che per fortuna non hanno chiuso durante il lockdown e continuano a lottare per produrre ricchezza - e per inciso non hanno bisogno di immigrati clandestini - i nostri ristoratori di montagna e gli albergatori di aree a vocazione turistica, come la nostra, si sono persi tutta la stagione invernale. Secondo voi perché questi ristoratori avrebbero dovuto riaprire lo scorso lunedì? Sono tutti imprenditori che sanno far di conto e, già in condizioni normali, per non fallire devono avere una sostenibilità economica e sperare di intravedere ogni giorno la luce in fondo al tunnel. Non è così purtroppo, perché c'è un buio assoluto. Colleghi, sapete che ancora oggi molti Comuni di confine tra Emilia e Toscana non hanno recepito la recente deroga per autorizzare gli spostamenti tra Comuni confinanti extra-Regione per la visita ai propri congiunti? Capisco che il rappresentante del Governo è molto multitasking, ma chiedo la sua attenzione, perché questa è una cosa importante, soprattutto per noi che viviamo su un crinale.
Questi sono fatti di vita concreta e non sono altro che la punta di un immenso iceberg burocratico, figlio della mancanza di una chiara e semplice comunicazione e della mancanza di buonsenso. In questo momento di difficoltà avete paralizzato, con la vostra burocrazia, un popolo intero di piccoli imprenditori e ristoratori. Il vostro iceberg è farcito di burocrazia, ha esaurito milioni di toner di stampanti per le vostre cinque autocertificazioni e purtroppo vaga in mare aperto, rischiando di colpire e di affondare anche quel poco di economia, che ancora tiene in piedi questo Paese. La Lega chiede soltanto che i cittadini abbiano semplici risposte, che non si faccia morire il mondo del turismo in mancanza di chiare linee guida per la fase 2 e che esse siano condivise anche dalle opposizioni. Abbiamo visto le lacrime di un Ministro, che si è preoccupato di immigrati irregolari, di cui non abbiamo bisogno in agricoltura. Se invece si necessitasse di manodopera, basterebbe mandare nei campi a raccogliere pomodori proprio quei 116 mafiosi calabresi, scoperti stamane dalla Guardia di finanza, che hanno fruito per mesi del reddito di cittadinanza di cui non avevano diritto.
Concludo, avvalendomi del minuto di tempo che ha risparmiato il collega William De Vecchis. Il resto è storia ormai, ma per fortuna abbiamo visto anche la grande forza di un popolo e delle sue associazioni di volontariato, sempre al fianco degli operatori sanitari e delle Forze dell'ordine, a partire dall'Associazione nazionale alpini, che a costo di grandi sacrifici ha costruito a Bergamo un ospedale nuovo di pacca in tempi record. Agli alpini voglio rivolgere il mio particolare ringraziamento a nome della Lega, anche nella speranza che in tempi celeri il Senato approvi il disegno di legge per l'istituzione della Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino, già approvato alla Camera dei deputati. (Applausi). Credo che questo sia il minimo che possiamo fare per ringraziare gli alpini di tutto ciò che hanno fatto in tempo di guerra, ma soprattutto in tempo di pace. Su tutto il resto giudicheranno gli elettori e presto il loro voto seppellirà questo Governo. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Garnero Santanchè. Ne ha facoltà.
GARNERO SANTANCHE' (FdI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che sia giunto il momento di dire che il decreto-legge in esame è pericoloso, perché ci porta sicuramente a una deriva autoritaria e dobbiamo dire con forza il nostro no alla sua conversione in legge. Tutti in quest'Aula dovremmo sapere - o perlomeno me lo auguro - che la nostra Costituzione stabilisce i principi di necessità e di urgenza per l'emanazione dei decreti-legge. In questo caso non ravvediamo la necessità e tantomeno l'urgenza, ma vediamo benissimo il bisogno da parte del Governo di sanare degli errori davvero molto grossolani che sono stati commessi nei precedenti atti, perché non si agiva in una situazione emergenziale, come invece era stato fatto - e questi presupposti c'erano - in occasione del decreto-legge n. 6 del 23 febbraio. Purtroppo questa situazione ormai - e sottolineo «purtroppo» - sta diventando strutturale.
Vorrei che tutti noi ricordassimo cosa è successo nella nostra Nazione il mese di febbraio e vorrei che per un attimo la vostra memoria, colleghi, tornasse a quel mese. Ricordate cosa facevano alcuni segretari dei partiti di maggioranza? Organizzavano aperitivi a Milano perché volevano rassicurare, non solo i lombardi ma tutti gli italiani, del fatto che non c'era alcun pericolo, che ci si poteva incontrare e che eravamo lontanissimi da quello che poi ognuno di noi ha vissuto. C'erano sindaci - mi ricordo il sindaco della mia città, Sala, che ci faceva vedere che dovevamo abbracciare i cinesi e faceva la promozione, come il sindaco Gori, dei ristoranti cinesi - che facevano passare tutta l'opposizione - e forse ancor più Fratelli d'Italia e tutti noi - come dei razzisti, degli xenofobi, perché volevamo chiudere le frontiere, perché volevamo la quarantena per tutti coloro che rientravano dalla Cina, senza discriminazione per colore di pelle o per appartenenze. Volevamo semplicemente proteggere la nostra Nazione e soprattutto tutti i cittadini.
Improvvisamente, non si è capito bene perché, anche il Governo e i partiti di maggioranza si sono svegliati da quella sonnolenza (non saprei quale altro termine usare). Vi siete svegliati e avete emanato il primo decreto-legge, il n. 6 del 2020, con il quale si conferiva al Presidente del Consiglio - e anche in questo caso, sottolineo, temporaneamente e sulla base di specifiche condizioni - il potere di emanare i famosi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM), tramite i quali poter affrontare questa emergenza. Dobbiamo ricordarci tutti che questo potere era limitato a specifiche zone, alle famose zone rosse, in cui erano presenti i focolai. Non mi dilungo nel dire che molto tempo si è perso, nonostante c'era stata la richiesta di chiudere le zone in cui c'erano quei focolai. Con un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri queste misure venivano estese a tutto il territorio nazionale. Correva il giorno 4 marzo, il famoso lockdown, in cui si è chiuso praticamente tutto.
Quindi, con un provvedimento, lo sottolineo, amministrativo - e lasciatemi dire anche improvviso - del Presidente del Consiglio non solo l'Italia e gli italiani hanno capito che si chiudeva tutto e si sono visti togliere le libertà individuali, che sono garantite dalla nostra Costituzione, come la libertà di impresa, ma addirittura ciò è avvenuto senza fare un'analisi della situazione sanitaria, senza studiare e analizzare i dati sulla mortalità, cioè senza aver ben chiara qual era la situazione sanitaria della nostra Nazione.
Tutto questo è stato poi peggiorato da quelle che chiamerei ormai le serie televisive del Presidente del Consiglio: le sue conferenze stampa, in cui peggiorava sempre di più la situazione. Vi ricordate quella famosa conferenza stampa del Presidente del Consiglio? Era sabato 7 marzo, quando improvvisamente diede queste notizie. Cosa è successo? Io me lo ricordo, perché ero a Cuneo e anch'io partii per tornare a Milano. Mi ricordo molto bene le code di automobili al casello e mi ricordo molto bene anche le persone che erano corse alla Stazione centrale di Milano per poter fare ritorno al Sud.
Non sto qui a ricordarvi tutto quello che è successo, ma ricordo tutta la confusione creata, tutto ciò che stavano subendo milioni di famiglie italiane, che non capivano più niente, che erano terrorizzate, che avevano un grande sentimento di paura, perché sentivano il Presidente del Consiglio fare certe affermazioni.
Torniamo su una cosa molto importante per far capire la pochezza della precisione, della sensibilità, dello studio di questo Governo, nonostante tutte le task force: non aveva fatto alcuno studio sui dati. Lo abbiamo allora fatto noi, come Fratelli d'Italia. Non ci siamo inventati niente: abbiamo semplicemente preso e analizzato i dati dell'Istat sulla mortalità degli anni 2018, 2019 e 2020, perché, né il Governo, né la Protezione civile sono mai stati in grado di fornire quei dati. Quei dati ci dicono moltissimo perché ci hanno fatto capire che c'è una parte della popolazione (quella più avanti negli anni) che è molto più fragile; basta andare a vedere i dati della mortalità. Anche di questo, però, il Governo se n'è assolutamente fregato; è andato avanti per la sua strada molto ideologica, venendo meno al principio fondante per chi fa politica, ovvero assumersi la responsabilità delle decisioni.
No, il Governo non vuole prendersi le responsabilità e, quindi, ha fatto le FAQ. Alla confusione che si era creata, al gran pasticcio e alla paura di milioni di famiglie il Governo, a tutto questo, ha risposto con le FAQ. Credo che nessun italiano avesse mai sentito prima questo termine. Cosa sono queste FAQ o, meglio, cosa hanno fatto queste FAQ? Hanno sovvertito la gerarchia delle fonti di diritto riducendo la Carta costituzionale a un mero orpello e ricordo che questa deriva anticostituzionale del Governo è sempre stata segnalata con forza da noi di Fratelli d'Italia. Devo dire che si sono aggiunte anche molte voci autorevoli. Ne cito soltanto due, quella di Cassese e di Baldassarre; questo per dire che noi di Fratelli d'Italia non diciamo cose che non corrispondono a dati veri e reali e al buonsenso.
Si evince, quindi, che se all'inizio di questa pandemia c'erano sicuramente la necessità e l'urgenza, oggi queste non le troviamo più.
Presidente, forse dispongo di qualche minuto in più per concludere, avendo il collega Zaffini rinunciato al suo intervento, come lei sarà stata edotta.
PRESIDENTE. Senatrice, già le ho dato un minuto in più. Ai sensi del Regolamento non posso sostituire un intervento con un altro. La faccio però concludere tranquillamente.
GARNERO SANTANCHE' (FdI). La ringrazio molto, Presidente. Voglio concludere dicendo che noi di Fratelli d'Italia abbiamo sempre denunciato con forza questo pericolo che c'era, c'è e ci sarà sicuramente ancora in futuro. Vorrei fare una preghiera al Presidente del Consiglio: di smettere, quando fa le conferenze stampa, di usare l'espressione: «Noi consentiamo». Non è il Governo che consente le libertà individuali di ciascuno di noi. Vorrei pregare il Presidente del Consiglio, inoltre, di usare di più nelle sue conferenze stampa la parola «ringraziamo». «Ringraziamo gli italiani per come si sono comportati».
Presidente, secondo noi, è venuto il momento - sarebbe molto opportuno - di chiudere tutte queste task force e tutti questi commissari - non mi dilungo sul comportamento del commissario Arcuri perché non ho il tempo - e di ritornare a spalancare le porte delle istituzioni e del Parlamento, perché qui c'è la rappresentanza degli italiani, perché qui c'è il popolo! Chiudete le task force. Finitela con i commissari e spalancate le porte del Parlamento. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Pucciarelli. Ne ha facoltà.
PUCCIARELLI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il mostro Covid 19 ha sottoposto tutto il sistema di tutela dei diritti umani e delle garanzie costituzionali a dura prova. Il massiccio uso dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, provvedimenti che hanno portato al cosiddetto lockdown il 9 marzo, ha ristretto alcune delle libertà individuali e sociali, oltre che impedito la libertà di iniziativa economica. (Brusio). Collega, se la disturbo forse può anche uscire; altrimenti, come ho fatto io con gli altri, può ascoltare in silenzio. Le chiedo di fare altrettanto. (Applausi).
In modo particolare, la limitazione della libertà di movimento, messa in secondo ordine dalla tutela della salute pubblica, e il blocco delle attività economiche hanno portato una serie di violazioni dei diritti umani. Ciò che è stato violato e che continua tutt'ora ad esserlo è il diritto di ogni individuo alla sicurezza sociale, ad avere per lui stesso e la propria famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana, ad avere un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della propria famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, il diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla propria volontà.
Presidenza del vice presidente LA RUSSA (ore 17,45)
(Segue PUCCIARELLI). Orbene, il Covid-19 è certamente una di quelle cause di forza maggiore in cui lo Stato deve intervenire perché questi diritti vengano preservati. Vede, Presidente, la disperazione delle famiglie è arrivata al limite della sopportazione, ci sono padri di famiglia che non riescono davvero a comprare da mangiare ai propri figli, famiglie in arretrato con l'affitto, con le utenze, con i mutui, perché i mutui non sono stati sospesi, le bollette continuano ad arrivare e nel frattempo la cassa integrazione è solo sulla carta. (Applausi). Anche queste persone possono sentirsi scarti, ministro Bellanova, anche questi italiani possono sentirsi invisibili e pensare di non avere voce. Sono i noleggiatori di autobus, il mondo del wedding, gli edili, il mondo delle discoteche, della security, le autoscuole, le partite IVA, le micro, piccole aziende, persone in carne e ossa, persone che ci scrivono, come Daniela, che dice «La cassa integrazione ancora nulla. Io vorrei sapere come dobbiamo campare. Basta, stiamo impazzendo». Dana: «Aiutateci, la cassa integrazione non arriva, non abbiamo soldi per mangiare, non si sa se quest'anno lavoriamo. Lavoro in albergo e nessuno mi dice niente». Vincenzo: «Ancora devo prendere la cassa integrazione ordinaria. Potete fare qualcosa? Grazie. Ho due figli, un mutuo e da due mesi senza stipendio. Per favore fate qualcosa». Walter: «Come potete pensare che si possa campare con 600 euro, io che di affitto ne pago 430? Senza contare tutte le spese che ci sono in una famiglia». Francesco: «La mia cassa di previdenza mi ha detto che non mi daranno i 600 euro, perché sono finiti i soldi». Riccardo: «Ad oggi non ho ancora ricevuto il bonus da 600 euro e sono oltre due mesi che sono a casa e sono senza soldi». Demis: «Da più di due mesi senza stipendio e non ho ancora ricevuto la cassa integrazione. La prossima settimana vado a rubare per mangiare». Giacomo: «Lavoro a chiamata nel settore alberghiero e non ho diritto ai 600 euro, né ad altro sostegno». Carlo: «Sono un artigiano edile, non ho ancora visto i 600 euro. Tra pochi giorni mi scade l'F24, ho dei mutui, il leasing e non mi è stato sospeso nulla. Finora allo Stato ho sempre dato tutto, ma ad ora io non ho ricevuto un briciolo di aiuto. La banca non mi dà più nulla». Infine Samantha, il cui commento era in coda all'ultima diretta del presidente Conte: «Questa sera ho mangiato un'insalata per lasciare la carne a mio figlio e credo di non essere l'unica. Sapete dove potete mettervi le lacrime?».
Ebbene, queste sono persone che scrivono a tutti noi, forse avranno scritto anche a voi, ma siete troppo distratti per capire le cose che vi vengono richieste. (Applausi). Dopo questi messaggi, invito a rileggere le dichiarazioni fatte da Conte, da Gualtieri o semplicemente da Zingaretti, dove la frase ricorrente era che nessuno sarebbe stato lasciato da solo e abbandonato a sé stesso e a constatare che hanno mantenuto la parola, perché sono riusciti a far sentire l'intera Nazione abbandonata a sé stessa e oppressa da quelle Forze dell'ordine che avete obbligato a fermare in alcuni casi i padri di famiglia, perché magari erano sprovvisti dei tanti certificati, mentre nel frattempo gli spacciatori continuavano indisturbati a vendere morte. (Applausi). Ebbene sì, siete riusciti a creare una frattura tra i cittadini onesti e chi li dovrebbe proteggere dai delinquenti. L'Italia ha dovuto combattere contro il virus, dovrà combattere contro la crisi economica e gli speculatori, ma ce la farà nonostante voi, nonostante la vostra arroganza abbinata alla vostra incapacità di rispondere alle esigenze dei cittadini. Avete cercato di sottrarci il presente, ma non ce la farete a privarci del futuro. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Moles. Ne ha facoltà.
MOLES (FIBP-UDC). Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, come è stato già detto, il decreto-legge che siamo chiamati a convertire di fatto non è altro che una raccolta dei vari decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che il Capo del Governo ha autorizzato in totale e completa solitudine. Ovviamente all'inizio - lo sottolineo - tutto ciò è stato dettato dalla estrema emergenza e dall'urgenza, ma poi perché si è abusato di tale strumento normativo? Tutti questi atti, come molti hanno detto finora, hanno escluso totalmente il Parlamento e, dato che lo stato di emergenza durerà, è stato varato il decreto-legge con quella che io chiamo la sanatoria di tutti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Signor Vice Ministro, a volte è stato più semplice capire la poesia «Il cinque maggio» di Manzoni che i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di Conte e lo sappiamo bene perché lo abbiamo subìto.
Con tutti questi provvedimenti le libertà sono state schiacciate, impedite, immolate in nome della salute pubblica. La posizione di Forza Italia e del Centrodestra è stata improntata alla responsabilità e ha fatto sì che tutti noi abbiamo accettato i primi momenti di emergenza e quindi anche i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, ma lo abbiamo fatto solo e soltanto nell'esclusivo interesse nazionale.
Questo però non ci esenta dall'evidenziare gli errori, le insufficienze e le fortissime forzature istituzionali di cui il Governo si è reso protagonista, tra l'altro da prima che scoppiasse l'emergenza. Dal 31 gennaio il premier Conte ha agito sempre con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, cioè con atti amministrativi, esautorando il Parlamento: altro che rispetto per l'appello del Presidente della Repubblica alla responsabilità e alla condivisione sulle misure da adottare e adottate.
Con il provvedimento in esame il Governo non fa altro che dare legittimità normativa ai sui atti precedenti, quindi anche ai suoi divieti e alle restrizioni che sono già state adottate. Tuttavia, la cosa grave è che con il decreto-legge n. 19 del 2020 il Governo prevede di avere soltanto un obbligo nei confronti del Parlamento, quello cioè di svolgere, prima di fare altro, una semplice illustrazione di ciò che intende fare, alla faccia del rispetto costituzionale e delle funzioni del Parlamento.
Quali sono nel decreto-legge in discussione le proposte per ristabilire lo Stato di diritto? Quali sono le proposte per correggere tutte le criticità emerse finora nella gestione dell'emergenza? Non c'è nulla. Anche adesso che il Paese sta lentamente riprendendo la strada verso la normalità e si impone giustamente l'uso della mascherina, con un colpo di genio si decide di imporne il prezzo, con il risultato che tuttora i cittadini hanno difficoltà a trovarle. In aggiunta dobbiamo assistere al protagonismo del commissario straordinario Arcuri, che prima si scaglia contro i liberisti da salotto (forse qualcuno dovrebbe spiegargli cosa significa liberista o liberale), apostrofando con toni demagogici chiunque gli faccia notare i suoi errori; il tutto ovviamente con la solita conferenza stampa senza contraddittorio.
In questi mesi noi abbiamo tenuto una condotta responsabile, collaborativa e seria e siamo arrivati all'ultimo passaggio parlamentare di quella che rappresenta una sanatoria dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri proposti da Conte. Forza Italia anche in questa occasione dimostra ancora una volta di mantenere l'impegno di essere in Parlamento, di dare corso e valore all'attività parlamentare, con continuità, fermezza, serietà. È un impegno preso con gli italiani e lo abbiamo fatto nonostante il premier Conte spesso ce lo abbia gentilmente concesso dall'alto del suo potere, che forse considera illimitato e onnicomprensivo.
Il problema sta nelle modalità che il premier Conte ha reiteratamente offerto in questi mesi. Stiamo parlando di questioni estremamente rilevanti di democrazia e afferenti alla Costituzione. Abbiamo avuto la sospensione della Costituzione, la spettacolarizzazione dell'uomo al comando: ne sono prova i nove decreti del Presidente del Consiglio dei ministri proposti in questi due mesi (ben nove), le tante conferenze stampa e dirette Facebook di un Premier che, invece di rassicurare gli italiani, li ha lasciati nel panico; ne sono altresì esempio le decisioni liberticide che ci sono state, le scritture di decreti ambigui e incomprensibili, che hanno gettato gli italiani nella discrezionalità, nell'interpretazione, nel doversi muovere nel mare magnum delle frequently asked question (FAQ), nel tentativo di evitare prima condanne penali e poi sanzioni amministrative da salasso, fino ad aberrazioni vergognose come quella di vedere multati di 400 euro dei ristoratori che scendono in piazza rispettando le norme di sicurezza e di distanziamento e indossando le mascherine. (Applausi).
Abbiamo assistito a delle cronache che io definisco dell'assurdo: cassa integrazione senza certezze su modi e tempi; sito INPS in tilt, oppure che fa visualizzare le informazioni sensibili dei cittadini; 600.000 mascherine inviate dalla Protezione civile ai medici dei capoluoghi di Regione e poi ritirate perché non adatte all'uso sanitario, il Viminale che autorizza lo jogging e poi lo vieta, poi chiarisce e spiega meglio, mentre magari stava preparando la nuova autocertificazione e ancora, e ancora.
Signor Vice Ministro c'è gente che ha scritto a «Chi l'ha visto» per sapere della sorte dei 600 euro e dei 25.000 euro per le imprese.
Ci sono stati poi gli affetti stabili a norma del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Nessun mea culpa è stato proposto dal presidente Conte nonostante, come è stato ricordato, il presidente della Corte costituzionale, nonostante un Cassese di turno e nonostante un Baldassarre, che ha sostenuto l'incostituzionalità di limitare le libertà attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
In conclusione, il tutto è stato coperto e giustificato sempre con la scusa del parere dei comitati tecnici, con il numero degli esperti e con le task force, che quasi hanno superato il numero dei contagiati. Un Governo che non ha fatto altro che promettere; 50 miliardi di qua, 70, 120. Sembrava l'estrazione dei numeri al Lotto. Mantiene però poco o nulla. Parole. E allora c'è una sfida, io ho preparato un emendamento al provvedimento, che fa sì che finalmente quanto lo Stato deve a Regioni che sono interessate alle estrazioni petrolifere, come la Basilicata, e lo deve dal 2015, venga finalmente dato a quelle Regioni che lo aspettano. È l'equivalente di tutto ciò che lo Stato non paga a imprese, privati, con i ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni. È una sfida, signor Vice Ministro, è un emendamento; approvatelo, fate vedere che passate... (Il microfono si disattiva automaticamente).
PRESIDENTE. Concluda, senatore.
MOLES (FIBP-UDC). Mi auguro che a prescindere da quello che si sente per l'ennesima volta, non venga messa la fiducia perché, signor Vice Ministro, mi dispiace che ci sia solo lei, ma più si chiede la fiducia, più un Governo non se la merita. Altrimenti la verità è che questo Governo vale quanto la parola data e, cioè, fino ad ora nulla. (Applausi).
PRESIDENTE. Mi fa piacere ricordare che è assolutamente lecito dividere i tempi in sette, otto, nove minuti, ma quando vedo le frazioni dei dieci minuti sono più rigoroso nel richiedere il rispetto dei tempi, perché altrimenti… ci siamo capiti.
È iscritto a parlare il senatore Pillon. Ne ha facoltà.
PILLON (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, dal febbraio 2020 ad oggi sono stati approvati da questo Governo, se non ho fatto male i conti, 11 decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, due ordinanze, tre decreti-legge e svariati, ulteriori atti amministrativi. Una congerie di norme in mezzo alla quale avete abilmente mimetizzato alcuni provvedimenti che non esito a definire micidiali, capaci cioè di creare un pericolosissimo scivolamento del nostro ordinamento verso un vivere che non è più definibile come democratico.
Ci sono alcuni diritti che, per loro natura, possono essere limitati da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; ce ne sono altri che possono essere limitati solo con atti aventi forza di legge, ma altri diritti ancora sono intangibili, sono diritti che non possono in alcun modo essere limitati.
Questi provvedimenti pesantemente limitativi della libertà hanno avuto una vittima in comune, un bersaglio in comune e questo bersaglio è la famiglia. Compito del Governo non era conculcare diritti, ma trovare il modo di conciliare l'esercizio di quei diritti con la situazione sanitaria, che si è venuta a creare nel nostro Paese. Avete preferito invece eliminare alla radice i diritti anziché trovare il modo di permetterne l'esercizio sicuro. A causa di questo in tre mesi 20.000 matrimoni non sono stati celebrati, sono saltati; nella civiltà dei Lari e dei Penati, 90.000 morti sono stati lasciati senza funerale, moltissimi di questi sono stati cremati contro la volontà espressa in vita. Le piccole imprese familiari, la linfa vitale del nostro Paese, sono state lasciate sole. I bambini sono stati privati, in alcuni casi, della presenza dei loro genitori, specialmente nelle famiglie separate o i bambini nelle case famiglia, che addirittura sono stati costretti a vedere i genitori su Skype. I bambini, in generale, sono stati costretti in casa - per più di due mesi - come polli, e solo oggi in sede di conversione vi ricordate dei bambini autistici, che non hanno la possibilità di restare chiusi in casa, se non pagando un prezzo pesantissimo per la loro salute. (Applausi).
Le famiglie sono state divise, i nonni separati dai nipoti e i media di Stato in tutto questo tempo non hanno trovato niente di meglio da fare che insistere ossessivamente sulla violenza in famiglia, come se la famiglia fosse il covo di ogni violenza.
Ogni violenza è anche troppa, e anche solo una è di troppo. Ma non dimentichiamoci, per piacere, che di fronte a un caso di violenza ci sono milioni di famiglie che ogni giorno fanno - e bene - il loro lavoro. Di queste ci dobbiamo preoccupare.
Le famiglie sono state lasciate senza soldi, senza supporto. Sono state lasciate da sole davanti a questa fantomatica didattica a distanza che ha ridotto i genitori a umili servitori della scuola di Stato. Per non parlare delle scuole paritarie, che sono state portate fino alla fame. (Applausi). Tutto questo non è stato fatto per caso, e non potete neanche dire che sia stato fatto perché non c'erano i soldi, perché abbiamo votato uno scostamento di bilancio da 55 miliardi, che è forse il più cospicuo dal Dopoguerra a oggi. La verità è che tutto ciò è stato fatto per una precisa ragione ideologica: la famiglia andava colpita; andava ridotta alla distruzione.
Questo è emerso con estrema chiarezza sul sito di «openDemocracy», un think tank molto vicino alla Open Society di George Soros, nel quale si è letto in questo periodo una serie di articoli che riportano parole semplicemente sbalorditive: meritiamo di meglio della famiglia e il tempo del Coronavirus è il momento perfetto per abolirla. Ancora, la maternità è un edificio ideologico molto potente che va scardinato; l'abolizione della famiglia non significa porre fine all'amore e alla cura, ma anzi serve per estenderli a tutti.
Vi siete profittati di questa situazione per fare il servizio che vi chiedeva una lobby globalista anziché mettervi al servizio di chi vi paga gli stipendi, e cioè le famiglie italiane. (Applausi).
La presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia ha parlato in maniera assolutamente chiara: la Costituzione non contempla un diritto speciale per tempi eccezionali, e ciò per una scelta consapevole del legislatore costituente, ma offre la bussola anche per navigare nell'alto mare aperto nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione tra le istituzioni.
Colleghi, quel signor Orban - ho concluso, Presidente - rispetto al quale tutti si sono stracciate le vesti perché aveva chiesto pieni poteri, ha già rimesso i suoi poteri, mentre qui ancora non si vede la fine di questo sostanziale esproprio di democrazia da parte di questo Governo. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rauti. Ne ha facoltà.
RAUTI (FdI). Signor Presidente, colleghi, questo è il mio primo intervento nella fase 2, quindi voglio cominciare ringraziando tutti coloro che hanno garantito nel lockdown i servizi essenziali. Voglio anche ringraziare tutti gli italiani - donne e uomini - che hanno assunto una condotta molto seria e responsabile in questa fase emergenziale.
Ringrazio le famiglie, grande forza italiana, che hanno assorbito tutte le attività di welfare, di servizi alla persona, di didattica a distanza, insieme allo smart working, e in particolare le donne. Pertanto, ringrazio quelle famiglie che hanno tenuto insieme la società in questo periodo di emergenza. Quindi grazie all'Italia che ha riaperto da lunedì, nonostante il ritardo delle comunicazioni, nonostante la confusione, l'assenza di aiuti mirati settore per settore, attività per attività, perché in realtà le direttive che sono arrivate non guardavano alle persone e alle esigenze differenziate ma guardavano agli Ateco in blocco, trattando situazioni molto diverse. Rivolgo un pensiero anche a chi è rimasto senza lavoro, a chi è rimasto senza nessun aiuto, a chi non ha potuto riaprire e forse non riaprirà mai. Grazie Italia per la forza che hai dimostrato nel rialzare la testa ancora una volta.
Veniamo ora al provvedimento al nostro esame, la conversione in legge del decreto-legge n. 19. Sostanzialmente, come è stato già anticipato, stiamo parlando di una sanatoria di decreti del Presidente del Consiglio precedenti, quindi atti amministrativi. Parliamo di sanatoria perché è il termine che meglio si lega al concetto di abuso, perché è proprio questo quanto è avvenuto.
Tutto ha origine dal decreto-legge n. 6 del 23 febbraio 2019, votato anche da noi, nel quale sono contenute due parole: «altre misure». Si fa risalire a quelle due parole ogni decreto del Presidente del Consiglio successivo, quindi quel decreto-legge è stato brandito come una spada per compiere continui atti abusivi attraverso i decreti del Presidente del Consiglio. Abbiamo votato a favore del suddetto decreto-legge perché tifiamo sempre per l'Italia, perché eravamo in una situazione di emergenza. Noi ci siamo sempre stati. Abbiamo garantito il contingentamento delle presenze in Aula, abbiamo garantito anche il contingentamento dei tempi di dibattito, abbiamo partecipato a tutte le riunioni di maggioranza e opposizione, portando, inutilmente peraltro, le nostre proposte. Abbiamo anche votato a favore degli sforamenti di bilancio, con senso di responsabilità, e abbiamo richiamato sin da subito la necessità di tenere aperto il Parlamento, di farlo funzionare e vivere. Giorgia Meloni per prima ha proposto una cabina di regia e, rivolgendosi al Parlamento, ha parlato di porte aperte del Palazzo. Insomma, ci siamo stati, con responsabilità, e abbiamo difeso il ruolo del Parlamento e l'efficacia ad esso connessa del sistema democratico perché l'Istituzione, purtroppo, è stata scavalcata, è stata esautorata ed il Presidente del Consiglio ha assunto - lasciatemelo dire - atteggiamenti arroganti e prepotenti parlando di concessioni al Parlamento. Questo non va bene con il rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti ed ha rilevanza democratica e costituzionale perché si è andati avanti a colpi di decreti del Presidente del Consiglio - dodici in questi mesi - tutti coattivi e non proattivi, o di decreti-legge. Sono stati compressi i diritti costituzionali e sono state limitate le libertà fondamentali e personali, come quella di circolare, di manifestare, multe comprese (vergogna), la libertà religiosa e altro.
Decreti del Presidente del Consiglio, task force, direttive, ordinanze, dirette Facebook e televisive: ecco la cifra negativa di una gestione dell'emergenza con l'aggiunta aggravante - lo voglio dire - di un narcisismo autoreferenziale e di un gusto per la spettacolarizzazione e per lo show più da reality che da adesione in rappresentanza di un dramma nazionale qual è quello che l'Italia ha vissuto.
Ci sono state comunicazioni confuse, contraddittorie, decreti del Presidente del Consiglio annunciati prima di essere scritti, naturalmente non condivisi o pubblicati in ritardo rispetto all'annuncio, una ridda di autocertificazioni e l'onda anomala delle FAQ. Il vizietto degli annunci infondati ha prodotto anche guasti ben più gravi. Cito soltanto alcuni dei tanti esempi: avete creato aspettative e penso al bonus di 600 euro ai lavoratori autonomi che un milione di loro sta ancora aspettando; penso alla cassa integrazione in deroga che non è arrivata; penso ai disabili chiusi in casa senza il bonus promesso, senza la terapia e senza l'assistenza. Penso ai caregiver familiari senza riconoscimento. Penso agli anziani nelle residenze sanitarie assistenziali, isolati dai loro famigliari. Penso ai decessi senza funerale. Chi ha guadagnato dall'emergenza Covid sono soltanto i mafiosi, quelli che abbiamo fatto uscire dal carcere, rimandandoli a casa. (Applausi). Tutti gli altri li abbiamo chiusi in casa senza aiuti e assistenza.
Torniamo all'abuso che ci chiedete di sanare, ma che farete senza il nostro voto. La gestione che avete avuto ha una criticità non soltanto politica, ma anche in termini di diritto e il Presidente, l'avvocato del popolo, comprende bene cosa questo significa. Parliamo di rilievi di incostituzionalità contenuti nei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che sono andati a limitare delle libertà fondamentali e garantite dalla Costituzione. È molto chiaro e semplice. E nulla, neppure la tempestività, può giustificare un protagonismo eccessivo, un'azione confusa e l'abuso a cui mi sto riferendo.
Quanto alla tempestività, siete stati certo tempestivi nell'apparire, nell'esternare e nel dichiarare; statici e fissi nel determinare. Penso a quei venticinque giorni di ritardo tra la dichiarazione dello stato di emergenza e il primo atto del 23 febbraio scorso.
Ad ogni modo, vengo all'oggi. Questo nesso di immediatezza con l'emergenza non dovrebbe esserci più. Siamo nella fase 2, pessimamente avviata, eppure vediamo che si continua a perseverare nello stesso errore. Voi sapete che errare è umano, ma perseverare è un'altra cosa e vi appartiene. Spiego anche il perché. Ora si dovrebbe ricondurre tutto alla normale prassi parlamentare. Noi abbiamo sempre detto e continuiamo a pensare che ogni misura straordinaria debba essere autorizzata dal Parlamento, il quale si dovrebbe riappropriare della sua funzione di deliberare, nonché delle sue competenze di controllo sull'Esecutivo.
Tutto questo non solo non è accaduto, ma rischia di non succedere più perché - e vengo al nodo - il 14 maggio scorso alla Camera dei deputati è stato bocciato l'emendamento presentato dall'onorevole Lollobrigida di Fratelli d'Italia ed è stata approvata una norma che, secondo una fake news, sarebbe di garanzia perché questi provvedimenti verrebbero illustrati alle Camere da parte del Presidente del Consiglio o dal Ministro delegato. Attenzione, non è così. Infatti, il Presidente del Consiglio illustra i provvedimenti alle Camere e tiene conto degli eventuali indirizzi emersi, ma non vi è un voto parlamentare su questi e, inoltre, se vi sono motivi di urgenza, riferirà in una fase successiva. Signori, si sta perseverando e si sta facendo il gioco delle tre carte.
Occorre prestare attenzione anche all'articolo 14 del cosiddetto decreto rilancio, rivisto e corretto in corso d'opera, sulla dichiarazione dello stato di emergenza, di cui riparleremo.
Essendo terminato il tempo a mia disposizione, mi avvio a concludere con una considerazione che faccio come quando si lancia un sasso: avete ucciso la Repubblica parlamentare, ma il voto popolare vi rimanderà a casa. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pianasso. Ne ha facoltà.
PIANASSO (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, per me è assurdo ritrovarci nell'Aula del Senato per discutere e votare un provvedimento inutile e completamente sorpassato dagli eventi.
Siamo qui chiamati a convertire un decreto-legge che disciplina la chiusura del Paese intero, mentre proprio in queste ore in tutta Italia riapre la maggior parte delle attività. È una cosa seria - mi chiedo - votare disposizioni di emergenza quando questa è alle spalle? Che senso ha? (Applausi). Ciò non ha senso e dimostra la scarsa considerazione che il Presidente del Consiglio e la sua squadra di Ministri dalle lacrime facili hanno nei confronti del Parlamento.
Dobbiamo dirlo forte e chiaro agli italiani. Prima il presidente Conte si è arrogato i pieni poteri veri e reali, governando per mezzo di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e rinchiudendo gli italiani a casa, in uno Stato di polizia dove droni, elicotteri e telecamere venivano impiegati per dare la caccia a persone che facevano una corsa in solitaria o prendevano il sole in una spiaggia deserta; il tutto, peraltro, mentre spacciatori e delinquenti continuavano bellamente ad assembrarsi in parchi e piazze deserte, continuando i loro sporchi traffici nella più totale impunità. (Applausi). Adesso, dopo aver privato gli italiani della libertà, dopo aver passato una delle peggiori crisi sanitarie della storia italiana, quando sarebbe il momento di discutere sui progetti di questo Governo (ammesso che ne abbia) per far ripartire il nostro Paese, dobbiamo sprecare il nostro tempo per sanare vecchi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con una votazione parlamentare. Questo decreto-legge mi ricorda quando si va al voto e, in campagna elettorale, si riprendono i punti del programma elettorale precedente, dicendo di aver realizzato i punti uno, due e tre; quindi abbiamo fatto tutto, dalla A alla Z.
Noi della Lega, con i colleghi degli altri partiti di centrodestra, abbiamo chiesto per settimane che si discutesse in Parlamento e che si passasse dal Parlamento per approvare le norme che toglievano la libertà e la possibilità di lavorare a milioni di italiani. Voi avete fatto orecchie da mercante e avete continuato con la procedura dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla quale vertono tuttora molti dubbi di costituzionalità; e solo ora, a distanza di due mesi, venite a chiedere il parere su quei decreti. È evidente che nel merito non ci sia nulla da discutere ormai; quelle norme non hanno più alcun senso e sono state abrogate di fatto con il decreto-legge del 16 maggio, che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ha senso invece discutere sulla maniera illogica con la quale avete voluto gestire l'emergenza coronavirus, esautorando il Parlamento, ma assoldando centinaia di consulenti e moltiplicando task force dai compiti e dalle responsabilità vaghe e incerte, così come vaghi e incerti sono stati i risultati prodotti. Dalle mie parti si dice: meglio la pratica che la grammatica. Qua abbiamo tanta gente con grammatica, ma poca pratica. (Applausi).
Vogliamo parlare del supercommissario al nulla, che in tre mesi non è riuscito a portare a termine un solo compito assegnatogli? Eppure continua a pontificare. Il ballo delle mascherine, a tre mesi dallo scoppio della pandemia, non si è ancora concluso e probabilmente il supercommissario al nulla riuscirà ad assicurarne una distribuzione efficace e capillare quando ormai non serviranno più. Non solo, ma è riuscito perfino a inceppare la macchina produttiva, con la sua brillante idea di imporre un prezzo politico. Così come la tanto chiacchierata app per smartphone, che è il manifesto della totale incapacità di questo Governo, capace solo di fare annunci, senza riuscire poi a tradurre nulla in pratica. È stata reclamizzata settimane fa, poi è sparita dai radar e probabilmente sarà pronta quando non servirà più; e comunque non sarebbe servita né servirà finché non ci sarà un adeguato screening della popolazione. Senza tamponi a tappeto non si può sapere chi è positivo asintomatico e quindi inconsapevole vettore di contagio; di conseguenza, l'app non può evidenziare nulla, se non tracciare i movimenti delle persone. Perde quindi il significato sanitario e mantiene solo quello della violazione della privacy. A proposito di tamponi: alla produzione e distribuzione capillare di tamponi e reagenti chi dovrebbe aver pensato? Il nostro caro supercommissario, che ovviamente ha fallito anche in questo compito, ma resta ben incollato alla sua sedia, nonostante la manifesta incapacità nel produrre risultati accettabili.
È di questo che vogliamo discutere; vogliamo discutere su quanto è stato fatto, sui soldi spesi e sulla responsabilità di chi doveva fare e non ha fatto, di chi doveva informare e non l'ha fatto, di chi avrebbe potuto intervenire subito per circoscrivere l'epidemia, ma ha preferito fare finta di niente, senza informare adeguatamente le Regioni e senza adoperarsi per rifornire le scorte di mascherine, tamponi, reagenti e respiratori, quando sul mercato erano disponibili a prezzi bassi. Poi vogliamo discutere delle misure che il Paese attende per provare a ripartire; vogliamo discutere di un decreto cosiddetto rilancio, che non rilancia un bel niente, ma disperde risorse a pioggia, senza incidere in nessun settore. Invece di versare imbarazzanti lacrime per i clandestini, che in minima parte usufruiranno a conti fatti della sanatoria che avete brillantemente redatto, ci piacerebbe vedere la stessa partecipazione per la sofferenza dei milioni di italiani che vedono le loro attività o il loro posto di lavoro seriamente a rischio, dopo tre mesi di chiusura. Pensiamo ad esempio al comparto automobilistico, che vale da solo una cifra importante del nostro PIL e per il quale non c'è traccia di aiuti. Stiamo parlando di migliaia di imprese a rischio chiusura e di centinaia di migliaia di lavoratori che rischiano seriamente di perdere il posto, dopo che in questi mesi il mercato dell'auto ha subito un crollo del 90 per cento. Invece di ascoltare il mondo della produzione e di venire incontro alle sue esigenze, questo Governo preferisce correre dietro ad uno pseudo-ambientalismo cretino. Solo chi vive completamente scollato dalla realtà può immaginare che per far ripartire il Paese ci sia bisogno di incentivi per l'acquisto di monopattini (Applausi) o di auto elettriche, che hanno prezzi tuttora proibitivi per la stragrande maggioranza della popolazione, oltre ad evidenti problemi logistici che ne fanno un bene inutile a chi non vive nei centri della grande città.
Di questo e di molto altro vorremmo discutere, non certo degli articoli già approvati di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri vecchio di due mesi, sorpassato degli eventi ed opera di un Presidente, che si è innamorato dei pieni poteri e ne ha abusato oltre ogni limite sopportabile, dimostrando oltretutto di non essere all'altezza del compito e delle responsabilità che ha voluto arrogarsi.
Io mi chiedo e chiedo soprattutto alla maggioranza: se solo la metà di quanto ha fatto Conte l'avesse fatto Salvini? Ma non rispondete a me, tanto sarebbe solo il giochino delle parti (Applausi); rispondete alla vostra coscienza e dite cosa avreste detto. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Grassi. Ne ha facoltà.
GRASSI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, onorevoli colleghi, direi che su questo decreto-legge, per quanto riguarda la legittimità costituzionale, tutto è stato già detto. D'altra parte, è sufficiente sfogliare, anche online, una rivista dedicata al diritto costituzionale per capire che questa maggioranza ha dato ai costituzionalisti materia per lavorare incessantemente nei prossimi anni. Oggi ci troviamo a convertire in legge tutto ciò che è stato fatto, e siamo chiamati a farlo solo per evitare gli innumerevoli contenziosi che già si profilano all'orizzonte.
Voglio però tralasciare questo profilo richiamando l'attenzione su alcuni aspetti che a me sembrano rivelatori dello spirito di questa maggioranza. Il primo punto è che i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, emanati nell'attuale contesto emergenziale, impongono limitazioni a libertà fondamentali e a diritti inviolabili previsti e tutelati dalla Costituzione al più alto livello. Ricordiamo la presenza di numerose riserve di legge assolute violate ripetutamente.
Certo, alcune assurdità sono state corrette: ad esempio, sono state cancellate le sanzioni penali, dopo che in una primissima fase le procure erano state impegnate a valutare la violazione del famoso articolo 650 del codice penale: forse una delle peggiori norme del nostro codice penale; una di quelle dove la dottrina si ingegna a trovare la quadratura del cerchio, perché in realtà è esattamente ciò che non dovrebbe essere, ossia una norma penale in bianco. Per fortuna si è rimediato. Con atti amministrativi addirittura si è voluto incidere sulla volontà dei defunti, impedendo che venisse svolta una cerimonia funebre ed imponendo che i corpi fossero cremati, a prescindere dalle volontà espresse in vita.
Io non voglio portarvi via troppo tempo. Voglio solo ricordarvi che la Corte costituzionale, ma anche la Corte europea di giustizia, ha più volte ricordato che i principi di proporzionalità e ragionevolezza hanno rango costituzionale e fanno anche parte ormai dei principi dell'Unione europea. Ciò significa che bisogna sempre agire con grande equilibrio e con grande buon senso. Questo non è accaduto e non è stato fatto.
Ritengo che tra le pieghe di questo provvedimento sia possibile cogliere il vero spirito di questa maggioranza. Sono consapevole che in talune condizioni sia anche possibile arrivare ad uno strappo costituzionale; lo comprendo. Comprendo anche che in condizioni di emergenza forse si debba usare quello che normalmente non si farebbe. Uno potrebbe obiettare che, in fondo, se siamo morti non abbiamo altri diritti e che quindi l'articolo 32 prevale su tutto.
Torniamo a quel problema di dosaggio, di uso sapiente degli ingredienti che la Carta costituzionale ci mette a disposizione perché, proprio quando siamo costretti a tendere al massimo l'elastico dei principi - sappiamo che i principi per definizione sono elastici - altri devono costituire l'argine, affinché quei principi alla fine non si rompano.
Permettetemi soltanto di sottolineare che l'articolo 2, comma 5, del decreto in esame recita: «Il Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato riferisce ogni quindici giorni alle Camere». Avevamo proposto un semplice emendamento, che è stato rifiutato, in cui si aggiungevano le seguenti parole: «e provvede altresì a trasmettere idonea documentazione informativa sulle misure adottate ai Presidenti delle Regioni e ai Consigli regionali interessati». Non aggiungo altro, se non ricordare che questo emendamento serviva a richiamare l'attenzione del Governo sulla leale collaborazione tra Stato e Regioni, perché la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome è stata convocata in modo sporadico: basta andare a leggere i dati sul suo sito Internet.
Il Governo ha dimostrato ancora una volta di non sapere davvero cosa sia la democrazia. (Applausi). Ricordo al Governo che la democrazia si misura anche dal grado di rispetto delle opposizioni. Vorrei chiudere, dicendo: «A buon rendere!», ma noi siamo migliori di voi e quando toccherà a noi - perché toccherà a noi - vi dimostreremo quali sono le forze davvero democratiche. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Martelli. Ne ha facoltà.
MARTELLI (Misto). Signor Presidente, questa è la prima volta in sette anni e mezzo che mi presento a parlare con un discorso scritto e la cosa preoccupa anche me stesso.
Tutto quello che è successo da quando è stata fatta la dichiarazione dello stato di emergenza merita di essere raccontato e di essere messo bene in ordine: tutti i fatti vanno messi bene in fila e osservati attentamente. Prima di procedere con questa narrazione, vorrei però far notare un aspetto: non penserete che, per aver scritto «fatti salvi» i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri precedenti, questi vengano improvvisamente elevati al rango di norma primaria, e cioè diventino leggi con portata normativa e potere modificativo di altre leggi. Se pensate questo, sbagliate.
Detto questo, esaminiamo che cosa è successo. Partirei dalla prima fase, che potrei chiamare fase preliminare o periodo pre-crisi, quando ancora si commentavano i video di quello che succedeva da altre parti, veri o falsi che fossero. In quel periodo, giustamente, ciascuno aveva la propria opinione su come si sarebbe dovuto procedere se lo stesso si fosse verificato in Italia, anche nell'ambiente medico e degli specialisti. Neanche quest'ultimi hanno la verità in tasca, come insegna il nostro immunologo da salotto, che ad ogni domanda risponde sempre che ciò che gli è stato chiesto non lo sa, ma sa altro. Immaginate se a un esame universitario lo studente che avete davanti, ad ogni domanda, vi dicesse che a essa non sa rispondere, ma sa rispondere un'altra domanda. Gli direi di tornare a ripetere l'esame, quando saprà quanto gli chiedo e non ciò di cui lui vuole parlare. Ebbene, quelle persone avevano una pluralità di opinioni che, nella fase 1, nella quale siamo entrati in medias res, è venuta meno. A questo punto le categorie più esposte mediaticamente, e cioè l'ambiente medico, dei ricercatori, quello politico e dell'informazione, hanno cominciato a suonare tutte la stessa la stessa musica realizzando una specie di pensiero unico nazionale. Si è creata così una gara al catastrofismo, e cioè a chi la sparava più grossa, generando come effetto collaterale la paura. Gli italiani si sono impauriti, anche perché li avete piazzati in casa, davanti alla televisione che li ha mesmerizzati. E voglio usare proprio il verbo mesmerizzare e non ipnotizzare, perché il signor Mesmer in questo caso potrebbe dire qualcosa.
Un atteggiamento molto umano ha fatto sì che la paura di chi parlava è diventata la paura di tutti. E mi riferisco alla paura del politico di bruciarsi, se avesse preso la decisione sbagliata; alla paura dell'immunologo da salotto di dire la cosa sbagliata in quel momento o rivelatasi sbagliata successivamente, o alla paura del giornalista di bruciarsi portando avanti una notizia non veritiera. Tutti hanno mirato alla propria preservazione e questo - secondo me - è stato il primo errore: non il più grosso, ma il primo. Chi esercita il potere, che sia quello dell'informazione, della salute o quello politico, non può permettersi la mancanza di professionalità. Non può permettersi che la propria paura diventi la paura di qualcun altro.
Quindi, sulla base della paura, avete praticamente messo guinzaglio e museruola ai cittadini; un guinzaglio apparentemente virtuale - non allontanarsi più di 200 metri da casa - ma poi diventato reale. Che cosa è successo? La gente ha avuto e ha paura di uscire di casa; la gente ha cominciato ad avere paura, paura di tutto, comprese - e qui c'è il secondo e più grave errore - le persone che indossano la divisa, le Forze dell'ordine. Avete fatto rompere la quarta parete al vigile di Alberto Sordi, quello che, molto poco professionalmente, esercitava il ruolo di vigile indossando la divisa. Noi abbiamo visto cose assurde: abbiamo visto la Polizia municipale, secondo folli ordinanze, aprire la busta della spesa delle persone per controllare la sua coerenza con l'ordinanza che stabiliva di spendere più di 50 euro. Il Governo avrebbe dovuto dire alla gente che si tratta di una perquisizione personale che richiede un'autorizzazione. Abbiamo visto richiedere l'esibizione di uno scontrino: la stessa Guardia di finanza non può più chiedere lo scontrino, ma solo la prova dell'acquisto, nel senso che non può controllare l'importo della stessa e cosa è stato comprato.
Questo, però, non è stato detto. Avreste dovuto dire ai sindaci che, siccome il Governo ha avocato a sé la gestione, tutte le ordinanze più restrittive sono automaticamente nulle. È uscita la sentenza del Consiglio di Stato che ha stabilito che quando ha fatto il sindaco di Messina è una follia e, quindi, la sua ordinanza doveva essere censurata e decadere. Questo fa la giurisprudenza costituzionale. Ma nessuno ha detto nulla.
Forse facevano comodo provvedimenti ancora più restrittivi che impaurivano le persone? Io credo non faccia comodo a nessuno che la gente abbia paura delle Forze dell'ordine che, nella maggior parte dei casi, si sono comportate professionalmente e, in pochi casi, no. Purtroppo, però, in questa situazione di compressione dei diritti costituzionali, a chi esercita il potere non è permesso non solo di oltrepassare la linea, ma neanche di provare a spostarla. In questa situazione andava chiarito che la mancanza di professionalità non era ammissibile e bisognava avere la perfetta conoscenza delle norme. Non si può, infatti, imporre un'autocertificazione: la legge dà la facoltà di autocertificare, non obbliga. Non posso essere costretto, a meno che un provvedimento di pari portata normativa modifichi il decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, ad autocertificare, men che meno ad autocertificare il mio stato di salute, cosa che è espressamente vietata da quella norma (articolo 49).
Cosa è successo poi? Naturalmente, in un sistema imperfetto, in cui esiste anche la rete, sono cominciate a circolare altre notizie confermate, come quella secondo cui nelle altre Nazioni non agiscono allo stesso modo, oppure articoli di giornale palesemente fuorvianti, come quello sul ragazzo di trent'anni, morto per coronavirus, il più giovane, e poi, scoprire che era in coma irreversibile da tre anni perché gli avevano sparato in testa. Questo è giornalismo? Questa è informazione? No. Ma, siccome qualcuno ha iniziato a farlo notare, è scattato il Ministero unico della verità, che potrei definire il custode della verità unica nazionale, che decide cosa è giusto, cosa non è giusto, cosa va rimosso e cosa va censurato.
Sono quindi state rimosse interviste a vincitori di premi Nobel, che sono stati delegittimati perché ormai vecchi, oppure al più grande virologo mondiale, Didier Raoult, che detiene il 5 per cento di tutte le citazioni mondiali in questo campo. Per me che sono veramente un uomo di scienze - la matematica, modestamente, è l'unica scienza esatta da quattromila anni - dire che, siccome la comunità scientifica ha scaricato una persona, allora quello che afferma non è valido, è un po' come dire che, se non si è d'accordo con la teoria della gravitazione di Newton, la mela deve tornare sull'albero, perché le sue affermazioni non sono più valide. È come dire che un medico scaricato dall'Ordine non è più medico, non sa più niente, e così possiamo andare avanti all'infinito. Questo è quello che voi avete creato.
In conclusione, voi avete fatto l'errore più grave di tutti: avete sdoganato quello che in altri tempi avremmo chiamato il deep State, lo Stato profondo, e cioè lo Stato dietro lo Stato che prende decisioni senza legittimazione popolare. Mi riferisco a quelle che chiamate task force, le unità operative che decidono autonomamente e chiedono uno scudo penale. La domanda vera che tutti ci dobbiamo porre è la seguente: ma alle persone che fanno parte delle unità operative che input arrivano? Chi ha un canale preferenziale con una persona che sta a Londra può proporre di inserire qualche cosa nei decreti e il cittadino non lo saprà mai.
Allora, nel momento in cui il potere esecutivo delega a uno Stato occulto, ha un deep State, l'esecuzione di procedimenti e provvedimenti che, a detta del Governo, cambieranno la vita degli italiani, credo che non potete più usare la parola "complottista", perché siete voi il complotto, siete voi che avete sdoganato questa pratica, che è il peggio della democrazia, ma che purtroppo - concludo con un'ultima frase - è nel pieno progetto di uno dei fondatori del maggiore partito presente qui dentro: la democrazia doveva essere sostituita da altro, perché il Parlamento era superato e prendeva le decisioni la rete nella sua collettività. Bene: questa non è democrazia.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Casolati. Ne ha facoltà.
CASOLATI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, in questo mio intervento voglio focalizzare l'attenzione sull'atteggiamento di taluni pubblici ufficiali nell'applicazione delle regole del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che hanno imposto limitazioni e sospensioni della libera circolazione e della libera manifestazione del pensiero dei cittadini.
Anche se dovrebbe non essercene bisogno, ricordo che il funzionamento delle regole risiede nel giusto equilibrio tra le persone che sono chiamate a rispettarle e coloro cui spetta il compito di farle rispettare. Voglio raccontare i casi di Torino e Milano, accaduti entrambi lo scorso 6 maggio.
A Torino, al signor Giuseppe, titolare del bar Bistrot sito in via Monte di Pietà, proprio di fronte al passo carraio del Monte dei Pegni, veniva inflitta una multa di 400 euro per aver consegnato tre caffè che gli erano stati ordinati dal direttore del Monte di Pietà telefonicamente. In Piemonte in quella data era consentito il delivery, ma non l'asporto, che sarebbe peraltro iniziato un paio di giorni dopo. Una pattuglia di zelanti vigili lo ammoniva sostenendo che uno dei caffè (quello del direttore) era da considerarsi delivery in quanto presente sul proprio posto di lavoro; cosa diversa valeva per i due caffè che il direttore aveva offerto ai due agenti di polizia in quanto quello non era il loro abituale posto di lavoro e, pertanto, era da considerarsi asporto. Questo è oltremodo vergognoso considerando il fatto che, mentre loro sanzionavano il barista, almeno quattro usurai stazionavano non rispettando alcuna norma di distanziamento e non indossando correttamente la mascherina in prossimità della coda di persone che attendeva pazientemente il proprio turno. Potevano gli agenti non essere a conoscenza del lavoro di quei personaggi? È impossibile. Chi passa abitualmente da quelle parti non può non conoscerli; stazionano lì tutti i giorni come sciacalli che speculano sulle disgrazie altrui. Gli agenti della municipale, però, hanno preferito seguire la via più facile: sanzionare il barista e far finta di non vedere quei ceffi forse perché molto poco rassicuranti.
A Milano, sempre il 6 maggio, alcuni proprietari di pubblici esercizi, che avevano preventivamente avvisato le autorità della volontà di manifestare nel rispetto delle regole per difendere il diritto di riaprire quanto prima le loro attività, sono stati multati insieme ai loro collaboratori per assembramento. Il tutto, peraltro, è avvenuto durante una trasmissione televisiva che mostrava immagini lontane da quelle di un assembramento davanti allo sdegno di tutti gli ospiti presenti in studio e in collegamento via web. A questo punto, è opportuno chiedersi cosa voglia dire la parola «assembramento». Chiariamolo un attimo: assembramento significa raggruppamento di persone con intenzioni ostili. Grida vendetta, allora, quanto accaduto a Milano dove sono stati sanzionati senza pietà e con ordine impartito dall'alto i pacifici commercianti che, con profondo senso civico e nel rispetto delle regole imposte per fronteggiare l'emergenza sanitaria, si erano riuniti per difendere la propria dignità di lavoratori contro i ritardi, le inadeguatezze e le insufficienti misure di sostegno messe in campo dal Governo. (Applausi).
L'accaduto merita, inoltre, un'altra riflessione. Milano è la stessa città che ha tollerato una manifestazione di popolo, quella del 25 aprile, in barba al rispetto di qualsiasi regola anche non scritta che dovrebbe caratterizzare i comportamenti dei cittadini in una situazione emergenziale come questa. Cosa è cambiato in undici giorni? Il prefetto? No. È cambiato il Ministro dell'interno? No. Forse è cambiato il colore delle bandiere, quel rosso condannato dalla storia perché simbolo di un'ideologia sfociata spesso in dittatura e che nulla ha a che fare con la ricorrenza della liberazione, simbolo appunto di libertà. (Applausi).
Auspico, quindi, che situazioni simili non debbano più accadere. Mai come adesso i cittadini italiani devono sentire la vicinanza dello Stato, che deve essere di sostegno. Quando il cittadino vede la lunga mano dello Stato avvicinarsi a lui, deve aspettarsi uno sprono, un incentivo a tirarsi su, un aiuto e non uno spintone che lo mortifica nel portafoglio e - cosa ben più importante - nello spirito. Basta con uno Stato forte con i deboli e debole con i delinquenti. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Coltorti. Ne ha facoltà.
COLTORTI (M5S). Cari colleghi, con questo intervento desidero inizialmente esprimere tutta la mia solidarietà ai cittadini che hanno subito la perdita dei loro cari durante questa epidemia e si sono trovati in difficoltà economiche e di ogni genere che hanno compromesso la possibilità di sostenere le proprie famiglie.
Il decreto che è stato emanato prevede interventi importanti per fronteggiare la crisi generata dalle epidemie. Dato che l'epidemia non è ancora terminata, vorrei però dare un contributo affinché anche una sola vita umana sia salvata. L'epidemia ha evidenziato come l'indebolimento progressivo della sanità pubblica a favore di quella privata abbia reso la prima non in grado di rispondere prontamente a una pandemia; ha infatti evidenziato come la sanità, in mano alle Regioni, sia stata insufficiente e comunque con risultati profondamente differenti da Regione a Regione per quello che riguarda il suo compito fondamentale, che è salvare le vite umane. Per rendersi conto, basta leggere i numeri. Saltano agli occhi i dati che emergono dalla Lombardia, dove al 19 maggio ci sono stati 15.597 decessi su 85.481 contagiati: quasi il 50 per cento dei decessi in Italia si è verificato in Lombardia. Se si confrontano questi dati con quelli di un'altra Regione, il Veneto, dove l'epidemia è iniziata quasi contemporaneamente, ma si sono avuti 1.820 decessi su 18.997 contagiati, le differenze sono eclatanti. Sappiamo che i numeri assoluti dipendono dal numero di verifiche e dunque dei tamponi effettuati, ma il numero totale dei decessi parla da solo ed è probabile che i numeri siano in difetto, perché non sono stati fatti a tutti i cittadini i tamponi. In queste Aule abbiamo più volte sentito dare la colpa al Governo delle mancanze di attrezzature che erano però di competenza regionale. Questo è il risultato delle politiche di regionalizzazione e fondamentalmente delle richieste di autonomia volute anche oggi fortemente dalla Lega.
PRESIDENTE. Vedo un assembramento a destra dell'Emiciclo. Vi chiedo, se potete, di non disturbare, e magari di stare un po' più distanti l'uno dall'altro.
COLTORTI (M5S). Ma si ricordano, i colleghi della destra, i requisiti minimi essenziali delle prestazioni? I cittadini meridionali, che sostengono l'economia votando la destra creeranno Regioni a velocità di sviluppo estremamente differenziata.
Facendo queste semplici comparazioni, emerge inoltre l'assoluta inadeguatezza dei responsabili regionali, in primo luogo del presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e dell'assessore alla sanità Giulio Gallera (Applausi), che dicono di aver seguito tutte le direttive del Governo, ma sembra evidente che dal Governo non sia stata mai diramata la raccomandazione di ricoverare in strutture delle RSA malati in via di guarigione, ma evidentemente non ancora guariti, come invece emerge dalla delibera della Giunta regionale Lombarda n. 112906 dell'8 marzo 2020. (Commenti). Io non vi ho disturbato durante i vostri interventi. Vi prego, quindi, di farmi parlare.
PRESIDENTE. Credo abbia ragione. E poi a quest'ora potreste fare a meno di disturbare. Non c'è nemmeno la diretta televisiva.
COLTORTI (M5S). Sono stati accesi dei fiammiferi in un serbatoio di benzina che hanno lanciato il contagio e oltre 15.000 morti non sono una caramella. Io soffro per questo. Inoltre, appare evidente come, a fronte di un depotenziamento costante della sanità pubblica e della chiusura di decine di strutture pubbliche che avrebbero potuto e dovuto essere riutilizzate in Lombardia, si sia scelto di aprire un centro Covid alla Fiera di Milano, costato ben 25 milioni, di cui 21 da fonti private e quattro da fonti pubbliche, che dovrà essere smantellato alla fine dell'epidemia. (Applausi).
Oppure volete tenere decine di operatori a guardarsi l'un l'altro senza fare nulla? Anche ora, a fronte di una recettività iniziale prevista di oltre 100 posti letto, sono stati ospitati 13 pazienti nel momento di massimo utilizzo. (Proteste).
PRESIDENTE. Colleghi, riusciamo a lasciare il senatore Coltorti concludere il suo intervento? Vi ricordo che subito dopo è iscritto a parlare il senatore Vescovi, che appartiene al Gruppo che adesso sta protestando.
COLTORTI (M5S). Come dimenticare che la gestione è stata affidata interamente ai fedelissimi della Lega, tra i quali il giornale «L'Espresso» menziona - guarda caso - la stessa ex moglie di Matteo Salvini. Ma queste sono la giustizia, la trasparenza e soprattutto la buona politica che propugna la Lega? (Vivaci proteste). Questa è l'onestà che questa mattina in Aula è stata richiesta?
PRESIDENTE. Una volta, insomma, si diceva che la famiglia non si tocca. Andiamo avanti. Nessuno può censurarla.
COLTORTI (M5S). Ricordo che oggi si voleva sfiduciare il ministro Bonafede.
Per realizzare questa struttura è stato chiamato l'ex capo della Protezione civile, ingegner Bertolaso, fedelissimo di Berlusconi e specialista in sperpero di denaro pubblico. Come non ricordare il centro congressi dell'isola La Maddalena in occasione del G8 del 2009, costato oltre 327 milioni, più un albergo per altri 75 milioni? (Applausi). Anche in quel caso si tratta di strutture mai utilizzate! Più di recente si ricorda il centro Covid di Civitanova Marche, nelle Marche, costato anch'esso 12 milioni e - guarda caso - mai utilizzato. (Applausi). Sembra che la cosa importante sia non fare il bene del Paese, ma spendere e distribuire il denaro proveniente da donazioni private, la cui origine per ora non è dato sapere, perché la realizzazione di queste strutture è stata data al Sovrano militare ordine di Malta senza alcuna trasparenza: chi ha donato il denaro e come sono stati stimati i costi?
Comunque i cittadini lombardi di quei soldi e di quelle strutture non ne sono praticamente accorti, ma si sono accorti da tempo delle chiusure degli ospedali pubblici e delle lunghe liste per fare le analisi, che invece vengono fatte in tempi brevissimi nelle strutture private. (Applausi). Quando sarà stata distrutta la sanità pubblica, quella privata potrà praticare i costi che vuole.
Inoltre, in questa fase in cui l'epidemia sembra stia scemando, sempre Gallera e Fontana hanno permesso a società private di effettuare - ovviamente a pagamento, ma senza fissare un costo minimo - i test sierologici che - come è certamente noto - non garantiscono la certezza di aver contratto il Covid. Nel momento in cui il privato dovesse individuare su base sierologica di esser stato contagiato, si creerebbero molti problemi nelle strutture pubbliche che, ad oggi, pare non siano ancora attrezzate per effettuare una quantità elevata di tamponi per avere la certezza del contagio. Quanti decessi sono ancora necessari tra i cittadini lombardi perché le strutture regionali siano messe in condizione di dare risposte rapide ed efficaci? (Applausi). Anche oggi la Lombardia ha il più alto numero di decessi delle Regioni del Nord Italia. (Commenti).
PRESIDENTE. Vi pregherei di lasciar intervenire il collega.
COLTORTI (M5S). Senza un dato certo dei contagi rischiamo che ci siano contemporaneamente falsi positivi che si mettono in quarantena e persone che invece non risultano contagiate, ma saranno potenziali portatrici sane.
Mi chiedo come mai in Lombardia non sia stato preso l'esempio della sanità veneta, dove il dottor Crisanti dell'ospedale di Padova si è munito di un'attrezzatura in grado di effettuare oltre 9.000 tamponi al giorno. La Lombardia si sarebbe dovuta munire di queste attrezzature da tempo, dati la gravità dell'epidemia che l'ha colpita e il numero elevatissimo di decessi. In alternativa, non riuscendo a procurarsi le attrezzature, avrebbe dovuto potenziare i laboratori di analisi regionale.
Alle luce di queste semplici evidenze, invito i colleghi leghisti a valutare quanto prima di chiedere le dimissioni di Fontana e Gallera per la salvaguardia stessa dei cittadini lombardi (Applausi), che a noi del MoVimento 5 Stelle stanno a cuore e dovrebbero stare a cuore anche alla Lega, indipendentemente dal colore politico. (Commenti).
La nomina di tali persone con enorme carico di responsabilità, e non solo politica, ma anche civile, ha seguito criteri di appartenenza politica che esulano dalle necessarie competenze, come spesso è accaduto in passato, quasi ovunque nel Paese.
È però evidente la palese inadeguatezza dei dirigenti lombardi, che rende chiunque li mantiene al loro posto dei complici. (Applausi). Dunque chiedo ancora ai colleghi della Lega di individuare persone più competenti alle quali stia maggiormente a cuore la salute e la vita dei lombardi. (Applausi. Congratulazioni. Proteste).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Vescovi. Ne ha facoltà, se riusciamo a riportare la calma. (Proteste).
Sto per dare la parola al senatore Vescovi della Lega, che potrà esprimere tutte le considerazioni che vorrà. Senatore Coltorti, il suo intervento era però volutamente teso a provocare una tale reazione, perché il tema era di siffatto genere e mostrava una sorta di atteggiamento che esula dal provvedimento nei confronti della Lombardia, ma lasciamo stare. Raramente ho visto un intervento del genere, senza possibilità di contraddittorio.
VESCOVI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, la ringrazio. Le dico che, se fossi al posto del collega, non avrei più il coraggio di guardarmi allo specchio. (Applausi. Proteste). In Italia ci sono stati 30.000 morti e si viene in Aula ad attaccare la sanità lombarda, che è un'eccellenza italiana e mondiale (Applausi). Per rispetto delle 30.000 e oltre vittime, un attacco del genere non me lo sarei mai aspettato. (Proteste).
PRESIDENTE. Mi pare però che adesso possa parlare tranquillamente, come ho cercato di far parlare voi, e mi pare non stia esagerando. Prego, senatore Vescovi, vada avanti. (Proteste). Silenzio! Prego, senatore Vescovi.
VESCOVI (L-SP-PSd'Az). Penso che il vostro modo di fare rappresenta il decreto-legge al nostro esame, che definisco il decreto dei pieni poteri (Commenti). Non volete neanche farci parlare! Vergognatevi! (Applausi). Questo decreto, che definisco pieni poteri, non capisco cosa c'entra con la sanità lombarda. Se anche l'ospedale in Fiera salva 13 vite, per quanto mi riguarda vale molto di più di tutti i soldi spesi (Applausi) da loro con il famoso decrescita felice. Hanno violato tutto.
VOCE. Vai fuori!
VESCOVI (L-SP-PSd'Az). Rappresenta la democrazia del MoVimento 5 Stelle.
PRESIDENTE. Richiamo all'ordine il senatore Airola. (Proteste). Secondo richiamo all'ordine per il senatore Airola. Prosegua, senatore Vescovi.
VESCOVI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, torno al merito del decreto-legge, visto che dobbiamo parlare di questo oggi e non della Lombardia, che - ripeto - è un'eccellenza mondiale e italiana e - per quanto mi riguarda - 13 vite si salvano. Non si viene in Aula a dire che è stato allestito un ospedale in Fiera solo per 13 persone, perché sono 13 esseri umani, con delle famiglie e figli. (Applausi). E allora, quando senti che ci sono medici che devono scegliere a chi salvare la vita, per me sono esseri umani e voi stessi dovreste vergognarvi di quello che ha detto il vostro collega e dovreste dissentire da quelle parole, e non esaltarle. Ascoltatele, rivedetele in quest'Aula. E invece cosa facciamo noi? Cosa fate voi? Voi lo chiamate DPCM, io lo chiamo decreto pieni poteri. L'ho letto. Ebbene, tutte le libertà personali, economiche: avete tolto tutto. Con che cosa lo avete fatto? Con un decreto del Presidente dai pieni poteri senza alcun fondamento costituzionale e, oltre a prendervi pieni poteri, avete creato una marea di burocrazia: sei autocertificazioni. Quando si faceva una passeggiata, si doveva uscire da casa con il metro per vedere se si era lontani 200 o 201 metri.
Per quanto mi riguarda, è una situazione incredibile e veramente spero con tutto il cuore che questo provvedimento non diventi legge. Buon lavoro a tutti! (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Grimani. Ne ha facoltà.
GRIMANI (IV-PSI). Signor Presidente, colleghi e colleghe, avrei voluto fare una riflessione che, però, in questo momento appare difficile rispetto alla piega che ha preso il dibattito, che è più una resa dei conti su quello che è successo nelle ultime settimane che non un'analisi dettagliata del provvedimento in esame.
Credo che le riflessioni e le valutazioni sulle settimane passate, su quanto è accaduto, sulle scelte operate e sulle difficoltà, andranno fatte in un momento successivo, quando si sarà depositata la polvere, quando la pandemia sarà, se non proprio sconfitta, comunque attenuata nelle sue proporzioni.
Oggi, in realtà, stiamo discutendo della conversione di un decreto-legge che reca un contenuto più tecnico-giuridico che non politico, nel senso che si è reso necessario per ridefinire la cornice all'interno della quale collocare i provvedimenti emanati nelle ultime settimane; un percorso che è iniziato il 31 gennaio con la deliberazione dello stato di emergenza ed è proseguito con una serie di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che hanno caratterizzato la vita del nostro Paese in queste settimane.
Il punto di partenza, normativamente parlando, è il decreto-legge n. 6 del 23 febbraio, con il quale di fatto, andiamo ad abrogare quel decreto-legge e, con una legge dello Stato, convertendo il decreto-legge n. 19, rideterminiamo tutta la cornice giuridica che può - anzi deve - anche ricomprendere, dal punto di vista normativo, tutti gli aspetti che hanno riguardato i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che nel mese di marzo si sono succeduti.
Credo sia questo il nostro compito oggi. Penso che tutte le valutazioni non possano non tener conto del fatto che la pandemia si è riversata sul nostro Paese in maniera inaspettata, come un vero tsunami. Probabilmente possiamo fare delle valutazioni relative al fatto che si sia perso un mese, di fatto febbraio, prima di approntare le strategie più restrittive. E, comunque, dobbiamo dire che non ci aspettavamo quanto è avvenuto in queste settimane, ossia le difficoltà che il virus ha determinato nella vita di tutti i giorni, la progressività del contagio, le drammatiche morti, le vicende delle residenze sanitarie assistite. Tutti i provvedimenti sono stati pertanto dettati dall'urgenza e anche dalla drammaticità dell'evoluzione del virus.
Credo personalmente, però, che sia stato prodotto uno sforzo importante e c'è un Paese che ha risposto. Credo che i risultati importanti, soprattutto dal punto di vista del mutamento dell'offerta ospedaliera di cui si discute, vadano resi strutturali. Non guardiamo al momento; non facciamo una valutazione meramente relativa ai costi sostenuti, alla reale efficienza nel momento degli investimenti che sono stati fatti nel campo sanitario. Guardiamo piuttosto in prospettiva. Il fatto che si siano raddoppiati i posti della terapia intensiva deve essere visto in prospettiva e reso strutturale. Passare da 5.200 posti di terapia intensiva a 9.000 è un valore straordinario che dobbiamo consolidare. E, quindi, anche con gli impegni presi dal Governo, con il cosiddetto decreto rilancio e con le risorse che verranno dall'Europa, dobbiamo rendere strutturali i progressi in termini di offerta sanitaria e ospedaliera.
Il provvedimento in esame, di fatto - come dicevo prima - abroga il primo decreto che è stato alla base di tutti i provvedimenti assunti poi dal Governo - il n. 6 del 23 febbraio 2019 - e con una legge dello Stato di conversione si va a coordinare e ad armonizzare la fonte iniziale con tutti gli strumenti successivi che sono stati messi in campo, in particolar modo i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che hanno caratterizzato la vita del nostro Paese nel mese di marzo e poi nelle settimane successive.
Abbiamo fatto tutti una riflessione sull'utilizzo dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri per disciplinare fasi di grande restrizione delle libertà costituzionali. Anche noi, come Italia Viva, abbiamo manifestato perplessità rispetto alla strada intrapresa, perché ritenevamo che andasse coinvolto di più il Parlamento. Crediamo, però, che le valutazioni fatte abbiano portato al risultato che il decreto per la riapertura non è del Presidente del Consiglio, ma è un decreto-legge che coinvolgerà il Parlamento nella sua fase conversione e, quindi, ci sono stati progressi in tal senso. Domani sarà presente in questa sede il Presidente del Consiglio. In ogni caso, la legge di conversione contiene un comma che prevede che il Governo possa interloquire prima dell'emanazione di un provvedimento con il Parlamento. La normativa al nostro esame contiene quindi una importante possibilità che permetterà un confronto fattivo tra Governo e Parlamento anche prima dell'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio. Credo che questo sia l'aspetto che dovrebbe essere maggiormente valutato.
Ritengo che sia importante fare una considerazione, che viene raccolta anche dal decreto e quindi dalla legge di conversione, relativamente agli equilibri tra lo Stato e le Regioni. Non credo sia stato un grande spettacolo quello della conflittualità perenne tra Regioni e Stato. Nessuno di noi crede sia necessario limitare l'autonomia regionale, ma in situazioni come queste penso sia determinante il ruolo centrale di programmazione e coordinamento da parte dello Stato, al quale poi le Regioni si dovranno uniformare. Ritengo che ciò avrebbe garantito una minore confusione istituzionale e anche una minore percezione all'esterno di una sorta di battaglia quotidiana tra istituzioni sulla predisposizione di diversi strumenti più o meno restrittivi. In questo caso il decreto-legge puntualizza come faccia da riferimento assoluto la norma prodotta dallo Stato; le Regioni poi possono magari mettere in campo provvedimenti più restrittivi, ma mai più permissivi. Reputo questo un aspetto che dobbiamo valutare, perché è una nota stonata in questa vicenda istituzionale che ha riguardato i provvedimenti messi in campo per combattere il coronavirus.
In definitiva, sarà importante fare tesoro del percorso che è stato intrapreso nel corso delle passate settimane e delle restrizioni che hanno determinato grandi sacrifici per i cittadini, con una limitazione della libertà che mai prima d'ora c'era stata, almeno nella storia recente della Repubblica. Abbiamo quindi sicuramente il dovere di mettere in campo una capacità politica ancora maggiore di governare l'attuale fase. Dobbiamo assolutamente essere all'altezza di questa sfida. Dobbiamo - secondo me -creare le condizioni per cui la riapertura possa consentire il rilancio dell'economia di questo Paese, così tanto minata. Però, chiaramente, deve essere fatta con prudenza, garantendo e incentivando il rispetto delle regole fondamentali e semplici contenute nell'ultimo decreto, le quali dovranno caratterizzare la vita quotidiana delle prossime settimane e dei prossimi mesi.
È chiaro che si tratta di una sfida ancora tutta da costruire, perché il rilancio e la fase 2 non sono solo nel decreto pubblicato in queste ore, ma anche nei comportamenti che noi dovremo incentivare e garantire come istituzioni e - soprattutto - nella capacità di essere il più unitari possibili.
Mi sembra che il contesto politico non vada in questa direzione, però dovremo fare uno sforzo per condividere il più possibile i percorsi e dare una risposta quanto più unitaria possibile e caratterizzata da coesione nei confronti dei cittadini, perché abbiamo di fronte a noi dei mesi complicati, come testimoniato dai dati economici che emergono in tutta la loro drammaticità. Occorreranno pertanto sforzo e determinazione. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ciampolillo. Ne ha facoltà.
CIAMPOLILLO (Misto). Signor Presidente, se non fosse drammatica, la situazione attuale assumerebbe di certo il tono del grottesco.
Il Governo ha subappaltato la gestione dell'emergenza sanitaria a figure senz'altro rispettabili, di certo mai scelte dai cittadini per affrontare le sfide della nostra Nazione. Su tutte, tale scienziato, dottor Burioni, novello attore televisivo, il quale - tra un cachet e un altro, lautamente offerti dalla televisione pubblica - ha letteralmente terrorizzato il popolo italiano, prefigurando scenari drammatici e costringendo il nostro caro Conte a rinchiudere in casa tutti noi poveri cittadini.
Singolare, poi, che sia Burioni, che Conte abbiano inizialmente escluso categoricamente che il virus fosse un problema. Eppure, Conte di certo aveva la possibilità di cogliere il pericolo in arrivo e di prevenire quantomeno l'assoluta carenza di mascherine e gel disinfettante. Nulla di tutto questo.
Quando poi sono comparsi i primi contagi si è passato all'esatto opposto, con misure improvvisate e incoerenti che, di fatto, hanno messo in ginocchio l'economia italiana e soprattutto i già miseri bilanci di gran parte dei cittadini. È facile dire: «restate a casa» quando si vive nell'agio di lussuose residenze, come quelle dei vari personaggi che hanno invaso le televisioni con i loro patetici inviti alla reclusione domestica.
Tuttavia, il dato più grave di questa vicenda è l'assoluta incapacità del Governo di gestire un flusso di denaro enorme. Qui compare il grandissimo Arcuri, noto boiardo di Stato, che ha attraversato gli ultimi quindici anni della nobile gestione pubblica dell'economia italiana di Invitalia e dintorni. È sufficiente leggere le polemiche di questi giorni per comprendere la grandezza di questa nomina, fatta da un Presidente del Consiglio preoccupato non già di affrontare al meglio i problemi dei cittadini, bensì di evitare che qualcuno possa fare ombra alla sua persona. Si tratta di quello che sulla stampa è stato definito il metodo Alpa (dal nome del maestro di Conte): meglio una nullità che sia fedele, piuttosto che una persona capace ma non controllabile. Il timore, peraltro, è che Alpa abbia già in passato fatto la stessa cosa con il suo allievo Conte.
Il risultato è il caos totale: gli imprenditori che aspettano ancora i famigerati 25.000 euro; la cassa integrazione che ritarda; il casato Agnelli che incassa decine di miliardi pur pagando le tasse in Olanda; le banche che hanno trasformato i loro crediti chirografari in crediti garantiti dallo Stato. Prima o poi la verità verrà a galla ed emergerà come questa sia stata l'ennesima occasione persa per l'Italia.
Per capire l'assurdità della situazione è sufficiente pensare a quanto emerso in Senato giovedì scorso, nel corso dell'audizione del dottor Giuseppe De Donno, dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, sui risultati positivi che sta ottenendo la terapia del plasma iperimmune nella lotta contro il Covid-19. Ebbene, di fronte ai successi di questa terapia, l'Istituto superiore di sanità e l'AIFA hanno pensato bene di affidare la guida dello studio nazionale su detta terapia all'azienda ospedaliera universitaria di Pisa e non già agli ospedali di Mantova e Pavia. Queste le parole del dottor De Donno: «Perché Pisa? Non lo so. Sono sconcertato da questa decisione e sono sconcertato che il Presidente della Regione Toscana voglia querelarmi. Qui è la politica che vuole ammutolire la scienza. Qualsiasi città lombarda andava bene. Se dovete fare un'operazione di cardiochirurgia al cuore, a chi ha affidate il vostro cuore, a chi ha esperienza o a chi non ce l'ha? E non venitemi a dire che la Toscana è stata scelta perché è organizzata meglio della Lombardia, perché qui stiamo parlando di protocolli scientifici organizzati da scienziati, non di manovre politiche. La scelta era univoca: era Pavia». E ancora: «Pisa non è all'altezza, non perché non siano dei bravi sperimentatori, ma perché la maggior incidenza è in Lombardia, che è rimasta addirittura fuori, fino all'altro ieri, da questa sperimentazione. È ovvio che ci sarà un motivo per cui AIFA e ISS hanno scelto di affidare a Pisa la sperimentazione, che tra l'altro non è riuscita ad arruolare nella prima fase. Ce lo spiegheranno e sarò prontissimo ad accettare le spiegazioni, ma non mi vengano a dire che ci sono motivi scientifici, perché così non può essere».
Dalle parole del dottor De Donno emerge inequivocabilmente il tentativo in atto da parte dell'Istituto superiore di sanità e dell'AIFA di boicottare i risultati straordinari che la terapia del plasma iperimmune sta ottenendo, attraverso la pratica di una terapia in uso da decenni contro l'epatite B e la rabbia, fondata sulla generosità dei donatori di plasma e non già sulla bramosia di profitto delle aziende farmaceutiche, che le nostre istituzioni sanitarie dimostrano invece di voler proteggere.
Il Ministro della salute, con il suo atteggiamento accondiscendente, ha dimostrato la sua sudditanza alle industrie farmaceutiche e non già ai legittimi interessi dei cittadini italiani. Il sottoscritto, nel corso dell'audizione di giovedì scorso, ha avuto modo di scusarsi a nome di tutti gli italiani con il dottor De Donno, il quale, mentre all'estero è richiesto da tutti i migliori centri di ricerca, in Italia riceve offese da presunti scienziati di Governo e ispezioni dal sapore intimidatorio da parte dei NAS: una vergogna che non può essere accettata.
Ma vi è di più. Ad oggi non si comprende bene quante siano le vittime effettive del Covid-19 e quanti in realtà siano i decessi legati ad altre cause; lo stesso vale per i contagi. Non si capisce bene chi abbia vietato le autopsie. Burioni? Il comitato tecnico-scientifico? Solo grazie alle autopsie è stato possibile capire i rischi della terapia e delle intubazioni e si è così potuto veramente salvare le vite umane.
Ancora più clamoroso appare oggi il dubbio sull'attendibilità stessa dei tamponi, anzi direi esattamente il contrario, ossia la certezza della relativa inattendibilità dei tamponi. Giovedì scorso, nel corso dell'audizione al Senato, il professor Ippolito dello Spallanzani di Roma ha testualmente ammesso che i tamponi hanno limiti enormi e che in sostanza non sono affatto attendibili. Ma allora com'è possibile pensare di far dipendere dai risultati dei tamponi le scelte su misure restrittive delle libertà personali o delle libertà economiche?
Tutto questo è assurdo e denota l'assoluta incapacità di questo Governo, che ha messo nelle mani di qualche asserito scienziato, promesso attore televisivo, la libertà e il destino dei cittadini. Il professor Ippolito ha candidamente ammesso che i tamponi sono una sorta di cotton fioc, il cui risultato dipende dal cotone, dalla qualità e da tanti altri fattori, specificando appunto che la saliva non è così attendibile come il sangue (i test vengono fatti con la saliva).
Di qui un mio dubbio, colleghi, da donatore di sangue e di plasma (dono il sangue da oltre trent'anni). Questa mattina ho chiamato il centro prelievi di sangue del policlinico di Bari e ho avuto conferma che ai donatori di sangue non viene effettuato alcun test Covid-19. Dunque tre sono le soluzioni. La prima è che attraverso il sangue non si può trasmettere il virus; e questo non mi sembra certo. La seconda è che questo virus alla fine non sia pericoloso; e non mi sembra nemmeno valida. La terza, la più probabile, è che siamo di fronte all'incapacità più assoluta di questi presunti esperti e comitati tecnici, che, non avendo idea di come gestire l'emergenza e giustificare i loro lauti compensi, non hanno saputo fare altro che chiudere tutti in casa e devastare l'economia degli italiani.
Concludo. Oggi, con questo decreto e con questi provvedimenti a pioggia assistenziali e senza alcuna visione del futuro, distruggiamo le casse pubbliche per avvantaggiare i soliti noti. Stiamo ipotecando il futuro dei nostri ragazzi. Ai cittadini normali, come al solito, arriverà forse solo un po' di elemosina. Non ci sono parole. Siamo insomma di fronte ad una vera e propria... (Il microfono si disattiva automaticamente). Il mio voto sarà ovviamente "no" alla fiducia.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Pinotti. Ne ha facoltà.
PINOTTI (PD). Signor Presidente, la dichiarazione dell'Organizzazione mondiale della sanità sullo stato di emergenza è del 30 gennaio 2020. Il giorno dopo, il 31 gennaio, il Consiglio dei ministri ha dichiarato in Italia lo stato di emergenza. Dopo quello, sono stati assunti numerosi provvedimenti e molte ordinanze di protezione civile; si è fatto ricorso a molti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri; ci sono state ordinanze del Ministro della salute ed anche ordinanze delle Regioni e degli enti locali.
Si è discusso molto qui in Senato, ma anche alla Camera, rispetto alla scelta degli strumenti. Ma noi non dobbiamo dimenticare - per questo sono partita dal ricordare che in quel momento è stata dichiarata un'emergenza - che non ci aspettavamo un'emergenza così virulenta e così rapida nella diffusione, quindi è stato necessario assumere, anche rispetto a quel periodo, dei provvedimenti che vanno inseriti nel quadro di un'emergenza veramente inaspettata anche per l'entità di quel momento.
Stiamo entrando adesso in un'altra fase, dal punto di vista della mobilità, per le riaperture di esercizi economici e commerciali. È importante che in questa fase, anche dal punto di vista del rapporto Governo-Parlamento, ci sia una rinormalizzazione degli strumenti. È stata approvata in questo senso anche una mozione alla Camera, che indica che è importante privilegiare il decreto-legge, uno strumento che viene utilizzato da ora. Rispetto a questo, si è anche previsto, con un emendamento proposto dal Partito Democratico, che in caso dovesse malauguratamente - speriamo di no - riacutizzarsi la situazione, quindi riavere comunque una situazione di emergenza, ci possa comunque essere un'informativa del Governo, come viene fatto ad esempio prima dei Consigli europei, che indichi quali saranno le scelte prima di assumere dei provvedimenti che hanno un impatto così importante sulla vita delle persone.
Il decreto-legge n. 19 che stiamo analizzando in realtà fa ordine di tutta una serie di provvedimenti precedenti e porta, rispetto al decreto principale che riordina il decreto-legge n. 6 di quest'anno, anche una serie di novità. Ad esempio, si individua il 31 luglio come fine dello stato di emergenza; viene data la possibilità di rimodulare questa data sulla base dell'andamento epidemiologico; i provvedimenti comunque vengono reiterati ogni trenta giorni; ci si richiama alla adeguatezza e proporzionalità dei provvedimenti che devono essere assunti.
Il decreto-legge in discussione risponde quindi alla necessità di un intervento uniformatore per inserire in un atto di rango primario i singoli provvedimenti emergenziali attuativi per fronteggiare il Covid-19: una cornice giuridica per sistematizzare numerosi provvedimenti.
Detto questo e approvando i contenuti di questo decreto-legge, mi permetto di utilizzare i minuti a mia disposizione per fare alcune considerazioni su che cosa ci ha insegnato la gestione di questa emergenza: intanto, sicuramente il valore del Servizio sanitario nazionale (legge n. 833 del 1978). Mai come in questo momento abbiamo visto l'importanza dell'esistenza di questo Servizio e la sua forza. Molti interventi lo hanno raccontato: c'è stata una capacità di reazione, oltre che una dedizione da parte del mondo complessivo della sanità, che ha suscitato l'ammirazione di tutti, gli applausi dai balconi e l'ammirazione di tutti noi. In tempi rapidissimi negli ospedali si sono approntati dei reparti Covid; si sono sistematizzati percorsi di sicurezza; ci sono stati ospedali in cui era difficile avere il ricambio del personale, quindi alcune persone hanno fatto turni assolutamente massacranti. Abbiamo avuto un esempio da ricordare e da non dimenticare. Soprattutto, ricordiamoci del valore del Servizio sanitario nazionale e del valore delle risorse che dobbiamo investire in questo Servizio.
C'è poi da fare una riflessione anche per quello che riguarda il rapporto Stato-Regioni. Non c'è dubbio che, in più di un momento, questo rapporto è stato o confuso o a volte anche conflittuale; non ce lo possiamo permettere mai, ma soprattutto non ce lo possiamo permettere in casi di emergenza. Quindi a tale riguardo c'è qualcosa che dobbiamo mettere a punto anche noi come legislatori rispetto a questo funzionamento.
Insieme alla valorizzazione che tutti noi abbiamo fatto del Servizio sanitario nazionale, abbiamo riscoperto anche quello che ci ricorda l'articolo 32 della Costituzione. Il diritto alla salute non è infatti solo il diritto di un singolo ad ottenere le migliori prestazioni, ma in realtà si esercita per rinforzare la comunità ed è quello che abbiamo vissuto con questa emergenza. Ebbene, sappiamo che nell'articolo 117 della Costituzione, per quanto riguarda le materie concorrenti, c'è una serie di riferimenti e sappiamo che sono stati inseriti i livelli essenziali di assistenza (LEA). Sappiamo però anche che non è importante solo stabilire questi livelli, ma anche andarli a controllare, perché se la salute è un bene di tutti, un bene universale, come ricorda la nostra Costituzione, come Stato abbiamo la responsabilità non di accentrare la gestione della sanità, che sarebbe sbagliato, ma di verificare che il diritto alla salute sia vissuto allo stesso modo in tutte le parti del nostro Paese.
Un'altra attenzione che abbiamo prestato è stata quella alla medicina territoriale e di prevenzione. Per molti anni ci siamo concentrati sulle eccellenze, sulla grande chirurgia, sulle sperimentazioni più avanguardistiche e forse l'attenzione anche mediatica è stata molto maggiore su questi settori. È importante avere le eccellenze, ma con questa pandemia abbiamo scoperto che le debolezze si sono mostrate soprattutto laddove la medicina territoriale e di prevenzione aveva lasciato il campo, perché è una medicina molto meno "spettacolare". È difficile strapparsi i pazienti da una Regione all'altra grazie ad una medicina territoriale o di prevenzione che funziona. Eppure questa pandemia ci insegna che invece quello è un livello fondamentale, su cui dobbiamo investire e che dobbiamo curare di più, anche coinvolgendo maggiormente i medici di medicina generale, che devono essere assolutamente parte - forse rafforzando anche la convenzione - di questo lavoro pubblico, che dobbiamo fare per la salute collettiva.
Speriamo di lasciarci alle spalle questa epidemia prima possibile, ma non è detto che non ci possano essere nuove e diverse epidemie in futuro e almeno dobbiamo essere preparati. Quindi dobbiamo avere una cultura della gestione delle crisi e dobbiamo avere dei piani emergenziali, per eventuali nuove epidemie, che speriamo non ci siano mai, ma che potrebbero esserci. Allo stesso modo, le esperienze drammatiche vissute nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA) ci dicono che i luoghi dove andranno a stare gli anziani o le persone che hanno debolezze devono assolutamente avere personale formato e non possono essere luoghi in cui non c'è lo sguardo e il controllo di quello che è, complessivamente, il sistema anche formativo del personale, oltre all'adeguatezza dei numeri.
Adesso si è deciso già di implementare le risorse della sanità per più di 3 miliardi di euro. Credo che sceglieremo di investire molte risorse in sanità e diventa fondamentale, in questo momento, spendere bene. Diventa fondamentale, allora, se vogliamo che non si disperdano in rivoli, ma che queste risorse vadano davvero ad incidere, rafforzare ad esempio le strutture di progettazione e le centrali di committenza. Anche all'interno del Ministero della salute abbiamo bisogno che la capacità di progettazione e di controllo a livello centrale sia tale, che possa poi incidere ed essere effettivamente una guida per i livelli territoriali. Questo è ciò che volevo dire a proposito della sanità.
Tutti noi poi abbiamo riflettuto sul fatto che bisogna rivedere il Titolo V della Costituzione, forse definendo anche con specifiche leggi ordinarie le materie di competenza esclusiva e concorrente. Il Partito Democratico ha presentato un progetto di legge costituzionale per reinserire la clausola di supremazia, sostanzialmente inserendo due punti. Intanto normando la Conferenza Stato-Regioni, che in questa fase è stata molto importante, ma che di fatto non è normata e invece va normata, perché questa sua importanza venga regolata, rispetto agli atti che poi assume, e poi definendo una clausola di supremazia. Laddove c'è l'interesse nazionale, che deve essere reinserito, deve esserci per lo Stato la possibilità di intervenire. Alcuni ritengono che già ora, a Costituzione vigente, questo sia possibile, tuttavia in questa esperienza abbiamo visto che troppe cose in alcuni momenti non hanno funzionato come avrebbero dovuto nel rapporto fra Stato e Regioni. Penso quindi che su questo ci sia bisogno di un intervento del Parlamento. (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pellegrini Emanuele. Ne ha facoltà.
PELLEGRINI Emanuele (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, inizio il mio intervento con un numero: 607.863, all'attenzione del senatore Coltorti. La Regione Lombardia è la Regione che ha effettuato più tamponi in tutta Italia. (Applausi).
Io non accetto che, in una discussione relativa a un decreto-legge che tratta tutt'altro rispetto alla Lombardia, si dicano delle falsità - perché queste sono falsità - e si muova un attacco a una istituzione, ma soprattutto a una popolazione, che ha subito una tragedia. Lo dico al senatore Coltorti, di cui io, fino a oggi, avevo grande stima: io ho perso degli amici giovani, ho perso delle persone che mi erano care e non accetto che si attacchi strumentalmente una situazione di questo tipo. (Applausi).
Da settimane siamo di fronte ad attacchi totalmente strumentali, biecamente politici, che non hanno nulla a che vedere con l'analisi di quella situazione, davvero tragica, che abbiamo dovuto affrontare. Voglio vedere voi, chiusi in casa, con un bambino di sette anni, come ho fatto io, ad ascoltare nella strada ambulanze su ambulanze, persone che morivano e non certo per le carenze del servizio lombardo. (Commenti).
PRESIDENTE. Vi pregherei, su questi temi, di lasciare parlare l'oratore. Ciascuno può apprezzare o meno, ma non credo che siano argomenti su cui possiamo fare polemica o disturbare. (Applausi).
Prego, senatore.
PELLEGRINI Emanuele (L-SP-PSd'Az). Mi rivolgo al MoVimento 5 Stelle, al senatore Coltorti. Oggi siamo qui a discutere della conversione di un decreto-legge che è stato presentato dal presidente Conte, dal ministro Speranza, dal ministro Bonafede e dal ministro Gualtieri. Dove sono? Dove sono oggi a discutere di questa cosa, di quella che, di fatto, è una maxisanatoria amministrativa? Ecco che cos'è. (Applausi).
Abbiamo semplicemente assistito: un decreto-legge che è passato alla Camera, che è stato varato il 25 marzo e approvato alla Camera il 14 maggio. Oggi che giorno è? Questa è la centralità del Parlamento? Questo è il rispetto per i rappresentanti del popolo? (Applausi).
È più facile attaccare la Lombardia. Ma andiamo a vedere le altre Regioni che cosa hanno fatto, i numeri che hanno dovuto subire; vediamoli, cerchiamo di capire qual è il problema.
Io apprezzo - anche se non sono d'accordo - l'intervento della senatrice Pinotti: vogliamo fare una riflessione? Facciamola, ma la facciamo pacatamente, senza utilizzare i media, senza utilizzarli biecamente per cercare di attaccare una parte politica. (Applausi).
Perché è così che si fa politica. Da quando sono piccolo ascolto i discorsi in queste Aule e mi hanno sempre insegnato che qui dentro si deve fare politica, non si deve portare il proprio rancore personale. E scusate se oggi lo sto portando, perché io oggi sono lombardo, sono brianzolo e sono orgoglioso di esserlo! (Applausi).
Non accetto quando si infanga l'onore della mia terra.
In questo provvedimento si doveva parlare di equilibrio, di rispetto della Costituzione. Dov'è il rispetto della Costituzione? Andiamo a sanare atti amministrativi a posteriori, come hanno già detto altri miei colleghi. Ma di cosa stiamo parlando? (Applausi).
Il decreto-legge, come dicevo, è una maxisanatoria. La discussione è stata totalmente inesistente, perché si è svolta solo alla Camera dei deputati: si sa, noi del Senato non contiamo nulla. Gli emendamenti sono stati respinti in blocco. Io personalmente ho predisposto emendamenti che riportavano al centro questa Assemblea, ma non perché vogliamo avere noi l'ultima parola, ma perché, anche in fase emergenziale, un uomo solo al comando, quale è il presidente Conte, anche lui, può sbagliare. Noi riteniamo che abbia sbagliato tanto, ma in generale chiunque può sbagliare. Dobbiamo ricordare al presidente Conte e a tutto il Governo di ascoltare, che è una dote rara oggi. (Applausi).
Ascoltare è la prima dote. Se non ascoltiamo, prima o poi sbagliamo. (Applausi).
Dov'è il presidente Conte? Questo è un decreto per lui perché questo, come dicevo prima, serve a colmare i vuoti di costituzionalità che forse ci siamo dimenticati. Noi qui siamo a dire: presidente Conte, quanto ha fatto prima va bene; le diamo la possibilità di decidere delle nostre vite. Io non lo accetto e non do in mano al presidente Conte la mia vita, io la do in mano al Parlamento, perché è qui che dobbiamo decidere le regole.
Nel presidente Conte vedo colui che ha attaccato di più la Regione Lombardia. Ricordiamocelo! Ma quando si dice che ci deve essere rispetto istituzionale tra Regioni e Stato centrale, la cosa deve essere reciproca. Io ho visto quando il Presidente del Consiglio non ha dato minimamente ascolto agli appelli che sono arrivati dalle Regioni. Non ha mai dato ascolto perché doveva andare dalla D'Urso. (Applausi).
Il presidente Fontana si è rinchiuso nei suoi uffici per stare vicino alla macchina amministrativa. Dove era il presidente Conte?
Che cos'è il presidente Conte alla fine? È un alunno che sbaglia il compito a casa. La maestra lo riprende: si firma la giustificazione - perché se la firma da solo - e al momento dell'esame di riparazione, qui, manda qualcun altro. Con tutto il rispetto, Vice Ministro, manda qualcun altro. A casa mia gli esami di riparazione li deve fare chi è stato rimandato e questo Governo, il presidente Conte in particolare, è stato rimandato e prima o poi ritornerete a casa! (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rizzotti. Ne ha facoltà.
RIZZOTTI (FIBP-UDC). Signor Presidente, colleghi, a quattro giorni dalla scadenza di questo decreto-legge trovarci in quest'Aula a discutere di qualcosa che è già passato è veramente una cosa indegna, perché rappresenta il caos che il Governo è stato in grado di creare in questi mesi di emergenza.
Da quando è iniziata l'emergenza Covid gli italiani sono stati costretti a rimanere nelle proprie case, ma anche e soprattutto a subire una spettacolarizzazione degli eventi susseguitisi negli ultimi mesi che non ha certo fatto onore alle istituzioni.
La linea comunicativa del Governo è degna di una delle peggiori puntate del «Grande fratello» - d'altronde - perché alla ricerca di colpi di scena, costanti spettacolarizzazioni e svilenti cadute di stile. Le conferenze stampa del Presidente del Consiglio nei giorni più difficili dell'emergenza sanitaria, iniziate sempre in ritardo a reti unificate, l'utilizzo di Facebook invece dei canali istituzionali, i decreti prima annunciati e poi resi esecutivi e, in ultimo, l'arroganza nel rispondere ai giornalisti sono l'emblema di una strategia comunicativa cinica e di pessimo gusto. Questa spettacolarizzazione certamente ha fatto perdere quel poco di credibilità.
Forza Italia in questi mesi ha avuto un atteggiamento responsabile; ha cercato di fornire proposte e soluzioni perché l'emergenza potesse essere contenuta. Non è stata mai ascoltata, come tutte le proposte dell'opposizione. (Brusio).
PRESIDENTE. Colleghi, pregherei di lasciare parlare con un po' di serenità la senatrice.
RIZZOTTI (FIBP-UDC). Grazie, Presidente. Forse l'idea «andrà tutto bene» del Governo aveva l'obiettivo di creare una perdita di PIL del 9 per cento, di regolarizzare 600.000 irregolari, di esautorare il Parlamento in ogni decisione e di far perdere la pazienza, oltre che la speranza, a 60 milioni di italiani.
Il sistema non ha funzionato e non funziona perché il Governo non si assume le proprie responsabilità, perché non è in grado di programmare, di organizzare e prendere decisioni importanti che vadano nella direzione delle necessità dei cittadini. Gli esempi sono talmente tanti che per il mio intervento avrei bisogno di un mese. Faccio, però, un esempio. Il commissario per l'emergenza annuncia in pompa magna le mascherine a 0,50 centesimi e fa battute su chi solleva dubbi definendoli liberisti da divano. Dopo una settimana, però, non sa come giustificare il fatto che le mascherine siano introvabili e scarica la responsabilità prima sulle dogane e poi sui farmacisti. Ebbene, non avrebbe dovuto dimettersi: si sarebbe dovuto prendere a calci da solo. Il commissario Arcuri dimostra di essere incompetente e arrogante ogni volta che parla.
Certo, senatrice Pinotti, le Regioni hanno subito un grande caos e hanno lamentato fin dall'inizio la mancanza di dialogo e di organizzazione a livello centrale. Si sarebbe potuto superare tutto senza commissari, senza spendere altro denaro pubblico, semplicemente utilizzando lo strumento che a livello sanitario centrale era l'unico che non ha mai fatto mancare i risultati e mi riferisco all'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Ma il direttore era scomodo, visto che era già stato applicato lo spoil system e il Ministro della salute ha iniziato a fare scelte inquietanti, per non dire bolsceviche, tanto più in un momento drammatico come quello che stavamo vivendo, in emergenza e questa emergenza sta sfruttando per riportare la sanità a livello centrale, non per migliorarla, ma per un puro potere politico.
Come nel 2001 per tre voti dalla maggioranza di centrosinistra, sapendo che avrebbe vinto il centrodestra, è stato cambiato il Titolo V per favorire le Regioni che erano per la maggior parte di colore rosso, così adesso, sapendo che le Regioni, quando potranno votare anche le prossime, saranno la maggioranza di colore diverso, allora si cerca di togliere il potere alle Regioni commissariando la sanità.
In genere, si arriva a commissariare un'agenzia per infiltrazioni criminali o per problemi di bilancio, ma AGENAS, con la gestione Bevere, si era distinta per efficienza e trasparenza, chiudendo addirittura con un attivo di sei milioni di euro. Il nuovo commissario, secondo le nuove norme, avrà poteri speciali che termineranno dopo dodici mesi dalla fine del Covid, ma quello che più preoccupa è che prenderà ordini dal Ministro della salute e dalla direzione del Ministero, perdendo ogni autonomia nel supportare le Regioni ed è bene che oggi tutti gli assessori delle Regioni, all'unanimità, abbiano votato contro questa decisione del Governo, ma il disegno è chiaro: come avevamo anche profetizzato, diventa più nitido rileggendo il decreto rilancio.
Prendiamo atto che il Ministero farà assunzioni a pioggia per titoli ed esami: la palese presa in carico autoritaria di un Ministro pronto a mettere i suoi uomini per gestire la sanità pubblica senza alcuna interferenza. Questo disegno è appoggiato anche dal MoVimento 5 Stelle, avendo presentato un disegno di legge per la riforma del Titolo V, ma allo stesso tempo abbiamo un Vice Ministro che lamenta la trasparenza negli atti: si è dovuto ricorrere ad osservatori nelle riunioni del comitato scientifico, perché gli atti delle decisioni prese sono segreti.
Credo che il Ministero della salute a breve ammainerà la bandiera tricolore per far sventolare magari quella rossa con falce e martello, non so. Questo non avverrà, perché spero che presto, appena l'emergenza sarà passata, saranno gli italiani a far sventolare la bandiera della libertà col proprio voto. A proposito di libertà, liberalizzare 600.000 immigrati irregolari con la scusa che manca il lavoro nei campi sintetizza tutta l'ipocrisia della sinistra. Invece di fare come la Francia, dove in 200.000 tra disoccupati e cassaintegrati si sono messi a disposizione, in Italia piuttosto che ricorrere ai percettori di reddito di cittadinanza o ai voucher come è stato proposto, si regolarizzano gli immigrati. Sapete qual è la beffa? È che chi li dovrà assumere dovrà pagare 500 euro allo Stato per la loro regolarizzazione!
Siamo nelle mani di un Governo che approva a maggio il decreto aprile, siamo al 20 maggio e migliaia di italiani devono ancora ricevere 600 euro relativi al mese di marzo, o la cassa integrazione e sono scaduti i termini sullo stop ai licenziamenti previsto dal cura Italia, che ha esposto in quest'ultima settimana i lavoratori a possibili licenziamenti.
Se le aziende italiane lavorassero come lo Stato, fallirebbero dopo un giorno. Eppure qualcuno si è anche permesso di ipotizzare di entrare nei consigli di amministrazione, forse per imparare a lavorare, cosa che molti di voi non hanno mai fatto prima di sedere sui banchi del Governo e purtroppo si vede.
Un Presidente del Consiglio che ricopre sia il potere legislativo che esecutivo è un precedente pericoloso. Il Parlamento, come abbiamo visto, è stato ignorato e complimenti per le belle scelte. Noi non dimenticheremo quella notte nella stazione di Milano, le mille autocertificazioni, le FAQ del Governo, le sanzioni amministrative da salasso. Per fortuna poi Forza Italia, con l'emendamento Mandelli alla Camera, le ha fatte diminuire.
È stato vergognoso vedere i disabili chiusi in casa senza bonus da 600 euro, senza riconoscimento per i caregiver, senza sostegno o assistenza sociale e sanitaria e nello stesso tempo vedere trafficanti di droga e boss mafiosi che avevano gli arresti domiciliari.
Ricordo poi che oggi 105 affiliati alla 'ndrangheta calabrese sono stati scoperti, grazie al cielo (ce ne saranno ancora molti), a percepire il reddito di cittadinanza. Beh, fate voi.
Di fronte a questa situazione drammatica, il presidente Conte non ha fatto nessun mea culpa e, invece, con arroganza e superficialità, non risponde alle domande scomode dei giornalisti facendo lo spiritoso, affermando: quando lei sarà al mio posto deciderà cosa fare. Beh, ormai chiunque al suo posto saprebbe fare di meglio.
Abbiamo dovuto aspettare due mesi prima che venisse emanato il decreto-legge cosiddetto rilancio, senza pensare alla notte della manina o della contromanina: i negozi e le attività dovevano riaprire il giorno seguente e non c'erano ancora le linee guida.
Credo che le potenze di fuoco, signori della maggioranza, si stanno spegnendo con le lacrime che ogni giorno vediamo versare agli italiani in difficoltà! Vorrei invece che il nostro Paese potesse accendere un nuovo fuoco, ripartendo dalla speranza e dall'orgoglio di aver superato una fase così critica e il merito di questo è solo dei medici, degli infermieri e degli operatori sanitari che, nonostante questo Governo, sono stati in grado di raggiungere importanti obiettivi; persone alle quali avete dato 70 euro e tolto forse 1.000 euro di bonus.
Penso anche alle autopsie fatte nonostante il divieto del Ministero della salute, che sono state l'unico modo per capire come si poteva combattere il Covid. In Inghilterra è stato condotto uno studio, pubblicato proprio due giorni fa, che ci ringrazia per questo. Penso al professor Crisanti, che si è fatto i reagenti in laboratorio. Al senatore Ciampolillo, che si chiedeva perché il professor De Donno e il suo ospedale sono stati ignorati, rispondo che è avvenuto perché non era amico di nessuno, al contrario dell'ospedale di Pisa, in Toscana, una Regione rossa, ben raccomandata da qualche partito di maggioranza. Per fortuna almeno adesso, grazie alle nostre battaglie e alle nostre interrogazioni, siamo a 56 centri per sperimentare la plasmoterapia, e chi vuole intendere intenda.
Concludo, dicendo che certamente quei ribelli, come li avete considerati, hanno dimostrato di saperne di più di chi dava loro delle regole. Anche noi siamo ribelli, avremmo preferito essere maggiormente ascoltati, ma noi continueremo a portare avanti le nostre istanze in nome di tutti i cittadini di questo Paese, perché vogliamo alimentare la speranza che hanno milioni di Italiani di ripartire con cautela, ma di far vincere ancora una volta l'Italia e mandarvi a casa (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Evangelista. Ne ha facoltà.
EVANGELISTA (M5S). Signor Presidente, colleghi, con la delibera del 31 gennaio del 2020 il Consiglio dei Ministri ha dichiarato per sei mesi (quindi fino al 31 luglio 2020) lo stato di emergenza nazionale in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie da agenti virali trasmissibili. La durata di 6 mesi è prorogabile e rinnovabile in caso di necessità per altri sei mesi.
Ebbene, in una situazione così drammatica, fin da subito organi costituzionali, politici, con la connivenza di alcuni mezzi d'informazione, hanno alimentato divisioni tra maggioranza e opposizione, dubbi, guerre tra Stato e Regioni, sospetti di sospensione dell'attività del Parlamento, che in realtà non è stato mai chiuso e mai si è fermato. Forse però quella parte politica che con il lockdown ha perso le piazze ha pensato di tornare a lavorare proprio con la crisi sanitaria, occupando inutilmente le aule delle Camere con le stesse modalità degli studenti delle assemblee universitarie. I cittadini però non sono stupidi né disinformati e sanno bene che nulla è stato fatto da questo Governo senza adeguata legittimazione e senza la ratifica del Parlamento.
La stessa delibera che ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale non è il frutto dell'azione arbitraria del Presidente del Consiglio, come si è fatto intendere in modo spregiudicato in queste Aule, bensì dell'applicazione di leggi vigenti nel nostro ordinamento. Si tratta anzitutto dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 1 del 2018, cioè il codice della Protezione civile, che prevede addirittura per il Governo la possibilità di dichiarare lo stato di emergenza nazionale per dodici mesi, prorogabili per non più di altri dodici mesi. La delibera trova però legittimità anche in un'altra norma di rango primario, addirittura precedente, cioè la legge n. 59 del 2012, che statuisce che in caso di calamità naturali, catastrofi o altri eventi, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale, in stretto riferimento alla qualità e natura degli eventi. Con le stesse modalità si procede all'eventuale revoca al venir meno dei presupposti.
Pertanto appare evidente l'infondatezza di tutte le polemiche sorte in questi mesi sull'intenzione del presidente Conte di nascondere l'emergenza o sull'incostituzionalità della delibera e ancor meno di quella del ritardo. Basti ricordare che la dichiarazione di emergenza dell'Organizzazione mondiale della sanità, diffusa pubblicamente sul suo sito Internet è del 30 gennaio 2020 e così anche le raccomandazioni alla comunità da parte di quest'ultima circa la necessità di applicare misure adeguate. È sempre del 30 gennaio il primo caso in Italia di Covid-19, cioè i due turisti cinesi a Milano, poi ricoverati allo Spallanzani di Roma.
Senonché immediatamente, dopo la delibera del 31 gennaio, ma prima del lockdown del 9 marzo, il Consiglio dei ministri emanava il decreto-legge n. 6 del 2020, con il quale adottava misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19. Il famoso decreto-legge da cui è scaturito l'hashtag «io resto a casa».
In serata il presidente Conte firmava il primo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione, disponendo tra l'altro nei Comuni e nelle aree, dalle quali risultava positiva almeno una persona, per la quale non era dato sapere la fonte di trasmissione, che le autorità competenti fossero tenute ad adottare ogni misura di contenimento adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica. In conseguenza venivano istituite le zone rosse nei Comuni di Lombardia e Veneto.
Ricordiamo, tra le diverse misure adottate, il divieto di allontanamento, il divieto di accesso al Comune all'area interessata, la sospensione dei servizi educativi dell'infanzia, delle scuole, dei viaggi d'istruzione, la sospensione dell'apertura al pubblico dei musei, l'applicazione della quarantena con sorveglianza attiva e le relative sanzioni. Sempre in attuazione del decreto-legge n. 6 del 2020, veniva adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 febbraio 2020, al fine di introdurre ulteriori misure restrittive in materia di manifestazioni sportive e restrizioni negli istituti penitenziari.
È vero, sì, seguivano diversi decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, contenenti misure che hanno sicuramente ristretto le libertà fondamentali dei cittadini, ma necessarie in quel periodo, fino ad arrivare addirittura a quelli che hanno esteso tutte le misure anzi dette a tutto il territorio nazionale; disponevano anche la chiusura dei negozi, esclusi quelli di generi alimentari e delle farmacie, e la chiusura di tutte le attività produttive.
È così che arriviamo al 24 marzo, quando il Consiglio dei ministri approva il decreto-legge che oggi ci apprestiamo a votare, già approvato alla Camera dei deputati, che assorbe il decreto-legge n. 6 del 2020.
Ecco, allora, appare evidente da questo breve excursus, che non vi è stata mai alcuna violazione della gerarchia delle fonti da parte del Governo, il quale invece attraverso due fondamentali decreti-legge, il n. 6 e, poi, il n. 19 e, quindi, norme di rango primario, con la piena legittimità dell'organo titolare del potere legislativo e rappresentativo del popolo sovrano, il Parlamento, ha potuto attraverso i conseguenti atti attuativi di alta amministrazione, quali sono i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, gestire lo stato di emergenza sanitaria da pandemia. Lo ha fatto intervenendo a più riprese, con cautela e prudenza, ogni volta che ciò era richiesto dalla situazione epidemiologica del momento e ciò sempre al fine di limitare il meno possibile, per gradi e per il minor tempo possibile, i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione ai cittadini.
Allora, signori, non è dato comprendere tutte le accuse strumentali che in questi mesi sono state fatte dalle opposizioni, le quali hanno parlato impropriamente di sospensione della democrazia, hanno vaneggiato di violazione addirittura di norme costituzionali. Ciò al fine di mettere in difficoltà un Governo nel pieno di una pandemia, come se altri governanti, al posto di quelli che si sono trovati in questa situazione, avrebbero potuto fare di meglio. Chi, allora, dice che la Costituzione è stata violata, non conosce il nostro ordinamento giuridico, cioè i poteri di emanazione dei DPCM, che non sono affatto pieni poteri. È la stessa Costituzione che ritiene ammissibile che la legge ordinaria attribuisca all'autorità amministrativa l'emanazione di atti normativi, purché la legge indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'organo cui il potere è stato attribuito.
Dunque, nessun golpe, come ha affermato irresponsabilmente una parte politica, ma un Governo responsabile, che ha agito e non senza dolore. Non posso non ricordare le lacrime di Conte in diretta TV, perché comprimere i diritti costituzionali non è un'operazione indolore.
Alla Camera, con un emendamento al decreto-legge che oggi siamo chiamati a votare, i DPCM sono stati parlamentarizzati, ossia è stato stabilito che d'ora in avanti - ricordiamoci che siamo nella fase 2, quella di allentamento delle misure restrittive e limitative dei diritti costituzionali garantiti - i DPCM debbono essere illustrati al Parlamento da parte del Presidente del Consiglio dei ministri prima dell'emanazione o almeno entro quindici giorni dalla stessa. Infatti, proprio domani il presidente Conte verrà alle Camere per illustrarci il DPCM del 17 maggio.
Signor Presidente, concludo con un auspicio: che questo Paese si riprenda il più presto possibile sia dallo shock economico sia dal collasso sanitario, e che non ci sia più bisogno di DPCM, perché ciò significa che non siamo più in stato di emergenza sanitaria. Ringrazio l'Assemblea tutta. (Applausi).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
SILERI, sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, sarò brevissimo.
Ho ascoltato davvero con interesse tutto ciò che è stato detto e ho preso anche appunti. Ribadendo la sovranità dell'Assemblea, devo dire - e parlo in qualità di medico più che di Vice Ministro e politico - che ho trovato cose giuste in gran parte degli interventi di diversi oratori. La verità è che è difficile oggi tirare le somme: abbiamo 33.000 morti e altri ne abbiamo davanti. Parleremo di questo per giorni, mesi, anni, decenni.
Trovo sbagliato quanto è stato detto della Lombardia: io non accuso nessuno; credo che la Lombardia abbia vissuto un dramma, e dalle parole del senatore Pellegrini traspare il dramma di aver perso amici. Non credo che questo sia il momento di dire chi ha sbagliato e chi ha fatto bene. Credo, invece, che sia il momento di dire che in questa guerra vince chi sbaglia meno, e quanto abbiamo sbagliato - chi di noi ha sbagliato - lo scopriremo solo negli anni a venire.
Davvero rivolgo un invito a tutti, e parlo da medico perché questo fa male al medico e ai miei colleghi, a coloro che stanno in prima linea, a chi è morto, a coloro che erano a mani nude. (Applausi). Sono mancati i dispositivi.
La Lombardia ha vissuto un dramma vero, e io non me la sento di dire se si è sbagliato qualcosa o meno. Io per primo non sono in grado di dirlo, e faccio il medico; sono l'unico medico del Governo. Parlo con i miei colleghi e, nonostante tutto, non sono in grado di dire chi ha sbagliato. Invito, quindi, chiunque qui dentro a fare la stessa cosa. Invito chiunque a rispettare gli oltre 32.000 morti e quelli che abbiamo davanti, perché, purtroppo, ancora qualcun altro morirà.
Ho sentito parlare di terapie; ho sentito parlare di carenze per l'autismo. Ho sentito parlare di tantissime carenze. Sicuramente molte cose potevano essere fatte meglio, ma ha detto bene la senatrice Pinotti: stasera, ognuno di noi, quando torna a casa, chiuda gli occhi, spenga il telefonino, si prenda un quarto d'ora e ripensi a come viveva il 29 gennaio, quando abbiamo scoperto i primi due turisti cinesi positivi a Roma, a quando il 21 febbraio sono arrivati i primi positivi a Codogno, e poi piano piano arrivi fino ad oggi. Vedrete che probabilmente nessuno di noi potrà dire se davvero potevamo far meglio, anche se con il senno del poi sicuramente è più facile, ma ricordatevi i tre mesi appena trascorsi, ricordatevi gli oltre 32.000 morti, ricordatevi i medici, gli infermieri. Nessuno di noi potrà dire quanti morti avremmo avuto se l'Italia non fosse stata chiusa, probabilmente sei volte tanto quelli che abbiamo osservato oggi. Ne parleremo per moltissimi anni ancora. Quindi, vi prego, abbiate rispetto per tutti. (Applausi).
PRESIDENTE. La ringrazio, signor vice Ministro, in realtà pensavo di dare la parola direttamente al Ministro ma il suo intervento è stato apprezzato.
Ha chiesto di intervenire il ministro per i rapporti con il Parlamento, onorevole D'Incà. Ne ha facoltà.
D'INCA', ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, a nome del Governo, autorizzato dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione senza emendamenti né articoli aggiuntivi dell'articolo unico del disegno di legge n. 1811 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, nel testo identico a quello approvato alla Camera dei deputati.
PRESIDENTE. La Presidenza prende atto dell'apposizione della questione di fiducia sull'approvazione del disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n. 19, nel testo identico a quello approvato dalla Camera dei deputati.
Sospendo la seduta in attesa che il presidente Alberti Casellati convochi la Conferenza dei Capigruppo.
Onorevoli colleghi, dico a chi aveva preannunziato gli interventi di fine seduta che mi sembra più opportuno rinviarli a domani perché non saprei dirvi quando potremmo riprendere i lavori.
La seduta è sospesa.
(La seduta, sospesa alle ore 19,55, è ripresa alle ore 20,47).
Presidenza del presidente ALBERTI CASELLATI
Sui lavori del Senato
Organizzazione della discussione della questione di fiducia
PRESIDENTE. La Conferenza dei Capigruppo ha proceduto all'organizzazione dei lavori sulla questione di fiducia posta dal Governo sul disegno di legge di conversione del decreto-legge emergenza epidemiologica Covid-19, nel testo approvato dalla Camera dei deputati.
Nella seduta di domani, a partire dalle ore 9,30 avranno luogo le dichiarazioni di voto finali e la chiama.
I senatori entreranno in Aula a gruppi di 50 ogni dieci minuti, iniziando dai membri del Governo ed esprimeranno il proprio voto con passaggio al centro dell'emiciclo ed uscita immediata dall'Aula attraverso la porta posteriore.
L'ordine del giorno della seduta di domani prevede inoltre, alle ore 12, l'informativa del Presidente del Consiglio dei ministri sulle misure per la nuova fase relativa all'emergenza epidemiologica da Covid-19, mentre la discussione del decreto-legge sulla conclusione dell'anno scolastico è rinviata alla seduta di martedì 26 maggio.
Martedì 26 maggio, alle ore 15, è convocata la Conferenza dei Capigruppo.
Atti e documenti, annunzio
PRESIDENTE. Le mozioni, le interpellanze e le interrogazioni pervenute alla Presidenza, nonché gli atti e i documenti trasmessi alle Commissioni permanenti ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento sono pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.
Ordine del giorno
per la seduta di giovedì 21 maggio 2020
PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica domani, giovedì 21 maggio, alle ore 9,30, con il seguente ordine del giorno:
La seduta è tolta (ore 20,49).
Allegato A
MOZIONI
Mozioni di sfiducia individuale nei riguardi del Ministro della giustizia
(1-00230 p.a.) (07 maggio 2020)
Romeo, Ciriani, Bernini, Augussori, Balboni, Bergesio, Borghesi, Briziarelli, Calderoli, Candiani, de Bertoldi, Faggi, Fazzolari, Ferrero, Fregolent, Fusco, Garnero Santanchè, Grassi, Iannone, Iwobi, La Pietra, La Russa, Lunesu, Malan, Marti, Montani, Nisini, Ostellari, Emanuele Pellegrini, Pepe, Pergreffi, Pillon, Rauti, Saponara, Stefani, Urraro, Urso, Zaffini, Aimi, Alderisi, Barachini, Barboni, Battistoni, Berardi, Biasotti, Binetti, Caliendo, Caligiuri, Carbone, Causin, Damiani, De Siano, Fantetti, Fazzone, Ferro, Floris, Galliani, Gallone, Gasparri, Ghedini, Giammanco, Giro, Lonardo, Mallegni, Mangialavori, Alfredo Messina, Minuto, Modena, Moles, Pagano, Papatheu, Paroli, Perosino, Pichetto Fratin, Rizzotti, Ronzulli, Saccone, Sciascia, Serafini, Testor, Tiraboschi, Toffanin, Vitali, Rossi. -
Respinta
Il Senato,
premesso che:
durante una telefonata in diretta trasmessa nel corso del programma "Non è l'Arena" del 3 maggio 2020, il pubblico ministero Nino Di Matteo dichiarava che, nel giugno 2018, il ministro Bonafede lo avrebbe contattato e gli avrebbe richiesto la disponibilità ad accettare il ruolo di capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) o, in alternativa, quello di direttore generale degli Affari penali "Il posto che fu... di Giovanni Falcone";
prima di chiudere la telefonata, Di Matteo chiedeva e gli venivano concesse dal ministro 48 ore di tempo per decidere se accettare o meno gli incarichi offerti; forse ancora convinto che, come in campagna elettorale, il Movimento 5 Stelle avrebbe continuato a dipendere dalle sue scelte;
secondo quanto dichiarato da Di Matteo nella citata telefonata, "alcune note informazioni che il GOM (gruppo operativo mobile) della Polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura nazionale antimafia ma anche alla direzione del DAP e quindi penso fossero conosciute dal Ministro", e "avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia legati anche a Giuseppe Graviano e ad altri stragisti, alla indiscrezione che io potessi essere nominato Capo del DAP quei capimafia dicevano: se nominano Di Matteo è la fine";
dopo appena 24 ore, Di Matteo, assunta la decisione di accettare la nomina, si recava dal ministro Bonafede "improvvisamente il Ministro mi disse che sostanzialmente ci aveva ripensato", optando per la nomina a capo DAP del dottor Francesco Basentini. Di fatto, secondo quanto dichiarato dallo stesso pubblico ministero, "mi sono ritrovato ad essere designato diciamo come capo del DAP e nel momento in cui ero andato lì per comunicare la mia risposta affermativa, mi trovai di fronte a questo diciamo dietrofront";
durante la stessa puntata della trasmissione "Non è l'Arena", in seguito all'interlocuzione telefonica di Di Matteo, è intervenuto anche il ministro Bonafede confermando che il pubblico ministero stesso gli avrebbe chiarito l'esistenza di intercettazioni all'interno degli istituti penitenziari "...che dicevano che in caso di scelta di Di Matteo mi pare che la dichiarazione fosse, l'intercettazione fosse: "amma a fà ammuina.... ";
il Ministro stesso confermava di essere già al corrente delle intercettazioni, perché "...se non ricordo male già pubblicata sul Fatto Quotidiano..." e che comunque gli erano note per via del suo ruolo e dei rapporti con il NIC: "sono intercettazioni di cui il ministro dispone perché sono intercettazioni che fa il NIC che è un corpo della polizia penitenziaria";
valutato che:
la decisione finale della nomina del capo del DAP è in capo al Ministro della giustizia; il ruolo di capo del DAP esige un alto profilo istituzionale, competenze in materia penitenziaria e una specifica capacità interlocutoria per il 41-bis;
i due ruoli, ovvero il ruolo di capo DAP e la Direzione generale affari penali, non sono equiparabili e che il ruolo di "direzione generale affari penali" non è assimilabile al "ruolo che fu di Falcone", in quanto a quei tempi non c'erano i Dipartimenti e di conseguenza il ruolo della Direzione generale affari era centrale anche nella lotta contro la mafia;
il Ministro non può, per legge, disporre direttamente di questo secondo ruolo, essendo non solo già occupato al momento della proposta a Di Matteo, ma anche un incarico contrattuale soggetto a concorso obbligatorio;
lo stesso Bonafede ha soppresso la Direzione affari penali unificandola alla Direzione affari civili in una nuova Direzione affari interni, nominandone direttore generale un magistrato civilista (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 giugno 2019, n. 99);
la nomina a capo DAP del dottor Basentini, che non poteva vantare specifiche competenze ordinamentali in materia penitenziaria e antimafia, è stata una scelta del ministro Bonafede, di cui il Guardasigilli deve assumersi tutte le responsabilità;
considerato che:
i primi di marzo sono scoppiate violentissime e apparentemente coordinate rivolte negli istituti penitenziari italiani;
la magnitudine e l'intensità delle rivolte è testimoniata dal numero dei feriti, dei morti e dall'importo di 30 milioni di euro che il Governo ha stanziato per i primi interventi di recupero;
è serpeggiata l'idea che ad alimentare le rivolte fosse la criminalità organizzata;
l'ipotesi di una regia occulta è stata seguita da diverse Procure d'Italia, che hanno aperto fascicoli sulle rivolte in cui sono confluite informative del Nucleo investigativo centrale (il reparto speciale della Polizia penitenziaria che si occupa di criminalità organizzata) e del GOM;
secondo tale ricostruzione, le rivolte erano dunque finalizzate ad alimentare la discussione su indulti, amnistie e provvedimenti, che avrebbero potuto alleggerire il carcere anche per gli uomini della criminalità organizzata;
il ministro Bonafede, viceversa, inizia ad avanzare ipotesi di interventi normativi volti incredibilmente ad accogliere le richieste dei rivoltosi, ma soprattutto ad accettare il principio, indimostrato e scientificamente falso, del nesso di causalità fra detenzione in carcere e contagio;
il 17 marzo entra in vigore il decreto cosiddetto "Cura Italia" (decreto-legge n. 18 del 2020) con la disposizione di cui all'art. 123, che prevede che la pena detentiva di 18 mesi, anche se parte residua di maggior pena, sia eseguita presso il domicilio per fronteggiare l'emergenza Coronavirus;
la disposizione escludeva i mafiosi, ma introduceva il pericoloso, indimostrato e falso nesso di causalità fra il rischio di contagio e lo stato di detenzione di cui avrebbero beneficiato anche i mafiosi;
la circolare del DAP del 21 marzo 2020 prevedeva che "le Direzioni comunicheranno con solerzia all'Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza, il nominativo del ristretto che dovesse trovarsi nelle predette condizioni di salute (o altre valutate di analogo rilievo dalla direzione sanitaria)";
tutti i provveditori e direttori degli Istituti penitenziari hanno ricevuto dal Ministero della giustizia l'obbligo di comunicare alle autorità giudiziarie i nominativi di detenuti affetti da patologie con il "rischio" di complicanze per "eventuali determinazioni di competenza";
in seguito al clamore sollevato dalla scarcerazione di numerosi boss mafiosi dal 41-bis, il Dipartimento ha negato, in un comunicato, di aver diramato la circolare con l'obiettivo di scarcerare anche i detenuti più pericolosi, ma di aver chiesto solo un monitoraggio;
tale giustificazione è smentita dal testo stesso della circolare che, nei fatti, scaricava sulla Magistratura di sorveglianza la responsabilità, imponendo in sostanza la scarcerazione di condannati, tra cui anche quelli incarcerati per mafia;
anche questa situazione appare tuttora degna di urgenti approfondimenti, a fronte del fatto che il Ministro non ha reso alcuna spiegazione plausibile, né si è assunto alcuna responsabilità, pur tentando goffamente di trovare una via d'uscita, senza riuscirvi;
evidenziato che:
da parte del vertice del DAP, a fronte dell'emergenza sanitaria nazionale, non è stata messa a punto alcuna strategia per evitare prevedibili e già noti disordini e rivolte negli istituti penitenziari, che hanno coinvolto seimila detenuti (di cui quattordici deceduti per overdose), una quarantina di agenti feriti, oltre trenta milioni di euro di danni alle strutture carcerarie con interi reparti devastati, oltre ad un'allarmante evasione di massa (settantadue evasi);
non sono state predisposte, all'interno degli istituti, adeguate misure di prevenzione sanitaria e anti-contagio COVID-19 a tutela di detenuti, operatori e visitatori;
non sono stati dotati di presidi sanitari adeguati, donne, uomini e operatori degli istituti penitenziari mettendoli tutti a grave rischio della loro salute;
l'inadeguatezza della gestione di questi eventi fa parte di un quadro generale di carenze e insufficienze del sistema che non potevano essere sconosciute al Ministro; a fronte di tutto questo, il Ministro in varie occasioni non si è mai assunto alcuna responsabilità;
evidenziato altresì che:
la mancanza di un piano operativo da attuare in caso di emergenza sanitaria da parte del Ministero della giustizia e, nella fattispecie, del Dipartimento organizzazione giudiziaria (DOG), non ha reso possibile l'applicazione di modalità operative telematiche omogenee per il deposito degli atti penali per tutti i tribunali italiani così sottoponendo ad un concreto rischio contagio COVID-19 gli avvocati italiani;
terminata la fase generalizzata di sospensione dell'attività giudiziaria, appare inadeguata e non sufficientemente regolamentata la partenza della fase due dall'11 maggio 2020, che potrebbe creare situazioni di grande confusione nelle cancellerie e nei tribunali a discapito degli operatori della giustizia, nonché pericoli concreti di contagio COVID-19;
constatato che:
in seguito a queste controverse vicende, tra cui le citate tragiche rivolte dello scorso marzo in alcuni istituti penitenziari e le scarcerazioni dal 41-bis di numerosi boss mafiosi, il dottor Basentini, nominato dal ministro Bonafede al ruolo di capo DAP al posto del dottor Di Matteo, ha rassegnato le dimissioni;
il Ministro ha dimostrato in tutti questi eventi una scarsa conoscenza dell'attività e dell'organizzazione della macchina ministeriale, che dovrebbe dirigere;
il Ministro dichiara di essere venuto a conoscenza di "intercettazioni dal NIC" (nucleo investigativo del Corpo della Polizia penitenziaria), quando il contenuto dovrebbe essere conosciuto solo da chi le ha effettuate materialmente e dall'Autorità giudiziaria che le ha disposte;
il Ministro dimostra di non conoscere le norme, nominando nei giorni scorsi a vicecapo DAP un magistrato privo dei requisiti di anzianità previsti per legge (art. 30 della legge 15 novembre 1990 n. 395; art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015 n. 84). Si tratta infatti di un magistrato di II valutazione di professionalità (decreto ministeriale di nomina a magistrato 2 ottobre 2009), mentre la legge richiede una qualifica di magistrato di Cassazione o quella di direttore generale;
ricordato che nella fase del Governo Conte II il ministro Bonafede si è contraddistinto per una molteplice serie di provvedimenti al limite della costituzionalità e, spesso, non rispettosi degli articoli 27 e 111 della Costituzione, utilizzando la decretazione d'urgenza;
visto l'articolo 94 della Costituzione e visto l'articolo 161 del Regolamento del Senato della Repubblica,
esprime la propria sfiducia al Ministro della giustizia Alfonso Bonafede e lo impegna a rassegnare immediatamente le proprie dimissioni.
(1-00235) (19 maggio 2020)
Bonino, Schifani, Richetti, Aimi, Alderisi, Barachini, Barboni, Battistoni, Berardi, Biasotti, Binetti, Simone Bossi, Caliendo, Caligiuri, Campari, Cangini, Carbone, Causin, Dal Mas, Damiani, De Siano, Fantetti, Fazzone, Ferro, Floris, Galliani, Gallone, Ghedini, Giammanco, Giro, Lonardo, Mallegni, Mangialavori, Masini, Alfredo Messina, Minuto, Modena, Moles, Pagano, Papatheu, Paroli, Perosino, Pianasso, Rizzotti, Ronzulli, Saccone, Sciascia, Serafini, Stabile, Tiraboschi, Toffanin, Vitali, De Falco, Craxi. -
Respinta
Il Senato,
premesso che a giudizio dei proponenti del presente atto di indirizzo:
il ministro Bonafede con le sue iniziative politiche e legislative si è reso promotore e responsabile di una costante manomissione dell'imparzialità della giustizia, dei diritti dei cittadini e dei principi del giusto processo;
la sua azione contro i fondamentali princìpi della civiltà giuridica ha trovato molteplici manifestazioni: dalla violazione del principio di ragionevole durata del processo, allo svilimento delle impugnazioni; dalla negazione costante del fine rieducativo della pena, all'abrogazione di fatto della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, fino all'incapacità di individuare soluzioni di tutela e valorizzazione della magistratura onoraria il cui ruolo è preziosissimo per il sistema giustizia;
il Ministro si è rivelato altresì inadempiente sugli impegni di riforma assunti: su tutti, dopo più di un anno di annunci, non ha ancora proposto per la calendarizzazione in Parlamento il disegno di legge di riforma del processo penale, che avrebbe dovuto precedere, anche a detta del Guardasigilli stesso, la mai troppo criticata, per metodo e sostanza, soppressione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio;
la riforma sulle intercettazioni presentata per decreto dal Governo, anziché porre un invalicabile argine alla diffusione dei dialoghi al di fuori del contesto processuale, è stata finalizzata ad ampliare l'utilizzo di mezzi di ricerca della prova altamente invasivi, quali il captatore informatico, consentendone l'utilizzo indiscriminato oltre i confini del procedimento per cui vengono autorizzati, con ciò comprimendo in modo violento principi costituzionali rilevantissimi;
è responsabilità del Ministro aver predisposto una ragnatela di norme per favorire il processo inquisitorio e la gogna mediatica rispetto al processo celebrato nel contraddittorio delle parti e nelle aule di tribunali e l'aver introdotto il processo penale da remoto, ridimensionato solo dopo avere scatenato critiche durissime, in spregio ai principi di concentrazione, oralità e immediatezza che caratterizzano il processo accusatorio;
a ciò si aggiunga che, mentre il ministro Bonafede, incapace di vigilare sulla trasparenza delle nomine, annunciava, ma non presentava, una riforma del sistema elettorale del CSM per sottrarlo allo strapotere delle correnti, il suo stesso Ministero è divenuto oggetto di scontri e polemiche legate all'influenza delle correnti della magistratura associata nelle nomine di magistrati fuori ruolo, che hanno portato alle dimissioni del suo capo di Gabinetto;
le polemiche sulle scarcerazioni dei detenuti più vulnerabili all'infezione del COVID-19 impongono di aprire una discussione vera, non viziata da tanta dimostrata incapacità gestionale, sullo stato delle carceri, sulle condizioni di detenzione e sull'impossibilità di garantire, all'interno degli istituti di pena, gli stessi standard di igiene e sicurezza previsti e imposti nelle altre strutture pubbliche;
la responsabilità del Ministro della giustizia e del Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria è di avere gestito questo delicatissimo problema con la sufficienza e la negligenza derivante da un'idea puramente afflittiva della pena e con un assoluto difetto di progettualità, evidente anche nei settori dell'edilizia carceraria e giudiziaria;
le misure adottate a seguito della pandemia non hanno potuto rimediare a una situazione di degrado consolidata;
da ultimo, dopo le polemiche seguite alla scarcerazione di alcuni imputati e condannati per reati di criminalità organizzata e mafiosa, la reazione dell'Esecutivo è stata confusa e contraddittoria, fino a giungere all'adozione, con decreto-legge, di un provvedimento che ha imposto la revisione, con effetto retroattivo, delle decisioni precedentemente adottate dei giudici di sorveglianza, con un vulnus esplicito e dichiarato al principio della divisione dei poteri,
visto l'articolo 94 della Costituzione e l'articolo 161 del Regolamento del Senato della Repubblica, esprime la propria sfiducia al Ministro della giustizia Alfonso Bonafede e lo impegna a rassegnare immediatamente le proprie dimissioni.
DISEGNO DI LEGGE
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 (1811)
PROPOSTE DI QUESTIONE PREGIUDIZIALE
Respinta (*)
Il Senato, esaminato il disegno di legge 1811, recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2020, n.19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19", premesso che:
il provvedimento in esame, all'articolo 1, reca un elenco di misure per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus Covid-19 durante il periodo di fase emergenziale, di cui alla delibera del Presidente del Consiglio del 31 gennaio 2020, che possono essere adottate, ai sensi dell'articolo 2, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio (DPCM);
l'articolo 77 della Costituzione prevede uno specifico strumento normativo da adottare in condizioni di necessità e urgenza: il decreto-legge. Questo atto è sottoposto, proprio per la sua importanza di intervento in situazioni straordinarie, al vaglio del Capo dello Stato e, soprattutto, al vaglio del Parlamento chiamato alla sua conversione;
le misure di contenimento del contagio previste dall'articolo 1 incidono evidentemente sui diritti costituzionalmente garantiti limitando, o addirittura sopprimendo, le principali libertà tutelate dalla nostra Carta Costituzionale. A partire dal 9 marzo è stato fatto reiterato ricorso a DPCM restrittivi delle libertà costituzionali, creando una palese violazione delle fonti del diritto, trattandosi di una fonte normativa secondaria di natura regolamentare a dispetto del principio della gerarchia delle fonti, che è il fondamento del diritto costituzionale italiano e che prevede una riserva di legge assoluta con riguardo alle limitazioni alla libertà;
l'articolo 13 della Costituzione riconosce la libertà personale come inviolabile e prevede la competenza esclusiva della legislazione ordinaria per la sua disciplina e l'articolo 16, nell'affermare la libertà di poter circolare e soggiornare nel territorio nazionale senza limiti, affida alla legislazione ordinaria la competenza esclusiva per disciplinare le forme di restrizione. Pertanto, i provvedimenti sostanzialmente amministrativi finora adottati sono palesemente illegittimi. Con il provvedimento in esame, superando quanto di fatto previsto dalla Costituzione, si vorrebbero elevare i decreti del Presidente del Consiglio a leggi ordinarie e, conseguentemente si vorrebbe affidare al decreto legge il ruolo di legge costituzionale;
l'articolo 17 della Costituzione riconosce a tutti i cittadini la libertà di riunirsi pacificamente: la libertà individuale ad uso collettivo permette il libero scambio di opinioni di persone e lo sviluppo della collettività. Se un provvedimento amministrativo può limitare la libertà di riunirsi in nome della suprema tutela della salute pubblica, e se tale provvedimento può essere emanato da una sola persona senza richiedere un'approvazione da parte del Parlamento, che è l'unico organo rappresentativo della volontà popolare, allora si rischia di compromettere gravemente l'assetto democratico della nostra Repubblica;
la sentenza della Corte Costituzionale n.13 del 1994 sottolinea che, tra i diritti che formano il patrimonio irrinunciabile della persona umana, l'articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce il diritto all'identità personale. Si tratta del diritto ad essere se stesso, con il relativo bagaglio di convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenzia, al tempo stesso qualificandolo, l'individuo. A ciascuno, dunque, è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata, indipendentemente da qualsivoglia situazione sociale ed economica. La sentenza n.334 del 1996 specifica che gli articoli 2, 3 e 19 della Costituzione "garantiscono come diritto la libertà di coscienza in relazione all'esperienza religiosa. Tale diritto, sotto il profilo giuridico-costituzionale, rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall'articolo 2" e comporta la conseguenza che in nessun caso il compimento di atti appartenenti, nella loro essenza, alla sfera della religione possa essere oggetto di prescrizioni obbligatorie derivanti dall'ordinamento giuridico dello Stato. L'articolo 1, comma 2, lettera h) del provvedimento in esame prevede che il Presidente del Consiglio possa, con un suo atto, sospendere le cerimonie religiose e limitare l'accesso ai luoghi di culto. Pertanto, impedendo ai credenti di poter ricevere i sacramenti, addirittura in punto di morte e imponendo, come ha fatto in questi mesi, la pratica della cremazione, non conforme alla religione cattolica, si ravvisa una palese violazione dell'articolo 19 della Costituzione relativamente alla libertà religiosa e anche dell'articolo 2 della dignità della persona umana, che è fra i valori fondanti nella nostra Costituzione;
l'informazione, tutelata dall'articolo 21 della Costituzione, nei suoi risvolti attivi e passivi, esprime una "presupposto insopprimibile" per l'attuazione ad ogni livello, centrale o locale, della forma propria dello Stato democratico, con la conseguenza che, "nell'ambito di tale forma, qualsivoglia soggetto od organo rappresentativo investito di competenza di natura politica non può, pur nel rispetto dei limiti connessi alle proprie attribuzioni, risultare estraneo all'impiego dei mezzi di comunicazione di massa" (Sentenze n.348 del 1990 e n.29 del 1996). Si ravvisa una violazione di tale diritto costituzionale nella volontà di non procedere alle autopsie sui cadaveri nel periodo emergenziale;
lo stesso Presidente della Consulta, nella relazione sull'attività della Corte Costituzionale nel 2019, ha affermato che "La piena attuazione della Costituzione richiede un impegno corale, con l'attiva, leale collaborazione di tutte le Istituzioni, compresi Parlamento, Governo, Regioni, Giudici. Questa cooperazione è anche la chiave per affrontare l'emergenza. La Costituzione, infatti, non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali, e ciò per una scelta consapevole, ma offre la bussola anche per 'navigare per l'alto mare aperto' nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini" (...) "la nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza"..."la Repubblica italiana ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi, dagli anni della lotta armata a quelli più recenti della crisi economica e finanziaria, tutti senza mai sospendere l'ordine costituzionale, ma ravvisando al suo interno gli strumenti gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base a specifiche contingenze";
il ruolo accentratore del potere esecutivo in questa fase emergenziale ha esautorato il Parlamento da scelte molto importanti che hanno riflessi concreti su tutta la cittadinanza. La decisione unilaterale di uniformarsi alle direttive economiche europee con l'adesione al Mes, senza consentire un opportuno e doveroso dibattito parlamentare, è un ulteriore esempio di come il Governo abbia deciso di rompere l'equilibrio fra i poteri su cui si basa il nostro assetto costituzionale non considerando che il Parlamento è il supremo organo legislativo;
sanare i DPCM emanati a partire dal 9 marzo, palesemente incostituzionali per tutte le ragioni illustrate sopra, attraverso il decreto-legge in fase di conversione, è di per sé un atto, oltre che pericoloso, incostituzionale che vorrebbe elevare la forza normativa debole riconosciuta agli atti amministrativi del Presidente del Consiglio, a provvedimenti aventi forza di legge, in grado di incidere su libertà costituzionali, protette dalla riserva di legge della Costituzione,
delibera, ai sensi dell'articolo 78, comma 3, del Regolamento, di non procedere all'esame dell'AS 1811.
Bernini, Malan, Modena, Pagano, Fazzone, Quagliariello, Schifani, Vitali
Respinta (*)
Il Senato,
in sede di discussione del disegno di legge AS 1811 di Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2020, n.19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19,
premesso che:
dall'emanazione dello Stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, avvenuto lo scorso 31 gennaio, il Governo è intervenuto attraverso numerosi decreti del Presidente del Consiglio, cioè meri atti amministrativi, senza un previo confronto con il Parlamento, esautorando, di fatto, il ruolo costituzionale dello stesso;
il Consiglio dei ministri ha varato un primo decreto legge il 23 febbraio 2020 (6/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 13/2020), recante misure per il divieto di accesso e allontanamento dai comuni dove erano presenti focolai e la sospensione di manifestazioni ed eventi;
successivamente sono stati emanati i seguenti decreti attuativi: il Dpcm 25 febbraio 2020, il Dpcm 1° marzo 2020, il Dpcm 4 marzo 2020, il Dpcm 8 marzo 2020, il Dpcm 9 marzo 2020 e il Dpcm 11 marzo 2020 che ha chiuso le attività commerciali non di prima necessità;
l'ordinanza 22 marzo 2020, firmata congiuntamente dal Ministro della Salute e dal Ministro dell'Interno, ha vietato a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in un comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute;
con il Dpcm 22 marzo 2020 sono state emanate ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale, quali la chiusura delle attività produttive non essenziali o strategiche, applicabili cumulativamente al Dpcm 11 marzo 2020 nonché a quelle previste dall'ordinanza del Ministro della salute del 20 marzo 2020 i cui termini di efficacia, già fissati al 25 marzo 2020, sono stati entrambi prorogati al 3 aprile 2020.
Il 25 marzo è stato emanato il decreto legge n. 19, volto a disciplinare in un atto di rango primario le misure eventualmente applicabili su tutto il territorio nazionale o su parte di esso, per contenere e contrastare i rischi sanitari conseguenti, per periodi di tempo predeterminati, sostituendo, abrogandola, la disciplina di carattere ordinamentale precedentemente dettata dal citato decreto-legge 6/2020;
lo stesso decreto, nel disporre che "Il Presidente del Consiglio dei ministri o un Ministro da lui delegato illustra preventivamente alle Camere il contenuto dei provvedimenti da adottare ai sensi del presente comma, al fine di tenere conto degli eventuali indirizzi dalle stesse formulati"; specifica che ove ciò non sia possibile, per ragioni di urgenza connesse alla natura delle misure da adottare, riferisce alle Camere sulle misure adottate, limitando ancora una volta le prerogative del Parlamento;
con il DPCM 1° aprile 2020, tutte le misure per contrastare il diffondersi del contagio da coronavirus sono state prorogate fino al 13 aprile 2020;
in seguito, con il DPCM 10 aprile 2020 tutte le misure sono state prorogate fino al 3 maggio;
con il DPCM 26 aprile 2020 sono state specificate le misure per il contenimento dell'emergenza Covid-19 della cosiddetta "fase due", applicabili a partire dal 4 maggio 2020 in sostituzione di quelle del DPCM 10 aprile 2020;
da ultimo, il decreto legge n. 33 del 16 maggio 2020 disciplina la fine delle limitazioni agli spostamenti e la riapertura delle attività produttive, commerciali, sociali a partire dal 18 maggio e fino al 31 luglio;
con il DPCM 17 maggio 2020 sono state definite le misure di prevenzione e contenimento per la convivenza con il coronavirus;
tutto ciò rappresenta un vulnus delle prerogative parlamentari, convinti che solo all'interno delle Camere, espressione della volontà dei cittadini, si possa raggiungere un orientamento condiviso sulle misure da adottare;
è palese come l'adozione dei provvedimenti citati abbia portato alla compressione e alla limitazione di diritti garantiti a livello costituzionale da parte del nostro ordinamento e come tali limiti abbiano determinato numerosi dibattiti socio-giuridici riguardanti la legittimità delle misure restrittive imposte; è doveroso e imprescindibile pertanto individuarne l'appiglio costituzionale e, stabilire in quale misura si possa far ricorso a divieti che vanno a ledere o a limitare diritti e libertà costituzionalmente garantiti;
il provvedimento in titolo rappresenta poco più di una cornice normativa con la quale vengono confermati i divieti e le restrizioni che sono già stati adottati dal Governo. Misure che hanno pesantemente inciso sulla libertà contemplata dalla Costituzione: basti pensare alla libertà personale, che l'articolo 13 indica come inviolabile; all'articolo 16, che sancisce il diritto di ogni individuo a poter circolare e soggiornare in qualsiasi parte del territorio; all'articolo 17 che sancisce il diritto dei cittadini di potersi riunire; e alla libertà di iniziativa economica, fissata dall'articolo 41;
con il provvedimento in esame, il Governo ha voluto conferire rango primario alle misure applicabili sull'intero territorio nazionale o su parti di esso, finora adottate con atti amministrativi, ma - ad avviso degli scriventi- la soluzione individuata in prima lettura, all'articolo 2, è del tutto insufficiente prevedendosi, infatti, una mera illustrazione preventiva alle Camere, da parte del Presidente del Consiglio o addirittura di un Ministro da lui delegato, del contenuto dei provvedimenti da adottare, al fine di tenere conto degli indirizzi, qualificati come solo "eventuali", formulati in sede parlamentare. La disposizione è poi del tutto vanificata dalla possibilità espressa, per il Governo, in caso di urgenza, di riferire alle Camere solo successivamente;
lo stato di emergenza non è contemplato dalla nostra Costituzione; pur tuttavia il compito di valutare la reale eccezionalità di situazioni di emergenza è, seppur implicitamente, demandato al Parlamento,
delibera, ai sensi dell'articolo 78, comma 3, del Regolamento, di non procedere all'esame dell'AS 1811.
________________
(*) Sulle proposte di questione pregiudiziale presentate è stata effettuata, ai sensi dell'articolo 93, comma 5, del Regolamento, un'unica votazione
Allegato B
VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA
Congedi e missioni
Sono in congedo i senatori: Barachini, Bertacco, Bossi Umberto, Castaldi, Cattaneo, Crimi, De Poli, Di Piazza, Giacobbe, Malpezzi, Margiotta, Merlo, Messina Alfredo, Misiani, Monti, Napolitano, Riccardi, Ronzulli, Schifani, Sciascia, Segre, Sileri, Stabile e Turco.
Alla ripresa pomeridiana della seduta sono assenti per incarico avuto dal Senato i senatori: Arrigoni, Castiello, Fazzone, Magorno e Urso, per attività del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.
Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema bancario e finanziario, variazioni nella composizione
Il Presidente della Camera dei deputati ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario il deputato Antonio Martino in sostituzione del deputato Sestino Giacomoni, dimissionario.
Disegni di legge, annunzio di presentazione
Senatori Donno Daniela, Angrisani Luisa, Trentacoste Fabrizio
Disposizioni relative alla decorrenza giuridica dell'ingresso nel ruolo dei vice ispettori della Polizia di Stato vincitori del nono concorso di formazione (1819)
(presentato in data 19/05/2020);
senatori Donno Daniela, Romano Iunio Valerio, Trentacoste Fabrizio, Angrisani Luisa
Disposizioni in materia di attività di aggiornamento operativo-professionale e di mantenimeno di uno stato psico-fisico adeguato del personale appartenente alla Polizia di Stato (1820)
(presentato in data 19/05/2020);
senatori Donno Daniela, Naturale Gisella, Trentacoste Fabrizio, Pirro Elisa, Romano Iunio Valerio, Guidolin Barbara
Disposizioni per la promozione dello studio del Diritto nei licei (1821)
(presentato in data 19/05/2020);
senatrice La Mura Virginia
Disposizioni in materia di gestione ecosostenibile delle biomasse vegetali spiaggiate ai fini della tutela dell'ecosistema marino e costiero (1822)
(presentato in data 20/05/2020);
senatori Cangini Andrea, Barboni Antonio, Battistoni Francesco, Berardi Roberto, Binetti Paola, Caliendo Giacomo, Caligiuri Fulvia Michela, Carbone Vincenzo, Cesaro Luigi, De Siano Domenico, Galliani Adriano, Giammanco Gabriella, Giro Francesco Maria, Lonardo Alessandrina, Mallegni Massimo, Masini Barbara, Messina Alfredo, Modena Fiammetta, Pagano Nazario, Perosino Marco, Pichetto Fratin Gilberto, Rizzotti Maria, Rossi Mariarosaria, Stabile Laura, Toffanin Roberta
Disposizioni in materia di cittadini italiani presenti in Paesi ritenuti ad alto rischio e non sicuri (1823)
(presentato in data 20/05/2020).
Disegni di legge, assegnazione
In sede deliberante
1ª Commissione permanente Affari Costituzionali
Sen. Rauti Isabella ed altri
Istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime del Covid-19 (1775)
previ pareri delle Commissioni 5ª (Bilancio), 12ª (Igiene e sanita'), Commissione parlamentare questioni regionali
(assegnato in data 20/05/2020).
Governo, trasmissione di documenti
Il Ministro per gli affari europei, con lettera in data 18 maggio 2020, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2019.
Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 144-bis del Regolamento, in sede referente, alla 14a Commissione permanente e, per il parere, a tutte le altre Commissioni permanenti (Doc. LXXXVII, n. 3).
Il Ministro della giustizia, con lettera in data 14 maggio 2020, ha inviato, ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, la relazione sugli effetti prodotti e sui risultati conseguiti dall'applicazione dell'istituto della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, riferita al 2019.
Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 2a Commissione permanente (Doc. CCLI, n. 2).
Governo, trasmissione di atti e documenti dell'Unione europea di particolare rilevanza ai sensi dell'articolo 6, comma 1, della legge n. 234 del 2012. Deferimento
Ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento, sono deferiti alle sottoindicate Commissioni permanenti i seguenti documenti dell'Unione europea, trasmessi dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in base all'articolo 6, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234:
Proposta di Decisione del Consiglio relativa alla posizione che dovrà essere assunta a nome dell'Unione europea nel comitato misto istituito dall'accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica, sull'adozione di una decisione che modifica detto accordo (COM(2020) 195 definitivo), alla 3a e alla 14a Commissione permanente;
Proposta di Decisione del Consiglio relativa alla posizione che dovrà essere assunta a nome dell'Unione europea nell'Organizzazione mondiale delle dogane (OMD) in relazione all'adozione di note esplicative, pareri di classificazione o altri pareri relativi all'interpretazione del sistema armonizzato nonché raccomandazioni intese ad assicurare un'interpretazione uniforme del sistema armonizzato nell'ambito della convenzione sul sistema armonizzato (COM(2020) 196 definitivo), alla 6a, alla 10a e alla 14a Commissione permanente.
Garante per l'infanzia e l'adolescenza, trasmissione di atti. Deferimento
La Garante per l'infanzia e l'adolescenza, con lettera in data 7 maggio 2020, ha inviato un documento di studio e di proposta concernente: "La tutela degli orfani per crimini domestici".
La predetta documentazione è deferita, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 1a, alla 2a, alla 3a e alla 14a Commissione permanente (Atto n. 471).
Corte dei conti, trasmissione di relazioni sulla gestione finanziaria di enti
Il Presidente della Sezione del controllo sugli Enti della Corte dei conti, con lettere in data 19 maggio 2020, in adempimento al disposto dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, ha trasmesso le determinazioni e le relative relazioni sulla gestione finanziaria:
di ANAS S.p.A. per l'esercizio 2018. Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento, alla 5a e alla 8a Commissione permanente (Doc. XV, n. 276);
di FINTECNA S.p.A. per l'esercizio 2018. Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento, alla 5a e alla 10a Commissione permanente (Doc. XV, n. 277).
Interrogazioni, apposizione di nuove firme
I senatori Pesco, Santangelo, Donno e Giannuzzi hanno aggiunto la propria firma all'interrogazione 3-01579 della senatrice Moronese ed altri.
Il senatore Vallardi ha aggiunto la propria firma all'interrogazione 3-01597 del senatore Bagnai ed altri.
La senatrice La Mura ha aggiunto la propria firma all'interrogazione 4-03446 del senatore De Bonis ed altri.
Interrogazioni
CENTINAIO, BERGESIO, VALLARDI, SBRANA - Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. - Premesso che:
l'AGEA, agenzia sotto la vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, rappresenta il principale soggetto erogatore dei fondi nazionali ed europei destinati all'agricoltura;
si avvale della collaborazione dei centri autorizzati di assistenza agricola (CAA), tramite la stipula di apposita convenzione che ne regola i rapporti, senza la quale questi non possono operare, a cui delega il compito di assistere gli imprenditori agricoli nella predisposizione delle domande di ammissione agli aiuti;
il decreto ministeriale 27 marzo 2008, sulla riforma dei CAA, prevede che questi possano essere costituiti da associazioni di liberi professionisti, che loro e le società di cui si avvalgono devono operare attraverso dipendenti o collaboratori con comprovata esperienza ed affidabilità nella prestazione di attività di consulenza in materia agricola e che possano avvalersi di professionisti iscritti agli ordini e collegi professionali per l'esercizio di funzioni di controllo delle fattispecie finanziate;
in merito alle competenze, i periti agrari, agrotecnici e dottori agronomi e forestali, iscritti nei relativi ordini e collegi professionali, sono tenuti al superamento di un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della libera professione, e successivamente alla formazione continua, e secondo il suddetto decreto rientrano tra i soggetti "con esperienza e affidabilità nella prestazione di attività di consulenza in materia agricola";
AGEA inviando ai CAA il nuovo schema di convenzione 2020 ha inserito la clausola, non prevista nelle precedenti e neanche in quella ancora in corso, secondo la quale entro il 30 settembre 2020 tutti gli operatori titolari abilitati ad accedere ed operare nei sistemi informativi dell'organismo pagatore debbano essere lavoratori dipendenti di CAA o delle società con essi convenzionate;
l'effetto inevitabile sarà la chiusura e messa in liquidazione dei CAA dei liberi professionisti e l'impossibilità per ogni singolo professionista di continuare a svolgere la propria attività di centri autorizzati di assistenza agricola, provocando la chiusura di centinaia di studi professionali ed il depauperamento del reddito di un numero assai più elevato di liberi professionisti;
in questo momento di emergenza dovuta al coronavirus, che limita gli spostamenti e crea notevoli difficoltà operative, e viste anche le disposizioni previste nel decreto "cura Italia" (decreto-legge n. 18 del 2020), che prevedono l'anticipo del 70 per cento della PAC, gran parte dei liberi professionisti stanno comunque continuando a svolgere la loro attività, per necessità, senso di responsabilità e soprattutto correttezza verso i clienti;
gli ordini e collegi dei periti agrari, agrotecnici e dottori agronomi e forestali, dopo un incontro ufficiale con il direttore di AGEA, in data 18 maggio 2020 hanno inviato ad AGEA una proposta di modifica della convenzione che tenga conto delle esigenze del mondo agricolo e delle categorie dei liberi professionisti; per cui le prossime azioni del Ministero e di AGEA stessa dovranno porre rimedio ad un'imposizione che danneggia sia i liberi professionisti che le aziende agricole italiane,
si chiede di sapere quali iniziative di competenza il Ministro in indirizzo intenda adottare affinché sia modificata la proposta di convenzione 2020 tra AGEA e i CAA, tenendo conto delle richieste legittime degli ordini e collegi delle professioni coinvolte, rivedendo l'obbligo per i CAA di operare esclusivamente attraverso dipendenti, disposizione che estromette i liberi professionisti da un settore che è sempre stato di loro competenza e nel quale hanno sempre operato, privandoli di competenze, lavoro e fatturato.
(3-01603)
CENTINAIO, BERGESIO, VALLARDI, SBRANA, CAMPARI - Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. - Premesso che:
l'acutizzarsi dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 ha inferto un duro colpo al comparto agro-zootecnico con riguardo agli allevatori di suini, molti dei quali, già da tempo in crisi, sono prossimi al fallimento;
le misure di lockdown imposte per affrontare l'emergenza epidemiologica hanno portato ad un evidente rallentamento del consumo, italiano ed estero, di carne suina, in particolare di prosciutti DOP e salumi DOP e IGP, determinando un eccesso di offerta sul mercato ed un conseguente crollo dei prezzi del suino vivo, tanto da risultare impossibile per gli allevatori ricoprire i costi stessi di produzione;
in tale scenario sono proliferati anche fenomeni di speculazione che hanno rappresentato un'ulteriore minaccia alla competitività del comparto, scaricando sugli allevatori, che sono notoriamente l'anello più debole della filiera, l'onere della competizione derivante dall'ingresso nel Paese di carne estera;
si ritiene estremamente urgente l'adozione, a beneficio di tutta la filiera suinicola, di misure di sostegno volte, da un lato, a far affluire alle aziende una maggiore liquidità e, dall'altro, ad evitare l'accumulo di prodotto che i mercati, sia quello interno che quello estero, allo stato attuale non sono in grado di assorbire,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo voglia urgentemente convocare un tavolo di concertazione a cui partecipino tutti gli operatori della filiera, al fine di proporre immediate misure di sostegno al settore suinicolo, che coincidano con la necessità di: a) rifinanziamento del fondo istituito presso il Ministero delle politiche agricole alimentari forestali con il decreto-legge n. 27 del 2019, al fine di sostenere il reddito delle imprese che operano nel settore; b) adozione di specifici bandi per la fornitura nelle mense presso le pubbliche amministrazioni di prosciutti DOP e salumi DOP e IGP; c) attivazione, su richiesta ai competenti organi europei, dell'intervento di ammasso privato per i prosciutti a marchio tutelato a lunga stagionatura; d) azzeramento dell'IVA per i prodotti di qualità, a partire da quelli a marchio tutelato, al fine di sostenere gli acquisti orientati al consumo di prodotti nazionali; e) concessione di un credito di imposta alle esportazioni di prosciutti DOP ed altri salumi italiani sui mercati internazionali, anche al fine di contrastare il fenomeno dell'"Italian sounding".
(3-01604)
Interrogazioni orali con carattere d'urgenza ai sensi dell'articolo 151 del Regolamento
NUGNES, LA MURA, FATTORI - Al Ministro dell'interno. - Premesso che:
da quanto si è appreso attraverso i media il 2 maggio 2020 a Ravanusa (Agrigento) un uomo, Dario Musso, 33 anni, è stato fermato dai Carabinieri e dai Vigili urbani e alla presenza dei medici, il cui intervento era stato chiesto dalle forze dell'ordine, è stato gettato a terra, bloccato con le gambe sulla schiena, sedato e sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO), poi convalidato dal sindaco Carmelo D'Angelo. Sul prestampato della proposta di TSO i medici hanno scritto che l'uomo presentava "scompenso psichico e agitazione psicomotoria";
per quanto risulta agli interroganti, sembrerebbe che l'uomo andasse in giro con la sua auto a Ravanusa e con un megafono negasse l'esistenza della pandemia invitando le persone ad uscire di casa per ricominciare a vivere;
dopo che la notizia coi relativi video delle fasi del fermo di Musso e di quando è stato immobilizzato, e poi l'audio della sua telefonata dall'ospedale di Canicattì ai familiari, in cui diceva di essere legato, sono rimbalzati su "Youtube" e sui social network, il Garante nazionale delle persone private della libertà ha chiesto una relazione d'informazione al sindaco e alle autorità sanitarie, relativamente alle modalità di attuazione e al successivo sviluppo di tale trattamento;
una nota del garante dice: "Le immagini delineano una situazione quantomeno irrituale, essendo stata la persona atterrata prona sull'asfalto dagli agenti intervenuti, poi ammanettata e sedata in loco con una iniezione farmacologica";
il fratello di Dario, l'avvocato Lillo Musso, ha chiesto pubblicamente se "si può disporre un tso per un'opinione politica" e su "Facebook" ha raccontato di come il fratello fosse stato male al rientro a casa e di averlo visto urinare sangue, nonché delle difficoltà del padre ad ottenere la cartella clinica del fratello;
il Garante nazionale ha chiesto informazioni sulle persone che hanno operato (il Corpo di appartenenza degli agenti e l'azienda sanitaria da cui gli operatori sanitari dipendono) e di conoscere gli elementi che hanno indotto all'avvio della procedura; gli estremi della convalida del provvedimento di TSO da parte del giudice tutelare; i tempi intercorsi tra la disposizione del TSO stesso e la sua convalida; la durata del trattamento;
considerato che
ascoltato l'audio della telefonata tra Musso e i propri congiunti il Garante ha richiesto un chiarimento all'autorità sanitaria sull'impiego della contenzione meccanica, le terapie in essere e le condizioni attuali della persona;
la Procura di Agrigento, a seguito di questi fatti, ha aperto un fascicolo, a carico di ignoti, per il presunto TSO arbitrario al quale sarebbe stato sottoposto Dario Musso. Secondo quanto si apprende, la Procura, guidata da Luigi Patronaggio, ha disposto l'acquisizione di documenti da parte dei Carabinieri;
i pubblici ministeri agrigentini, nel fascicolo d'inchiesta a carico di ignoti, ipotizzano l'abuso d'ufficio, reati contro la libertà personale e lesioni;
considerato altresì che:
in Italia i trattamenti psichiatrici sono di norma volontari e l'unica eccezione è data dal trattamento sanitario obbligatorio, ovvero il ricovero coatto e forzato del paziente che presenta problemi psichiatrici che lo rendono potenzialmente pericoloso per se stesso e per la comunità, secondo la legge n. 833 del 1978, articoli da 33 a 35;
il TSO è disposto dal sindaco del comune di residenza del malato o del comune ove egli si trovi, mediante ordinanza;
il sindaco Carmelo D'Angelo, che a febbraio 2020 è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio a seguito di denuncia querela sporta dal fratello di Dario, l'avvocato Lillo Musso, è colui il quale ha autorizzato sull'uomo un trattamento sanitario obbligatorio;
Dario Musso aveva manifestato la sua opinione, nei limiti costituzionali, senza arrecare pregiudizio alcuno alla sicurezza;
il trattamento sanitario obbligatorio, in ogni caso, va disposto sempre secondo l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti civili e politici;
gli interroganti ritengono che tali atti siano altamente lesivi delle libertà personali e costituzionali e che occorra un intervento urgente da parte del Governo per porre fine sul nascere ad atteggiamenti di tale natura, verificatisi anche in altre città italiane, causando momenti di tensione tra cittadini e forze dell'ordine che hanno interpretato i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri in modo talvolta arbitrario, abusando del proprio potere. Come forse è accaduto a Salerno, dove, da quanto riportato dai quotidiani, il 15 maggio una donna senza mascherina rifiutatasi di seguire un vigile in centrale dopo che gli agenti municipali l'avevano invitata a dare le proprie generalità, strattonata, è caduta a terra, attirando l'attenzione dei presenti che si sono divisi urlando chi a difesa della donna, chi contro di lei;
questi fatti si aggiungono a quelli già denunciati con atto ispettivo 3-01542 pubblicato il 5 maggio 2020, nel quale si chiedeva ragione della compressione ingiustificata di diritti fondamentali quali il diritto a manifestare e ad esprimere liberamente il proprio pensiero, anche durante questo periodo di emergenza e seppur con le precauzioni dovute,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti di Ravanusa e come intenda intervenire per far luce sull'operato di tutti i responsabili;
quali iniziative urgenti intenda mettere in atto, per quanto di competenza, per tutelare il diritto di manifestazione del pensiero e per tutelare i cittadini attraverso precise indicazioni da dare alle forze dell'ordine, affinché questi facciano rispettare le misure per il contenimento del COVID-19 senza eccedere nei loro poteri e senza comprimere i diritti fondamenti riconosciuti ad ogni individuo e costituzionalmente garantiti.
(3-01602)
Interrogazioni con richiesta di risposta scritta
BRIZIARELLI - Al Ministro della giustizia. - Premesso che:
in data 16 gennaio 2020 l'interrogante ha presentato al Ministro in indirizzo un'interrogazione (4-02735) con la quale, a seguito delle modifiche dell'organizzazione del lavoro e degli orari di servizio (da 3 a 4 turni) all'interno della casa di reclusione di Orvieto, che avevano portato a violare i livelli minimi di sicurezza, chiedeva se il Ministro non ritenesse opportuno intervenire con urgenza per ripristinare i livelli minimi di sicurezza per i reclusi e per il personale stesso nel carcere di Orvieto ripristinando l'alternanza dei 3 turni e di valutare altresì l'operato dell'attuale direttore e del comandante di reparto;
il 26 marzo 2020 il Ministro ha inviato risposta scritta all'interrogazione, da cui non si evince lo svolgimento di indagini da parte Ministro volte a conoscere la verità sul fatto specifico riguardante l'organizzazione del lavoro della Polizia penitenziaria della casa reclusione di Orvieto;
sulla specifica questione del gravissimo gesto autolesionistico posto in essere dal detenuto Hrustic Musa, in costanza di disposizione di sorveglianza a vista, le affermazioni del Ministro, in base alle informazioni dell'interrogante, non corrispondono alla verità dei fatti in quanto, al momento del gesto autolesionistico, non vi era alcun agente di Polizia penitenziaria dedicato al servizio di sorveglianza a vista dello stesso, così come non c'era nelle ore precedenti ed in più, nei turni precedenti; dal 30 dicembre 2019, data in cui era stata ripristinata la sorveglianza a vista al detenuto, lo stesso era stato ubicato alla camera detentiva n. 14 della seconda sezione. Al contrario di quanto riferito dal Ministro, la suddetta camera detentiva si trova all'apice opposto alla postazione dell'addetto alla vigilanza ed osservazione dei tre reparti detentivi, è la stanza più lontana della seconda sezione, rispetto all'agente di sezione;
la casa di reclusione di Orvieto, diretta allora dal dottor Paolo Basco, non ha impiegato personale di Polizia penitenziaria dedicato a tale servizio semplicemente perché non aveva le necessarie risorse umane a disposizione a causa della novellata organizzazione del lavoro; il direttore ed il comandante hanno esposto a gravi responsabilità l'unica unità di Polizia penitenziaria impiegata quale addetto alla vigilanza di ben tre sezioni detentive, chiedendogli l'ulteriore compito di sorvegliare a vista il detenuto;
i gesti autolesionistici ed etero-aggressivi posti in essere da Hrustic hanno dimostrato quanto sarebbe stata necessaria una sorveglianza a vista, se mai fosse stata applicata, invece di essere disattesa dal comando della casa reclusione di Orvieto;
non può neanche esprimersi soddisfazione per quanto attiene alle risposte date dal Ministro in indirizzo in relazione alla più generale questione delle modifiche organizzative del lavoro ed agli orari di servizio (passaggio da 3 a 4 turni giornalieri), per la Polizia penitenziaria della casa di reclusione di Orvieto; la procedura di raffreddamento del conflitto con le parti sindacali, avviata dal provveditore regionale per la Toscana ed Umbria, per nulla affatto attivata nell'immediatezza, non ha prodotto alcun risultato negli effetti, se non quello di ovviare alla commissione arbitrale regionale, istituto giuridico invocato dal SAPPE; sulla questione il provveditore regionale dottor Gianfranco De Gesu, con nota n. 2709.I del 20 gennaio 2020, sostiene che la convocazione della commissione arbitrale regionale non debba essere fatta pur sapendo che l'accordo raggiunto non è stato onorato da parte della direzione di Orvieto,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo ritenga opportuno accertare, anche tramite un'attività ispettiva, le eventuali responsabilità dell'allora direttore della casa reclusione di Orvieto ed anche del comandante del reparto deputato alla programmazione dei turni del personale, consultando altresì il personale di Polizia penitenziaria che si è alternato nei doppi posti di servizio, quali appunto la vigilanza reparti e sorveglianza a vista, durante il periodo precedente al 6 gennaio 2020;
se, alla luce di nuove verifiche, non ritenga opportuno rivalutare le modifiche organizzative del lavoro e degli orari di servizio, per il personale di Polizia penitenziaria della casa reclusione di Orvieto.
(4-03482)
CALANDRINI - Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. - Premesso che:
il 9 maggio 2020 è stata diffusa la notizia della liberazione, avvenuta in Somalia, della giovane milanese Silvia Romano, dopo un lungo sequestro durato ben 536 giorni ed avvenuto il 20 novembre 2018 in un minuscolo villaggio kenyota;
stando alle ricostruzioni della cronaca, la giovane cooperante, recatasi Kenya, in una località a 80 chilometri da Malindi nella zona di Chakama, per conto di una sconosciuta onlus di Fano (Pesaro Urbino), sarebbe stata rapita e venduta ai jihadisti somali di al-Shabaab, fazione islamica violenta e fanatica che imperversa nel sud della Somalia;
sebbene sia da un lato riconosciuta la capacità delle autorità italiane nel gestire con grande efficacia l'operazione sul territorio, è al contempo doveroso porsi degli interrogativi su questa vicenda, che di fatto non è che l'ultimo di una serie di rapimenti di cooperanti in terre straniere, specie africane, con particolare riguardo ai collegamenti di tali crimini con il terrorismo di matrice islamica e ai mutevoli risvolti delle modalità di gestione dei sequestri di persona e delle operazioni di ricerca e liberazione;
al riguardo l'interrogante ravvisa l'urgente necessità di avviare una riflessione rigorosa sul mondo della cooperazione italiana all'estero, cosicché tali pur importanti attività possano essere svolte, gestite e organizzate, in futuro, solo da strutture adeguate e certificate, e comunque in un contesto di sicurezza sia per i collaboratori che per i volontari;
attualmente infatti è possibile verificare con chiara evidenza, anche da semplice consultazione dei siti web di piccole organizzazioni onlus e organizzazioni non governative dedite al volontariato in Africa, come le stesse procedano al reclutamento di risorse umane mediante generiche richieste di volontari, molto spesso senza particolari competenze, che vengono poi inviati in Africa per non meglio precisati scopi o per portare non definiti aiuti umanitari;
in molti di questi casi, i volontari sono generalmente sottoposti ad un breve periodo di formazione prima di partire per viaggi che possono durare settimane o mesi, e, fatta eccezione per grandi e affermate realtà (ad esempio, "Save the Children"), sembrano non essere richieste particolari qualifiche professionali, siano esse di tipo medico, educativo o formativo, ingegneristico o altro: con il risultato che tali organizzazioni sembrano più incoraggiare una sorta di "turismo del volontariato", che non contribuire ad aiutare concretamente la popolazione locale;
ad alimentare maggiormente il dibattito sviluppatosi in Italia nelle ore immediatamente successive alla diffusione della notizia della liberazione della giovane Silvia Romano è stata l'ipotesi, rimbalzata sui media e corroborata da fonti accreditate, dell'avvenuto pagamento, da parte dell'Italia, di un riscatto in favore dei jihadisti somali di al-Shabaab:
tale circostanza, chiaramente, non ha mancato di generare un'ondata di preoccupate reazioni, sia in seno all'opinione pubblica nazionale che sul piano delle relazioni, sia a livello europeo che in seno alla comunità internazionale;
al riguardo, appaiono rilevanti le dichiarazioni dell'Alto rappresentante per gli affari esteri dell'Unione europea, Joseph Borrell, che ha affermato chiaramente, in videoconferenza da Bruxelles, che il presunto pagamento del riscatto da parte delle autorità italiane per la venticinquenne milanese rappresenta un "enorme problema per l'Europa intera", mentre analoga irritazione è trapelata sul versante dei rapporti con gli Stati Uniti; l'interrogante condivide le preoccupazioni degli alleati euroatlantici dell'Italia in Europa e negli Stati Uniti, che ravvisano nelle operazioni concluse con pagamento di riscatto gravi rischi, tali da compromettere le operazioni di contrasto al terrorismo internazionale, rivelandosi tali pagamenti suscettibili e idonei a rafforzare le capacità finanziarie ed accrescere le risorse materiali dei gruppi terroristici, incentivando inoltre le bande armate a perseverare nelle operazioni di sequestro di altri occidentali in Africa e nelle zone in cui si svolgono le diverse forme e operazioni di cooperazione internazionale;
non si può infine trascurare che il rischio di rapimento, a fronte di un simile precedente, è particolarmente reale (e oggi maggiore) e tende ad accrescersi in misura progressivamente più estesa per gli italiani in Africa, come per ogni Governo che ha la reputazione di essere pronto a pagare chiunque per liberare i propri concittadini,
si chiede di sapere se e con quali modalità il Ministro in indirizzo intenda intraprendere azioni concrete, anche di proposta legislativa, sul mondo della cooperazione in Italia, tali da far sì che in futuro le attività svolte in questo contesto possano essere svolte solamente da strutture adeguate e certificate, senza mettere in pericolo chi lavora o presta opera di volontariato per le stesse, al fine di evitare il ripetersi di nuovi casi di rapimenti di cooperanti che possano poi concludersi con pagamenti di riscatti, che finiscono per finanziare bande armate e organizzazioni terroristiche.
(4-03483)
LA PIETRA, BALBONI, CALANDRINI, FAZZOLARI, IANNONE, MAFFONI, PETRENGA, RAUTI, RUSPANDINI, URSO - Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. - Premesso che:
la difficile fase emergenziale conseguente all'emergenza sanitaria da COVID-19 ha determinato, tra i tanti blocchi e interruzioni, anche la sospensione delle corse ippiche, sia di galoppo che di trotto, su tutto il territorio nazionale;
poiché i cavalli necessitano di irrinunciabili cure quotidiane, negli ippodromi e centri di allenamento le attività di preparazione dei cavalli e le attività di mantenimento e cura stanno continuando regolarmente, pur assicurando la sanificazione degli ambienti e in ottemperanza di tutte le prescrizioni in ambito di sicurezza degli operatori;
l'attuale stato di blocco e sospensione dello svolgimento delle corse ippiche ha prodotto il totale azzeramento dei ricavi e messo in grave crisi l'intero indotto, che già versava in una grave situazione di incertezza e di difficoltà;
il comparto ippico nella sua filiera comprende e coinvolge migliaia di operatori, le cui attività oggi sono seriamente a rischio di sopravvivenza e senza più alcuna possibilità o prospettiva di ripresa, con una conseguente ricaduta negativa sulle condizioni economiche delle attività sportive, ludiche e di intrattenimento a livello nazionale;
allargando il campo d'osservazione all'Europa è possibile constatare come, nel medesimo settore, attualmente non vi sia un'uniformità di approccio, mentre è invece possibile verificare come altri Paesi (come Francia, Germania, Svezia ed altri) sono già in piena attività con programmazione e date certe per la ripartenza;
è auspicabile una ripartenza delle attività che avvenga in tempi brevi, in modo da organizzare al meglio gli ippodromi e gli operatori, dando un indirizzo chiaro a tutta la filiera, dimostrando, una volta tanto, alle istituzioni europee (con particolare riguardo a Unione europea del trotto e Comitato Pattern) che le istituzioni italiane si applicano con il dovuto impegno ed interesse alla sopravvivenza del settore ippico;
il 4 maggio 2020 il Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari e forestali con delega all'ippica, Giuseppe L'Abbate, ha annunciato che il Ministero era di fatto pronto, con un protocollo di sicurezza sanitaria necessario per la ripresa delle corse ippiche che era al vaglio del comitato tecnico-scientifico;
appare inoltre necessario avviare una riflessione sulla necessità di reindirizzare e riorganizzare i criteri di equità dei montepremi al traguardo sulla base del calendario delle corse programmate dalla data della ripartenza sino al 31 dicembre 2020, considerando che le risorse sono indirizzate esclusivamente ai montepremi dei cavalli e percepite al traguardo in seguito allo svolgimento delle corse,
si chiede di sapere:
quali iniziative urgenti il Ministro in indirizzo intenda intraprendere a sostegno dell'intero comparto ippico oggi in forte sofferenza;
se e quali siano gli eventuali elementi ostativi che impediscono ad oggi la riprogrammazione delle corse ippiche a porte chiuse e se non intenda indicare tempi certi e chiari in merito alla riapertura degli ippodromi e alla riprogrammazione del calendario delle corse, in linea con le decisioni adottate in altri Paesi e anche alla luce del protocollo di sicurezza presentato e attualmente al vaglio del comitato tecnico-scientifico;
se non ritenga necessario fornire indicazioni in ordine all'opportunità di riorganizzare e ridistribuire con nuovi criteri di equità i montepremi al traguardo, sulla base del calendario delle corse programmate dalla data della ripartenza sino al 31 dicembre 2020.
(4-03484)
DE BERTOLDI - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Premesso che:
in un momento particolarmente difficile come quello attuale, è essenziale che tutti diano il proprio contributo concreto nella lotta contro il COVID-19 e che ciascuno venga messo nelle condizioni di operare in piena sicurezza, in particolare tutti quei lavoratori potenzialmente più esposti al rischio in quanto a contatto con il pubblico;
parimenti non è assolutamente accettabile sfruttare la delicata fase emergenziale che il Paese sta attraversando per mettere in campo iniziative unilaterali che celino intenti "propagandistici" o che possano anche solo ingenerare sospetti in tal senso, soprattutto se provenienti da enti a supporto dell'intera cittadinanza e della pubblica amministrazione in generale;
da notizie di stampa dei giorni scorsi si apprende che l'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS) ha donato al Comune di Roma oltre 2.000 visiere protettive sanitarie da distribuire ai dipendenti che lavorano presso gli sportelli aperti al pubblico e agli agenti di Polizia locale;
al riguardo l'amministratore delegato del Poligrafico, Paolo Aielli, ha dichiarato che l'IPZS ha deciso "di contribuire alla lotta alla pandemia Covid-19 riconvertendo parte della produzione dei documenti d'identità elettronici per realizzare visiere protettive conformi alla normativa CE e alle raccomandazioni dell'Istituto Superiore di Sanità";
considerato che l'IPZS è un'azienda a servizio e supporto dello Stato e del cittadino, diventata società per azioni nel 2002, con azionista unico il Ministero dell'economia e delle finanze,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo ritenga conforme all'impianto complessivo del nostro ordinamento la citata decisione assunta dall'IPZS di fornire al Comune di Roma i dispositivi di protezione individuale;
se non ritenga che, trattandosi di un ente a rilevanza pubblica, la riconversione di parte della produzione dei documenti d'identità elettronici per realizzare visiere protettive non avrebbe dovuto essere attuata in favore di tutte le realtà territoriali o comunque di quelle che ne avessero maggiore necessità, quantomeno in maniera omogenea, in linea con la sua missione istituzionale.
(4-03485)
DE BERTOLDI - Ai Ministri dell'economia e delle finanze e per gli affari europei. - Premesso che:
numerosi siti internet riportano la notizia secondo la quale la Germania, che ha varato di recente un piano di aiuti finanziari pari a oltre 550 miliardi di euro attraverso la banca KFW (Kreditanstalt für Wiederaufbau) in favore delle imprese, al fine di fronteggiare gli effetti negativi derivanti dall'emergenza epidemiologica COVID-19, in realtà ha aggirato i vincoli europei, attraverso procedure sleali alla libera concorrenza e in contrasto con le disposizioni previste dall'ordinamento comunitario;
gli articoli di stampa pubblicati al riguardo (ad esempio sul sito "ilprimatonazionale") evidenziano infatti che le misure di sostegno economico sono state possibili grazie all'intervento della citata banca tedesca, istituita ai tempi del piano Marshall per la ricostruzione industriale, che svolge da anni azioni di sostegno per il finanziamento del settore pubblico, rendendosi artefice anche di salvataggi di aziende e banche tedesche;
l'interrogante evidenzia che sono i predetti interventi che non sarebbero stati concessi ad altri Paesi, ed in particolare all'Italia, ma che tuttavia, senza alcun intervento della Commissione europea, lo Stato tedesco continua ad approvare come misure d'intervento non pubbliche, a dispetto della proprietà dell'istituto che è al 100 per cento di proprietà pubblica (per l'80 per cento dello Stato federale e per il 20 per cento delle regioni);
risulta conseguentemente urgente e necessario, a giudizio dell'interrogante, ove il contenuto degli articoli fosse confermato, intervenire in sede comunitaria, al fine di porre in essere ogni intervento volto a chiarire quali siano i motivi per i quali la Germania, che rappresenta uno dei 27 Stati membri dell'Unione europea, possa intervenire in tale maniera, "aggirando" ogni divieto imposto dai trattati internazionali in materia di aiuti pubblici e salvataggi diretti delle aziende tedesche, contravvenendo palesemente ai divieti imposti per tutti gli Stati membri e intervenendo anche fuori dal perimetro della contabilità europea e del pareggio di bilancio, cui invece tutti gli altri Paesi appartenenti alla UE, e soprattutto l'Italia, devono rispettare essendo sottoposti a rigidi controlli da parte della Commissione europea;
l'interrogante evidenzia altresì che, nel caso in cui le procedure adottate dal Governo tedesco fossero vietate, occorre di conseguenza comprendere i motivi per i quali l'Italia è stata continuamente messa sotto osservazione e criticata per interventi di sostegno similari a quelli disposti dalla Germania;
nel caso in cui, invece, le misure adottate dalla Germania risultassero coerenti e regolari con le disposizioni comunitarie, non si comprendono i motivi per i quali la KFW può appellarsi ai citati criteri, mentre la Cassa depositi e prestiti (che rappresenta l'omologo italiano della KFW) non abbia fatto lo stesso per aiutare le aziende italiane,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza di quanto esposto e se al riguardo intendano confermare il contenuto dell'articolo di stampa pubblicato su internet ed in precedenza richiamato;
se non ritengano che gli interventi adottati dal Governo tedesco, tramite la banca KFW, siano lesivi dei principi della libera concorrenza e che inoltre la disapplicazione delle regole comunitarie in materia di aiuti di Stato, da parte della Germania, consentirebbe pertanto d'intervenire per il riassetto di molti settori dell'economia produttiva nazionale;
quali iniziative urgenti di conseguenza si intenda intraprendere, al fine di sanzionare il Paese tedesco in relazione alla violazione delle norme sulla concorrenza e in materia di aiuti di Stato, nel caso in cui sussistano le condizioni per il sorgere della responsabilità civile da parte delle Germania, come previsto dai trattati comunitari.
(4-03486)
DE PETRIS - Al Ministro dell'interno. - Premesso che:
in data 18 maggio 2020 il sindaco di Roma, Virginia Raggi, si è recata nel municipio di Ostia al fine di verificare le condizioni di sicurezza durante riapertura di un mercato di zona;
al suo arrivo è stata aggredita da alcuni militanti del gruppo di estrema destra "Casapound", che le hanno fisicamente impedito di uscire dall'automobile rivolgendole insulti e minacce;
non è la prima volta che il gruppo neofascista dimostra la sua attitudine violenta, sia nei confronti di militanti politici di diverso orientamento che verso rappresentanti delle istituzioni;
si segnala in tal senso come una relazione, pubblicata dal Ministero dell'interno nel 2016 in seguito ad un'interrogazione di un deputato del gruppo parlamentare Sinistra, ecologia e libertà, abbia rintracciato 20 arresti e 359 denunce a carico di Casapound nel periodo che va dal 2011 al 2016. Non risultano da allora ulteriori relazioni ufficiali, ma l'Osservatorio sulle nuove destre ha censito circa 60 aggressioni tra il 2013 e il 2018;
si ricordano, inoltre, le parole risuonate nell'ottobre 2018 durante il tentativo di ingresso della Guardia di finanza nell'immobile occupato da Casapound nel quartiere Esquilino, a Roma: "se entrate sarà un bagno di sangue", parole riportate da tutte le principali testate giornalistiche e che testimoniano l'attitudine alla violenza e alla sopraffazione del gruppo di estrema destra;
è inaccettabile che tale realtà, che già per sua natura si pone al di fuori dell'ordinamento democratico costituzionale, possa arrivare a minacciare il sindaco di una città, a maggior ragione se questa città è la capitale;
nel merito si sono espresse l'Associazione nazionale partigiani d'Italia, con queste parole: "È l'ennesimo episodio di violenza di cui si rende protagonista questo gruppo di squadristi. Ora basta, la misura è colma", e la presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, che ha detto: "La strumentalizzazione della crisi è un campanello d'allarme che ci impone di mantenere alta l'attenzione affinché la violenza e l'impunità non trovino spazio di imporsi",
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto riportato e quali iniziative intenda intraprendere al fine di promuovere l'accertamento di eventuali condotte illecite da parte del gruppo neofascista di Casapound, con l'obiettivo di impedire ai suoi esponenti qualsiasi tipo di attività violenta e intimidatoria ai danni di cittadini e istituzioni.
(4-03487)
IWOBI - Ai Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e della difesa. - Premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia giapponese "Kyodo News", l'Esercito popolare di liberazione cinese (PLA) (esercito della Repubblica popolare cinese) starebbe pianificando un'imponente esercitazione che prevede come obiettivo la simulazione dell'occupazione delle isole Pratas, di grande rilevanza strategica in quanto posizionate sulla rotta tra le coste della provincia di Hainan e il resto del Pacifico, attualmente controllate da Taiwan;
a seguito delle indiscrezioni sull'esercitazione della Repubblica popolare cinese, il Governo di Taiwan ha fatto sapere che sono in atto piani di emergenza per proteggere le isole Pratas, evidenziando manovre volte a intensificare la difesa delle isole;
il "Global Times", tabloid in lingua inglese del quotidiano ufficiale del Partito comunista cinese, sulla vicenda si è espresso intervistando l'esperto militare cinese Song Zhongping, che ha dichiarato che le isole sono strategicamente importanti per Pechino, e che eccessive posture "secessioniste" del Governo di Taiwan comporterebbero inevitabili azioni militari dell'esercito di liberazione cinese con il fine di avvertire Taiwan a non superare la "linea rossa" della secessione;
sempre secondo quanto riportato dal "Global Times", il PLA è preparato ad azioni di invasione e possesso delle isole, inclusa l'isola di Taiwan,
si chiede di sapere quale sia la posizione dei Ministri in indirizzo sulla sovranità delle isole Pratas nel mar cinese meridionale, e quali iniziative di propria competenza intendano assumere, nelle opportune sedi internazionali, per evitare ogni escalation militare che potrebbe scaturire in un tentativo di invasione militare da parte della Repubblica popolare cinese nei confronti di Taiwan.
(4-03488)
RUOTOLO - Al Ministro della salute. - Premesso che:
il 30 luglio 2019 la Camera con il voto favorevole bipartisan ha approvato il disegno di legge AC 1441 conosciuto con l'appellativo "defibrillatori ovunque", che introduce disposizioni volte ad incentivare l'utilizzo dei defibrillatori semiautomatici e automatici esterni (DAE) in ambiente extraospedaliero;
in particolare la proposta approvata nasce dall'unificazione e armonizzazione di una serie di testi a iniziativa di molti parlamentari. Si disciplina gli obblighi di utilizzo dei defibrillatori al di fuori degli ospedali con la loro installazione su treni, aerei, bus ma anche a scuola e all'università;
il defibrillatore è fondamentale se tempestivamente usato per un arresto cardiaco, in quanto può salvare la vita e ridurre significativamente anche le eventuali conseguenze patologiche permanenti sulla vita, con la riduzione dell'aggravio di costi sul sistema sanitario nazionale. È sacrosanto un piano pluriennale finalizzato e volto a favorire la progressiva diffusione dei defibrillatori esterni;
come rileva l'associazione italiana onlus "Cuore e rianimazione 'Lorenzo Greco'", insieme ad associazioni e professionisti sanitari, l'arresto cardiaco continua a colpire 65.000 cittadini ogni anno, al ritmo di 200 al giorno;
secondo quanto risulta dagli organi di stampa, appaiono resoconti di storie tragiche di persone che hanno perso la vita per improvvisi arresti cardiaci. C'è la vicenda di Melissa La Rocca, di appena 16 anni, deceduta mentre seguiva le lezioni a scuola. Non ce l'ha fatta neanche Anna Modenese, 14 anni, colpita da un malore improvviso mentre era al liceo, oppure c'è la storia di Raffaele Barresi, 17 anni, deceduto davanti ai suoi compagni;
da quanto appreso dall'interrogante il disegno di legge "defibrillatori ovunque" è approdato il 18 luglio 2019 in 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato in sede deliberante, scelta per garantire un iter più rapido. Purtroppo la programmazione dei lavori in Commissione ha visto nell'ultimo periodo un rallentamento dei lavori per gli atti non legati alla decretazione d'urgenza, anche a causa dell'emergenza epidemiologica COVID-19,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quanto esposto e, nel pieno rispetto delle prerogative parlamentari, condivida la valutazione della necessità che il disegno di legge "defibrillatori ovunque" abbia un celere iter;
se non ritenga, inoltre, di farsi promotore di iniziative affinché l'utilizzo dei defibrillatori semiautomatici e automatici esterni (DAE) diventi obbligatorio nella pubblica amministrazione e nei luoghi di lavoro, analogamente alla cassetta di primo soccorso, obbligatoria ai sensi del decreto ministeriale n. 388 del 2003 e del decreto legislativo n. 81 del 2008;
se ritenga auspicabile la riduzione dell'IVA dal 22 al 5 per cento su queste apparecchiature alla stregua di quelle elettromedicali.
(4-03489)
RUOTOLO - Ai Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze. - Premesso che:
Poste italiane SpA rappresenta un'eccellenza italiana con migliaia di filiali, uffici recapito, uffici postali, sportelli "Postamat", centri di meccanizzazione postale distribuiti capillarmente sull'intero territorio nazionale. Oltre alla gestione del servizio postale, ai servizi di posta, al bancoposta e alle telecomunicazioni, si occupa di servizi di telematica pubblica; operazioni di riscossione e pagamento; raccolta del risparmio postale e operazioni finanziarie. Nella compagine societaria di Poste italiane, il Ministero dell'economia e delle finanze detiene il 30 per cento delle azioni mentre la Cassa depositi e prestiti un altro 35 per cento;
oltre ai suoi dipendenti, Poste italiane attraverso l'agenzia Adecco recluta lavoratori, in particolare autisti specializzati, in possesso di diploma e di patenti speciali C o CQC merci;
secondo quanto risulta all'interrogante, a causa del "decreto dignità" (decreto-legge n. 87 del 2018), in merito al lavoro in somministrazione, i contratti di circa 450 lavoratori afferenti all'agenzia Adecco, oggi impiegati presso Poste italiane come autisti in gran parte delle città italiane, risulterebbero in parte scaduti, in parte in scadenza tra il 30 giugno e il 30 settembre 2020 e non potranno essere rinnovati né stabilizzati, in quanto nonostante permanga un contratto commerciale tra Adecco e Poste italiane dai 24 mesi di anzianità in poi, i lavoratori saranno di volta in volta sostituiti da altri lavoratori per rimarcare la necessità solo "temporanea" di tali figure;
come hanno evidenziato le organizzazioni sindacali, risulta che Poste italiane adoperi una sorta di strategia, ovvero si servirebbe dei dipendenti in somministrazione solo fino alla scadenza del biennio contrattuale, entro il limite dei 24 mesi; superarlo potrebbe significare secondo Poste per alcuni lavoratori avere l'agibilità per intraprendere azioni giudiziarie volte alla stabilizzazione presso l'azienda stessa, un'interpretazione del tutto teorica che non permette neppure la legittima prosecuzione del loro rapporto di lavoro a tempo indeterminato con Adecco, che non risente del limite dei 24 mesi e che si applica solo ai lavoratori a tempo determinato;
secondo quanto risulta all'interrogante, Poste italiane, secondo la norma vigente, ha la facoltà di assumere lavoratori somministrati al termine della missione. In particolare l'articolo 85, comma 8, del decreto legislativo n. 81 del 2015 prevede la nullità di ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la facoltà dell'utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della missione;
da quanto appreso dall'interrogante il personale in somministrazione, in alcuni casi, svolge mansioni di responsabilità superiori a quelli previsti dal contratto e ha dimostrato sempre uno straordinario senso del dovere, anche e specialmente in occasione dell'emergenza da COVID-19, nonostante la carenza, all'inizio della pandemia, di dispositivi di protezione individuale con cui tali lavoratori hanno svolto i servizi loro assegnati per la collettività,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo intendano tener conto di quanto esposto e se non ritengano opportuno intraprendere iniziative presso Poste italiane affinché i circa 450 lavoratrici e lavoratori con il ruolo di autista Adecco in somministrazione a Poste italiane, con contratti di lavoro di durata lavorativa di quasi 24 mesi presso l'utilizzatore Poste italiane scaduti o in scadenza, possano rientrare in un'iniziativa di progressiva stabilizzazione;
se intendano attivarsi al fine di proporre modifiche legislative per quanto attiene al lavoro in somministrazione rispetto a quanto contenuto nel "decreto dignità".
(4-03490)
ANGRISANI, GRANATO, TRENTACOSTE, GIANNUZZI, MAUTONE, PRESUTTO, LEONE, GAUDIANO, PAVANELLI, RICCIARDI, LICHERI, BOTTO, LANNUTTI, CORRADO - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Premesso che:
il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, detto "decreto liquidità", è stato emanato dal Governo per aiutare le imprese a fronteggiare la crisi scatenata dall'emergenza COVID-19;
attraverso il potenziamento del fondo di garanzia, esso concede diverse forme di copertura statale sui prestiti, a seconda dell'importo di questi ultimi; in particolare, per le imprese fino a 499 dipendenti e per prestiti che non devono superare il 25 per cento del fatturato, è prevista una garanzia del 100 per cento fino a 25.000 euro ed interessi che dovrebbero aggirarsi intorno a un tasso dell'1,50 per cento;
l'art. 13, comma 1, lettera m), dispone che: "il soggetto richiedente applica all'operazione finanziaria un tasso di interesse, nel caso di garanzia diretta o un premio complessivo di garanzia, nel caso di riassicurazione, che tiene conto della sola copertura dei soli costi di istruttoria e di gestione dell'operazione finanziaria e, comunque, non superiore al tasso di Rendistato con durata residua da 4 anni e 7 mesi a 6 anni e 6 mesi, maggiorato della differenza tra il CDS banche a 5 anni e il CDS ITA a 5 anni, come definiti dall'accordo quadro per l'anticipo finanziario a garanzia pensionistica di cui all'articolo 1, commi da 166 a 178 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, maggiorato dello 0,20 per cento";
considerato che:
i mini prestiti fino a 25.000 euro introdotti a sostegno dei liberi professionisti, dei lavoratori autonomi e delle piccole medie imprese sembrerebbero non aver riscosso l'interesse sperato;
al 30 aprile 2020, secondo quanto affermato dalla confederazione generale italiana degli artigiani, le banche hanno fatto pervenire al fondo di garanzia del mediocredito centrale 45.703 domande; ebbene, se si tiene conto che la platea delle imprese e dei liberi professionisti interessati da questa misura sarebbe costituita da oltre 5.250.000 attività, vuol dire che solo lo 0,9 per cento di queste ultime ha fatto ricorso a questa misura;
un'indagine condotta da Codacons e pubblicata su "Il Secolo d'Italia" il 7 maggio ha fatto emergere una propensione al boicottaggio da parte degli istituti di credito nel promuovere le linee di credito alle imprese tutelate dal "decreto liquidità". Su oltre 300 telefonate effettuate da tale istituto a un campione di 15 banche per chiedere informazioni sui finanziamenti garantiti dallo Stato, 171 non hanno ricevuto alcuna risposta, nonostante sui siti delle filiali fosse indicata la reperibilità, e, nel caso di risposta, un'elevata percentuale sosteneva di non essere in grado di fornire informazioni;
numerose sono state le segnalazioni di comportamenti non ortodossi di alcuni istituti di credito che, contravvenendo alle misure del "decreto cura Italia" (decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27) e del "decreto liquidità", impediscono sostanzialmente di immettere subito denaro nelle casse delle imprese;
sono stati segnalati casi in cui la liquidità da erogare alle imprese viene utilizzata dalla banca per coprire posizioni debitorie che la legge vieta di azzerare se regolarmente autorizzate;
atteso che:
la liquidità aggiuntiva dei provvedimenti statali non deve servire alle banche per azzerare debiti pregressi delle aziende;
anche Unimpresa segnala, in un documento nel quale ha descritto le difficoltà applicative del decreto liquidità, il caos in banca per accedere ai finanziamenti fino a 25.000 euro;
in questa situazione confusa e di estrema difficoltà per le imprese, in cui c'è grande incertezza sui tempi e le modalità di erogazione de prestiti, l'accesso al credito diventa, giorno dopo giorno, sempre più di vitale importanza e le banche lo sanno benissimo; infatti numerose sono le segnalazioni di un incredibile proliferare di offerte di prodotti finanziari che concedono prestiti a tassi che vanno dal 6 all'8 per cento, e, in alcuni casi, arrivano a sfiorare anche i 10 punti percentuali,
si chiede di sapere:
quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro in indirizzo nei confronti di quegli istituti di credito che non ottemperano agli obblighi di legge ed insistono in pratiche di marketing per la promozione dei propri prodotti finanziari, senza alcun incentivo statale, nei confronti della categoria imprenditoriale particolarmente sensibile alla richiesta di credito per le difficoltà che sta affrontando;
se sia a conoscenza di iniziative di controllo e vigilanza da parte della Banca d'Italia relativamente ai comportamenti anomali tenuti da alcuni istituti di credito nell'evadere le domande di finanziamento di imprenditori, in attuazione delle disposizioni del "decreto liquidità";
se non ritenga di comunicare all'Associazione bancaria italiana questa situazione affinché possa, nell'ambito delle sue competenze, indicare i corretti atteggiamenti ai propri associati da mantenere in questo periodo di estrema confusione;
se non reputi opportuno un intervento da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato al fine di avviare un'indagine pre istruttoria con l'invio di richieste informative agli operatori del mercato finanziario per acquisire dati sull'andamento dei prestiti erogati alle imprese senza l'utilizzo delle risorse statali messe a disposizione dai citati decreti governativi.
(4-03491)
FERRARA, DI GIROLAMO, DONNO, CASTELLONE, TRENTACOSTE, VANIN, ANGRISANI, LANNUTTI, PRESUTTO, MOLLAME, PAVANELLI - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Premesso che:
il raccordo tra A11 e A12 è un breve tratto autostradale di soli 18 chilometri, una "bretella", che si innesta a Lucca sulla A11 e, attraversando il comune di Massarosa e le sue colline, arriva a Viareggio (Lucca) ove avviene il collegamento con l'autostrada A12 in direzione di Genova;
la bretella autostradale Viareggio-Lucca è nata tra gli anni '60 e '70, su percorso poi classificato "montano", tracciato quasi interamente (oltre i 2 terzi) su viadotti e gallerie;
la bretella è stata aperta al traffico nel 1973 e, attualmente, è a carreggiate separate a doppia corsia, ma non presenta alcuna corsia di emergenza;
il tracciato fu realizzato con grande impatto di viadotti e gallerie. La sua realizzazione ha lasciato rilevanti ferite nel territorio collinare massarosese, patrimonio ambientale unico con terrazzamenti di olivi ultracentenari costruiti sapientemente sin dal Medioevo, comportando anche la chiusura di cave nelle frazioni di Quiesa e Bozzano, mai peraltro ripristinate a tutt'oggi dagli anni '60;
dal 1973 al 2007 la bretella nel tratto Lucca-Massarosa-Viareggio era anteposta da barriere, e l'intera tratta era gratuita;
considerato che:
il primo firmatario del presente atto, a partire dal luglio 2019, più volte formalmente e informalmente ha sollecitato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti chiedendo il declassamento del tratto autostradale A11-A12 tra Viareggio e Lucca, prima della scadenza della concessione autostradale assegnata alla Salt (Società Autostrada ligure-toscana);
anche le tre amministrazioni comunali di Camaiore, Lucca e Massarosa hanno rivolto la medesima richiesta;
ritenuto che:
al fine di migliorare la viabilità sia locale che di connessione alle arterie principali, a giudizio degli interroganti, risulta fondamentale attuare quanto prima il declassamento dell'arteria;
esso comporterebbe la riduzione della velocità massima consentita, con effetti positivi sulla sicurezza stradale;
altresì è necessario intervenire per l'adeguamento strutturale dell'arteria alle norme di sicurezza vigenti,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti;
quali siano i motivi per cui è stato predisposto un bando di gara per l'affidamento in concessione delle attività di gestione di alcune tratte autostradali, tra cui quella in questione, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2019, senza rispondere alle numerose sollecitazioni del territorio versiliese;
se dopo l'assegnazione del bando verrà comunque, come auspicato dagli interroganti, perseguita la realizzazione del declassamento (rendendo la bretella gratuita) dato che il tratto non è a norma, in quanto privo di corsia d'emergenza, rappresentando un pericolo per gli automobilisti come diversi episodi possono tristemente attestare.
(4-03492)
SALVINI Matteo, ALESSANDRINI, BRIZIARELLI, LUCIDI - Al Ministro dello sviluppo economico. - Premesso che:
la gravissima crisi finanziaria innestatasi sull'emergenza sanitaria connessa alla diffusione del COVID-19 ha comportato un forte rallentamento dell'economia globale, trasformando una situazione già fragile e complessa in una vera e propria emergenza sulla quale non si può differire ancora un deciso intervento;
esempio emblematico è rappresentato dal caso ThyssenKrupp che, a seguito dell'acuirsi della crisi e partendo dall'assunto della strutturale sovracapacità europea nell'ambito dell'acciaio, sta verificando possibili soluzioni per il sito di Terni e sarebbe aperta a tutte le opzioni;
nelle ultime dichiarazioni stampa AST (Acciai speciali Terni) ha fatto sapere che ThyssenKrupp ritiene che, al di fuori del proprio perimetro, potrebbero esserci opzioni migliori, in grado di rilanciare il sito produttivo, vale a dire che la multinazionale sta cercando partner o peggio acquirenti per la realtà ternana;
la produzione siderurgica, come è noto, costituisce un settore dal cui buon andamento dipende anche la salute dell'economia nazionale, soprattutto in termini di prodotto interno lordo, e sviluppare misure in grado di proteggere tale filiera produttiva, il suo indotto e il suo tessuto produttivo e occupazionale è, quindi, indispensabile per il perseguimento di una seria politica industriale nazionale;
tra il 2018 e il 2019 le importazioni in Europa di acciaio indonesiano sono passate da meno del 3 per cento a circa il 18 per cento. Circostanza che ha spinto anche i vertici europei ad indagare il fenomeno e a rivedere l'elenco dei Paesi in via di sviluppo ai quali l'Europa applica le misure anti dumping;
nonostante la Commissione europea abbia concluso che le misure anti dumping valide per la Cina dovessero essere estese anche ad alcuni prodotti siderurgici provenienti dall'Indonesia, il fenomeno ha comunque inciso negativamente sulla competitività della produzione siderurgica nazionale e di conseguenza sui suoi profitti, provocando immediate ricadute negative anche in termini occupazionali;
la Acciai speciali Terni, in particolare, ha fortemente risentito della concorrenza asiatica, subendo duri contraccolpi, tanto sulle quantità prodotte, quanto sulla qualità degli acciai, ponendo di fatto pesantemente a rischio il know how di eccellenza produttiva che aveva e finendo a operare su materie prime semilavorate;
già a partire da settembre 2019 AST ha infatti attivato la cassa integrazione per centinaia di lavoratori a causa della riduzione di ordinativi, in buona parte dovuta alla concorrenza dell'acciaio asiatico;
alla firma degli accordi tra AST, Ministero dello sviluppo economico e parti sociali, sottoscritti il 3 dicembre 2014, a fronte degli impegni sugli investimenti messi in campo dalla Thyssen, il Governo si impegnava a mantenere e sviluppare istituti e misure atti a contenere il costo dell'energia per le industrie ad alta intensità energetica;
a distanza di quasi 6 anni, le misure allora in atto per il contenimento del costo energetico hanno subito un sostanziale ridimensionamento e, dalla data della sottoscrizione dell'accordo, AST ha sostenuto maggiori costi per l'energia pari a circa 34 milioni di euro, in un momento di forte concorrenza del settore a cui si è accennato,
si chiede di sapere:
quali urgenti iniziative il Ministro in indirizzo intenda porre in essere per garantire la filiera dell'acciaio in Italia, i suoi livelli produttivi e occupazionali e, in particolare, se in tale quadro abbia considerato la possibilità di estendere la cosiddetta clausola golden power al settore siderurgico;
quali azioni intenda intraprendere per salvaguardare l'AST di Terni, le alte professionalità che vi lavorano, le eccellenze produttive del sito nonché gli investimenti ed il progetto di rilancio avviato.
(4-03493)
SBRANA - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Premesso che molti abitanti dell'area compresa fra Stagno, frazione del comune di Collesalvetti in provincia di Livorno, i quartieri posti a nord della città di Livorno e i quartieri di Calambrone e Tirrenia della città di Pisa lamentano da molti anni problematiche ambientali, dovute alla presenza nell'aria di polveri e sostanze maleodoranti e, in aggiunta per il solo abitato di Stagno, riscontrano rumori specialmente durante le ore notturne;
considerato che:
l'area interna è compresa nel triangolo Stagno-Livorno nord-Calambrone e zone limitrofe fa parte del sito di interesse nazionale (SIN), non ancora bonificato, di Livorno e Collesalvetti, istituito con la legge n. 426 del 1998 e perimetrato con il decreto ministeriale 24 febbraio 2003. Il perimetro del SIN di Livorno è stato ridefinito dal decreto ministeriale 22 maggio 2014, n. 147;
gli abitanti di queste aree temono per la propria incolumità e salute e molti di loro riferiscono di aver subito nel tempo prematuri lutti, per mali non curabili, di parenti o amici, senza apparente motivo. Risulta che queste malattie si siano verificate con maggiore frequenza in queste zone rispetto alla media regionale, come supportato dallo studio Sentieri del Ministero della salute per il tramite dell'Istituto superiore di sanità;
la zona è di notevole interesse paesaggistico e naturale. Infatti, in parte dei territori dell'area di Calambrone e Tirrenia si sviluppa il parco naturalistico di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, e nella zona sono inserite le oasi WWF "Bosco della Cornacchia" e "Dune di Tirrenia", interne a siti d'importanza comunitaria (SIC), mentre di fronte alla località di Calambrone è sita l'area marina protetta "Secche della Meloria". Gli specchi acquei di fronte alla città di Livorno e alla costa del litorale pisano fanno parte del "santuario dei cetacei" per la tutela dei mammiferi marini. Nell'entroterra limitrofo a Stagno, di proprietà privata, si trova un'altra importante area di interesse naturalistico chiamata "Oasi della Contessa";
queste realtà necessitano di una costante tutela ambientale e i problemi costantemente segnalati dalla popolazione potrebbero verosimilmente recare danni sulla flora e la fauna ivi presenti, con possibili ricadute al suolo ed in mare di inquinanti;
all'interno del triangolo Stagno-Livorno nord-Calambrone vi sono infatti industrie rientranti tra gli stabilimenti industriali a rischio di incidente rilevante, come riportato dalla Prefettura di Livorno;
ciò delinea una situazione, in peggioramento, di cattiva qualità della vita delle persone ivi dimoranti,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza della drammatica situazione e quali misure intenda disporre per la soluzione della problematica.
(4-03494)
DE BONIS, MARTELLI, CIAMPOLILLO - Al Ministro dello sviluppo economico. - Premesso che:
allo scoppiare dell'emergenza coronavirus in Italia numerosi medici virologi, epidemiologi e scienziati hanno presenziato con assiduità le televisioni. Tra tutti il professor Roberto Burioni e la dottoressa Ilaria Capua, ex deputata alla Camera, sono stati i due esperti che più spesso sono apparsi, e appaiono ancora, negli studi televisivi. Il professor Burioni, infatti, è praticamente ospite fisso di Fabio Fazio a "Che tempo che fa", su RAI2, mentre sono frequenti gli interventi della dottoressa Capua soprattutto su La7, ma anche nella televisione pubblica;
molti italiani si sono chiesti se e quanto guadagnino questi esperti per la loro partecipazione in qualità di ospiti;
per quanto riguarda il professor Burioni, inoltre, la sua presenza fissa sulle reti RAI ha persino provocato le proteste di Codacons, l'associazione che tutela i diritti dei consumatori, che ha infatti presentato un esposto alla Corte dei conti per verificare i compensi del virologo;
a tal proposito, anche il settimanale "Panorama" ha dedicato un servizio a entrambi, contattando gli agenti dei due medici e, fingendosi una società privata interessata ad un loro intervento, ha chiesto quale fosse l'ammontare per la loro consulenza. Secondo quanto riportato sulla pagina on line di Codacons del 14 maggio, per il professor Burioni "Panorama" ha scelto di rivolgersi a "Elastica", una società di comunicazione di Bologna che cura per il virologo proprio questi aspetti. L'agente ha risposto che le richieste del professore variano da caso a caso: "Mi dica il budget, è limitato? Il professore farà le sue valutazioni. Potrebbe decidere di partecipare gratuitamente oppure di chiedere qualcosa in più perché è talmente impegnato che il compenso economico può essere una ragione per fare le cose", ha continuato l'addetto di "Elastica". Oltre al compenso generico basato sul tipo di intervento richiesto al professor Burioni, c'è da aggiungere che per quanto riguarda la sua presenza a "Che tempo che fa" il virologo prende anche un gettone di presenza, erogato da "Officina", la società di produzione del programma di RAI2, di cui Fazio è socio insieme alla società "Magnolia";
ma proprio sul compenso pagato dalla RAI al professore, il Codacons ha deciso di vederci più chiaro. Secondo Francesco di Lieto, vicepresidente del coordinamento per la tutela dei diritti dei consumatori, la presenza del professor Burioni su RAI2 va contro il diritto del cittadino ad un'informazione plurale e trasparente, non solo per l'assidua assenza di un contraddittorio, ma anche per un possibile conflitto d'interessi. Il professor Burioni, infatti, ha creato la "Pomona Ricerca Srl", che nella sua attività di ricerca ha frequenti rapporti di lavoro con multinazionali di farmaci e vaccini. Per questo, secondo Codacons, la presenza fissa su RAI2 garantirebbe una vera e propria pubblicità a vantaggio dei brevetti depositati dallo stesso professore tramite il lavoro della "Pomona";
per quanto riguarda il guadagno della dottoressa Ilaria Capua, il tentativo di "Panorama" di indagare sul suo compenso, invece, ha fornito anche delle cifre precise: "Per un contributo di 10 minuti su Skype (ha dichiarato l'agente della nota virologa, che dirige l'One health center of excellence presso l'università della Florida), o dallo studio televisivo dell'Università siamo attorno ai 2 mila euro più IVA". L'agente ha inoltre spiegato che il compenso della dottoressa non va a minutaggio "ma se si chiede una presenza di 10 minuti non può essere di un'ora, altrimenti la fee [il cachet] sale";
considerato che:
a parere degli interroganti medici virologi, epidemiologi, scienziati ed esperti vari possono certamente andare in televisione ad informare e dare consigli agli italiani in merito ad una così grave epidemia, ma dovrebbero farlo con "spirito missionario";
lo stesso professor Giuseppe De Donno, direttore della struttura complessa di pneumologia e unità di terapia intensiva respiratoria dell'ospedale "Carlo Poma" di Mantova, nel corso dell'audizione che si è tenuta presso la 12a Commissione permanente (Igiene e sanità) in Senato, il 14 maggio, sul tema "Strategie anti e post COVID-19", ha riferito anzitutto che non è andato in televisione perché impegnato a lavorare e le poche volte che è stato contattato gli veniva offerta una fascia oraria tra le ore 23 e le 24 e solo la trasmissione "Petrolio" ha fatto un buon servizio sul tema della sieroterapia. Inoltre, come appena detto, numerosi esperti sono stati continuamente in televisione dietro pagamento di un compenso e "uno scienziato che viene pagato non è uno scienziato credibile, la scienza deve essere gratuita", queste le parole del professor De Donno;
inoltre, visto che si sono verificate discordanze di opinioni tra gli esperti (pagati), che hanno creato solo maggiore confusione e alimentato paura ed inquietudine, sarebbe stato e sarebbe più opportuno tacere laddove la scienza non ha acquisito ancora dati certi sul virus, né sulle cure per guarire dal COVID-19,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo voglia chiedere chiarimenti all'azienda RAI in merito ai compensi (pagati, tra l'altro, da tutti i contribuenti italiani) che vengono pattuiti con medici, scienziati ed esperti vari per la partecipazione a programmi di intrattenimento o d'informazione e se non condivida l'opinione degli interroganti che sia un aspetto vergognoso, perché l'informazione scientifica deve essere gratuita;
se non ritenga che la partecipazione del professor Burioni su RAI2 sia in contrasto con il diritto dei cittadini ad un'informazione plurale e trasparente, non solo per l'assidua assenza di un contraddittorio, ma anche per un possibile conflitto d'interessi, visto che Burioni si è garantito una vera e propria pubblicità a vantaggio dei suoi brevetti depositati.
(4-03495)
TOFFANIN, STEFANI, RAUTI, GALLONE, RIZZOTTI, BINETTI, DE BERTOLDI, RIVOLTA, FAGGI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. - Premesso che:
come già ricordato in altre occasioni, da ultimo durante la discussione in Senato delle mozioni sulla parità di genere e il sostegno alle donne lavoratrici, il 13 maggio 2020, nel corso di questi mesi per le azioni connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 sono stati istituiti nuovi gruppi di lavoro, comitati tecnico-scientifici e task force e, ad oggi, si è arrivati a contarne 18 a livello nazionale senza considerare quelli a livello regionale;
si tratta di una pletora di centinaia persone;
i comitati, a loro volta composti da innumerevoli commissari, in combinato disposto con il ricorso continuo allo strumento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, hanno esautorato e continuano ad esautorare il ruolo costituzionale del Parlamento che è la prima task force del Governo, con all'interno competenze e professionalità, rappresentate da medici, liberi professionisti, imprenditori, amministratori rappresentanti del territorio, fior fiori di ricercatori e addirittura premi Nobel;
oltre ad aver istituito questi organismi, il Governo lo ha fatto attuando una discriminazione, cioè escludendo le risorse femminili, integrando solo successivamente, a seguito della polemica politica anche all'interno della maggioranza, il comitato di esperti di sua nomina con 5 donne e il comitato tecnico-scientifico con 6 figure femminili;
durante la discussione delle citate mozioni, il Ministro per le pari opportunità e la famiglia ha espresso un parere contrario all'impegno concernente i criteri adottati per composizione delle citate task force e i relativi costi,
si chiede di sapere, per chiarezza di informazione nei confronti di tutti i cittadini, quali siano stati i criteri adottati per la candidatura e la selezione dei componenti di tutti i comitati, le task force, i gruppi di lavoro e gli organi tecnici di ausilio all'attività governativa che sono stati istituiti, a vario titolo, per gestire l'emergenza nazionale legata al COVID-19 e la ripartenza del sistema Paese, nonché i costi complessivi relativi alla loro istituzione ed al loro funzionamento.
(4-03496)
Interrogazioni, da svolgere in Commissione
A norma dell'articolo 147 del Regolamento, le seguenti interrogazioni saranno svolte presso la Commissione permanente:
9ª Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare):
3-01603 e 3-01604 del senatore Centinaio ed altri, rispettivamente sui centri autorizzati di assistenza agricola e su interventi a sostegno del comparto dell'allevamento e della trasformazione della carne suina.
Avviso di rettifica
Nel Resoconto stenografico della 216a seduta pubblica del 12 maggio 2020, a pagina 80, l'annuncio relativo all'assegnazione del disegno di legge n. 1775 si ha per non apposto.