Legislatura 18ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 088 del 06/02/2019
Azioni disponibili
SENATO DELLA REPUBBLICA
------ XVIII LEGISLATURA ------
88a SEDUTA PUBBLICA
RESOCONTO STENOGRAFICO (*)
MERCOLEDÌ 6 FEBBRAIO 2019
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Presidenza del presidente ALBERTI CASELLATI,
indi del vice presidente ROSSOMANDO
e del vice presidente LA RUSSA
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(*) Include l'ERRATA CORRIGE pubblicato nel Resoconto della seduta n. 90 del 12 febbraio 2019
(N.B. Il testo in formato PDF non è stato modificato in quanto copia conforme all'originale)
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N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Forza Italia-Berlusconi Presidente: FI-BP; Fratelli d'Italia: FdI; Lega-Salvini Premier-Partito Sardo d'Azione: L-SP-PSd'Az; MoVimento 5 Stelle: M5S; Partito Democratico: PD; Per le Autonomie (SVP-PATT, UV): Aut (SVP-PATT, UV); Misto: Misto; Misto-Liberi e Uguali: Misto-LeU; Misto-MAIE: Misto-MAIE; Misto-Più Europa con Emma Bonino: Misto-PEcEB; Misto-PSI: Misto-PSI.
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RESOCONTO STENOGRAFICO
Presidenza del presidente ALBERTI CASELLATI
PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 9,33).
Si dia lettura del processo verbale.
GIRO,segretario, dà lettura del processo verbale della seduta del giorno precedente.
PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.
Comunicazioni della Presidenza
PRESIDENTE. L'elenco dei senatori in congedo e assenti per incarico ricevuto dal Senato, nonché ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.
Sull'ordine dei lavori
PRESIDENTE. Informo l'Assemblea che all'inizio della seduta il Presidente del Gruppo MoVimento 5 Stelle ha fatto pervenire, ai sensi dell'articolo 113, comma 2, del Regolamento, la richiesta di votazione con procedimento elettronico per tutte le votazioni da effettuare nel corso della seduta. La richiesta è accolta ai sensi dell'articolo 113, comma 2, del Regolamento.
Seguito della discussione dei disegni di legge costituzionale:
(214) QUAGLIARIELLO. - Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari
(515) CALDEROLI e PERILLI. - Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione, in materia di composizione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
(805) PATUANELLI e ROMEO. - Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei deputati e dei senatori
(Votazione finale qualificata ai sensi dell'articolo 120, comma 3, del Regolamento) (ore 9,35)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge costituzionale nn. 214, 515 e 805.
Ricordo che nella seduta di ieri ha avuto inizio la discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Cucca. Ne ha facoltà.
CUCCA (PD). Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi senatori, ci risiamo: prosegue l'opera sistematica di demolizione, scientificamente architettata da pochi soggetti, del sistema democratico che abbiamo vissuto fino a questa legislatura, costruito faticosamente e ai prezzi che ben conosciamo pagati dai nostri genitori, con tutti i principi consacrati nella nostra Costituzione, da molti considerata la più bella del mondo.Certamente la nostra Carta aveva e ha bisogno di una messa a punto, di una revisione, ma non si possono intaccare i cardini fondamentali della nostra democrazia, del nostro sistema democratico.
Il provvedimento in discussione, invece, non è altro che la conferma degli intenti perseguiti da coloro che guidano questa maggioranza devotamente silente. Avevamo avuto un chiaro segnale al momento dell'approvazione della legge di bilancio, scodellata in Aula dopo un periodo di estenuanti rinvii e approfondimenti, approvata da una maggioranza che neppure aveva conoscenza diretta del contenuto. D'altro canto, tanti altri provvedimenti sono stati approvati con il medesimo sistema: confezionati dal Governo, consegnati per l'approvazione della maggioranza incapace di qualsiasi confronto, con l'unico compito di far valere la forza dei numeri, privata come è della facoltà di discutere degli ordini propinati dall'alto; poca professionalità, scarse competenze, con la malcelata volontà di arida gestione del potere, mascherata dall'asserita necessità di assecondare la volontà popolare. Ecco quindi l'ennesima operazione demagogica, con un provvedimento quantomeno discutibile, che dispiegherà effetti disastrosi in danno dei principi fondamentali della nostra democrazia.
Il popolo chiede la riduzione del numero dei parlamentari - questo è vero - che costituiscono la casta che tanto guadagna per produrre niente, che pensa solo a sé stessa e mai al bene comune: questo è l'immaginario che è stato alimentato scientemente. Ecco che questa maggioranza risponde ancora una volta alla pancia del popolo e mette su un provvedimento che apoditticamente taglia il numero dei parlamentari con un colpo di machete, assestando un colpo durissimo al nostro sistema parlamentare fondato essenzialmente sul principio della rappresentanza, che assicura la gestione democratica del nostro Paese.
L'intento è ormai drammaticamente chiaro, seppure già era stato apertamente declinato dai vertici di quella silente maggioranza: lo scopo è smantellare il Parlamento, l'istituzione che rappresenta la massima espressione dei principi democratici su cui si fonda la nostra Repubblica, posto che esso è composto dai rappresentanti del popolo che li aveva eletti per svolgere quella funzione.
L'antiparlamentarismo che anima il provvedimento in esame sottende proprio alla volontà di realizzare l'obiettivo di demolire completamente il sistema parlamentare, il sistema democratico parlamentare che - come dicevo - è il luogo di maggiore espressione della democrazia. Questo Governo dà quindi sfogo al populismo e alla demagogia e propina un provvedimento da utilizzare nella prossima campagna elettorale per le elezioni europee. Lo fa appellandosi anche a un altro risibile argomento, quello del contenimento delle spese della politica. Questo è un altro tema demagogico perché, al di là delle cifre di cui questa maggioranza si riempie la bocca, affermando che si risparmierà la ragguardevole cifra di circa 40 milioni di euro, omette di dire che i costi dell'istituzione Parlamento sono ben altri. Il Parlamento è un'istituzione complessa, come è normale che sia un'istituzione che è il presidio della democrazia, che - come è noto - ha dei costi elevati. Quello dei parlamentari, però, è ben poco rispetto ai costi - quelli sì davvero elevati - delle strutture del Parlamento che resteranno invariati, non verranno intaccati e sono più di dieci volte superiori rispetto a quanto si risparmierebbe col taglio dei parlamentari proposto con il provvedimento in esame.
Il Partito Democratico e io stesso - come è noto - non eravamo e non siamo contrari alla riduzione del numero di parlamentari, ma solo a condizione che non si intacchino i valori fondamentali del sistema e, in particolare, del principio di rappresentanza. È quindi evidente che è necessario mettere mano all'anomalia fondamentale del nostro sistema parlamentare, basato sul bicameralismo paritario, che è ormai anacronistico e motivo di oggettivo rallentamento dell'attività parlamentare. In questo senso sono indirizzati gli emendamenti presentati dal Partito Democratico che, pur prevedendo la riduzione del numero dei parlamentari, contemplano pure la revisione del bicameralismo paritario, consentendo però al contempo di salvaguardare il principio della rappresentanza. Sono certo che l'atteggiamento della maggioranza verso tali emendamenti sarà significativo per svelare i veri obiettivi della riforma.
È infatti innegabile che la riduzione del numero dei parlamentari pone una serie di problematiche. Iniziamo con il dire che il numero dei nostri parlamentari è tendenzialmente in linea con quello dei Parlamenti del resto d'Europa e, anzi, negli Stati Uniti si sta cercando addirittura di aumentarlo. In Europa sono pochissimi, perlopiù tendenzialmente di estrema destra, e si sta provvedendo alla riduzione ritenendo che i rappresentanti del popolo non debbano incidere nella vita democratica del Paese.
Credo sia inutile ricordare che l'idea primigenia della riduzione dei parlamentari fu della tristemente nota P2: nel programma era prevista la riduzione del numero dei rappresentanti, e lo si faceva in maniera tale che più agevolmente si sarebbe potuto controllare il Parlamento da parte delle segreterie politiche, conducendo, appunto, alla formazione di un Parlamento composto da soli dirigenti, precludendo in tal modo qualsiasi opportunità ed esperienza extrapartitiche. Questo è in evidente antinomia con i principi fondamentali della formazione politica che ha riscosso maggior consenso alle ultime elezioni politiche e che oggi siede in Parlamento. Eppure, stanno approvando questa triste riforma. D'altro canto, la riduzione oggi proposta creerebbe seri problemi anche di rappresentanza delle piccole Regioni: Valle d'Aosta, Umbria, Molise, Basilicata e Sardegna, la mia Regione. Queste Regioni, infatti, correrebbero il serio rischio di non vedere eletto alcun candidato, soprattutto al Senato. Anzi, diciamo che dai conti fatti, considerando che i candidati vengono eletti su base regionale, la Sardegna sicuramente non avrebbe alcun rappresentante in Senato, tenuto conto dell'esiguo numero di parlamentari: farebbero parte di questa Assemblea soltanto gli eletti delle Regioni con il più alto numero di abitanti. Questo farebbe il paio con la situazione che la Sardegna già vive con le elezioni europee: avendo un collegio abbinato alla Sicilia, non si riesce mai o quasi mai - salvo che si riescano a trovare accordi specifici - a mandare in Europa un rappresentante della nostra Isola.
In questo senso rivolgo un appello al collega Solinas, candidato alla presidenza della Regione - e mi spiace che oggi non sia presente in Aula - affinché, comunque sia, anche per il solo fatto di essere qui in rappresentanza del popolo sardo, tuteli l'esigenza di mantenere il sistema democratico.
Mi rivolgo ai colleghi sardi del MoVimento 5 Stelle che siedono in questa Assemblea, che restano silenti e non riescono a far sentire la loro voce, pur avendo la consapevolezza che gli effetti di questa riforma saranno quelli che ho appena descritto, e lo vedremo. Soprattutto non riescono a opporsi alla distruzione del sistema democratico con il quale - grazie a Dio - siamo riusciti ad arrivare fino ad oggi. Rimangono silenti perché gli ordini, ancora una volta, arrivano dall'alto. In questa maniera non si fa altro che confermare quali sono i veri obiettivi della riforma. D'altronde, rispetto alla distruzione del sistema parlamentare, qualcuno dei grandi - consentitemi di dirlo - ha già sottolineato che il Parlamento non serve assolutamente a niente.
Non parliamo, poi, dello svolgimento delle attività parlamentari e in particolare del funzionamento delle Commissioni. Vi siete posti il problema di come sarà possibile far funzionare le Commissioni? Già oggi abbiamo difficoltà a farle funzionare in maniera dignitosa; figuratevi cosa accadrà quando in questo Senato si troveranno 200 parlamentari, o quelli che saranno. Come si potrà svolgere il lavoro nelle Commissioni? Ciascun parlamentare dovrà far parte di almeno cinque, sei, sette Commissioni. Stiamo andando verso la paralisi del Parlamento, che è l'obiettivo che la riforma di fatto persegue.
È dunque evidente che la riduzione del numero di senatori e deputati, come congegnata con il provvedimento in esame, se non accompagnata da una revisione del sistema bicamerale, produrrebbe soltanto ostacoli al regolare svolgimento dell'attività parlamentare. Il re sarebbe nudo; si capirebbe il vero intento perseguito da questo Governo, ovvero un progressivo disfacimento del Parlamento, del sistema democratico, fino ad arrivare alla sua eliminazione per consentire a pochi di governare il Paese.
L'indirizzo ormai è chiaro, ma il Partito Democratico si opporrà fermamente a questo disegno: si opporrà a che vengano intaccati i valori fondamentali del nostro sistema democratico. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Fantetti).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Maiorino. Ne ha facoltà.
MAIORINO (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, lasciate che vi legga solo per un momento le seguenti parole: «Occorre partire dalla drastica riduzione del numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori. In tal modo sarà più agevole organizzare i lavori delle Camere e diverrà più efficiente l'iter di approvazione delle leggi, senza intaccare in alcun modo il principio supremo della rappresentanza (...)».
Queste parole provengono dal contratto di Governo e noi, oggi, siamo in Assemblea per il primo voto al disegno di legge che traduce quelle parole in fatti, a conferma che noi, se lo diciamo, lo facciamo.
Ci voleva il MoVimento 5 Stelle e ci voleva questo Governo, sostenuto da questa maggioranza - la prima nella storia della Repubblica a nascere sulla base di un vero e proprio contratto di Governo, scritto nero su bianco e in piena trasparenza - per far approdare nelle Assemblee di Camera e Senato un disegno complessivo di proposte puntuali di revisione della Costituzione. Badate bene, però: non sono i soliti progetti per smantellare la Carta fondamentale - come hanno fatto i vecchi partiti di destra e sinistra - ma provvedimenti snelli e mirati. Il provvedimento in esame prevede solo il taglio del numero dei parlamentari, in modo che sarà facile per le persone decidere se votare sì o votare no.
Ci voleva il MoVimento 5 Stelle al Governo per realizzare non solo i punti del contratto, ma i nostri sogni, i sogni di tante persone che aspettano da anni risposte dalla politica. Questa, oggi, è certamente la realizzazione di un sogno: tagliare il numero dei parlamentari. Per quanti anni ne abbiamo parlato ai banchetti, negli incontri e nelle piazze? Dal 1985 ad oggi, si sono ripetuti ben sette tentativi, tutti arenatisi nel nulla. Perché è necessario tagliare il numero dei parlamentari? Per una mera questione di risparmio? Il risparmio certamente non è poco, dato che stiamo parlando di circa 500 milioni di euro a legislatura e di 300.000 euro al giorno. Ma è davvero solo per la contabilità che lo vogliamo? Direi di no: c'è molto di più. La diminuzione del numero dei parlamentari contribuirà infatti a una maggiore efficienza nel funzionamento delle Camere e, contrariamente a quanto gli oppositori continuano a sostenere, il provvedimento in esame renderà più equilibrata la proporzione tra il numero degli eletti e quello degli elettori. Voglio ricordare infatti che quasi ovunque i numeri sono ben diversi dai nostri: ad esempio, i parlamentari eletti nel Regno Unito sono 650, in Spagna sono 558, in Francia 577, in Germania circa 700. Dunque, questa motivazione è assolutamente infondata.
C'è però una terza ragione alla base della genesi di questo disegno di revisione costituzionale, che a mio parere è quella più importante. In questa Assemblea siamo legislatori, ma noi del MoVimento 5 Stelle siamo anche portavoce e ciò vuol dire che raccogliamo direttamente le istanze dei cittadini. Il provvedimento in esame risponde a una profonda esigenza manifestata dalla società civile, volta a ricucire lo strappo creatosi tra la politica e i cittadini. (Applausi dal Gruppo M5S). Il provvedimento in esame è infatti solo un tassello di un quadro più ampio e ambizioso di azioni politiche e normative volte a ristabilire un rapporto di fiducia tra gli italiani e le istituzioni; un rapporto che si è logorato nel corso dei decenni. Lo strappo più profondo tra i palazzi della politica e l'Italia, che fatica ogni giorno con dignità, è avvenuto con lo scandalo di Tangentopoli del 1992. Da allora, però, non si è più ricucito. Certamente non si è ricucito con quella politica da operetta che abbiamo visto nel corso della Seconda Repubblica. Anzi, sfiducia e disaffezione verso le istituzioni repubblicane si sono cronicizzate, portando molti cittadini al disamoramento e all'allontanamento dall'impegno politico.
Tra le nostre ambizioni più alte c'è quella di far nuovamente fiorire nei cittadini l'interesse per la politica e il desiderio di partecipazione; questo possiamo ottenerlo solo dimostrando che non siamo egoisti, che non ci nascondiamo dietro fittizie obiezioni di diminuita rappresentatività, per celare il fatto che i politici non sono disposti a compiere sacrifici e anche a mettere a rischio la loro posizione, se questo va nell'interesse della collettività. Noi non siamo qui per fare i nostri interessi o quelli di pochi privilegiati. Noi siamo qui per fare gli interessi veri del Paese.
Ripensare il numero dei parlamentari dunque rappresenta proprio un passo in questa direzione ed è un tassello di un'azione più ampia, che comprende il taglio dei vitalizi per gli ex parlamentari, già realizzato (Applausi dal Gruppo M5S); la riduzione degli stipendi dei parlamentari in carica, su cui lavoreremo prestissimo; l'introduzione del referendum propositivo e molte altre azioni che hanno come obiettivo - da un lato - ristabilire la fiducia nella politica con la P maiuscola e - dall'altro - favorire sempre più la partecipazione attiva dei cittadini al processo decisionale e legislativo; democrazia rappresentativa sobria ed efficiente, che un passo alla volta prepara il terreno alla democrazia diretta, dove tutti i cittadini possano partecipare senza delegare altri.
Ecco come vogliamo ricostruire il senso di appartenenza alla Costituzione e alle istituzioni. Gli strumenti ci sono e i tempi sono maturi. La democrazia diretta è una strada da percorrere necessariamente; è l'evoluzione indispensabile per raccogliere il messaggio che arriva forte e chiaro non solo dall'Italia, ma dall'Europa intera: i cittadini ci chiedono di partecipare e di essere messi in condizione di farlo, per decidere sul loro futuro.
Queste sono battaglie storiche del MoVimento 5 Stelle, ma non per capriccio e non per populismo, espressione ormai abusata con cui si etichetta qualsiasi cosa sia diversa dalle solite ricette di un partitismo sbiadito e stanco. No, sono battaglie in cui crediamo, perché solo attraverso la ricostruzione della fiducia perduta è possibile rifondare anche la coesione sociale, così necessaria in una vera democrazia.
Ciò che i cittadini chiedono alla politica conta, viene ascoltato e recepito: questo oggi dimostriamo, ancora una volta, e lo facciamo proprio nel nome supremo della democrazia; una parola che per troppo tempo è suonata vuota alle orecchie dei cittadini e a cui noi, con orgoglio, vogliamo restituire peso, significato e valore. (Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice Pirovano).
Un ultimissimo appello rivolto ai colleghi dell'opposizione: tutti i vostri partiti hanno presentato nel tempo proposte per ridurre il numero dei parlamentari e tutti i vostri partiti non sono riusciti a portarle a termine. (Commenti della senatrice Malpezzi). Oggi avete l'occasione di dimostrare che fate sul serio e di fare un passo in avanti verso gli italiani che ci guardano con rinnovata speranza. (Applausi dal Gruppo M5S e della senatrice Pirovano. Commenti dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore D'Arienzo. Ne ha facoltà.
D'ARIENZO (PD). Signor Presidente, ascoltando l'intervento che mi ha preceduto, mi viene in mente ciò che a volte dico anche ai miei figli: è come se il mondo fosse nato l'altro ieri; sono arrivati loro e prima non esisteva null'altro. È davvero stucchevole. (Applausi dal Gruppo PD).
Il disegno di legge in esame invece, cara collega, ha un'importante limite, perché affronta la riforma non nel suo complesso, ma solo un suo pezzettino, una sua parte, quella appunto della riduzione dei parlamentari, come se l'ostacolo della nostra democrazia e dell'efficienza delle istituzioni fosse il numero di coloro che siedono nelle Aule parlamentari. Peraltro, come è noto, seppure presentata pomposamente come la panacea di tutti i mali, la proposta non incide realmente sul nostro sistema elettorale del 2017, né sulle proporzioni, né sui collegi, né sull'assegnazione dei parlamentari. Quindi - per dirla in breve, cari colleghi - mi pare che all'attuale maggioranza, in particolare a chi ha contrastato quella riforma nel passato, il tanto vituperato Rosatellum stia più che bene. Altro che le proteste del passato! Con questa proposta modificate infatti solo i numeri che quel sistema produce, ma non il meccanismo. Ritengo, quindi, sia un artifizio legislativo per non perseguire le vere riforme necessarie per cambiare il nostro Paese.
Immaginare o addirittura pretendere - come fate con questa proposta - che il vostro criterio di determinazione del numero dei parlamentari sia perennemente applicabile, indipendentemente da quale sia il numero fissato dalla Costituzione e, soprattutto, senza che si rendano necessarie le modifiche per adattare questo sistema alla legge elettorale, al Paese e al momento democratico in cui si vive, significa vivere sulla luna. Nessun sistema elettorale vive perennemente, per ovvie ragioni; prova ne sono gli ultimi anni della nostra vita politica.
A illuminare ancora di più i limiti di questa proposta, vi è anche il fatto che non modificate le circoscrizioni: ciò rafforza la nostra convinzione circa l'assoluta insufficienza del processo che avete avviato. E sono rafforzato in tale consapevolezza - l'ho ascoltato poco fa come anche in passato - da due ragioni: innanzitutto si parla solo di soldi. La democrazia italiana delle decisioni è diventata un orpello economico e qualcuno non fa altro che blaterare - com'è stato fatto anche poco fa - sui risparmi che ne deriverebbero: questa è la prima convinzione.
La seconda convinzione - lo dico alla collega che citava solo i numeri assoluti - è che il nostro numero dei parlamentari, se paragonato a quelli degli altri Paesi europei, è piuttosto basso: occupiamo oltre il ventesimo posto nella classifica. Non è il numero totale che fa la differenza, ma è il rapporto tra quel numero e gli elettori. In Italia abbiamo una media di 63.644 elettori per parlamentare, mentre la media europea è di 46.515: 20.000 elettori in meno. Quando si fa riferimento al numero assoluto, si commette un errore che è frutto di quell'analisi negativa che ha portato alla proposta al nostro esame.
Il dibattito non è nuovo - avete ragione - perché per sette volte in passato si è provato a cambiare il numero dei parlamentari, ma mai scollegandolo da tutto il resto, ovvero da tutte le altre riforme che servirebbero per adeguare la nostra democrazia alle esigenze attuali. Ora ci si prova di nuovo, ma non esiste un dibattito nel Paese, non c'è una Commissione bicamerale e nemmeno un dibattito parlamentare o una riforma corposa: c'è solo l'aspetto ragionieristico. E la fonte di tale cambiamento non è, appunto, la risposta ad una concreta esigenza che c'è nel Paese e nelle istituzioni - abbiamo vissuto pochi mesi fa un referendum in tal senso - ma è un principio fissato in quello che loro chiamano «contratto di Governo» e che viene menzionato ripetutamente come la Bibbia. Sarà anche vero che quello attuale è il primo Governo che nasce con un contratto, ma speriamo sia anche l'ultimo, se questi sono i risultati!
Quindi, sulla base di quell'autorevolissima fonte di vita e di diritto, si ritiene che la velocità dei lavori del Parlamento sia legata al numero dei parlamentari: una sciocchezza, un'assurdità concettuale di partenza che fa deragliare tutto il resto, fino alla scelta finale alla quale siete pervenuti.
Posso dire a ragion veduta, sulla base di quello che state facendo in questi mesi, che sui soldi non si impostano le riforme; anzi, un uomo di buon senso non avrebbe mai approvato provvedimenti mangiasoldi come il vostro sul reddito di cittadinanza. Dite che il numero dei parlamentari provoca costi, vi ponete il problema della riduzione dei costi della politica e poi spendete miliardi di euro per finanziare il nulla. Che la proposta abbia il fiato corto di chi ha deciso con la calcolatrice lo si capirà benissimo nel momento in cui dovrà essere attuata. L'attuale numero di parlamentari garantisce un equilibrio proporzionale tra Regioni grandi e piccole: con questa proposta romperete quell'equilibrio; anzi, ridurrete le Regioni più piccole a nessuna rappresentanza, che è il colmo dei colmi.
Che dire del fatto che avremo collegi elettorali giganteschi, che produrranno effetti distorsivi? Il primo riguarda certamente il rapporto diretto tra il candidato e gli elettori. Tante volte abbiamo detto che l'elettore deve scegliere il candidato che riconosce e conosce, premiando appunto il migliore. In un collegio del genere voglio vedere come faranno a scegliere il migliore. Il secondo aspetto investe le pari opportunità: è ovvio che in un collegio molto più grande, come quello che state producendo con questa riforma, sarà più forte colui che ha più risorse rispetto a chi non ne ha. Premierete, quindi, coloro che hanno di più e danneggerete coloro che hanno di meno; e questo, a maggior ragione, in virtù del fatto che - com'è noto - dal 2000 al 2017 gli elettori sono cresciuti di due milioni di persone. Questo aspetto, per quanto ci riguarda, è molto critico.
Si tratta in sostanza di una proposta slegata da una vera riforma istituzionale e costituzionale, che deprime la rappresentanza dei territori più piccoli, avvantaggia i ricchi, non produce benefici in termini di efficienza nei lavori parlamentari e non migliora il rapporto elettori-eletti che - a mio modo di vedere - è già buono. Qual è lo scopo che vi proponete e vi ponete con questa riforma? Il primo è la distrazione di massa: riportare in auge la riduzione dei parlamentari in vista, peraltro, della prossima campagna elettorale per le europee, per distrarre gli italiani dai vostri miseri risultati economici e dalla reale portata di provvedimenti come quota 100 o reddito di cittadinanza, dalla vostra ferma contrarietà agli investimenti per la crescita e lo sviluppo del Paese e dalle difficoltà che non riuscite più a sostenere. (Applausi dal Gruppo PD).
Questa è solo l'occasione migliore per cercare un apprezzamento trasversale tra gli elettori, un'arma di distrazione, appunto. È il solito argomento che usate, perché è buono per tutte le stagioni: lo è stato ieri, lo è oggi e lo sarà anche domani. Ma è solo la fetta di prosciutto che mettete davanti agli occhi degli italiani perché non risolverete alcun problema con questa proposta.
Chi pensa che il problema sia riformare la nostra democrazia delle decisioni attraverso queste riformicchie sbaglia; non è questo ciò che serve. Il tema è, infatti, quale democrazia vogliamo per il futuro del nostro Paese e in che modo vogliamo che esso garantisca il principio base di ogni democrazia, la governabilità, l'efficienza e l'efficacia delle organizzazioni decisorie. E questa decisione sarà sempre più veloce ed efficiente quanto più e prima si supererà - a mio modo di vedere - il bicameralismo perfetto e paritario, sempre però mantenendo saldi i pilastri della democrazia rappresentativa.
Quella della democrazia diretta che passa attraverso la riduzione dei parlamentari è solo una balla, perché non cambierà assolutamente nulla rispetto a quell'obiettivo.
Concludo, visto che i tempi sono tiranni, dicendo che la proposta - come ho già fatto notare - non affronta il vero nodo, vale a dire il superamento del bicameralismo perfetto e paritario. Certo, c'è stato un referendum del quale ovviamente non si può non tenere conto. Tuttavia, è proprio in ragione di quel referendum che sarebbe stato utile avviare un dibattito nel Paese, ovunque, per riflettere su quali sono comunque le occasioni di dibattito tra di noi, per vedere che cosa migliorare e che cosa prendere anche da quel referendum, che non si può ovviamente superare. (Applausi dal Gruppo PD).
Nulla toglie, però, che il fatto che voi puntiate solo su quell'aspetto rende la riforma miope e non adeguata a ciò che serve. Di conseguenza, Presidente, ogni altra strada diversa da quell'obiettivo principale è un'inutile perdita di tempo. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Berutti. Ne ha facoltà.
BERUTTI (FI-BP). Signor Presidente, onorevoli colleghi, la storia che abbiamo la fortuna di respirare ogni volta che ci accingiamo a compiere in questo Emiciclo una parte importante dei compiti che ci sono stati affidati potrebbe farci cadere nell'errore, invero grossolano, di pensare che il Senato, il Parlamento e più in generale le istituzioni siano sempre uguali a se stessi.
In verità, certamente e per fortuna, le istituzioni si contraddistinguono per essere soggette a una continua evoluzione che si declina nel segno della continuità, e questo avviene in un sistema per così dire duale, in cui la componente di evoluzione comporta continue modifiche delle caratteristiche e dell'assetto incarnati dalle istituzioni stesse per essere quanto più possibile funzionali al loro obiettivo principale: essere al servizio dei cittadini.
I mutamenti istituzionali che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese sono difficilmente sintetizzabili. Essi, infatti, hanno inevitabilmente riguardato i molteplici aspetti sui quali si fondano le istituzioni, consentendo loro di funzionare.
Se guardiamo a questa molteplicità di cambiamenti o di possibilità di cambiamenti sono due le caratteristiche che emergono con chiarezza: la complessità e, in essa, la continua propensione ad adeguare le istituzioni e tra queste, in primis, quelle parlamentari, al mondo esterno, al Paese e alle sue istanze.
Gestione della complessità e propensione ad adeguare le istituzioni alle caratteristiche e ai bisogni del Paese sono due temi rispetto ai quali Forza Italia non ha da imparare da nessuno. Lo testimonia la storia.
Sul fronte della volontà di adeguare le istituzioni al Paese basti ricordare e ribadire che, già nel 2005, con l'approvazione del disegno di legge costituzionale di modifiche alla Parte II della Costituzione, Forza Italia era intervenuta, approvando anche una riduzione significativa del numero di parlamentari. Per ragioni complesse, che non ripercorrerò, la proposta non venne confermata in sede referendaria; tuttavia è innegabile che anche su quel fronte fummo all'avanguardia. Dunque, come dicevo, la proposta relativa alla riduzione del numero di parlamentari contenuta nel nostro disegno di legge costituzionale del 2005 era uno degli elementi ambiziosi, e in buona misura ancora attuali, di un intervento ben più ampio che aveva a che fare con il modo di intendere il Paese e le sue istituzioni.
Arriviamo così all'altro elemento che ho citato come caratteristico del discorso sulle istituzioni: la gestione della complessità, una capacità che i contenuti del nostro testo del 2005 testimoniano, visto che in esso si tenevano insieme interventi sia sul fronte dei soggetti chiamati a comporre le Camere, che su quello ambientale o strutturale del Parlamento, ovvero sulle sue modalità di funzionamento.
Non mi addentro oltre in questa analisi di tipo storico, perché è evidente che in prospettiva l'apporto di Forza Italia su queste partite è da sempre virtuoso e coerente.
Arrivo al presente. Abbiamo sentito sovente in questi giorni, e lo sentiremo ancora, che la riduzione del numero dei parlamentari è contenuta nel contratto di Governo. Bene, bravi. Prima che nel vostro contratto, però, la riduzione del numero di parlamentari è contenuta nel programma sostenuto instancabilmente da Forza Italia per le elezioni che hanno dato vita a questo Parlamento. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Nel nostro programma, quel riferimento è però accompagnato dal richiamo ad altri importanti interventi sul fronte istituzionale: dall'elezione diretta del Presidente della Repubblica al rafforzamento dell'autonomia degli enti intermedi e locali. Siamo ancora una volta di fronte al tema della gestione della complessità. Una complessità che nel suo disegno di legge il collega Quagliarello non dimentica di ribadire, ricordandoci altresì che è però sempre più impellente la necessità di evitare di fare ricorso a facili alibi, come quello sulla legge elettorale, sul quale scaricare tutta la responsabilità di un sistema instabile.
A questa premessa, come dicevo, segue la constatazione della necessità di tenere insieme nel ragionamento la consapevolezza che è doverosa una riforma più ampia che investa rispettosamente il Parlamento e soprattutto la forma di governo. A questo punto, però, la proposta mossa dalle file di Forza Italia coniuga ad una valutazione di ampio respiro una considerazione di sano realismo politico, proponendo di intervenire con una riduzione del numero dei parlamentari, considerando tuttavia anche l'opportunità di razionalizzare i tempi del sistema bicamerale e il funzionamento del procedimento legislativo.
La riduzione del numero dei parlamentari è uno degli elementi di una visione più ampia e completa delle istituzioni e del loro modo di servire il Paese. Ecco, mi si lasci dire che la visione consapevole espressa dal collega Quagliarello nella propria proposta non emerge dai testi presentati su questo tema dalla maggioranza, e questo è evidentemente un problema. È chiaro a tutti, infatti, che per certi versi è tempo per la politica di ridimensionarsi, e l'intervento sugli articoli 56 e 57 della Costituzione è un possibile passo in questa direzione. Il tema, però, è come quel passo viene compiuto. La proposta nata tra i banchi di Forza Italia, come ho già detto, inserisce la riduzione dei parlamentari come uno degli elementi di un disegno che in prospettiva è virtuosamente complesso e che nel suo declinarsi tutelerebbe e tutela le funzioni e la dignità del Parlamento, la rappresentanza, i pesi e contrappesi imprescindibili in un sistema democratico. I disegni di legge della maggioranza e le sue proposte, apparivano e appaiono invece riduzionisti; tanto riduzionisti che persino il relatore ha deciso di ridurre, anzi di azzerare il suo apporto in Aula. Riduzionisti, dicevo, e concentrati solo sul mero dato numerico: tolgo tot deputati di qua, tolgo tot senatori di là.
Siamo, ancora una volta, di fronte ad un intervento che, per come lo presentate, appare come uno spot da campagna elettorale permanente, che non guarda alla complessità, che non guarda all'intarsio tra la disposizione costituzionale e il sistema politico, il sistema elettorale, i Regolamenti, il funzionamento interno delle Camere e così via. Ma in fondo è questo quello che sapete fare: buoni spot per i social network, che si possono sintetizzare con poche parole d'impatto senza pensare alle conseguenze e alla complessità. Il rischio, cancellata la complessità, è che, anziché porre in essere un intervento che contribuisca ad adeguare, come giusto, le istituzioni al Paese, si faccia mera propaganda. Il timore ancor più profondo, è però che un intervento pensato nei termini in cui voi lo avete pensato sia inserito in un progetto più ampio e fraudolento, che mira ad attaccare le funzioni e la dignità del Parlamento. Quel Parlamento che il vostro mentore vorrebbe trasformare in un Parlamento di sorteggiati. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Su questo fronte, così come nel caso del mostruoso referendum propositivo senza quorum che vi ostinate a proporre, prima o poi - spero più prima che poi - dovrete spiegarci che cosa sono questa vostra avversione per i conducenti e questa vostra propensione naturale a prendervela con chi dovrebbe avere la responsabilità. Ma voi la responsabilità non sapete cosa sia, perché rimettete tutto ai tecnici, alle analisi costi-benefici e alle cosiddette manine. La politica è invece proprio il contrario di questa vostra continua fuga dalla realtà e di questa vostra propensione a prendervela - come dicevo - con chi dovrebbe avere la responsabilità di condurre il Paese verso una crescita migliore.
È evidente - lo dice la storia di Forza Italia - che per noi l'obiettivo è quello di avviare un percorso che renda la politica più vicina, agile, efficace, efficiente e utile a chi lavora e crea lavoro. Forza Italia non si tirerà indietro. Sappiate però che il nostro favore non si basa sulle stesse ragioni che qualche algoritmo ha pensato per voi. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Stefano. Ne ha facoltà.
STEFANO (PD). Signor Presidente, colleghi senatori, rappresentanti del Governo, il rango di legge costituzionale che attiene al disegno di legge oggi in esame in Senato ci chiama a essere il più possibile liberi da qualunque faziosità e a collocarci al di sopra di qualsiasi oltranzismo (sine ira et studio, direbbe qualcuno).
Di primo acchito, il provvedimento sembrerebbe facilitare il nostro compito, in quanto si compone di un articolato breve, tanto - forse troppo - asciutto e con poche modifiche numeriche. Si tratta di un testo che sembra ratificare il trionfo del processo deduttivo, a dispetto della pluralità e delle diverse argomentazioni contenute nei differenti testi connessi al disegno di legge in esame.
Questa riduzione numerica cela - invece - una materia complessa e articolata. Penso, ad esempio, ai temi della rappresentanza del nostro sistema politico e della rappresentatività degli eletti, del ruolo e del peso delle Assemblee rappresentative, nonché della caratura della nostra democrazia rappresentativa. Ho ripetuto più volte i concetti di rappresentanza e rappresentatività, perché al provvedimento in esame, che riduce il numero dei senatori e dei deputati, non si può associare - come lo è formalmente - l'Atto Senato 881, concernente l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari.
Mi spiego meglio. Non potete liquidare il provvedimento come un semplice taglia-poltrone, come nella cartolina grafica che qualche collega del MoVimento 5 Stelle, o meglio, «portavoce cittadino» ha già sfoggiato sui social. Il vero combinato disposto che si accompagna al disegno di legge in esame è la visione di Davide Casaleggio, che bolla la nostra democrazia rappresentativa come un feticcio che sarà presto superato. (Applausi dal Gruppo PD). C'è poi la dichiarazione di Alessandro Di Battista, vice premier ombra, che giudica il nostro sistema democratico obsoleto come la monarchia. È quindi con la legge della Casaleggio Associati che vanno letti e compresi il senso profondo di questa vostra iniziativa e il disegno occulto che questa disposizione traccia.
In fin dei conti, le parole del ministro Fraccaro dello scorso giugno furono sibilline nell'annunciare che gli interventi di aggiornamento istituzionale sarebbero stati adottati tramite iniziative costituzionali distinte e autonome, rinunciando quindi a un programma di riforme organico e di insieme. Sarebbe pertanto opportuno che il Governo chiarisse meglio il vostro concetto - come maggioranza - di aggiornamenti istituzionali. Occorre ricordare che la nostra Costituzione non è un software prodotto a Cupertino, che ogni tanto si aggiorna in automatico. La nostra Costituzione è ben altra cosa che la vostra piattaforma Rousseau. (Applausi dal Gruppo PD). Ma tant'è, oggi portate all'esame dell'Assemblea la riduzione del numero dei deputati a 400 e dei senatori a 200. Mi chiedo: può essere questo - e giusto questo - il punto di caduta del percorso di innovazione delle istituzioni di vertice del nostro ordinamento? Siete proprio sicuri che non sia ancora oggi necessario intervenire prima sulle caratteristiche del nostro bicameralismo indifferenziato? Siete proprio convinti che riuscirete a bleffare ancora i cittadini dicendo che con questa riduzione avete riformato il Parlamento? Personalmente credo che la risposta a tutte queste domande sia e sarà: no.
Dico di più: ciò che critico oggi in quest'Aula è l'approccio alla democrazia rappresentativa come se fosse una semplice voce di spesa corrente e il voler nutrire l'antipolitica, con la quale avete sin qui gonfiato le vostre percentuali con gli strumenti propri della rappresentanza democratica.
Non ho nemmeno difficoltà a dichiarare qui in Aula che all'inizio avevo nei confronti di questo disegno di legge delle generiche perplessità che, attraverso una serena discussione e un'attività emendativa mirata, pensavo potessero trovare anche facile soluzione. Oggi, però, ascoltandovi in questi giorni e guardando i muri che avete eretto alla discussione, le perplessità sono diventate preoccupazioni dinanzi alla vostra irriducibile volontà di fare tutto da soli.
Nel testo disponete che ogni 150.000 abitanti ci sarà un deputato eletto e ogni 300.000 un senatore. Ampliate, insomma, considerevolmente la forbice tra eletti e abitanti, senza voler considerare però che il numero del corpo elettorale è in costante crescita. Vi chiedo: come pensate sia possibile dare seguito all'esercizio reale della funzione rappresentativa? Come pensate di contribuire a garantire la capacità effettiva di presenza sul territorio di un eletto, di ridurre la distanza tra eletto ed elettore? Pensate davvero che basteranno le dirette Facebook o le storie su Instagram? È un assurdo. Il corto circuito, che sempre più spesso si verifica nelle scelte del Governo giallo-verde, sta nel fatto che voi del MoVimento 5 Stelle, eletti in Parlamento, vi fate chiamare portavoce dei cittadini, mentre voi altri della Lega - dico «Lega» perché oggi, forse per questioni di procura, vi chiamate così - che avete fatto fin qui dei territori del Nord, della Padania e della loro rappresentanza una bandiera oggi di fatto tracciate una frattura non più ricomponibile con la logica che finora vi ha accompagnato. (Applausi dal Gruppo PD).
Per essere chiari, non sarei contrario alla riduzione del numero dei parlamentari; sono invece contrario ad un semplice taglio dei parlamentari e basta, senza un progetto di riforma che ridistribuisca e riassegni competenze e prerogative. (Applausi dal Gruppo PD). Questo disegno di legge svela il vostro errore di fondo, il vostro abbaglio fatale nel gestire con la logica dei piccoli ragionieri ciò che con la ragioneria non c'entra niente. Ve lo hanno fatto presente gran parte degli accademici auditi in Commissione, gli stessi accademici che un tempo prendevate a manifesto e che oggi non considerate nemmeno. (Applausi dal Gruppo PD). La mera scelta aritmetica di riduzione dei parlamentari senza un intervento più complesso di insieme e corale degli aspetti che toccano il sistema di rappresentanza, oltre a non produrre miglioramento, di fatto innesca una serie di ulteriori problemi, che voi colpevolmente continuate a ignorare.
La scelta di rendere inammissibili i nostri emendamenti non fa altro che acuire questa responsabilità. A tal proposito chiedo anche alla Presidenza del Senato una riflessione. Vi ostinate a ritenere che gli effetti di questa legge saranno contenuti dall'associazione con la legge elettorale, ma in merito vi chiedo: come intendete ridurre il problema delle soglie di sbarramento implicite che si vengono a creare con l'abbassamento del numero dei seggi? Al Senato, di fatto, le soglie di accesso potrebbero superare il 10 per cento e questa percentuale è la stessa misura massima tollerata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei sistemi proporzionali.
Come pensate di rimediare a tale vulnus? E sulla questione dell'elettorato attivo per il Senato, ha ancora senso la soglia dei venticinque anni per eleggere la Camera alta? Anche in questo caso, da voi nessuna risposta. Avrei ulteriore gioco facile nel ricordare come risultino sensibilmente modificati i rapporti tra i membri di Camera e Senato con la rappresentanza dei delegati regionali in fase di elezione del Capo dello Stato: avete preso in considerazione questo aspetto?
Insomma, penso che voler approvare un disegno di legge costituzionale in fretta, con un tale corredo di interrogativi inevasi, non sia in alcun modo un buon servizio per il Paese. Non lo è da parte dei legislatori, non lo sarà da parte dei portavoce dei cittadini, come ancora amate continuare a definirvi. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Aimi. Ne ha facoltà.
AIMI (FI-BP). Signor Presidente, onorevoli rappresentanti del Governo, colleghi, è un momento particolare quello che viviamo oggi in Aula perché finalmente è arrivato il provvedimento di riforma costituzionale che abbiamo aspettato assai a lungo e su alcuni punti del quale riteniamo possa esservi una condivisione.
Dividerò il mio intervento in due momenti, uno "a caldo" e uno "a freddo". Il primo parte inevitabilmente dal silenzio del relatore: egli è venuto in Aula senza spiegarci le ragioni per le quali questo provvedimento può essere fondato e non credo che ciò sia dovuto soltanto all'intenzione di risparmiare tempo, come dirò nella fase conclusiva del mio intervento. Ritengo infatti che le sue parole elusive, di fatto, siano invece assai esplicative del sentimento e dei contrasti che questa maggioranza vive. L'intento probabilmente è far passare il provvedimento in tempi rapidi, senza colpo ferire e senza una grande discussione, e devo dire che su questo non sono assolutamente d'accordo.
Questa mattina ho ascoltato con grande attenzione gli interventi effettuati dai senatori della maggioranza e del MoVimento 5 Stelle: forse, colleghi, avete parlato di questi argomenti di carattere costituzionale nei banchetti, sui social e in altri ambienti idonei. Ricordo però che nel 1979, quando, a diciannove anni - per me erano i tempi dell'università - i professori, tenute le loro concioni a lezione, ci lasciavano liberi di discutere e le discussioni proseguivano anche dopo, in tutte le materie. Parlavamo di riforma presidenziale e di tutti gli aspetti che riguardano la Costituzione; devo però dire francamente che gli articoli 56 e 57 non è che attirassero tanto l'attenzione di noi studenti, perché la Costituzione, pur essendo una materia "viva", è anche una materia "fredda" e dunque difficilmente entusiasma.
All'inizio degli anni '80, però, ci fu un grande tentativo di riforma costituzionale: nacque allora il tentativo di portare ad una nuova Repubblica, in particolare di stampo presidenziale, che in quest'Aula vorremmo ancora sostenere. Non si possono fare le riforme, infatti, semplicemente al suono di riduzione del numero dei parlamentari. Ci saremmo aspettati qualcosa di diverso e avremmo voluto una riforma dell'intero impianto statuale: ci hanno provato nelle legislature precedenti, perché da quarant'anni è in atto un tentativo di modifica istituzionale per rendere più fluido anche il sistema legislativo; sono tanti i Governi che hanno cercato di fare questa riforma, ma senza limitarsi semplicemente alla riduzione di un numero, bensì considerando un impianto complessivo. Ricordo ancora Berlusconi nella XIV legislatura, ma potrei tornare indietro: il numero che oggi viene indicato è sostanzialmente sintonico con quello indicato dalla Commissione De Mita-Iotti, ossia 200 senatori e 400 deputati, non è che poi sia una grande novità.
Devo anche dire che i fallimenti che ci sono stati non credo potranno essere compensati semplicemente dalla presentazione e dall'ottenimento di un voto favorevole che magari registreremo in quest'Aula. La mia impressione è che con l'approssimarsi delle elezioni europee, qualcuno voglia andare nelle piazze a sbandierare un risultato. In realtà, se non ragioniamo cum grano salis, rischiamo di buttare via il bambino con l'acqua sporca. Facciamo allora grande attenzione: possiamo ridurre il numero dei parlamentari, figuriamoci, siamo d'accordo, tanto che nella XIV legislatura noi stessi eravamo stati i fautori di un disegno di legge in tal senso, ma oggi ci ritroviamo semplicemente all'interno di questa nicchia e mi pare francamente un po' poco.
Se dunque qualcuno vuole sbandierare alle prossime elezioni questo tentativo di riformare la nostra Carta costituzionale, devo dire che il processo di fascinazione non ci coinvolge completamente: avremmo voluto qualcosa di diverso. Accettiamo naturalmente la riduzione perché è un punto di riferimento importante, come dicevo, ma il volto nuovo dello Stato non passa attraverso questo semplice provvedimento.
Ho visto che qualcuno ha già usato sui social temi aulici, modi di esprimersi molto forti, ma credo che in questo caso la montagna abbia partorito il topolino. Ebbene, noi possiamo stare dalla parte del topolino, possiamo dare una legittimazione e riconoscere che ci sono ragioni valide per sostenere la riduzione del numero dei parlamentari, però questa riforma andava accompagnata con qualcosa di più serio. Certamente quello della riduzione delle spese è un aspetto positivo, ma non può essere solo questa la ragione che deve spingere ad un voto favorevole o magari di astensione su questo provvedimento. È necessaria una riduzione e una razionalizzazione anche degli interventi per facilitare il processo legislativo. Credo che questo impianto della Costituzione sia fallato in ben altri aspetti, in ben altri punti. Noi non riusciamo, in buona sostanza, a legiferare in maniera corretta per una ragione molto semplice relativa ai vari passaggi che deve attraversare un provvedimento, che entra in Commissione scritto in un certo modo, viene modificato, dopodiché affronta il duplice passaggio di Camera e Senato e, infine, ove mai dovesse essere approvata come legge, potrebbe essere disapplicata in alcuni casi dalla magistratura e in alcuni altri impugnata davanti alla Corte costituzionale.
Credo dunque che dovremmo guardare con molta attenzione anche a questi aspetti.
Riconosciamo che questo provvedimento era nel contratto di Governo - figuriamoci - ma era ancora prima, come avevamo indicato, nelle corde e nel cuore di Forza Italia, era nelle corde e nel cuore di coloro che volevano e che vogliono una riforma organica dello Stato. Queste sono le ragioni. Questo provvedimento non serve per vellicare i bassi istinti di qualcuno, non serve per andare in campagna elettorale a fare ben altro, ad appuntarsi una coccarda che, in realtà, appartiene ad altri. La testimonianza più vera che possiamo vedere è che quando un movimento politico entra in crisi si butta immediatamente a capofitto nel tentativo di ridurre le spese e di abbassare il numero dei parlamentari. Che cosa ha fatto Macron in Francia in questi giorni di fronte alla crisi che lo ha colpito? La prima risposta che ha dato è stata quella di ridurre il numero dei parlamentari. Ecco, questo è l'aspetto caldo di questa vicenda. Non vorrei che il provvedimento al nostro esame, in realtà, fosse la foglia di fico sulle impresentabili nudità rappresentate da questo Governo, sulle sue contraddizioni sulla TAV, sulla TAP, sulle posizioni di politica estera sul Venezuela. Ci sono contraddizioni evidenti e qualcosa doveva pur mascherare questa situazione. Ecco le ragioni per le quali credo che il provvedimento al nostro esame sia arrivato in Aula in questo momento.
In conclusione, voglio evidenziare che mantenendo questo sistema difficilmente riusciremo, anche con la riduzione dei parlamentari, a realizzare una riforma completa. Infatti dovremmo piuttosto pensare alla differenziazione delle competenze. Mi chiedo se 200 senatori saranno sufficienti per coprire tutto il lavoro delle Commissioni. Mi domando ancora se non sia poi opportuno prevedere una differenziazione delle competenze delle Camere.
Questi sono gli aspetti, anche critici, che ci permettiamo di segnalare all'Assemblea, pur essendo favorevoli, naturalmente, ad una razionalizzazione della spesa e ad una diminuzione del numero dei parlamentari. (Applausi dal Gruppo FI-BP. Congratulazioni).
GRIMANI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo oggi a parlare di un tema cruciale per il Parlamento; un tema che in queste Aule è stato affrontato molte volte negli ultimi trent'anni e che quindi non spaventa, ma affascina e che poniamo al centro della nostra riflessione politica.
A nostro avviso, però, il disegno di legge della maggioranza scaturisce da un'eccessiva semplificazione del quadro politico e del ragionamento politico-istituzionale. Ciò non sorprende, perché se andiamo a vedere alcune dichiarazioni della scorsa estate, soprattutto quelle del leader dei 5 Stelle Grillo e della figura di riferimento del Movimento, cioè Casaleggio, notiamo il vostro punto di vista, la vostra idea circa la democrazia rappresentativa. Nel luglio dello scorso anno Casaleggio diceva che il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile: oggi grazie alla Rete e alla tecnologia esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Beppe Grillo, relativamente al sorteggio dei parlamentari, diceva che il più grande inganno della politica è farci credere che servano i politici; sembra assurdo, ma pensateci un attimo: la selezione (quella del sorteggio) dovrebbe essere equa e rappresentativa del Paese, sarebbe un microcosmo della società.
Presidenza del vice presidente ROSSOMANDO (ore 10,34)
(Segue GRIMANI). Di fronte a questi presupposti non è per noi una sorpresa un disegno di legge così stringato, che tratta il tema istituzionale solo dal punto di vista della riduzione del numero dei parlamentari. Come ho già detto prima, questo tema non ci spaventa. Negli anni passati siamo stati interpreti di tentativi di riforma. Negli ultimi trent'anni il Parlamento è stato protagonista di vari tentativi: ce ne sono stati circa sette, tutti andati a vuoto. Non abbiamo quindi alcuna difficoltà a parlare di questi temi; d'altronde la storia della sinistra italiana è stata caratterizzata da correnti di pensiero molto forti rispetto al tema della riforma istituzionale. Io guardavo un libro, che è stato ristampato in questi anni, scritto nel 1985 dal presidente della Camera Ingrao (Presidente negli anni dal 1976 al 1979) con Norberto Bobbio proprio sulla crisi del Parlamento. In quel testo già allora (parliamo del 1985) si poneva il tema della riforma istituzionale, di un Parlamento che stava perdendo la capacità di essere centro della democrazia rappresentativa, che era in una fase di decadimento dell'etica pubblica; eppure già in quegli anni si poneva il tema della riforma istituzionale, della riduzione del numero dei parlamentari, del rafforzamento dei poteri del Parlamento sul lato del controllo, del collegamento maggiore delle istituzioni parlamentari con quelle europee e regionali.
Quindi, il tema della riforma per noi è centrale, ma non lo è trattarlo esclusivamente in relazione alla riduzione dei costi di funzionamento delle istituzioni. Utilizzare termini di confronto di questa natura ha una portata troppo ridotta e noi che siamo classe dirigente (e ancor più voi che oggi siete al Governo) dobbiamo porci il tema di come le istituzioni devono funzionare meglio e di come rispondono alle esigenze e alle domande dei cittadini.
Io credo che la democrazia rappresentativa non sia superata e considero un errore concepirla come un ingombro o uno strumento logoro. La rappresentanza è la struttura portante delle democrazie moderne, in cui prevale la necessità di comporre gli spazi di libertà sociale. Questo è compito dei partiti politici: lo prevede la Costituzione all'articolo 49, che non va liquidato.
Mi rivolgo soprattutto ai senatori del MoVimento 5 Stelle: invece di fare emergere le vostre contraddizioni rispetto all'essere o no un partito, preferite scaricare sulle istituzioni questo dubbio e non affrontarlo per quello che in realtà è. E allora pensate che la struttura della democrazia debba essere diretta, senza mediazioni, senza sintesi né coesioni. Se veramente, invece, volete interpretare la missione del cambiamento - che tanto decantate - dovete porvi un obiettivo più alto, ovvero pensare a una riforma istituzionale più completa, e allora trattare temi quali l'equilibrio tra il potere legislativo e quello esecutivo; il bicameralismo paritario; l'eccessivo utilizzo della decretazione d'urgenza, e la necessità di ripensare magari questo ramo del Parlamento come una Camera delle autonomie e delle garanzie. In questo senso avevamo avviato un percorso di riforma, bocciato dagli elettori - ci mancherebbe altro, decide il Paese reale - e voi in quella fase, dove questi temi erano posti all'attenzione del Parlamento e dei cittadini, avete preferito condurre una battaglia politica contro chi proponeva quella riforma piuttosto che guardare all'interesse generale contemplato nei contenuti della stessa. Per questo oggi il Parlamento, secondo me, deve affrontare questo passaggio con maturità.
La continua denigrazione delle istituzioni non porta da nessuna parte, ma solo alla morte della democrazia. Oggi voi che siete al Governo non potete più giocare a fare la battaglia contro l'establishment: siete voi establishment. (Applausi dal Gruppo PD). Questa battaglia non regge più; dovete avere la responsabilità di affrontare i temi perché siete forza di Governo, e questo compito vi spetta perché ve lo hanno attribuito gli elettori.
Noi non ci sottraiamo al confronto; avrete il nostro contributo, come lo avete avuto nella Commissione affari costituzionali, ma chiediamo che la riforma delle istituzioni sia affrontata in maniera compiuta. La riduzione dei parlamentari può andare di pari passo soltanto con altri temi, se gli emendamenti che abbiamo proposto verranno considerati come centrali in un percorso di riforma. Penso al tema dell'elettorato passivo del Senato, consentendo a chi ha compiuto venticinque anni di candidarsi, alla possibilità del Senato come Camera delle autonomie, di Camera delle Regioni, magari facendo sì che i Presidenti di Regione possano partecipare alla discussione dei temi rientranti nelle competenze regionali secondo gli articoli 116 e seguenti; e potrei continuare con altri aspetti che abbiamo posto all'attenzione del Parlamento con i nostri emendamenti.
Quello che vi chiedo è di interrompere - perché faremmo un servizio alla democrazia - il cortocircuito tra funzionamento delle istituzioni e risparmio finanziario. Se avete a cuore questi temi, il problema dei costi della politica non si risolve guardando solo alla riduzione dei parlamentari. Avete fatto delle scelte - mi riferisco al MoVimento 5 Stelle - in cui non mi pare che quella del risparmio sia stata la stella polare: avete portato a Palazzo Chigi un portavoce (Casalino) che guadagna più del Presidente del Consiglio (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Nugnes); proprio in queste ore avete cacciato dal Ministero dello sviluppo economico un professionista di primo piano (Castano) - che da undici anni segue le vertenze di crisi delle aziende italiane - per mettere al suo posto il vice capo di gabinetto Sorial, che è un trombato alle elezioni del 4 marzo (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Mallegni). Queste cose il Paese le deve sapere e non potete continuare a nascondervi dietro a slogan e spot.
Siamo disponibili a partecipare a un percorso di riforma, ma in maniera seria. Saremo dentro questo percorso se il Parlamento affronterà il tema della riforma in maniera compiuta e organica, altrimenti non saremo disponibili a partecipare a uno spot poco più che elettorale, che non aggiungerà nulla al rafforzamento del ruolo centrale del Parlamento e della democrazia rappresentativa nel nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Mallegni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ferrazzi. Ne ha facoltà.
FERRAZZI (PD). Signor Presidente, colleghi, che il nostro Paese abbia bisogno di riforme istituzionali e costituzionali è sotto gli occhi di tutti. A dire il vero anche i nostri Padri costituenti lo avevano presente, tanto che alcuni di loro, nello scrivere una Costituzione meravigliosa e fondamentale, che ha retto la nostra democrazia per tutti questi decenni, dal momento dell'uscita dal buio della dittatura del Novecento, hanno ribadito fin dal principio che ci sarebbe comunque stata la necessità di rimettere mano alla Costituzione stessa. In particolare, alcuni di loro individuarono già il tragitto e i temi in cui proporre tali cambiamenti, come ad esempio la questione delle due Camere con le stesse identiche funzioni. Allora era infatti stato creato un unicum - che è tale anche oggi - tra i sistemi istituzionali dei Paesi occidentali.
Nel nostro Paese c'è dunque bisogno di riforme costituzionali, istituzionali, economiche e sociali. C'è bisogno di una vera lotta nei confronti delle corporazioni, che oggettivamente sono in parte parassitarie e mirano ad un'autotutela, che confligge con l'interesse generale del Paese e quindi dei cittadini. C'è bisogno di una cultura riformista, cosciente del fatto che per mantenere alti i valori e i diritti delle persone lo Stato e tutte le organizzazioni devono incessantemente riformarsi, perché uno Stato che rimane identico a se stesso nega, paradossalmente, proprio i valori che vuole assecondare, proteggere e far emergere.
Dunque, la cultura della riforma e anche della modifica della Costituzione è nel DNA dei riformisti e democratici del nostro Paese ed è anche nel DNA dei democratici e riformisti a livello europeo. Per questo motivo, colleghi, il Partito Democratico non è stato fermo, ma ha proposto anche negli ultimi anni una riforma costituzionale molto dibattuta, che non ha avuto il voto della maggioranza degli italiani, ma che ha avuto il coraggio di prendere il "toro per le corna". Certamente, pur con tutti i suoi difetti (tutto è perfettibile in questo mondo), ha avuto il coraggio di proporre al Paese un cambiamento di sistema.
Le forze di maggioranza dell'attuale Parlamento si sono scagliate contro quella riforma e hanno vinto quella battaglia, ma rischiano di perdere la guerra nei confronti di ciò di cui parlavo prima, ovvero della necessità di una riforma strutturale del nostro Paese. Esse propongono infatti vie di fuga più facili, demagogiche e propagandiste, tra cui quella del taglio del numero dei parlamentari. Occorre fare attenzione: la riduzione dei numero dei parlamentari era anche nella riforma proposta dal Partito Democratico, che crede fortemente ci debba essere una ricalibratura tra il numero dei parlamentari e i compiti ad essi assegnati. Dunque, il Partito Democratico non è contrario, ma è anzi favorevole ad una prospettiva che vada in questa direzione. Il tema di fondo, però, è quello che dicevo prima, ovvero la capacità di inserire questa operazione all'interno di una visione generale.
Il secondo tema che pone con grande enfasi la maggioranza, ovvero i colleghi del MoVimento 5 Stelle e della Lega, è quello del referendum. Occorre però fare attenzione, perché il taglio dei costi e quindi l'efficienza, e dunque l'efficacia, di un sistema sono questioni importanti per ogni organizzazione e anche per le democrazie parlamentari. Se però la questione è solamente quella del taglio dei costi, si rischia di prendere una sonora sberla, proprio nella direzione di negare il risultato che si pensa di raggiungere.
Se la democrazia ha dei costi, e al controllo di questi costi noi tutti dobbiamo essere attenti e ligi, è del tutto evidente che l'assenza di democrazia e dunque la demagogia (per usare categorie classiche) ha dei costi ben maggiori; è questo esattamente il rischio che corre il Parlamento. Tra l'altro, colleghi, sarebbe interessante vedere quali sono i costi scaricati sui cittadini da parte di questo Governo, con i balletti sulla richiestadi impeachment del presidente Mattarella per tradimento della Costituzione di pochi mesi fa, e la legge di bilancio, che scarica sulle tasse degli italiani e sul debito pubblico delle future generazioni miliardi e miliardi di euro. Questi sono costi veri per la democrazia, a cui gli italiani chiederanno risposta.
La questione del referendum è una questione importante; noi riteniamo che sia un istituto assolutamente da consolidare e non lo vediamo opposto alla questione della democrazia parlamentare. Esso è anzi un istituto che arricchisce, che rafforza, che affianca, che coinvolge in maniera significativa, quando viene giustamente esercitato. È evidente però che, se il referendum diventa la via di fuga per l'incapacità del Parlamento di decidere e di assumersi le proprie responsabilità, esso rappresenta un problema. Quando il referendum diventa una via di fuga perché i parlamentari non hanno la competenza e la capacità di approfondire le questioni e la capacità politica di assumersi le responsabilità e di arrivare alle sintesi, questo diventa un problema. Magari il referendum si indirà su una piattaforma online (perché no?) e magari si tratterà di una piattaforma privata, dove si racconta che uno vale uno e invece l'uno controlla i molti, perché è questo ciò che avviene nella logica delle cose, questo è il destino già scritto in questa demagogia.
Attenzione, colleghi, perché ogni sistema velatamente autoritario inizia sempre dalla delegittimazione del Parlamento. (Applausi dal Gruppo PD). Questo racconta la storia del Novecento e questo racconta la storia contemporanea, basta vedere Maduro; ma evidentemente a qualcuno in quest'Aula Maduro sta simpatico, come si evince dalle dichiarazioni pubbliche anche del vice premier Di Maio. Attenzione ancora una volta, colleghi, perché il cosiddetto sentire generale, come insegna la storia, trova sempre un generale che lo interpreta; la democrazia invece è la capacità di sfuggire alle semplificazioni e di dare risposte reali ed efficaci. Ora, naturalmente, noi siamo consapevoli che c'è un problema legato ai tempi, alla lentezza del Parlamento, c'è un problema, come dicevo poc'anzi, legato alla necessità di una riforma costituzionale a 360 gradi, alla velocità del mondo dell'economia, della società e della cultura, che richiede velocità di risposta. Quindi c'è bisogno, in questa prospettiva, di un ripensamento del rapporto di potere, anche all'interno del mondo istituzionale e politico, tra il potere esecutivo e il potere legislativo; su questo binario ci troverete sempre al vostro fianco, quando c'è da ragionare per il bene del Paese al di là dei facili slogan e delle semplificazioni.
È per questo, colleghi, che il Partito Democratico non è stato con le mani in mano. Noi, signor Presidente, siamo rimasti un po' allibiti ieri, quando il relatore di questo importante provvedimento non ha nemmeno voluto presentarlo in Aula. Vede, non è solo una questione di mancanza di rispetto, ma è una questione di sostanza, perché una maggioranza che propone un provvedimento di questo tipo lo presenta in Aula, lo presenta in Commissione e mette l'Aula e la Commissione nelle condizioni di discuterlo e di valutarlo. In Commissione sono accaduti eventi che creano un precedente pericoloso; sono stati definiti inammissibili dei nostri emendamenti che, a nostro parere, inammissibili non sono affatto.
Noi abbiamo presentato - e concludo, signor Presidente - temi di straordinaria importanza con i nostri emendamenti: abbiamo parlato di elettorato passivo e attivo da uniformare tra le due Camere, abbiamo parlato di una rimodulazione della platea che elegge il Presidente della Repubblica e, soprattutto, abbiamo parlato della necessità di superare il bicameralismo perfetto, per differenziarlo, come avviene in tutti i Paesi contemporanei. Perché ogni giorno siamo testimoni del fatto che due Camere che fanno esattamente la stessa cosa non hanno alcun senso e rallentano ogni processo decisionale, quando invece il mondo vuole velocità nella decisione sensata.
Allora, il tema delle differenti funzioni di Camera e Senato è importantissimo e il Senato deve svolgere un ruolo di salvaguardia delle garanzie e di rappresentanza delle autonomie. Non si può chiacchierare a vanvera di federalismo e di autonomia e poi disegnare ogni provvedimento sul concetto di uno Stato centralista che non risponde per nulla ai bisogni reali della nostra popolazione. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Perosino. Ne ha facoltà.
PEROSINO (FI-BP). Signor Presidente, signor Sottosegretario, colleghi, le riforme costituzionali sono un momento importante nella vita del Parlamento e nella vita politica in generale. La Costituzione vigente ha già imposto limiti e procedure complesse, con pesi e contrappesi, e lo ha fatto volutamente, visto l'oggetto e l'influenza che le riforme costituzionali possono avere sul sistema di funzionamento di tutta la politica e dello Stato. Ci sono equilibri che risentono - è vero - della politica del momento, ma altri che vanno anche oltre il livello della dottrina costituzionale, che, per sua natura, è più lenta e approfondisce maggiormente i processi.
La riduzione del numero dei parlamentari, come già detto, è in discussione da anni e corrisponde a un comune sentire dell'opinione pubblica, sollecitata dalla stampa e dai talk show e forse è anche una moda, per cui oggi chi fosse contrario sarebbe condannato all'ostracismo. Tuttavia, i costituzionalisti che sono stati auditi dalla 1a Commissione e sono sostanzialmente d'accordo sulla riforma, pongono alcune obiezioni pertinenti.
Secondo i costituzionalisti il processo elettorale ha una fase pre-elettorale (il sistema elettorale, la selezione delle candidature e la campagna elettorale), una fase elettorale vera e propria (l'esercizio del voto e l'elezione dei rappresentanti) e poi una fase post-elettorale (il rendiconto e il consuntivo agli elettori da parte degli eletti). A seconda della prevalenza in ogni fase di questi metri di giudizio e di questi metodi possono prevalere sistemi più centrati sul partito oppure sul candidato da cui deriva, una volta eletto, la responsabilità verso gli elettori: quella di raccogliere le istanze degli elettori e del partito, esercitare senza vincolo di mandato (spero che non sia una delle prossime riforme in programma, perché l'assenza di vincolo di mandato garantisce la libertà dell'eletto) e poi rendere conto circa l'attività svolta.
Nel sistema che viene proposto e che verosimilmente sarà approvato ci saranno 200 senatori, tre ottavi dei quali eletti secondo il sistema uninominale: 60 milioni di italiani circa divisi per 75 senatori dell'uninominale corrispondono a 800.000 abitanti circa. Con collegi proporzionali enormi, che corrispondono a Regioni intere o almeno a metà Regione, è una situazione che va man mano mutando e che è difficile da sostenere, perché l'incremento ulteriore a 800.000 abitanti determina anche un aumento dei costi diretti e indiretti, al di là del budget, della campagna elettorale.
Cambia anche il tipo di voto, perché tocca a volte più Regioni e senz'altro più Province, per cui cambia la mentalità e il tipo di voto di scambio, non nell'accezione penalistica e forcaiola di cui si è parlato qualche volta in quest'Assemblea, ma nel senso di una promessa e di un modo di realizzare qualcosa, così come cambia il voto di opinione o di appartenenza politica.
Inoltre, cambia il rapporto tra elettori, eletti e partiti, perché 800.000 abitanti snaturano e possono anche rendere più indipendente l'eletto.
Per quanto riguarda il sistema elettorale - ma è una provocazione quella che vado dicendo - probabilmente con l'uninominale secco il riferimento sarebbe a 300.000 abitanti (60.000 milioni diviso 200 senatori), che è ancora una dimensione a misura di elettore uomo e donna, per cui l'eletto può mano a mano conoscere il suo collegio.
I costituzionalisti si chiedono però se ridurre il numero dei parlamentari senza modificare il bicameralismo perfetto darà più efficienza e più peso politico all'eletto e agli abitanti elettori contribuenti.
Il mio intervento si concluderà con una voce di speranza, nonostante tutto. Seppure in questo momento non si possa parlare di modifica del bicameralismo perfetto, perché quando si è tentato di farlo si è finiti pure male, io credo che, mentre un minor numero di senatori sul piano dell'efficienza potrà portare magari qualche difficoltà nella gestione delle Commissioni - ma forse saranno raggruppate - potrà dare però maggiore peso politico all'eletto.
Ci sono poi alcune questioni minori che vengono poste dai costituzionalisti, tra cui, innanzitutto, quella dei 58 delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica che avrebbero un peso diverso sul totale degli aventi diritto al voto.
C'è poi secondo i costituzionalisti la questione dell'elettorato attivo e passivo: secondo alcune scuole, venticinque anni per votare al Senato sono troppi, così come quaranta per essere eletti. Personalmente penso che vadano bene, perché la maturità si raggiunge anche oltre.
La riforma prevede poi un numero massimo di cinque senatori a vita, che credo sia il massimo che si può fissare, perché altrimenti sul totale di 200 potrebbero diventare un gruppo particolare, che può influire sui risultati.
In conclusione, passando dal diritto costituzionale, che per me è un po' arduo, alla realtà, qual è la figura, qual è la funzione e quali sono i poteri del parlamentare? A chi risponde?
Un parlamentare oggi risponde agli abitanti del suo collegio, agli elettori, ai contribuenti, a tutti o soltanto a quelli del suo condominio e a quelli che hanno espresso un certo tipo di voto? Risponde alle associazioni liberamente costituite e agli interessi organizzati? Credo che sia legittimo. O risponde solo, ripeto, agli elettori del suo partito?
Qui sta la differenza: una volta eletti - così come il sindaco, il Presidente della Provincia quando era eletto dal popolo, o il Presidente della Regione - si è rappresentanti di tutti. Risponde all'interesse generale? Ma come si forma l'interesse generale dell'eletto? In base alla sua vita personale, ai suoi studi, alle sue esperienze?
Il parlamentare - lo ribadisco perché resti agli atti - deve essere senza vincolo di mandato.
Come viene scelto il parlamentare candidato e poi eletto? Dalle segreterie dei partiti? Secondo un cursus honorum politico di cui i partiti tengono conto? Io voglio pensare di sì. Mi dicono che in Francia ciò avviene senza nessuna legge, per cui si comincia da sindaco, da presidente di un ente superiore, da presidente di una Regione, di un Dipartimento e poi si diventa deputati e senatori.
Io credo che un po' di cursus honorum politico ci voglia, anche perché, se i partiti tenessero conto di questi elementi, sceglierebbero nell'ambito di persone che hanno realizzato qualcosa nella vita.
Una volta eletto il parlamentare che cosa può fare? Conosce i problemi amministrativi, economici e sociali del suo collegio e dell'Italia, se vogliamo, perché deve mediare rispetto a quella che può essere una situazione contingente o particolare?
Io penso anche che vi sia differenza tra essere eletti in una grande città ed essere eletti in realtà più piccole, fino alle realtà di montagna, dove ci sono vasti collegi con tanti chilometri di strade e di superficie, ma problemi completamente diversi e difficoltà oggettive da affrontare. Mi chiedo: l'eletto ha un minimo di esperienza di pubblica amministrazione? Sa come funziona? Ha anche un'esperienza di vita? Per questo ho detto che quarant'anni per diventare senatore mi sembrano giusti: perché nella vita si impara forse a quarant'anni. Anche senza laurea, è almeno un poco autodidatta in queste materie? Si informa? Fa vita politica di collegio il sabato e la domenica, o va in barca? Come può incidere una volta che è qui?
PRESIDENTE. La invito a concludere, senatore Perosino.
PEROSINO (FI-BP). Sto concludendo, signor Presidente.
C'è un sistema per cui il Governo è per forza in mano alla maggioranza e i decreti-legge hanno dei percorsi preferenziali per essere convertiti entro sessanta giorni. Ma i disegni di legge sovente rimangono nei cassetti e quando, dopo uno, due o tre anni, avessero la fortuna di essere approvati, passano all'altra Camera e nel mentre finisce la legislatura.
A volte mi pare di sentirmi un po' palude, ma credo, nonostante tutto, che chi ci ha eletti abbia riposto fiducia in noi più che nei nostri partiti. E la riforma costituzionale, anche secca e scarna come quella che andiamo ad approvare, credo che dovrebbe generare una tensione politica positiva per dare a noi e ai cittadini un po' di speranza. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Errani. Ne ha facoltà.
ERRANI (Misto-LeU). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, se questa discussione avvenisse in un quadro asettico, la riduzione dei parlamentari sarebbe una questione molto semplice da affrontare. Del resto, come tante colleghe e colleghi hanno sottolineato prima di me, sostanzialmente tutti i Gruppi si sono posti questo problema.
Tuttavia, a me colpisce che siamo di fronte ad un provvedimento di modifica costituzionale e c'è grande leggerezza in questa discussione. Sì, c'è il contratto di governo, c'è una campagna elettorale da fare, e si dirà: abbiamo ridotto i parlamentari. Ma, in verità, stiamo discutendo e in discussione c'è un altro punto, ed è la crisi della democrazia rappresentativa: una crisi che sta trovando delle risposte non solo in Italia, ma anche in tanti altri Paesi dell'Occidente. Davvero possiamo fare questa discussione senza ragionare su tali elementi?
La rivoluzione tecnologica, la dinamica dell'informazione, le piattaforme, la crisi dei corpi intermedi, la velocità delle decisioni sostanzialmente spingono a che la democrazia, di fatto, diventi un peso. Io di questo vorrei discutere, non semplicemente della riduzione dei parlamentari: troppo facile. Anzi, la voglio dire così, signor Ministro, visto che andrete a mani basse su tale questione: io vado controcorrente e rivendico che la democrazia non è un costo. (Applausi del senatore Comincini). Certo, ci vuole rigore e sobrietà, ma la democrazia non è un costo. (Applausi dai Gruppi FI-BP e PD). Da questo punto di vista sono stati commessi tanti errori in questi anni, su cui dovremmo avere tutti il coraggio di riflettere.
Provo ad andare avanti su questa riflessione con degli esempi. Mi piacerebbe ricevere delle risposte. Pensiamo alla parte del mondo democratico e sviluppato (non credo che siate interessati a Orbán, a Erdoğan e alle cosiddette democrature, ma va fatta attenzione perché la cosa sta venendo avanti seriamente). Qual è l'idea alternativa alla democrazia rappresentativa?
Ho preso sul serio le dichiarazioni sia di Casaleggio, che di Grillo, perché capisco che lì si cerca di dare una risposta - dal mio punto di vista, ahimè semplicistica e non condivisibile - a un problema che c'è. Vorrei capire qual è questo impianto di democrazia rappresentativa messa in discussione e qual è la democrazia diretta a cui voi state pensando. Quale è l'idea di Stato e di istituzioni?
Facciamo qualche esempio, che stiamo vivendo in quest'Assemblea sulla nostra pelle. Abbiamo votato una legge di bilancio senza aver avuto nemmeno il tempo di leggere il maxiemendamento. (Applausi dai Gruppi Misto-LeU e PD).
D'ALFONSO (PD). Bravo!
ERRANI (Misto-LeU). È un problema serio.
Perché avviene questo? Perché - ed è ciò che temo - state costruendo un nuovo format della politica e - lo vorrei dire a tutti i colleghi dell'opposizione - è un problema che ci riguarda. C'è un nuovo format della politica. Questo Governo fa sia maggioranza, che opposizione, in quanto fa l'opposizione a se stesso.
Le Commissioni non funzionano non perché c'è un'opposizione o vi sono troppi senatori, ma perché non le fate funzionare e riducete la dialettica democratica al vostro interno - è un problema, signor Ministro - in nome del fatto che voi, comunque, rappresentate il popolo. Ma anche noi rappresentiamo il popolo, perché siamo stati eletti, come voi, dal popolo italiano. (Applausi dai Gruppi Misto-LeU e PD). Quando il Governo esprime i suoi orientamenti perché è il popolo, occorre guardare indietro, alla storia, perché c'è qualcosa che non funziona. Voi siete non i portavoce del popolo, ma i rappresentanti, così come lo siamo noi. Questa confusione culturale, costituzionale e della democrazia mi preoccupa fortemente.
Volete qualche altro esempio? Ma come, non siete voi che avete deciso di fare una struttura centralizzata, centralizzando le funzioni del territorio, delle amministrazioni locali e delle Regioni? Non è il vice premier Di Maio che parla di sabotaggio da parte delle Regioni perché queste hanno posto il problema sull'applicazione del reddito di cittadinanza? E poi, signor Ministro, nello stesso tempo sottraete al dibattito parlamentare il tema dell'applicazione dell'articolo 116 della Costituzione, che volete portare dentro una legge e si potrà dire solo sì o no. Tutto questo dovrebbe avvenire senza il quadro istituzionale e senza alcuna attenzione ai livelli essenziali delle prestazioni, di cui alla lettera m), comma 2, dell'articolo 117 della Costituzione. Ma come, la riforma del Titolo V della Costituzione non ci è bastata? Non abbiamo visto che, senza un quadro di riferimento, il federalismo fai da te è un problema serio che mette in discussione la tenuta unitaria di questo Paese?
Ce lo farete discutere questo tema? Ministro, potremo discuterne prima che arrivi quella legge che ha quelle caratteristiche? Potremo discutere su come si gestiranno le risorse? Potremo discutere qual è il quadro per evitare che il federalismo fai da te produca un dato? Attenzione perché è già successo: vi è stata l'espropriazione del Parlamento che non è stato in grado di legiferare e la Corte costituzionale ha dovuto sostituirsi al Parlamento per definire i contenuti del federalismo.
Sono questi i problemi su cui avremmo bisogno di discutere e di ragionare per costruire. Qual è l'idea di Stato che avete? In quale modo vogliamo organizzare la funzione pubblica e l'esercizio della pubblica amministrazione? Come pensate di farlo? Questo non è chiaro. Fate spot e propaganda, ma è un grave errore agire così sulle scelte costituzionali e sulla qualità della democrazia. È di questo che sono preoccupato.
Nell'altro ramo del Parlamento state discutendo della proposta del referendum propositivo, ma non è ancora risolto il rapporto - come lo stesso presidente della Camera Fico ha posto - della legislazione del Parlamento con l'iniziativa popolare. Non è ancora risolto. È un tema delicatissimo. Voi giustamente siete preoccupati per la crisi del rapporto tra la politica e i cittadini; sono preoccupato anch'io, ma state remando nella direzione opposta. State remando nella direzione nella quale ci saranno i poteri forti. Le piattaforme e le forme organizzative del consenso prevarranno sulla rappresentanza. Almeno proviamo a discuterne. Fateci discutere; date valore a questo Parlamento e a quest'Aula.
Vengo all'ultimo punto. C'è un problema di rappresentanza. Voi con questa riforma, stante l'attuale legge elettorale, cambiate radicalmente il rapporto tra elettori ed eletti. Ne siete consapevoli? Siamo certi che in questa fase critica del rapporto tra istituzioni e cittadini il problema del rapporto tra eletti ed elettori si possa risolvere in questi termini? Io ho dei dubbi. Le minoranze nazionali come quella slovena, le minoranze linguistiche e, infine, la minoranza politica sono questioni delicatissime. Con questo provvedimento nel suo rapporto con la legge elettorale portate la soglia reale a circa il 10 per cento. È un problema per voi o vi accontentate della vostra dialettica tra maggioranza e opposizione tra di voi? Riconoscete l'opposizione? Volete che in questo Paese ci sia la voce?
Ministro, ad oggi la democrazia è fatta di pesi e contrappesi, di equilibri, di potere e contropotere, della Ragioneria che ha delle funzioni legislative che vanno tutelate. Nessuno può dire: non sei stato eletto Ragioniere generale, quindi obbedisci. No, non è questa la qualità della democrazia. (Applausi dal Gruppo PD). Ve lo dovete porre questo problema per il futuro di questo Paese e anche per il vostro futuro. (Applausi dai Gruppi Misto-LeU e PD e del senatore Saccone. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Causin. Ne ha facoltà.
CAUSIN (FI-BP). Signor Presidente, colleghi del Senato, nell'affrontare il tema delle riforme costituzionali, c'è da chiedersi se stiamo compiendo il solito rito oppure se stavolta ci stiamo cimentando in un tentativo autentico: se così fosse, ad avviso di Forza Italia e mio, esso sarebbe sicuramente degno della giusta attenzione.
Abbiamo una Costituzione molto bella e non poteva essere altrimenti: la sua genesi e i suoi protagonisti hanno fatto sì che, dopo la Seconda guerra mondiale, l'Italia avesse una Carta costituzionale di altissimo livello e qualità, sicuramente superiore a quelle di tantissimi altri Paesi. È anche vero, però, che la Costituzione non è un totem e il Parlamento ha il diritto e il dovere di cimentarsi in un tentativo di cambiamento, soprattutto perché i tempi cambiano.
È di tutta evidenza che il Paese sta molto peggio rispetto a dieci - quindici anni fa e che sicuramente c'è una responsabilità diretta, in alcuni casi legata all'inefficacia della nostra democrazia. Sono stati commessi errori soggettivi e imputabili alle forze politiche, ma sicuramente anche errori di sistema, nel funzionamento della nostra democrazia, che in questi anni si è dimostrata troppo lenta nel leggere i problemi ed articolare risposte, ma anche incoerente nel verificare se le risposte che aveva dato alle nuove questioni sociali erano efficaci e capaci di migliorare la vita dei cittadini o meno.
Il 40 per cento dei cittadini italiani non sta bene: lo sapete, perché avete vinto le elezioni per questo; avete cavalcato tale situazione, agitando le loro paure e difficoltà. Penso ai temi della sicurezza, della disoccupazione giovanile, alle prospettive di reddito individuale o delle famiglie e alla maggiore inefficienza e inefficacia dei servizi pubblici legati ai Comuni o ai servizi sanitari.
Al riguardo il Parlamento e la funzione legislativa hanno una responsabilità e, se non si danno le risposte, vuol dire che essi non hanno funzionato. Quando si mette mano a una riforma costituzionale, quindi, lo si fa con l'intento di migliorare la situazione.
Salvador Giner, politologo brasiliano, qualche anno fa, scandalizzando l'occidente libero, scriveva che la democrazia non è la miglior forma di Governo in assoluto, ma è sicuramente quella che garantisce il miglior compromesso tra le libertà individuali e la sicurezza del cittadino. L'Europa democratica e liberale è fondata su questo modello democratico, per cui c'è il dovere di approfondire il tema in ambito parlamentare.
Chiedo a me e a voi se questa volta si tratti solamente di un esercizio o di un tentativo vero, perché il contesto, cari colleghi, è assolutamente diverso. È palese che oggi i cittadini siano al limite: non hanno perdonato e non perdoneranno un ulteriore fallimento nella capacità di articolare risposte sulle grandi questioni sociali emergenti. Penso alla sicurezza, alla disoccupazione giovanile, al degrado delle città e al governo dei flussi migratori, su cui tutte le forze politiche - compresi noi che abbiamo governato in questi vent'anni - hanno gravissime responsabilità. Nel 1992 in Italia c'erano 52.000 immigrati: oggi, nel 2019, abbiamo 6 milioni di regolari e 700.000 di irregolari. Si tratta di un fenomeno epocale, che la politica non è stata in grado di governare e sul quale vanno date sicuramente risposte.
Siamo inoltre all'indomani della bocciatura sonora di un referendum costituzionale, che ha dimostrato che i cittadini non hanno l'anello al naso (Applausi dal Gruppo FI-BP): non si può sventolare la riduzione dei parlamentari come una salsiccia davanti al gatto; i cittadini vogliono che le riforme siano funzionali e che la politica e la democrazia diano risposte alle questioni sociali emergenti.
La riduzione dei parlamentari, quindi, va bene, ma il problema che le leggi non si fanno e non funzionano, colleghi, come sappiamo, è dovuto a regolamenti parlamentari arcaici. Quando vado a scuola a spiegare ai ragazzi del quinto anno delle superiori come funzionano il Parlamento e il processo legislativo, mi vergogno. Allora mi chiedo, e vi chiedo, se il problema è il numero dei parlamentari o il fatto che stiamo legiferando con un sistema bicamerale perfetto, arcaico, grazie al quale, ad esempio, alla Camera si può presentare un emendamento in Commissione che viene bocciato e poi si può discutere; si presenta un ordine del giorno che viene bocciato e poi si può discutere. Ci sono le ventiquattro ore della fiducia. In sostanza, passano mesi per dare una risposta alla gente.
Inoltre, questo tentativo di riforma cade in una stagione nella quale tutti hanno fatto di tutto per delegittimare l'organismo parlamentare: penso ai giornalisti, ai quotidiani, ai grandi gruppi editoriali, penso al MoVimento 5 Stelle che è entrato denunciando il malfunzionamento della politica, salvo poi omologarsi ad esso e fare proprie tutte le peggiori prassi tipiche del malfunzionamento della democrazia. Non sto parlando di cose legali o illegali, sto parlando, per esempio, del continuo ricorso alla questione di fiducia o del fatto che si parla delle missioni internazionali sui giornali e non si viene in Commissione a riferire. Sto parlando, per esempio, del fatto che viene presentato il disegno di legge di stabilità - che è la legge più importante perché stanzia le risorse per finanziare le azioni previste dal Parlamento - e nessuno l'ha visto, non le avete viste neanche voi della maggioranza le norme che avete approvato. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Questo è il punto. Questo è il malfunzionamento della democrazia.
Forza Italia è senza dubbio, senza se e senza ma, a favore delle riforme. Noi siamo per le riforme, siamo da sempre per il superamento del bicameralismo perfetto - che è una forma arcaica di Governo - siamo favorevoli alla possibilità che la democrazia diventi più veloce e più efficace perché in un Occidente colpito dalla crisi economica e dalla crisi demografica, il tempo non è più un dono che ci è concesso, non è più una variabile indipendente. Decidere una cosa oggi o deciderla fra sei mesi non è la stessa cosa, quindi la democrazia deve diventare più veloce. Siamo anche favorevoli alla centralità del Parlamento, questa cosa arcaica e vetusta che si chiama centralità del Parlamento, perché ricordo a me stesso e a voi, cari colleghi, che fino a prova contraria siamo e rimaniamo una democrazia parlamentare, fino a che non cambierete le regole. Quindi la politica estera, la politica economica e le decisioni più importanti che riguardano la vita di questo Paese devono passare per il Parlamento, anche se capisco che questo non vi piaccia, cari colleghi del MoVimento 5 Stelle e della Lega.
Quando si mette mano ad una riforma costituzionale e alle istituzioni parlamentari, io penso - e spero veramente che siamo tutti d'accordo - che abbiamo l'obbligo morale e il dovere civile di farlo in modo condiviso. Non possiamo farlo a schiaffoni, altrimenti accade quello che è successo al povero amico Renzi che facendola a strappi, questa riforma, poi i cittadini... (Il microfono si disattiva per un malfunzionamento).
PRESIDENTE. Il suo microfono non funziona bene, senatore Causin. Può concludere il suo intervento, perché il tempo a sua disposizione non è finito.
CAUSIN (FI-BP). La ringrazio, Presidente.
Mi avvio comunque a concludere, così regaliamo un po' di questo tempo a quest'Assemblea che alle mie spalle dimostra di essere un po' rumorosa e probabilmente anche distratta su temi che la riguarderanno fra qualche mese o fra qualche anno. Come diceva bene un collega del PD, il rischio è che questo tentativo di riforma sia veramente l'ennesimo strumento di distrazione di massa mentre voi avete due questioni che fra qualche mese vi staranno sulla cervicale, due questioni alle quali non vi potrete sottrarre: in primo luogo il prodotto interno lordo di questo Paese è negativo. Non dico che sia colpa vostra, non voglio speculare su questo, però bisogna partire dal principio di realtà: il nostro è un Paese in calo demografico, con un prodotto interno lordo negativo, che manda in pensione un milione di lavoratori attivi con quota 100 e ne lascia a casa un altro milione con il reddito di cittadinanza. Non sono bravo in matematica, ma dovete spiegarmi come potrete affrontare le questioni economiche nei prossimi mesi. Dovete dire una parola di verità su questo. Non torna questa cosa. Non torna togliere lavoratori attivi dal ciclo lavorativo e pensare che il prodotto interno lordo cresca, magari bloccando tutte le opere pubbliche perché avete preso degli impegni in campagna elettorale, per cui si bloccano i cantieri e non si dà neanche la possibilità alle imprese private di sviluppare delle attività.
Cari amici della Lega, c'è lo show down sulla questione del decreto-legge sicurezza. Sono passati quattro mesi, ci sono già dei decreti attuativi, ma non è cambiato nulla. Fatevi un giro per Roma stasera: ci sono migliaia di roghi tossici intorno a Roma, le occupazioni abusive ci sono ancora, l'economia illegale da parte degli immigrati c'è ancora; gli spacciatori vengono ancora arrestati con quantitativi sotto soglia che impegnano le Forze dell'ordine e poi vengono liberati a piede libero dopo ventiquattr'ore, magari facendo perdere tempo al carabiniere che deve fare da piantone. Non è cambiato nulla sulla sicurezza e tra qualche mese la gente se ne accorgerà e dovrete dare spiegazioni.
Se volete fare un tentativo serio di riforma Forza Italia c'è. Però, cari colleghi, ricordatevi che non saremo complici dell'ennesima pagliacciata e vi richiameremo alle vostre responsabilità. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. Senatore Causin, comunque le avevo fatto recuperare il minuto perso per il disguido.
È iscritto a parlare il senatore Pittella. Ne ha facoltà.
PITTELLA (PD). Signor Presidente, come hanno detto molti colleghi del Gruppo PD, a cominciare dalla vice presidente Malpezzi, anch'io ritengo giusto ridurre il numero dei parlamentari, un numero troppo elevato che non favorisce l'efficienza né la rappresentatività delle istituzioni, però non siamo ipocriti e lei, senatore Calderoli, certamente non lo è. Il problema dello stato di salute della nostra democrazia non si risolve semplicemente riducendo il numero dei parlamentari. (Applausi dal Gruppo PD).Altrimenti, prendiamo in giro noi stessi oltre che prendere in giro i cittadini. Occorre fermamente rilanciare la centralità del Parlamento e in questa sede vorrei fare un ragionamento su qualche punto, sperando che sia uno spunto di riflessione comune.
In primo luogo, come diceva prima il senatore Errani, tutti abbiamo assistito a come in queste ultime settimane il Senato sia rimasto in ostaggio del Governo sia in occasione della preparazione della legge di bilancio che sul decreto-legge semplificazioni: 315 senatori hanno passato settimane, prima di Natale e a gennaio, ad aspettare di poter votare e discutere in Aula, con convocazioni che venivano spostate di ora in ora. Dico cose che tutti noi abbiamo vissuto. Non desidero fare l'enfasi del Parlamento europeo, però c'è un dato: nel Parlamento europeo si sa un anno prima quando ci sarà la seduta della Commissione x l'anno successivo, quando ci saranno le sedute di Assemblea, non avviene questo film con tempi sempre ritardati che c'è qui in Senato.
In secondo luogo, il ricorso alla fiducia (anche questo è un refrain che si ripete sempre) non è sicuramente una responsabilità soltanto di questo Governo, ma anche di tutti gli Esecutivi della Repubblica probabilmente, ma ciò non significa che debba esserlo anche di questo Governo, che è sostenuto da parlamentari che hanno fatto una campagna molto forte contro il voto di fiducia ricorrente.
In terzo luogo, per dare funzionalità alle istituzioni occorre superare il bicameralismo perfetto. (Applausi della senatrice Malpezzi). Il mondo cambia, colleghe e colleghi, e lo fa velocemente, non è possibile fare il ping pong, la navetta tra le due istituzioni che fanno la stessa identica cosa. Siamo d'accordo su questo almeno? Se lo siamo, facciamolo insieme. Questa sarebbe una grande e vera riforma, attesa lungamente dai nostri cittadini. (Applausi dal Gruppo PD). Facciamolo insieme alla ricostruzione di un rapporto con le Regioni, improntato al principio della solidarietà: qualsiasi federalismo privo del principio della solidarietà non fa tenere insieme il nostro Paese. Sappiamolo, prima di imboccare una strada pericolosa verso un federalismo asolidale.
E ancora, per elevare la qualità della nostra democrazia, le risorse che si risparmiano con la riduzione dei parlamentari si destinino ad assumere più personale tecnico al Senato. Ogni Gruppo politico ha solo una manciata di esperti giuridici; i nostri sono bravissimi - e voglio ringraziarli ufficialmente in quest'Aula - ma devono studiare tutto: un'incredibile quantità di materiale legislativo e anche noi senatori abbiamo una grande difficoltà ad assumere staff qualificato. Perché, allora, non dotare i nostri assistenti di risorse finanziarie direttamente, non passando, cioè, attraverso i senatori, ma direttamente sul loro conto corrente, come fa il Parlamento europeo che mette a disposizione di ciascun parlamentare due, tre, quattro assistenti, in modo che quel parlamentare possa svolgere in maniera adeguata il compito cui è chiamato? (Applausi dai Gruppi PD e FI-BP). Non si tratta di aumentare lo stipendio del parlamentare - nessun euro deve transitare dalla tasca del parlamentare - ma di soldi che devono andare direttamente ai nostri assistenti. Se vogliamo fare bene il nostro lavoro, prendiamo lo statuto dell'assistente europeo: il Parlamento europeo si è dotato di uno statuto per gli assistenti parlamentari. (Applausi dal Gruppo PD).
Sarebbe giusto, poi, ridurre l'età del diritto di voto attivo e passivo al Senato: limitare il diritto di voto attivo per il Senato a venticinque anni e quello passivo a quaranta ha l'effetto di limitare il diritto democratico di 4,5 milioni di persone: giovani membri di una generazione già numericamente esigua, che invece avrebbe diritto a una maggiore voce, anche perché qui dentro dovremmo legiferare per il presente, ma soprattutto per il futuro delle nuove generazioni.
Vorrei infine fare un ultimo breve ragionamento sul ruolo dei parlamentari, di noi stessi. Chi siamo noi? Siamo semplicemente individui senza un pensiero libero né una cultura critica, a prescindere dal partito di appartenenza, un numero con un vincolo di mandato obbligatorio? Se è così, ha ragione chi dice di sopprimere il Parlamento, perché se il Parlamento è composto da numeri con vincoli obbligatori di mandato è meglio abolirlo e trasformare la democrazia rappresentativa in una democrazia plebiscitaria. Io sono totalmente contrario a questa ipotesi; penso che il ruolo che i Padri costituenti hanno pensato per il Parlamento non sia questo: i Padri costituenti hanno pensato a una istituzione dove c'è una chiara divisione di poteri e le competenze del Governo sono distinte da quelle del Parlamento ed è il Parlamento che controlla il Governo, non il contrario. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Fantetti. Ne ha facoltà.
FANTETTI (FI-BP). Signor Presidente, membri del Governo, esimi colleghi, intervengo soprattutto per segnalare all'intelligenza del relatore e dei proponenti di questa riforma costituzionale quello che non posso che ritenere un errore materiale nella elaborazione del testo. Mi riferisco all'aver incluso la circoscrizione estero nella riduzione proporzionale del numero dei parlamentari.
Come molti di voi sanno, la circoscrizione estero è una conquista istituzionale degli italiani all'estero e degli italiani tutti, che ha portato in questo ramo del Parlamento sei senatori e nella Camera bassa, a Montecitorio, 12 deputati: un numero estremamente ridotto rispetto al totale degli italiani residenti all'estero, quindi con un rapporto già molto discriminatorio nei nostri confronti. Do qualche numero: a fronte di 60 milioni di abitanti italiani, abbiamo attualmente 945 parlamentari, di cui solo 18 della circoscrizione estero. Con l'effetto di questa nuova riforma, avremmo 600 parlamentari, ma solo 12 parlamentari rappresentanti degli italiani all'estero, di cui 8 alla Camera dei deputati e 4 al Senato. Con un rapporto normale di conversione, tali parlamentari sarebbero invece 52, di cui 35 alla Camera dei deputati e 17 al Senato.
Faccio notare che quattro senatori in rappresentanza di 5,5 milioni di italiani iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) rappresentano un'aberrazione, che viene ulteriormente esasperata dal fatto che la circoscrizione estero si divide in 4 ripartizioni. Per la ripartizione Europa, in cui sono iscritti 3,3 milioni di italiani registrati all'AIRE, ci sarebbe un solo rappresentante in Senato. Vi segnalo che, nella dottrina internazionale, non c'è nessun criterio, nessuna formula che sia degna di questo nome che permetta un rapporto di questo genere. Avere un solo rappresentante parlamentare nel Senato della Repubblica, in un sistema bicamerale, in rappresentanza di 3,3 milioni di italiani in Europa o un senatore ogni 1,4 milioni di cittadini, considerando il totale dei quattro senatori che andrebbero a rappresentare i 5,5 milioni di italiani iscritti all'AIRE, costituisce un'aberrazione democratica.
Credo che la Corte costituzionale non potrebbe assolutamente convalidare la natura democratica di un provvedimento di questo genere. C'è una violazione sostanziale del principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, ma segnalo alla vostra attenzione anche una violazione sostanziale dell'articolo 1 della Costituzione, che stabilisce che «L'Italia è una Repubblica democratica». Come fa una Repubblica a definirsi democratica, se porta in Parlamento un rappresentante dei propri cittadini ogni 3,3 milioni di persone? Vi segnalo che la Costituzione italiana non discrimina i cittadini a seconda di dove sono residenti: i cittadini italiani all'estero sono cittadini italiani al 100 per cento. Faccio appello anche all'uso esasperato del termine "cittadini" che fa una componente importante di questa maggioranza: noi siamo cittadini e voi, che avete come priorità la difesa dei diritti costituzionali, civili e politici dei cittadini, state abolendo, di fatto, quelli dei cittadini residenti all'estero. (Applausi della senatrice Alderisi). L'Italia non è fatta di 60 milioni di persone, è fatta di 60 milioni di persone che abitano in Italia e di 5,5 milioni di persone, ufficialmente registrate, che abitano all'estero. Sono anch'essi cittadini.
Vi segnalo altresì che il dato di 5,5 milioni di italiani residenti all'estero, registrato dall'AIRE, è esploso negli ultimi anni. Nel 2006 erano circa 3 milioni e adesso siamo arrivati a 5,5 milioni. Nel 2017, secondo i dati ufficiali dell'AIRE, sono emigrati 250.000 cittadini italiani. Qui si fa un gran parlare di migrazioni, ma si parla sempre e solo di coloro che vengono in Italia. Vi segnalo che i cittadini italiani che vanno fuori dall'Italia sono molti di più, sono stati tanti nella storia e sono tantissimi nel presente. Il fenomeno migratorio è esploso ed è una problematica dei nostri giorni e dei nostri territori. Non c'è un territorio italiano in cui questa fuga non sia presente: emigrano dal Nord, dal Centro e dal Sud, emigrano giovani, uomini, donne, anziani, cinquantenni; insomma, scappano tutti.
Non è questo il momento per analizzare perché scappano, visto che le motivazioni sono tante e gravi, ma è il momento di analizzare il fatto che, nel momento in cui questo fenomeno è riesploso, questa maggioranza taglia i diritti politici e la rappresentanza istituzionale degli italiani all'estero. Ci sono voluti decenni di lotte, che sono culminati nel Parlamento italiano con una vittoria, l'istituzione della circoscrizione estero, che adesso voi mettete a repentaglio. La mettete a repentaglio anche con una non azione in questo ramo del Parlamento, che noi continuiamo a denunciare ripetutamente, ma rispetto alla quale niente sembra poter succedere: mi riferisco alla mancata ricostituzione del Comitato per le questioni degli italiani all'estero. (Applausi della senatrice Alderisi). Un Comitato che da cinque legislature consecutive ha la priorità di studio, di analisi e di proposta delle questioni degli italiani all'estero e che questa maggioranza politica, in questa legislatura, ha la responsabilità di non aver ancora ricostituito. Addirittura, siamo arrivati al punto in cui la Commissione esteri pensa di gestire la tematica degli italiani all'estero, cioè del 10 per cento della popolazione italiana, con un'indagine, come si fanno le indagini sui fatti del Forteto (con tutto il rispetto) e come si fanno altre indagini molto specifiche. Si vuole racchiudere la tematica del 10 per cento della popolazione in un'indagine della Commissione esteri, non ricostituendo il Comitato per le questioni degli italiani all'estero. È uno scandalo, è una cosa grave; ed è particolarmente grave che non si faccia una politica differente, anche istituzionalmente, rispetto a cose differenti.
Ripeto che 3.300.000 italiani residenti in Europa e 5.500.000 italiani residenti all'estero sono un dato estremamente sottostimato. A Londra siamo iscritti al consolato generale in 380.000, ma gli inglesi ci hanno detto che siamo più di 600.000; la stessa cosa accade in Germania, dove ci sono circa 850.000 italiani residenti, ma ai tedeschi risultano essere un milione e mezzo, sulla base di partite IVA e di contratti, cioè di dati inoppugnabili (qui c'è tutta la tematica del perché non ci si iscrive all'AIRE). I dati sono estremamente sottostimati, quindi parliamo sicuramente di più del 10 per cento della popolazione italiana. Si tratta di cittadini italiani che non possono essere discriminati ulteriormente con questa riforma, rispetto a quello che è già in essere.
Ripeto che la stessa costituzionalità di questo progetto di riforma è secondo me assolutamente dubbia, perché, con la riduzione della rappresentanza della circoscrizione estero, si viola il principio di uguaglianza e il principio di democraticità dell'intervento. Faccio riferimento al principio di proporzionalità, congruità e adeguatezza tra mezzo e fine: non ci può essere una congruità tra la rappresentanza politica degli interessi di una comunità di 3.800.000 persone con un solo rappresentante in Parlamento. Non è democratico. Mi appello all'intelligenza del relatore e di coloro che portano avanti questa riforma costituzionale, che nei principi generali noi condividiamo e abbiamo anche in parte già votato, in passato (la riduzione del numero dei parlamentari): la circoscrizione estero, che è esplosa e che ha bisogno urgente di attenzione, non può essere intaccata in questo modo. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Saluto ad una rappresentanza di studenti
PRESIDENTE. Saluto, a nome dell'Assemblea, i docenti e gli studenti dell'Istituto di istruzione superiore di Acri, in provincia di Cosenza, che stanno assistendo ai nostri lavori. (Applausi).
Ripresa della discussione dei disegni di legge costituzionale
nn. 214, 515 e 805 (ore 11,46)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Cirinnà. Ne ha facoltà.
CIRINNA' (PD). Signor Presidente, colleghi, il disegno di legge che siamo chiamati a discutere interviene in un ambito che solo apparentemente attiene a un aspetto di dettaglio del nostro sistema costituzionale. La riduzione del numero dei deputati e dei senatori, infatti, investe direttamente la qualità della nostra democrazia parlamentare sotto il profilo della rappresentatività delle Camere e della loro piena funzionalità.
Nella Costituzione - lo ricordava Mortati fin dalla relazione introduttiva nella seconda Sottocommissione dell'Assemblea costituente - tutto si tiene: la forma di Stato con la forma di Governo, la tutela dei diritti con la garanzia dell'adempimento dei doveri, la libertà con l'uguaglianza e la giustizia. Ve lo voglio ripetere: la libertà con l'uguaglianza e la giustizia.
Ogni dettaglio tecnico è parte di un più ampio disegno, che inquadra la nostra convivenza e l'organizzazione della nostra democrazia entro valori e principi ben precisi, che sono la pari dignità sociale, la tutela delle minoranze, la garanzia di fronte agli eccessi della maggioranza. Lo voglio ripetere: la garanzia di fronte agli accessi della maggioranza. (Applausi dal Gruppo PD).
Tutti valori che ogni giorno voi mettete a rischio con dichiarazioni e atteggiamenti dei vostri vari Ministri, atteggiamenti di spocchia e di irrisione, addirittura con un saltimbanco che ha fondato un partito e che suggerisce di scegliere i parlamentari a sorte. (Commenti del senatore Pellegrini Marco). Voi sarete scelti a sorte, certamente non noi! (Applausi dal Gruppo PD).
Dunque, anche un intervento apparentemente marginale, se non adeguatamente inserito in una più ampia consapevolezza dei principi e dei valori costituzionali, rischia di incidere pesantemente sulla tenuta della nostra Carta fondamentale. Vi ho già ricordato più volte una canzone che amo molto e che dice «la verità mi fa male»: la verità vi fa male, fa sempre male, e sta sempre a me ricordarvi la verità.
Tutto questo ci è stato ricordato più volte nel corso della legislatura passata. Ricordo bene, io che sono stata per cinque anni in quest'Aula, le grida dei colleghi e delle colleghe che oggi siedono nei banchi del Governo e della maggioranza, pronti a denunciare i rischi di rottura democratica, addirittura di scivolamento verso la dittatura, in relazione alla nostra proposta di riforma della II Parte della Costituzione. Una riforma ambiziosa, certo, con i suoi limiti, certo, ma senza dubbio tecnicamente valida e soprattutto pienamente inserita in un disegno di più ampio respiro, finalizzato a garantire democrazia, rappresentatività ed efficienza del sistema costituzionale.
Se il Parlamento fosse efficiente, nessuno, neanche voi che ci avete costruito sopra la nostra fortuna politica, potrebbe parlare di casta; se il Parlamento fosse efficiente e potesse lavorare nella pienezza del suo mandato, nessuno potrebbe farlo. Eppure, allora gridavate alla involuzione democratica, ci descrivevate come i picconatori della Costituzione e delle garanzie: bei tempi, mi verrebbe da dire, se penso a come oggi avete tradito quell'interesse e quella preoccupazione. Lo dimostrate ogni giorno, mettendovi sotto le scarpe la tutela dei diritti fondamentali dei più deboli, la garanzia delle minoranze e il rispetto delle istituzioni. (Applausi dal Gruppo PD).
Le avete umiliate, arrivando addirittura ad esibire divise militari all'interno delle Camere e c'è su questo - lo ricordo alla Presidenza - un'interrogazione al presidente Conte, che ancora aspetta risposta. Tutto questo, purtroppo, non mi stupisce. Non era l'amore per la Costituzione a muovervi, ma solo il vostro misero tornaconto elettorale ed è il motivo per cui, di corsa, incardinate questo testo pessimo. (Applausi dal Gruppo PD).
Ricorderete, colleghi e colleghe, che nella Costituzione nulla è stato scritto per caso, nemmeno i numeri: la fissazione del numero dei deputati in 630 e dei senatori in 315 è stata il frutto di un lavoro attento e meditato nell'Assemblea Costituente, che si conclude con l'approvazione della legge costituzionale nel 1963. La seconda Sottocommissione e l'Assemblea, poi, si interrogarono a lungo sui criteri più adeguati per individuare il numero congruo di deputati e senatori, tracciando un percorso che, ancora oggi, deve ispirarci.
Le madri e i padri costituenti non furono guidati da preoccupazioni di carattere finanziario, né dall'esigenza di inseguire il consenso, benché anche all'epoca non mancassero nel Paese e nei palazzi del potere correnti forti di antipolitica e di antiparlamentarismo. L'unica preoccupazione che guidò i nostri costituenti fu quella di assicurare al Paese un Parlamento in grado di funzionare con efficacia, garantendo la massima rappresentatività e la massima efficienza.
Quelli scelti non furono numeri casuali, ma fondati sulle risultanze dell'ultimo censimento all'epoca disponibile, quello del 1936. Non sono numeri buttati lì a caso, ma elementi strutturali di una cultura politica democratica, segno della profonda cura che chi ci ha preceduto ha voluto mettere nella costruzione dell'architettura istituzionale della Repubblica. La ricerca di una proporzionalità adeguata alla popolazione è infatti strumento che assicura la rappresentatività delle Camere, la loro effettiva responsabilità - responsabilità che è in capo a tutti noi, elette ed eletti - e la prossimità alle elettrici e agli elettori: in tempi di crisi di legittimazione della politica e delle istituzioni rappresentative, non dovremmo dimenticare questi fondamentali insegnamenti.
Cosa accade, invece, con la riforma che la maggioranza oggi ci propone? I deputati verrebbero ridotti a 400 e i senatori a 200: una riduzione di gran lunga maggiore rispetto a tutte quelle prospettate dalle varie proposte di revisione che si sono susseguite negli anni e che si attestavano attorno ai 500 deputati e ai 250 senatori. Anche la nostra proposta di riforma, nella scorsa legislatura, diminuiva il numero dei senatori a 95, ma lo faceva nel quadro di un progetto di riforma complessiva del bicameralismo e soprattutto, proprio in ragione della riduzione del numero dei senatori, non toccava il numero dei deputati, che rimaneva fisso a 630. Con la riduzione a 400 deputati e 200 senatori il rapporto di proporzionalità viene elevato a dismisura: stando ai dati di Eurostat, finiremo per avere un deputato ogni 151.000 abitanti e un senatore ogni 302.000 abitanti.
Sono pronta ad ascoltare quando ci direte che tutto questo non importa, nel tempo della Rete e, d'altra parte, siete gli stessi che, non più tardi di qualche settimana fa, hanno dichiarato l'obiettivo di superare il Parlamento stesso nel giro di pochi anni. È per questo e è a tal fine che con preoccupazione va letto il vostro accanimento sul referendum propositivo di iniziativa popolare, il vero modo per scardinare la democrazia rappresentativa. Ecco, tutto si tiene, come ben sapevano le Madri e i Padri costituenti.
Il vostro disegno di smantellamento della democrazia parlamentare in questo Paese si lega al vostro desiderio inconfessato di abrogare il divieto di mandato imperativo, alla vostra indecente pratica parlamentare. (Applausi dal Gruppo PD). Basta ricordare, come ha fatto in precedenza il collega Errani, quello che avete combinato sulla legge di bilancio e di recente sul decreto semplificazioni.
Volete un Parlamento di marionette, di pupazzi telecomandati. Questo non possiamo ignorarlo, nel momento in cui riflettiamo su una proposta di revisione costituzionale che, in superficie, può anche sembrare ragionevole, ma così non è. (Applausi dal Gruppo PD. Commenti del senatore Pellegrini Marco).
PRESIDENTE. La ringrazio, senatrice Cirinnà.
Colleghi, non è obbligatorio rimanere in Aula, ma è molto consigliabile, invece, ascoltare gli interventi dei colleghi, perché il brusio in alcuni momenti copre e disturba molto chi interviene e chi ascolta.
BELLANOVA (PD). È intolleranza!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Saccone. Ne ha facoltà.
SACCONE (FI-BP). Signor Presidente, devo dire la verità: ho estrema difficoltà nell'intervenire stamane sul disegno di legge in discussione. Ringrazio tutti i colleghi che hanno partecipato al dibattito, che è stato molto interessante, però devo dire la verità: non gliene frega niente a nessuno, forse neanche a noi stessi. Ringrazio il Sottosegretario per la gentilezza e il garbo con cui ci ascolta, ma francamente è un tema del tutto fuori luogo.
Sembrano passati secoli da quando i colleghi 5 Stelle facevano le dirette Facebook qui dentro per denigrare e vituperare quest'Aula: oggi, non gliene frega niente neanche a loro di quello di cui stiamo parlando. Sono poco presenti, molti saranno al bar, alla buvette a prendersi un caffè, perché sanno che questo è un argomento che non ha alcun senso istituzionale. (Commenti dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Colleghi!
SACCONE (FI-BP). Colui che parla dimostra di esserci, ma la presenza non vuol dire interessamento al dibattito. Lei stessa, Presidente, ci ha poc'anzi sollecitati: uscite, se non siete interessati. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Qui non gliene frega niente a nessuno della riduzione del numero dei parlamentari. Mi perdonerà chi ci ascolta, soprattutto gli studenti e il pubblico, ma questa è l'ennesima... anzi, non lo dico a questo punto, volgendo lo sguardo al pubblico, di cui ho ancora più rispetto: questa è l'ennesima manovretta elettorale in funzione del consenso. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Non so come chiamare il signore che era presente prima: portavoce, capo dei portavoci, Ministro per le relazioni? Non lo so, perché stiamo lavorando per annullare il Parlamento, e poi c'è un Ministro che viene qui ogni tanto e ci degna della sua presenza: il Ministro Fraccaro. Tutte le interviste relative a questo grande provvedimento della riduzione dei parlamentari, che il popolo italiano attende con ansia, cominciano con: «Ridurremo di 80 milioni di euro». Prima, quando si stava all'opposizione, erano 300 milioni di euro; poi sono diventati 100 milioni, durante la campagna elettorale; adesso, abbiamo scoperto che la riduzione dei parlamentari si riduce a un risparmio di 60 milioni di euro. Quando tutti gli incipit delle interviste di un Ministro della Repubblica cominciano con questa roba, vuol dire che il Parlamento non ha più senso.
I Padri costituenti hanno dato la vita per quest'Assemblea. (Applausi dal Gruppo FI-BP).Ripeto: hanno dato la loro vita, le loro speranze, le loro battaglie. Si immagini se come primo problema si fossero posti non che cosa dovesse fare il Parlamento, non che idea avessero della partecipazione democratica, ma quanto costasse la democrazia. Si immagini se quei giovani avessero avuto questo in mente.
Questa è la classe politica che abbiamo, cari concittadini: il primo problema è come si tagliano i costi, perché non gliene frega niente di che cosa deve fare il Parlamento. Se avessero avuto uno straccio di idea di cosa debba fare un senatore, di come debba al meglio rappresentare il suo popolo sovrano, avrebbero dovuto partire da un progetto organico di quello che deve essere lo svolgimento della democrazia in questo Paese. E invece loro partono, come al solito, dalle scorciatoie.
Attenzione, oggi siete al Governo. Questa roba qui non funziona più. Sul discorso delle fiducie, ricordo la collega Taverna - che non so dove sia - quando faceva la diretta, scandendo: «La fiducia!». Quella roba oggi, se la dovesse rifare - non so se abbia la stessa dignità di quando era all'opposizione - e dovesse ripeterla, la seguirebbero lei e sua madre, forse. Perché sul popolo italiano questa roba oggi non intacca più: i cittadini italiani vorrebbero risposte concrete sulla loro vita quotidiana.
Noi oggi affrontiamo questo tema, questo dibattito. C'è un maestro, che è il vice presidente Calderoli, che conosco da tanti anni per le sue battaglie politiche. È stato Ministro della semplificazione e ricordo ancora quando diede fuoco a centinaia e centinaia di leggi, se non sbaglio, nel cortile di Palazzo Chigi; forse lì c'era un senso, c'era un progetto organico: c'era la devolution, uno Stato federale che doveva gestire i rapporti in un modo diverso. Qui non c'è niente, non c'è nulla. Andiamo dall'opinione pubblica, facciamo vedere che siamo bravi, tagliamo un po' di costi. Ma guardate che possiamo anche ridurci a dieci parlamentari, cinque al Senato e cinque alla Camera e chiudiamo. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Il primo partito in Italia non sarà più tale, questa è una scommessa che faccio: alle prossime elezioni europee, sono sicuro che quel partito non sarà più il primo. Ma già lunedì credo che avremo qualche colpo di scena, perché questa roba non intacca.
Lo dico con molta franchezza: andiamo avanti, riduciamoci, se il primo partito in Italia è gestito da una società. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Non prendiamoci in giro: è gestito da una società. Loro non hanno alcun potere di iniziativa parlamentare; ci sono quattro o cinque persone che decidono tra loro, poi danno la direttiva e pagano la Casaleggio Associati e ogni anno il fatturato della Casaleggio Associati cresce. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Dieci anni fa la Casaleggio Associati non esisteva, come molti, mentre oggi è una grande azienda che fa lobby e grandi convention e come fa a fare questo? Per i suoi meriti o perché ha in mano un Gruppo parlamentare che rappresenta il 30 per cento del Parlamento? Ovviamente perché ha un Gruppo parlamentare che rappresenta il 30 per cento.
Cari amici del pubblico, vi consiglio di comprare dei titoli nobiliari, perché stiamo tornando al Parlamento votato per censo. Se hai i soldi, vieni eletto. Se non hai soldi, c'è chi ti comanda e tu, popolo sovrano, pensi e ti illudi di contare di più, mentre conterai sempre meno.
Quando la democrazia si riduce a un dibattito legato a quanto costa o non costa, è finita e non ha più senso che esista. L'ha detto prima benissimo il collega Errani. Se non ci sono un progetto di visione e partecipazione e un'idea di Repubblica democratica, non ha senso neanche il Parlamento e qui manca questo.
Signor Presidente, le posso dire che, clamorosamente, saranno loro i primi a rendersene conto, perché questa visione manichea della partecipazione democratica alla fine si ritorcerà contro di loro. Li andranno a prendere sotto casa, glielo garantisco. Siamo di fronte a baggianate, che possono avere la vestale di un'essenza estetica, ma nella sostanza non c'è nulla.
Riduciamoci allora, facciamo bene a ridurci, ma - ripeto - io non voglio essere governato e preferisco tornare a lavorare in azienda, con il mio stipendio e la mia professionalità maturata in tanti anni sul campo. Ho però paura per miei figli, perché quando si innesca una cultura in cui la rappresentatività è mediata non più da un corpo intermedio, che è la politica, ma da un'azienda, i miei figli si troveranno a vivere peggio di come li stiamo crescendo noi. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Presidenza del vice presidente LA RUSSA (ore 12,04)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Collina. Ne ha facoltà.
COLLINA (PD). Signor Presidente, devo confessare un certo spaesamento di fronte a questa discussione.
Vengo dalla scorsa legislatura, nel corso della quale abbiamo proposto una riforma complessiva e articolata della Costituzione, che è stata approvata dal Parlamento e poi bocciata, al referendum, dal popolo. Abbiamo vissuto quella riforma come un tentativo serio di modernizzare la nostra democrazia, ma con la precisa volontà di inverare i valori contenuti nella nostra Costituzione, rendendoli veri e il più possibile attuali e attuati nel concreto della vita dei cittadini.
Venendo da quell'esperienza e trovandomi ora davanti a uno scenario completamente diverso - mi viene da dire stravolto - cerco di capire, in questo spaesamento, quali siano gli elementi e i contributi che posso e possiamo portare a questa discussione. Vedete, mentre esaminiamo alcune modifiche che sembrano slegate - alla Camera dei deputati si sta discutendo del referendum propositivo, mentre qui è in esame il provvedimento volto a ridurre il numero dei parlamentari - succedono altre cose che vanno a modificare i rapporti fondamentali all'interno del nostro Stato. Solamente pochi giorni fa, nel corso dell'esame del cosiddetto decreto semplificazioni, abbiamo approvato un emendamento che, in tema di energia, ha reso le Regioni del Nord esattamente come le Regioni a Statuto speciale. La gestione, infatti, delle centrali idroelettriche che fino a ieri avevano solo le Regioni a Statuto speciale è stata estesa anche alle altre Regioni. Abbiamo modificato la Costituzione? Abbiamo discusso di regionalismo differenziato? Abbiamo fatto un approfondimento sulla forma dello Stato? Abbiamo detto niente di tutto questo? No: abbiamo fatto un emendamento e le centrali del Veneto oggi sono gestite esattamente come quelle di Bolzano. Tutto ciò avviene con buona pace dei leghisti del Sud, che vedono a furor di popolo passare risorse gestite centralmente direttamente alle Regioni del Nord. La Lega sta facendo proseliti.
Vedo una spinta naturale e, forse, anche giusta e giustificata. Prima veniva citato l'allora ministro Calderoli, e anche io lo volevo fare quando prima si è avvicinato. La spinta a semplificare e a ribellarsi alla complessità del mondo di oggi è naturale. All'epoca non c'erano i social e, quindi, bisognava dare fuoco a metri cubi di carta e dire che toglievamo di mezzo decine di migliaia di leggi inutili che ci rendevano e rendono la vita difficile. Noi, però, stiamo andando in una direzione dove il mondo diventa complesso, sempre più complesso e rispetto a questa complessità non stiamo mettendo avanti delle soluzioni che cercano di affrontarla nel modo giusto. Stiamo cercando di ribellarci a questa complessità mettendo in campo delle semplificazioni che non sono delle soluzioni.
Questo è il tema che - secondo me - oggi stiamo affrontando. È vero che ci sono dei problemi che oggi dobbiamo affrontare. La scorsa legislatura, con le nostre riforme, eravamo ancora nel solco di una riflessione che per decenni è stata fatta nel nostro Paese per cercare di modernizzare la democrazia. Oggi, dopo le elezioni, siamo in un altro mondo dove, rispetto all'evoluzione della nostra democrazia sulla base dei contenuti, dei concetti e dei valori della nostra Costituzione, si propone una strada di semplificazione che non potrà portare a delle soluzioni. Questo è il tema. Affrontiamo questi problemi con una riflessione compiuta. È stato già affrontato nel dibattito il tema della crisi della democrazia. È vero e vogliamo affrontarlo. Credo sia un giusto tema e sono d'accordo con il senatore Errani. Dobbiamo capirci su qual è il modo con cui affrontare la relativa discussione.
Mi domando dove sono finiti i costituzionalisti. Siete sotto i tavoli? (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Conzatti). Vi siete messi sotto i tavoli perché la procedura, quando arriva un terremoto, è nascondersi sotto il tavolo subito? Sta arrivando un terremoto nella nostra democrazia e ci nascondiamo sotto i tavoli? No, credo che dobbiamo mettere in campo delle riflessioni perché la risposta alla spinta di semplificazione è la deresponsabilizzazione della classe politica. Non vi volete più prendere la responsabilità di decidere. Dite che farete delle cose, ma poi ci pensa il popolo, a cui chiederete e si esprimerà, deciderà. In un mondo complesso stiamo vedendo in Inghilterra il popolo che decide. E non era neanche una domanda complicata: «dentro o fuori». Ma, dietro quel «dentro o fuori», c'era la complessità del mondo, dei rapporti politici ed economici, della geopolitica e di decenni di storia fatta in Europa tra Stati, culture, religioni e popoli.
E il risultato è quello che conosciamo e ancora oggi non trova soluzione.
Affrontiamo allora la complessità che il mondo ci propone, ma facciamo in modo che le istituzioni siano in grado di farvi fronte con nuovi strumenti, inverando i concetti e i valori della nostra Costituzione e dando ai nostri figli la possibilità di avere un futuro migliore. (Applausi dal Gruppo PD e della senatrice Conzatti).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Biasotti. Ne ha facoltà.
BIASOTTI (FI-BP). Signor Presidente, oggi parliamo di un tema che è già stato discusso negli ultimi quarant'anni: quasi tutte le legislature hanno provato a modificare l'impianto costituzionale e, soprattutto, a ridurre il numero dei parlamentari. Tutte le riforme inutilmente tentate negli anni, però, avevano alla base soprattutto la centralità democratica del Parlamento, che - come diceva il collega Saccone, del quale sottoscrivo ogni parola - è quello per cui abbiamo fatto guerre e avuto sangue e martiri.
Ora, invece, ho la forte personale convinzione che questa maggioranza di fatto voglia non dico annullare, ma certamente annacquare molto la centralità del Parlamento. Si tratta di un'ipotesi non mia, ma concreta e nei fatti: credo che passerà alla storia che per la prima volta la legge di bilancio non sia stata discussa in questo Parlamento, e - a mio avviso - è un fatto questo di una gravità sconcertante, passato nel silenzio della maggioranza.
È stato ricordato, però, non solo ciò, ma anche il numero infinito dei ricorsi alla questione di fiducia. Come qualche collega ha già detto, ricordo anch'io le intemperanze verbali e sostanziali in Aula e gli assalti al banco del Governo soprattutto da parte dei senatori del MoVimento 5 Stelle, che gridavano allo scandalo in diretta streaming con riferimento al numero dei ricorsi alla questione di fiducia da parte del Governo. Ma credo che in questi primi sette mesi abbiamo assistito a un record in tal senso.
Veniamo ai risparmi, sui quali rivolgo una domanda al Governo. Nelle ultime tre settimane, praticamente tutti e mille noi parlamentari siamo venuti in Parlamento per votare sul calendario dei lavori. Non è questo un abuso di risparmio? Nell'ultimo mese trascorso, l'unica cosa che abbiamo discusso è stato il disegno di legge di conversione del decreto-legge semplificazioni: perché non abbiamo discusso di cose importanti, signor Presidente? Abbiamo provato a discutere della situazione politica in Venezuela, del decreto-legge sulla sicurezza e del decreto-legge sul reddito di cittadinanza, e ribadisco che non abbiamo potuto discutere la legge finanziaria. Oggi discutiamo della riduzione del numero dei parlamentari, che è fuffa, perché è facile, demagogica e populista: chi non vuol ridurre il numero dei parlamentari? A qualsiasi domanda che facessimo al riguardo a qualsiasi cittadino, ci verrebbe risposto «certamente»; ma, se facessimo un sondaggio vero, per chiedere agli italiani quali sono le loro esigenze, ci risponderebbero: lavoro, sicurezza, immigrazione, sanità, ambiente, trasporti pubblici e così via; non ci sarebbe traccia della riduzione del numero dei parlamentari.
E allora perché se ne parla? Si tratta di uno spot, perché anche a livello europeo siamo messi bene: siamo il ventesimo Paese quanto al rapporto tra popolazione e numero dei parlamentari, anche in relazione al numero dei consiglieri regionali. Oggi abbiamo 1.111 consiglieri regionali, mentre la Francia ne ha 1.880, la Germania 1.890 e la Spagna 1.218; tutti ne hanno più di noi.
Allora io mi chiedo quale sia la logica per la quale - per esempio - il Friuli-Venezia Giulia può avere 70 o 80 consiglieri regionali e il Senato dovrebbe averne 200. Dov'è la logica democratica? E dove sarebbe la logica democratica di un Senato con 200 componenti che avrebbe interi territori senza rappresentanza? C'è una logica oltre a quella dello spot? C'è una logica nel fatto che potremmo eleggere il Presidente della Repubblica con una piccola maggioranza di un partito quando invece, oggi è eletto anche dai consiglieri regionali e dai due terzi del Parlamento? Ma vi sembra democratico tutto questo? (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Allora perché non avete parlato di un sistema elettorale diverso? Una collega che mi ha preceduto si scandalizzava perché qualcuno di voi, o lo stesso Grillo, ha proposto l'estrazione a sorte. Su questo punto io ragionerei perché preferirei, forse, un'estrazione a sorte alla piattaforma Rousseau, di cui sinceramente non conosco le origini - lasciamo perdere le fortune economiche che sono già state ricordate - e non so neanche dove sta la democrazia.
Quando ho parlato con il ministro Toninelli, gli ho chiesto per quale motivo era stato fatto Ministro, visto che, quando si è trovato a contare i voti dei cittadini, è stato sonoramente bocciato. Ricordo che nel suo paese si è candidato consigliere comunale e ha preso nove voti. (Applausi dal Gruppo FI-BP). E con nove voti è diventato Ministro di un settore in cui non aveva alcuna competenza, perché nell'ultima legislatura si è occupato di riforme costituzionali. Quindi abbiamo scelto una persona qualsiasi. A questo punto preferisco tirare a sorte, almeno la botta di fortuna di trovarne uno che si impegna e studia potremmo averla. Toninelli invece non studia neanche, ma lasciamo perdere la mia questione su Toninelli. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Ripeto - non lo dico io, l'hanno detto altri colleghi e l'ha detto un'agenzia famosa, l'AGI - che questi sono argomenti di distrazione di massa. Pensate, infatti, che questa riforma per la riduzione del numero dei parlamentari non vedrà mai la luce, mai! E, se anche dovesse vedere la luce, vi ricordo alcuni fatti: dovrà essere sottoposta a un referendum. I referendum hanno portato male a Berlusconi, che aveva fatto una riforma, quella sì, organica, e hanno portato male soprattutto a Renzi che aveva fatto anche lui una riforma organica. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Il referendum diventa poi sì o no Berlusconi, sì o no Renzi, sì o no Grillo, sì o no Casaleggio. Quindi, attenzione! Anzi, speriamo che succeda, così ve ne andate a casa il prima possibile. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Quindi, diceva chi mi ha preceduto che i costituzionalisti sono stati tutti zitti. Uno ha parlato e io condivido le sue parole. Si chiama Marco Olivetti e, anche se non è il mio settore, credo sia uno dei costituzionalisti più affermati, dato che è ordinario di diritto costituzionale alla LUMSA di Roma. Marco Olivetti ha scritto: «introdurre il referendum propositivo, abolire il quorum ed escludere limiti alle materie che si possono sottoporre a referendum (...) tradisce l'idea di un'inversione del rapporto fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. (...) Il rischio è che in realtà il potere venga esercitato da minoranze politicamente attive e questo è molto poco democratico». È quello che io dicevo prima e che tanti colleghi sostengono: noi rischiamo di essere governati intanto da una società, la piattaforma Rousseau, che mi lascia incredibilmente perplesso, ma anche da un partito che è una minoranza, una stretta minoranza.
Quindi mi chiedo - ed è stato ricordato anche da alcuni colleghi - che cosa ne pensate, se è democratica secondo voi la rappresentanza dei cittadini italiani che vivono all'estero. Ha detto bene il collega Fantetti: aumentano di 150.000 all'anno e noi andiamo a ridurne la rappresentanza, cioè vogliamo indebolire la democrazia rappresentativa. Dicevo prima che alcune Regioni non avranno alcun tipo di rapporto.
Concludo dicendo che questo Governo non lo chiamerei né giallo - verde, né Governo del cambiamento. Lo chiamerei Governo carosello, perché vive di spot. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Ma, mentre nel carosello storico, gli spot erano pagati dalle imprese, questi spot sono pagati dai cittadini. I cittadini hanno bisogno di lavoro; hanno bisogno di cose concrete; hanno bisogno di sicurezza; hanno bisogno di sanità; non hanno bisogno di ridurre il numero di parlamentari, che è una cosa che condividiamo, ma non è un'urgenza.
Siamo in un momento di crisi economica spaventosa e andiamo a litigare con tutti i nostri vicini. È una politica demenziale quella che state portando avanti: abbiamo litigato con la Tunisia, con l'Algeria, con la Francia, con la Germania, con l'Austria. Poi, però, quando dobbiamo andare in Europa a chiedere, andiamo con il cappello in mano. Quindi, che politica stiamo facendo? (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Avete varato il reddito di cittadinanza, ma avete visto i dati? I contratti a tempo determinato sono diminuiti del 12 per cento, perché non li si vuole trasformare in contratti a tempo indeterminato, e sono aumentati solo del 2 per cento; abbiamo perso 120.000 posti di lavoro. Questi sono i dati. Lo spread aumenta e lo pagano i cittadini. Il reddito di cittadinanza, di cui parleremo fra poco, è un'altra manovra spot annunciata, che poi creerà una disparità enorme nel nostro territorio.
Signor Presidente, concludo il mio intervento invitando, se c'è ancora un minimo di dignità, a ragionare su cose più concrete. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rojc. Ne ha facoltà.
ROJC (PD). Signor Presidente, onorevoli senatori, ritengo di grande importanza dedicare un'approfondita riflessione all'impatto della modifica costituzionale che l'Assemblea si trova a discutere.
Quello proposto dalla maggioranza è un intervento solo apparentemente circoscritto, presentato come una semplificazione o una riduzione dei costi della politica, ma non è così. La vostra riforma, colleghi della maggioranza, non ha nulla a che vedere con il superamento del sistema bicamerale; nulla a che vedere, dunque, con la riforma costituzionale del centro-sinistra - come già è stato ampiamente detto ieri e oggi - che si proponeva invece di superare un meccanismo divenuto farraginoso, per introdurre invece un sistema più efficiente.
La strada che si propone di seguire la riforma della maggioranza incide su una serie di valori costituzionali rilevanti ed è tale da determinare la compressione della rappresentanza parlamentare in maniera eccessiva. Il pluralismo politico è l'essenza della democrazia, in quanto esprime gli orientamenti diversi del corpo elettorale. Il difficile equilibrio tra le diverse esigenze richiede attenzione, anche perché la frammentazione, che riduce la governabilità, non dipende certo dalle istituzioni, mentre la riduzione di circa un terzo dei componenti del Parlamento - così come viene proposta - ha riflessi molto incisivi. L'attuale composizione del Parlamento non ostacola la possibilità di sviluppare gli strumenti di democrazia diretta già presenti nell'ordinamento costituzionale, mentre un intervento di questa portata rischia di impoverire il sistema democratico e, nello specifico, di far scomparire alcune voci come quelle delle minoranze nazionali autoctone riconosciute e tutelate dalla Costituzione e dagli Statuti di autonomia.
Per questa ragione, onorevoli colleghi, devo esprimere la mia profonda preoccupazione partendo da un aspetto che merita quantomeno di introdurre dei correttivi. Desidero porre l'attenzione sulla rappresentanza politica della minoranza nazionale autoctona di lingua slovena che insiste nella Regione a Statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia. Il legislatore costituente ha sapientemente ritenuto di proteggere questa realtà. Voi volete schiacciare le minoranze: avete cominciato con la stampa e ora volete toglierci il diritto di tribuna. Il riconoscimento dell'autonomia speciale da una parte e dall'altra l'inclusione di tale principio tra quelli fondamentali della Repubblica sono espressi dall'articolo 6, in base al quale la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. È un impegno programmatico che ha portato all'adozione di misure positive di protezione negli statuti speciali e nelle leggi di attuazione della Costituzione, come la legge n. 38 del 2001, sulle norme a tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli-Venezia Giulia che, all'articolo 26, impegna espressamente il legislatore prevedendo che: «Le leggi elettorali per l'elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati dettano norme per favorire l'accesso alla rappresentanza di candidati appartenenti alla minoranza slovena».
L'approvazione delle modifiche costituzionali, con la riduzione di un terzo del numero dei parlamentari, è tale da comprimere le forme di tutela delle minoranze linguistiche riconosciute nelle Regioni ad autonomia speciale, in base agli articoli 2, 3 e 6 della Costituzione, e per la minoranza slovena dall'articolo 3 della legge costituzionale n. 1 del 31 gennaio 1963 di adozione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Con la modifica proposta - secondo le proiezioni riportate dal Servizio Studi del Senato nel dossier dedicato alle proposte in discussione - il Friuli-Venezia Giulia avrebbe, in proporzione alla popolazione residente alla Camera dei deputati, una riduzione del 38,5 per cento, passando dai 13 seggi attualmente spettanti a 8 seggi. Al Senato si avrebbe una riduzione del 28,6 per cento, passando dagli attuali 7 a 5 seggi. In questo modo, tenendo conto del contesto territoriale, verrebbe sostanzialmente a mancare completamente il presupposto per consentire alla minoranza linguistica e nazionale slovena di partecipare in forma libera e autonoma alle competizioni elettorali e concorrere, in ossequio ai principi costituzionali - come tradotti in forma positiva dal già citato articolo 26 della legge n. 38 del 2001 - a eleggere un rappresentante in Parlamento che possa portare nel dibattito democratico l'esigenza della comunità autoctona di mantenere e valorizzare le relazioni sociali, la vita e la cultura minoritaria, espressione di una diversità culturale, parte integrante della Nazione, anche quella italiana - del Paese, quindi - e patrimonio universale da preservare.
Onorevoli colleghi, ribadisco che, così com'è, il testo rischia di creare una situazione non bilanciata nei confronti dei principi fondamentali della Repubblica contenuti nei primi 12 articoli della Costituzione, su cui poggiano le altre norme di ordinamento: il principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3, e il principio pluralista, sancito dall'articolo 2, coniugati con l'articolo 6 che - come accennato -impegna in particolare a tutelare le minoranze linguistiche.
L'opportunità di introdurre correttivi per assicurare che ci sia la garanzia di una destinazione nei territori dove tradizionalmente insiste la minoranza - nel mio caso slovena - di un senatore eletto risponde a un principio di uguaglianza sostanziale che non scalfisce il principio di uguaglianza del voto, ma lo rende effettivo, tenendo conto tra l'altro della cornice internazionalistica che ha riguardato il territorio in questione, in particolare il Memorandum di Londra nel 1954 fra Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e il Trattato di Osimo del 1975, la cui ratifica è stata autorizzata dalla legge n. 73 del 1977; disposizioni che sarebbero coerenti anche con gli strumenti internazionali e i principi del Consiglio d'Europa sul diritto di voto delle minoranze etniche.
Auspico, quindi, che il dibattito possa offrire spazi a questi aspetti, consentendo una serena valutazione delle proposte che ho formulato, anche perché la velocità del dibattito in Commissione non ha consentito gli approfondimenti necessari su questi temi.
Ritengo che l'Assemblea abbia la possibilità di rivedere la materia e di considerare l'impatto di una riforma costituzionale molto più incisiva di quanto non appaia per i rilevanti riflessi sull'ordinamento costituzionale, anche alla luce dei vincoli di natura internazionale che proteggono le minoranze autoctone, consentendo di riservare loro un'attenzione per il valore culturale che esprimono.
Onorevoli senatori, occorre introdurre le condizioni per consentire alla minoranza slovena la possibilità di partecipare in forma libera e autonoma alle competizioni elettorali e di concorrere, in ossequio ai principi costituzionali, come tradotti in forma positiva dal già citato articolo 26 della legge n. 38 del 2001, e in coerenza agli obblighi assunti dal nostro Paese in sede internazionale, a eleggere un rappresentante rivedendo assolutamente il testo in discussione. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
Saluto ad una rappresentanza di studenti
PRESIDENTE. Saluto a nome dell'Assemblea i docenti e gli studenti del Liceo statale delle scienze umane ed economico sociale «Giuseppe Maria Galanti» di Campobasso, che stanno assistendo ai nostri lavori. (Applausi).
Sui lavori del Senato
MALPEZZI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MALPEZZI (PD). Signor Presidente, visto che è in corso la Conferenza dei Capigruppo, mi aspetto, pur senza voler invadere il campo della Presidenza, che è sovrana, come da prassi che la seduta venga sospesa, visto che anche il Presidente del nostro Gruppo, come quello di tutti gli altri Gruppi, si trova riunito per stabilire il prosieguo della nostra attività.
Aggiungo anche un'altra questione che sottopongo a lei, signor Presidente: siccome non esistono i tempi contingentati in questa fase e il Gruppo del Partito Democratico ha presentato la richiesta di una serie di interventi, che a quanto mi risulta ha destato una serie di perplessità nell'essere accolta, vorrei ribadire la necessità che chi ha chiesto di poter intervenire venga ascoltato, perché stiamo parlando di un argomento estremamente importante. Lo dico perché ieri il ministro Fraccaro, senza essere presente in Aula ad ascoltare le nostre istanze, ha definito gli emendamenti del Partito Democratico dei diversivi. Siccome vorremmo spiegargli che non sono diversivi - lui non è presente, ma magari gli stiamo dando del tempo per poterci raggiungere - ci auguriamo che, dopo la sospensione dei lavori, il Ministro sia in Aula e tutti gli interventi, anche quelli successivi, possano avere spazio. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. Senatrice Malpezzi, siccome la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi è fissata per le ore 12,30 e dunque presumo che sia già iniziata o stia per iniziare, credo che la sua corretta domanda - ovvero se sia possibile proseguire, per le ragioni da lei addotte - possa essere prontamente esaminata in apertura della Conferenza stessa ed eventualmente sospenderemo all'esito della valutazione fatta.
MALPEZZI (PD). No, Presidente!
PRESIDENTE. Senatrice Malpezzi, ha appena finito di parlare. Lei stessa ha detto che questa è una valutazione che spetta alla Presidenza.
FEDELI (PD). C'è una prassi.
PRESIDENTE. Chi vuole chiedere la parola può farlo, intervenendo sull'ordine dei lavori.
Ho detto che il quesito può essere posto in apertura della seduta della Conferenza dei Capigruppo - è già in orario - e quindi mi atterrò scrupolosamente a ciò e intanto darò la parola al prossimo iscritto a parlare.
MARCUCCI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCUCCI (PD). Signor Presidente, intervengo solo per informarla che non credo sia esattamente così. Non parteciperò alla riunione dei Capigruppo, perché sono impegnato in Assemblea (Applausi dal Gruppo PD).
Quindi, aspetto che lei sospenda la seduta di Assemblea, dopodiché interverrò alla riunione dei Capigruppo.
PRESIDENTE. Senatore Marcucci, come lei sa, questa è una valutazione che, per quanto possa avere un'alta considerazione del mio ego, spetta al Presidente del Senato. E, quindi, credo che la mia considerazione, con buona pace di tutti, possa essere accolta come segno di riconoscimento della possibilità che la richiesta venga accolta e la invito, se può, a rivolgersi direttamente in apertura della riunione al Presidente. Se lei non può, sospendo brevemente la seduta, per avere il tempo di consultarmi con il Presidente del Senato.
VALENTE (PD). Ma è lei il Presidente!
PRESIDENTE. La seduta è sospesa brevemente.
(La seduta, sospesa alle ore 12,36, è ripresa alle ore 12,39).
Colleghi, la seduta è ripresa.
Abbiamo ascoltato insieme la richiesta del Capogruppo del Partito Democratico e anche la proposta della senatrice Malpezzi, che merita considerazione.
Ho consultato il Presidente del Senato e, esaminati i precedenti, risulta del tutto evidente che sono numerosissimi quelli in cui la seduta è proseguita durante la Conferenza dei Capigruppo, soprattutto quando si è trattato di discussione generale o di interventi che, come in questo caso, non mi sembra abbiano il conforto di un'Aula molto attenta e piena. Devo pertanto proseguire con i lavori.
VALENTE (PD). E le Commissioni?
PRESIDENTE. Mi lasci finire, collega. Non mi pare sia un problema di così rilevante importanza. E non mi riferisco al fatto di intervenire, ma a quello di agitarsi per detta questione.
BELLANOVA (PD). Non è questione di agitarsi. È lei che è agitato.
PRESIDENTE. Io proseguirò secondo l'ordine prestabilito. Cortesemente il Presidente del Gruppo del PD mi ha anticipato che, se qualcuno sarà assente, vedrò, per quanto è possibile, di posticipare il suo intervento; ma, se ciò fosse sistematico, dovrò intendere che quegli interventi sono decaduti. Questa è la valutazione del Presidente.
FEDELI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FEDELI (PD). Signor Presidente, vorrei chiedere un chiarimento rispetto a ciò che lei ha testé detto.
Siccome alle ore 13 sono convocate le Commissioni, vorrei solo sapere quale tempistica d'Aula intendiamo tenere, dal momento che la seduta doveva comunque essere sospesa alle ore 13. Glielo voglio solo dire, tenendo insieme una richiesta e l'altra.
PRESIDENTE. È di tutta evidenza che, se la seduta prosegue, le Commissioni sono sconvocate. Non si può pretendere che restino convocate, salvo accordi diversi tra i Gruppi naturalmente.
MALPEZZI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Senatrice, è già intervenuta e mi pare di aver risposto al suo quesito. In ogni caso, ne ha facoltà.
MALPEZZI (PD). Lei ha detto che anche le Commissioni saranno sconvocate. Il problema è che all'ordine del giorno di molte Commissioni sono previste audizioni e ci sono persone che ci stanno aspettando. Lei trova rispettoso per chi sta venendo in questi Palazzi per essere audito che venga sconvocata la seduta?
PRESIDENTE. Ho capito e la ringrazio.
MALPEZZI (PD). Quello che voglio dire è che c'erano dei lavori prefissati. Se le Commissioni erano convocate per le ore 13,30...
PRESIDENTE. Senatrice Malpezzi, le devo chiedere di interrompere il suo intervento. Non è rispettoso e il rimedio c'è: all'interno delle Commissioni si può chiedere la deroga e andare avanti con i lavori.
CIRINNA' (PD). Domando di parlare. È un'ora che alzo la mano.
PRESIDENTE. Lei lo sa che alzare la mano è pericoloso nell'Italia di oggi.
CIRINNA' (PD). Dipende da che mano e in che modo la si alza, Presidente.
PRESIDENTE. Questo è vero. Prego, senatrice Cirinnà.
CIRINNA' (PD). Signor Presidente, in riferimento a ciò che lei ha affermato riguardo alle Commissioni - e sono lieta di prendere la parola nel momento in cui la senatrice Pucciarelli è rientrata in Aula - è dal 6 gennaio che chiedo l'Ufficio di Presidenza della Commissione diritti umani, che finalmente è convocato, dopo un mese dalla mia richiesta, oggi alle ore 13. Se per caso lei o il presidente Alberti Casellati doveste concedere una deroga, chiedo che sia fatto per la Commissione diritti umani, perché da un mese chiedo di convocare l'Ufficio di Presidenza.
PRESIDENTE. Le ho anticipato, senatrice Cirinnà, senza bisogno di ascoltare il presidente Alberti Casellati, perché su questo - ne sono certo - converrebbe con me, che, ove i componenti della Commissione decidano, in pendenza della seduta di Assemblea senza interruzioni, di proseguire nei loro lavori, non vi è da parte mia alcuna obiezione. Basta che lo rendano noto e non vi siano obiezioni.
Ripresa della discussione dei disegni di legge costituzionale
nn. 214, 515 e 805 (ore 12,44)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore De Poli. Ne ha facoltà.
DE POLI (FI-BP). Rinuncio a intervenire.
PRESIDENTE. La Presidenza ne prende atto.
È iscritta a parlare la senatrice Boldrini. Ne ha facoltà.
BOLDRINI (PD). Signor Presidente, devo dire che parlare a un'Aula semivuota non è mai un bel sentore, ma ci proviamo lo stesso.
Oggi entriamo nel merito di una legge - la classica legge bandiera di una perenne campagna elettorale che sta continuando - e di una norma sbandierata da tanto tempo, che non può che essere il taglio lineare dei parlamentari, senatori e deputati: un taglio che non entra nel merito - lo abbiamo già sentito in tanti interventi questa mattina e ieri - di una visione e di un progetto riformatore di tutto l'impianto costituzionale, ma si limita, così com'è stato proposto nel testo che abbiamo letto, a una semplice abolizione di parlamentari.
Un vero riformismo dovrebbe entrare nel merito del bicameralismo perfetto, così come facemmo noi con la nostra riforma del centrosinistra: un riformismo che per tanti anni è stato ricercato, ma purtroppo non è mai arrivato a compimento. Qui non vi è traccia di una riforma più complessa e complessiva; si parla solo di arrivare a 200 senatori e a 400 deputati. Non vi è traccia nemmeno della diversificazione dei ruoli delle due Camere - come avevamo proposto noi - prevedendo che la Camera dei deputati legiferasse e la Camera dei senatori invece ascoltasse i territori, perché dovevano essere ascoltati in maniera diversa.
Qui c'è un mero taglio. Non c'è l'idea di velocizzare, come è stato già detto da un'altra collega. Secondo voi velocizzare significa tagliare i senatori e i deputati? Non è questo è un sistema. C'è bisogno certamente di rivedere l'impianto, ma non solo tagliando. Volete forse dare un segnale al populismo? Questo sì ed è la cosa più importante che avete fatto. È una risposta alla rabbia contro la casta, come sempre avete detto. Purtroppo attorno c'è un disegno ben diverso, un disegno che vede dietro un progressivo allontanamento dalla politica.
Il progressivo allontanamento e smantellamento della democrazia rappresentativa è un disegno che si sta ormai perseguendo da parte di questo Governo in particolare, con l'idea che i parlamentari siano diventati un di più, un orpello per chi vuole decidere. Lo abbiamo visto bene con la legge di bilancio, in occasione della quale non c'è stata alcuna possibilità di discutere. È stato presentato un voluminoso maxiemendamento, sul quale non abbiamo neanche potuto inserirci presentando ulteriori emendamenti, perché ci è stato impedito; la stessa possibilità, peraltro, è stata negata anche ai parlamentari di maggioranza che, pur avendo delle prerogative, vi hanno rinunciato, lasciando lavorare l'Esecutivo in maniera indisturbata.
Grazie all'intervento che abbiamo fatto come Partito Democratico c'è stato un richiamo importante, cui ha fatto seguito un intervento importantissimo nel decreto semplificazioni da parte del Presidente del Senato: se non avessimo avuto questa iniziativa, nessuno avrebbe potuto dire niente e si sarebbe andati avanti senza alcun tipo di intervento.
Nel provvedimento in esame non si cambia il sistema bicamerale o il bicameralismo perfetto - come abbiamo detto - differenziandolo, per dare vita anche alla voce dei territori. No, nulla di tutto questo, e si allontanano ancora di più le autonomie - abbiamo sentito prima l'intervento della collega - che hanno diritto di voce. Si tagliano, invece, le rappresentanze più importanti, così come si tagliano le alte rappresentanze dei nostri cittadini all'estero, con una misura importante che li vede allontanare dal loro Stato, dalla loro Nazione.
Una forma più organica quindi non c'è, non esiste. Purtroppo - devo dirlo - anche da questo punto di vista è un disegno che viene da lontano. Ricordo tagli a una democrazia partecipata che vengono addirittura dal 2010 (c'era ancora il Governo con la Lega): in quel momento - lo ricordo bene, perché in quel periodo ero un'amministratrice - si tagliarono addirittura le circoscrizioni, con una democrazia partecipata e vicina ai cittadini. Vedete, quindi, da quanto lontano arriva questo disegno?
Mi auguro che la società che sta fuori si svegli, anche se non è interessata in questo momento al discorso importante che stiamo facendo, perché interveniamo sulla Costituzione. Purtroppo quello che importa alla gente fuori è solo dare contro ai parlamentari, dare contro tagliando, perché siamo visti semplicemente come un costo della politica.
La società in questo momento è silente, avvelenata dall'odio perpetrato contro tutti: siamo in un periodo in cui tutti sono contro tutti e nessuno si occupa di quello che stiamo facendo, figuriamoci dei parlamentari, che sono sempre stati considerati una casta: del resto, quegli stessi che oggi fanno parte adesso dal Governo hanno sempre considerato i parlamentari una casta, dandogli contro.
Ora ci siete voi al Governo. Siete contenti quando vi sentite chiamare fannulloni? Io non sono mai stata contenta di essere chiamata fannullona, anche perché chi conosce bene il lavoro del parlamentare sa che non è affatto un lavoro da fannullone: si comincia la mattina con le Commissioni, si arriva qui in Aula, si cerca di essere sempre presenti e di stare sul territorio. Chi fa questo lavoro con soddisfazione e con senso di servizio nei confronti dei propri cittadini lo sa e non crede sia un lavoro inutile, come invece voi avete sempre pensato che fosse e come state facendo pensare anche alle persone fuori da qui: questo è il problema grosso.
Non c'è bisogno, quindi, di chiamarsi o di dichiararsi portavoce dei cittadini: noi lo siamo sempre stati. Questa è la democrazia rappresentativa. Questo vuol dire essere stati eletti e, come voi siete stati eletti dal popolo, lo siamo stati anche noi.
Io ho il mio bacino di riferimento, i miei cittadini che aspettano che io presenti un'interrogazione e che a quell'interrogazione venga data una risposta, anche se purtroppo ciò avviene con tempi sempre più lunghi e con ritardi enormi.
Sappiate che non ce n'era bisogno, perché prima che ci foste voi avevamo già fatto anche noi delle cose. Purtroppo sono state bocciate; giustamente il popolo ha deciso. Ma sappiate che anche noi abbiamo fatto una riforma e la volevamo fare complessivamente, mettendo davvero i puntini sulle "i". Mi riferisco anche al fatto di aver pensato a una sanità più nazionale e meno frammentata; una sanità che poteva essere l'ascolto di tutto il territorio nazionale, e non in maniera eterogenea come viene adesso svolta in piena autonomia dalle Regioni.
Quindi, noi non ci stiamo a vedere che il nostro Parlamento venga esautorato. E non ci stiamo a vedere che, solo per il mero consenso, questo Parlamento venga svuotato di quella che invece è la sua prerogativa più importante, e cioè portare le istanze dei nostri cittadini in quest'Aula.
La democrazia è stata pagata a caro prezzo, e la storia ce lo insegna. I Padri costituenti non a caso avevano fatto un impianto così complesso, perché ci fosse una gestione dello Stato e della Nazione che potesse sostenere e sostenersi. Non c'è tabù nel dire che dobbiamo tagliare i parlamentari. Ma tagliati così, in maniera lineare, come quando si tagliano le spese in maniera lineare senza intervenire, non ha senso, è sterile. Davvero è sempre e solo un tema di consenso elettorale.
Mi auguro che finirà questo tempo - dovrà finire - perché non è possibile gestire uno Stato in questa maniera, e cioè solo con spot elettorali come quelli che abbiamo visto in questi giorni, aprendo come se ci fosse una bacheca magica, o facendo uscire una card. Sappiate, tra l'altro, che era già stata fatta dai Governi precedenti, e non è stata una cosa fatta per la prima volta.
Devo dire che noi a questo punto non ci stiamo a ridurre semplicemente il numero dei parlamentari. Abbiamo presentato degli emendamenti che intervengono in una forma molto più complessa, per una riforma che davvero creerebbe un impianto più velocizzante. Ma su un bene prezioso, qual è la democrazia, noi non ci stiamo con voi in questo percorso. Noi abbiamo un valore troppo grande, e il valore della democrazia è troppo prezioso e deve essere preservato per il futuro anche dei nostri figli. Quindi, o ci ascoltate o non ci stiamo. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Rizzotti. Ne ha facoltà.
RIZZOTTI (FI-BP). Signor Presidente, colleghi - per quei pochi che mi ascoltano - il disegno di legge in esame ci permette di svolgere un dibattito molto importante e, per chi ha assistito questa mattina, sicuramente è una conferma; uno dei tanti dibattiti su un tema sviscerato in passato sotto ogni punto di vista, ma che non per questo perde di importanza nell'attualità. Noi sentiamo il dovere di dare il nostro contributo, certamente consapevoli che innanzitutto è la politica che deve rappresentare la speranza della democrazia.
Voglio esordire nel mio intervento mettendo in evidenza questo aspetto, proprio perché ritengo che la politica sia la risposta che noi dobbiamo a tutti coloro che devono rinnovare e rinnovarsi: la politica come speranza. Ovviamente in Italia questo aspetto assume un carattere tutto suo particolare perché, mentre altrove, nelle altre Nazioni, in quelle che già si sono inoltrate - e da tempo - nella democrazia dell'alternanza, la politica si sostanzia in una politica di sviluppo, ma non nella necessità di una politica di riforma del sistema, da noi purtroppo ancora il rinnovamento della politica passa dal rinnovamento del sistema. E sul concetto del rinnovamento del sistema a me sembra importante dire alcune cose, anche se oggi la politica è sotto tiro, proprio perché è mancato il rinnovamento del sistema politico italiano.
Certamente della riduzione del numero dei parlamentari non se ne può che parlar bene, ma nell'ambito di una rivoluzione di sistema. Nessuna forza politica negli ultimi quarant'anni ne ha parlato male. D'altro canto, siamo stati i primi a portare a compimento, grazie alla tenacia del nostro presidente Berlusconi, una riforma vera e seria che rivedeva e uniformava il nostro sistema politico-istituzionale.
L'Italia aveva e ha bisogno di una riduzione dei parlamentari, che riporti il loro numero al livello delle altre democrazie. E vi era soprattutto la necessità di una politica più sobria, in particolare nei comportamenti, che ogni giorno vediamo essere esagerati da parte di membri del Parlamento e del Governo. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Soprattutto, i dati raccontano che occorreva e occorre evitare che il numero eccessivo dei membri del Parlamento, unito all'annosa questione del bicameralismo paritario, continui a rendere farraginoso, complesso ed estremamente frammentato l'iter di approvazione dei disegni di legge. Noi, come parlamentari, vivendo ogni giorno l'attività parlamentare, sappiamo però perfettamente che, quando una legge ha un iter rapido, è perché il Governo che la propone è d'accordo su tutti i passaggi. Pertanto, nonostante la discussione in Commissione, la presentazione di emendamenti e altri passaggi, si sa perfettamente che, nonostante il bicameralismo, un provvedimento può essere approvato nell'arco di trenta o sessanta giorni al massimo. È quando accadono le cose che sono successe anche in questa legislatura, e precedentemente, che l'iter di esame dei provvedimenti va avanti due anni o due anni e mezzo, a causa di un continuo rimpallo, perché non c'è una voce univoca nel Governo.
Quanto alla riduzione dei fantomatici costi della politica, mi auguro che siano stati valutati non solo il minor costo determinato dalla riduzione del numero di parlamentari, ma anche i possibili maggiori oneri che si potrebbero determinare a seguito delle modificazioni che dovrà affrontare la macchina legislativa. D'altro canto, è facile ritenere che sia automatico il risparmio conseguente alla riduzione del cosiddetto ceto politico (la casta). Qualcuno ha però verificato quanto si è risparmiato, in passato, a seguito delle riforme che hanno portato alla riduzione dei componenti dei diversi organi collegiali rappresentativi sia regionali, che locali? Forse no.
Inoltre, non è che forse serviva immaginare anche che, se un organo legislativo ridotto potesse acquisire maggiore autorevolezza, la scelta dei rappresentanti dei cittadini dovesse avvenire con una maggiore capacità di selezione? Tuttavia, sappiamo che questo non rientra certo nelle intenzioni della piattaforma Rousseau. Immagino che tutti auspichiamo un Parlamento più autorevole e un ceto politico meglio selezionato, soprattutto in questi tempi di ignoranza dilagante. Ma, al di là dei dubbi, emersi anche in Commissione durante le audizioni, voglio dire con altrettanta sincerità a chi pensa, qui dentro e fuori, che basta solo un tweet - praticamente si sta parlando di questo e non di una riforma - per rinsaldare le istituzioni politiche e il sentire del nostro popolo e della gente, che è fuori dalla realtà. È anche fuori dalla realtà nel dimostrare di non saper parlare e ascoltare le migliaia di persone che abbiamo l'onore, la ventura, il piacere e il dovere di incontrare ogni giorno.
Occorre altro, onorevoli colleghi. Occorrerebbero più politici - e meno showman e millantatori - che sappiamo rimotivare un popolo che in larga parte è sfiduciato, disorientato e incattivito. Occorrerebbero nuovi, coraggiosi e rivoluzionari criteri, canali e metodi di rappresentanza democratica e pluralismo in una natura complessa e in una Nazione evoluta come la nostra.
E, quando parlo di criteri nuovi per la rappresentazione democratica, non mi riferisco certamente alle votazioni online. Sotto questo aspetto, calandomi nell'attualità e nel confronto politico del momento, credo che, più che parlare di referendum, sarebbe stato meglio discutere di elezione diretta dei vertici dello Stato - mi riferisco al Capo dello Stato o al Capo del Governo - che sono scelte coraggiose e non propagandistiche. Ecco quello che sarebbe servito e che tutto il centrodestra aveva proposto nel suo programma; decisioni in grado di rompere schemi per far decidere ai cittadini - quello sì - chi è chiamato a ricoprire ruoli di vertice e chi è stato bravo e chi no.
Forza Italia è sempre stata favorevole a dare la parola ai cittadini, quando i cittadini sono realmente motivati nel chiederla. Peccato che l'altro ramo del Parlamento stia discutendo una riforma costituzionale che non risponde affatto allo spirito annunciato. Temo piuttosto che si tratti di un preludio di una propaganda alla Casaleggio, dove si spera che, un giorno, i referendum verranno fatti soltanto via Rete, senza quorum, anche se il quorum - grazie a Dio - è stato introdotto, sia pur non nelle forme che noi - per la verità - avremmo voluto e che sarebbero dovute essere. Noi i referendum di Rete non li vogliamo e ai troll continuiamo a preferire le persone comuni, possibilmente preparate.
L'illusione della creazione di una distorta democrazia a partecipazione diretta ha fatto mettere in piedi uno strumento che creerebbe un effetto perfettamente contrario ai principi che sono stati posti in essere dai nostri Padri costituenti.
Ecco la differenza tra un pezzo di carta pieno di luoghi comuni e di buonismi inutili e una Carta costituzionale. La Costituzione la si può scrivere o riscrivere in tutto o in parte, ma solo chi ha grandi idee o, possibilmente, idee - forse basterebbe anche questo - può farlo. Chi ha grandi idee si incontra con le grandi idee contrapposte di chi la pensa diversamente - questa è democrazia - e non con chi è privo di pensiero o portatore di pensiero debole.
Colleghi, senza grandi idee e un grande e incontenibile amore per la nostra Patria ho la sensazione che stiamo parlando del nulla o, certo, di ben poco, forse a livello di qualche tweet propagandistico con scritto «fatto» e - aggiungerei, però - fatto male. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pellegrini Marco. Ne ha facoltà.
PELLEGRINI Marco (M5S). Signor Presidente, gentili colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, oggi discutiamo di una riforma attesa da molti decenni e di cui si è parlato tanto nelle passate legislature, anche nell'ambito dei dibattiti sulla rivisitazione dell'assetto costituzionale.
È una riforma in cui crediamo molto e, infatti, era uno dei punti del programma elettorale del MoVimento 5 Stelle, nonché del contratto di Governo. Noi del MoVimento 5 Stelle abbiamo un grave difetto agli occhi di qualcuno: mettiamo in pratica ciò che promettiamo di fare in campagna elettorale. (Applausi dal Gruppo M5S). Noi abbiamo il massimo rispetto del voto dei cittadini e non ci inventiamo riforme elettorali nelle segreterie di partito o nelle direzioni di partito, come fanno altri.
La riduzione di cui oggi ci occupiamo discende dalla volontà di rendere più razionale, più semplice e più efficace il processo legislativo e, al contempo, di rispondere alla forte richiesta dei cittadini - è il popolo sovrano e, lo ricordo sempre a tutti - di riduzione dei costi della politica. Il risparmio conseguente alla riduzione del numero dei parlamentari sarà di circa 500 milioni di euro a legislatura. Si tratta, quindi, di una somma importante. E la richiesta di riduzione dei costi appare oggi ancora più ineludibile, perché il decennio appena passato è stato caratterizzato da una lunga e terribile crisi. Sono stati anni di austerità, di tagli indiscriminati alla sanità, alla scuola, ai servizi pubblici, ai salari e alle pensioni. È tempo che anche la politica faccia la sua parte, così come è successo negli ultimi mesi con la cancellazione dell'assurdo privilegio dei vitalizi degli ex parlamentari non parametrati ai contributi previdenziali versati. L'abolizione è stata fortemente voluta dal MoVimento 5 Stelle perché - come dicevo prima - noi facciamo ciò che promettiamo in campagna elettorale.
Per quanto riguarda la riduzione dei costi, il MoVimento fa la sua parte - come sapete - sin dal nostro ingresso nelle istituzioni, perché tutti noi eletti in Parlamento e nei Consigli regionali restituiamo e doniamo ai cittadini una parte del nostro stipendio. In tutti questi anni lo abbiamo devoluto al Fondo di garanzia per il microcredito alle piccole e medie imprese e dal mese di luglio 2018 lo versiamo alla Protezione civile su un fondo destinato alle popolazioni colpite dalle alluvioni dei mesi scorsi. Colgo l'occasione per ricordare che proprio oggi stiamo celebrando il nostro restitution day, che è appunto in corso davanti alla Camera dei deputati. Oggi noi restituiamo ai cittadini 2 milioni di euro. (Applausi dal Gruppo M5S). È la somma relativa a un solo trimestre. Invito anche voi a farlo e magari vi sentirete meglio con voi stessi e con le vostre coscienze.
Al momento l'Italia, nella classifica europea del numero di parlamentari in termini assoluti, è terza sia per ciò che riguarda la Camera, dopo Germania e Regno Unito, e sia per quanto riguarda il Senato, o il nostro equivalente, dietro Regno Unito e Francia. Peraltro, anche in Francia è all'esame una proposta di legge per la riduzione di circa il 30 per cento di deputati e senatori. Con questa riforma viene diminuito in modo consistente il numero degli eletti di entrambe le Camere, mantenendo però inalterato il bicameralismo paritario in cui crediamo fermamente. E ci hanno creduto fermamente i cittadini italiani che hanno sonoramente bocciato la controriforma di Renzi e accoliti. (Applausi dal Gruppo M5S).
Vi ha detto di no il 60 per cento degli elettori: fatevene una ragione.
MALPEZZI (PD). Ma il 40 ha detto di sì!
PELLEGRINI Marco (M5S). So che è difficile riprendersi dopo una batosta del genere, ma se avete bisogno di aiuto psicologico siamo a vostra disposizione.
MALPEZZI (PD). Ma il consenso è arrivato al 40 per cento!
PRESIDENTE. Senatrice Malpezzi, la sua voce è una specie di colonna sonora di fondo.
PELLEGRINI Marco (M5S). La Camera sarà composta da 400 deputati, otto dei quali eletti all'estero, e il Senato sarà composto da 200 senatori, quattro dei quali eletti all'estero: con questa riforma, quindi, ogni deputato rappresenterà 150.000 italiani e ogni senatore 300.000 cittadini.
La riduzione del numero dei parlamentari determinerà una maggiore efficienza del processo legislativo - e questo è il nostro auspicio e il nostro convincimento - ma potenzialmente anche un ruolo più incisivo dell'intero Parlamento e dei singoli eletti, con un conseguente maggior prestigio delle nostre istituzioni democratiche.
Per i deputati e i senatori aumenteranno le responsabilità, ma anche l'importanza e il peso del lavoro che svolgono in un Parlamento con numeri ridotti.
Questa riforma allinea l'Italia a molti Paesi dell'Unione europea, che hanno un numero di eletti assai inferiore rispetto al nostro attuale. Inoltre, con questa proposta di riforma si superano definitivamente i problemi interpretativi che si posero negli anni passati per la nomina dei senatori a vita, poiché all'articolo 3 è previsto che il numero complessivo dei senatori di nomina presidenziale in carica non possa superare in alcun caso il numero di cinque. Ricordo a me stesso che qualcuno, nella scorsa legislatura, voleva portare il Senato a 100 senatori, «eletti» - si fa per dire - da Comuni e Regioni, ben 25 dei quali - ossia un quarto del Senato - indicati dal Presidente della Repubblica. E oggi qualcuno in quest'Aula mi viene a dire che stiamo portando avanti una riforma che stravolge l'architettura costituzionale, pesi e contrappesi? (Applausi dal Gruppo M5S).
MALPEZZI (PD). Li stravolge e come!
PELLEGRINI Marco (M5S). Bene, bella coerenza.
Ho sentito qualche collega delle opposizioni parlare di attacco alla democrazia ed è ben strano sentire queste frasi roboanti e antitetiche alla realtà fattuale, in quanto noi del MoVimento 5 Stelle abbiamo il mandato popolare per presentare questa riforma. (Commenti della senatrice Malpezzi e del senatore Stefano). Perché su questa riforma, vi piaccia o no, abbiamo preso i voti il 4 marzo, ma qui evidentemente c'è qualcuno che odia chi prende i voti, preferendo i salotti dove decidere chi dev'essere parlamentare, quale legge approvare e quale lobby favorire. (Reiterati commenti della senatrice Malpezzi e del senatore Stefano).
Poc'anzi ho sentito parlare di ricorso eccessivo alla questione fiducia da parte di questo Governo e ovviamente a farlo era un senatore del Gruppo che l'ha autorizzata cento volte nella scorsa legislatura: la solita ipocrisia.
MALPEZZI (PD). Voi siete sopra la media!
PELLEGRINI Marco (M5S). Ho sentito la senatrice Cirinnà, pochi minuti fa, definire saltimbanco il fondatore del nostro MoVimento, una forza politica, ve lo ricordo, votata da 11 milioni di elettori. Questi insulti qualificano chi li pronuncia, non certo chi li riceve e, in ogni caso, ricordo alla senatrice Cirinnà che è meglio essere un saltimbanco volontario che un comico involontario, arrogante e bulletto di periferia, come il vostro ex segretario. (Proteste della senatrice Malpezzi).
PRESIDENTE. La richiamo all'ordine, senatrice Malpezzi. (Vive proteste della senatrice Bellanova e del senatore Stefano).
MALPEZZI (PD). No, signor Presidente!
PRESIDENTE. La richiamo all'ordine per la seconda volta, senatrice Malpezzi.
STEFANO (PD). Come fa a richiamarla all'ordine, Presidente?
PRESIDENTE. Concluda, senatore Pellegrini.
PELLEGRINI Marco (M5S). Ho sentito parlare ipocritamente di eccessiva riduzione del numero dei parlamentari, censura proveniente da chi ovviamente aveva presentato proposte simili o ancora più riduttive. In questi minuti, mentre sentivo tali interventi, ho fatto una piccola ricerca e ho trovato un dossier dell'Ufficio studi del Senato che riassumeva i disegni di legge della XVI legislatura. Ebbene, udite udite: Zanda e altri, con l'Atto Senato 1178, proponevano una riduzione a 400 deputati per la Camera e a 200 senatori per il Senato (esattamente come nella nostra proposta); non le dico tutte, ma ad esempio Peterlini proponeva una Camera di 300 deputati e un Senato di 150 senatori; Bodega e altri proponevano 250 deputati e 150 senatori, e non vado avanti oltre.
PRESIDENTE. Non andrà avanti anche perché il suo tempo è scaduto.
PELLEGRINI Marco (M5S). Ho veramente finito, signor Presidente. Per noi del MoVimento 5 Stelle, che proponiamo la democrazia diretta, il rapporto tra istituzioni e parlamentari... (Il microfono si disattiva automaticamente. Applausi dal Gruppo M5S. Congratulazioni).
PRESIDENTE. Avete voluto otto minuti, non dieci: rispettate il tempo.
Invito tutti a considerare che ogni parlamentare può esprimere liberamente il proprio pensiero e spetta alla Presidenza, eventualmente, censurarlo. Così come non l'ho fatto con gli interventi precedenti ritenuti comunque accettabili all'interno della dialettica parlamentare (non dico eleganti, dico accettabili), nella stessa maniera ho censurato il tentativo di interrompere il collega che stava parlando con un tono non per forza elegante, ma comunque accettabile.
A questo punto dovrebbero intervenire la collega Sbrollini e poi il collega Rampi che però non sono presenti in Aula. In questo caso faccio l'ultima eccezione e non li faccio decadere. Avviso però che da questo momento in poi chi non sarà presente in Aula al momento in cui deve intervenire perderà la possibilità di intervenire. (Applausi dai Gruppi M5S e FI-BP). In sede di Capigruppo - ve lo comunico per correttezza - era stata data anche la possibilità di ulteriori interventi, dunque non c'è alcun motivo di essere scortesi verso i colleghi che vengono dopo, che non sapendo che c'è qualcuno che non è presente e posticipa il proprio intervento, si trovano in difficoltà nell'intervenire. Quindi i colleghi Sbrollini e Rampi fra poco verranno chiamati; avvisateli perché quando li chiamerò dovranno essere presenti.
È iscritta a parlare la senatrice Gallone, che ringrazio per essere venuta prontamente. Ne ha facoltà.
GALLONE (FI-BP). Grazie Presidente, fino a quando ancora abbiamo il potere di parlare, è giusto esserci.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, cari colleghi e colleghe, il Parlamento non è un club service cui iscriversi mediante candidatura: il Parlamento è il luogo più sacro di uno Stato di diritto. È il luogo in cui nascono le leggi, il luogo in cui si incide sulla vita dei cittadini, il luogo della rappresentanza democratica.
Fatta questa doverosa premessa, siamo qui oggi per affrontare per l'ennesima volta - l'ottava per la precisione a partire dalla Commissione Bozzi della cosiddetta prima Repubblica - il medesimo tema: la riduzione del numero dei parlamentari. Una scelta che ci vede in linea di massima favorevoli dal momento che essa venne avanzata, come già detto molte volte durante il dibattito e con considerazioni di tenore quasi identico, anche dal Governo Berlusconi nel 2005, anche se in maniera molto diversa.
Quello della riduzione del numero dei deputati e dei senatori è quindi un tema affrontato molte volte in quest'Aula, con scelte ogni volta comunque simili rispetto al numero (in questo caso, rispettivamente, da 630 a 400 e da 315 a 200). Ma non sono i numeri il problema o la questione intorno alla quale c'è da discutere, finché ancora possiamo discutere, come dicevo prima. Si tratta di una decisione in ogni caso delicata in quanto investe i criteri di base su cui si fonda il nostro sistema democratico: la rappresentatività parlamentare e l'equilibrio dei poteri del nostro Stato di diritto, criteri che non possono venire superati da esperimenti di rappresentanza diretta, come ad esempio l'eliminazione del quorum referendario o quant'altro.
Noi siamo favorevoli a una riduzione del numero dei componenti del Parlamento, ma nell'ambito di una più ampia, organica, complessiva, razionale e costituzionale riforma del sistema-Stato. Limitarsi infatti a ridurre il numero dei parlamentari tout court, significherà semplicemente sbilanciare un equilibrio fondamentale per garantire la democrazia e soprattutto la sovranità popolare e significherà semplicemente creare dei macrocollegi che, per forza di cose, creeranno dispersività e lontananza tra elettore ed eletto, quindi a discapito della sovranità popolare e della rappresentanza.
Infatti, se è vero, come ricordava anche il collega Biasotti in un intervento che mi ha preceduto che il nostro Paese ha uno dei parlamenti più numerosi in Europa, è altrettanto vero che esso si colloca al ventesimo posto per criterio di rappresentatività, proprio per il rapporto tra eletti ed elettori; quindi alla riduzione dei parlamentari si dovrebbero affiancare contemporaneamente una serie di azioni fondamentali di modifica organica ed equilibrata del sistema-Stato nel suo complesso.
In primo luogo il potenziamento delle autonomie locali, mortificate dai Governi a guida PD, in primo luogo il Governo Renzi, restituendo, prime fra tutte alle Province, il ruolo di corpo intermedio sussidiario, mortificato a colpi di leggi che poca cittadinanza trovano nel nostro impianto costituzionale.
Il secondo è il potenziamento delle autonomie regionali, dotate - lo ricordo - di autonomia legislativa, che richiamino tutte le realtà locali alla responsabilità del governo dei loro territori, senza che sia possibile questo indegno scaricabarile tra Sud e Nord e viceversa
Il terzo e più delicato punto è una rivisitazione del ruolo della magistratura, soprattutto in ambito civilistico, con un accresciuto ruolo della suprema corte, attraverso una normativa che preveda una nomofilachia vincolante per i gradi inferiori vicina al common law, che consenta di trovare, a chi voglia investire nel nostro Paese, un quadro normativo e giuridico di ragionevole certezza.
Inoltre, fondamentale per il mantenimento dell'equilibrio dello Stato di diritto è il fatto che all'alleggerimento parlamentare deve corrispondere un alleggerimento della dimensione e della pervasività dell'Esecutivo e delle sue strutture, prevedendo parimenti una correlazione rigida tra il numero dei Ministri, Vice Ministri, Sottosegretari e il numero dei parlamentari e una conseguente riduzione degli apparati burocratici centrali che soffocano i cittadini. Il tutto senza rinunciare all'indifferibile ruolo di rappresentanza che viene garantito al Parlamento.
Ripeto che siamo favorevoli alla riduzione del numero dei parlamentari, perché quando il legislatore costituente definì la composizione del Parlamento aveva di fronte un Paese differente, in cui le Regioni erano entità previste sulla carta e altri problemi dovevano trovare cittadinanza nella Carta costituzionale: si pensi alle pressioni austriache per la tutela delle minoranze etniche dell'Alto Adige. Oggi, con uno Stato cambiato e in cambiamento in cui le Regioni, in omaggio al principio di sussidiarietà, operano con autonomia legislativa, è possibile pensare a una riduzione del peso legislativo del Parlamento e del Governo centrali.
Ça va sans dire che una riforma del genere non può e non deve avvenire per mere, anche se importanti, occasioni di risparmio economico, perché la democrazia è uno strumento troppo importante per venire assoggettato a scelte di tipo puramente mercantilistico; allo stesso modo non può essere una scelta funzionale a un accrescimento di potere dell'Esecutivo che vada a discapito del ruolo che i rappresentanti del popolo chiamati a rappresentarlo in questa nell'altra Camera sono chiamati a svolgere. Un Governo dell'Esecutivo ha il cattivo sapore della dittatura, sia essa monocratica o quella specie di diarchia con un mediatore sociale che stiamo vivendo: un Governo in cui i due capi dei partiti decidono tutto e procedono per decreti-legge e fiducie, imponendo al Paese la loro volontà, rendendo succube e inesistente il ruolo del Parlamento. Ricordatevi che togliere dignità e ruolo al Parlamento significa togliere dignità e voce al popolo.
Penso a quella libertà di cui parlò Lincoln nel famoso discorso di Gettysburg: «Che questa Nazione (...) abbia una rinascita di libertà e che l'idea di un Governo di popolo, dal popolo, per il popolo non abbia a perire dalla terra». La libertà passa attraverso un Governo democratico: di popolo attraverso il suffragio universale, dal popolo attraverso la rappresentanza elettiva e per il popolo e quindi libero da scelte guidate da logiche propagandistiche finalizzate all'autoconservazione del potere.
In questo quadro di rinnovata o restituita libertà e autonomia della società da uno Stato centrale, per troppi versi ottocentesco, è non solo opportuno ma addirittura giusto pensare a un alleggerimento del Parlamento in termini numerici e a una riforma complessiva del sistema dello Stato.
Esistono molte ragioni per le quali la democrazia diretta non può funzionare rebus sic stantibus e per le quali è assurdo pensare al referendum senza quorum. La prima e più importante è che un referendum senza quorum lede in maniera profonda e irreparabile il principio democratico maggioritario. Se già il principio maggioritario, ovvero il motivo per il quale la minoranza debba soggiacere alla volontà della maggioranza, ha rappresentato una preoccupazione per i giuristi (Ruffini per tutti), il passaggio a un modello minoritario nel quale la maggioranza debba assecondare la volontà di una minoranza, quale essa sia, appare addirittura perverso. Partecipare o no a un referendum non è un atto di disinteresse rispetto a un tema, ma una manifestazione di libertà rispetto a un tema promosso da una minoranza cui non posso, come cittadino, venire chiamato a esprimere forzatamente un'opinione, anche se mi pare bislacco o di nessun interesse. Per fare una riduzione ad assurdo, tanto utile quando si tratta di semplificare, se una minoranza qualsiasi promuovesse un referendum per rendere obbligatorie le scarpe di colore giallo per tutti i cittadini, sarebbe assurdo pretendere che io andassi a votare correndo, altrimenti correrei il rischio di dovermi adeguare alle scelte della minoranza che ha promosso il referendum.
A questa ragione se ne aggiunge una ancora più importante, quella dell'asimmetria informativa.
Il motivo per quale esiste l'istituto della delega parlamentare o negli enti locali è legato al fatto che l'elettore affida al proprio eletto il compito di svolgere con diligenza, e tenendo presente le ragioni di chi lo ha eletto, gli approfondimenti necessari su un tema, mentre gli continua a svolgere il proprio lavoro e non ha quindi il tempo o la voglia di farlo in continuazione. Quello che l'elettore si aspetta dai propri rappresentanti è appunto che essi, dedicandovi il proprio tempo e la propria passione civile, lo rappresentino nelle scelte. È un fatto indiscutibile che apre casomai il tema della qualità della rappresentanza, tema antico come la filosofia greca, ma che non può essere affrontato, purtroppo, se si vuole - come noi vogliamo - restare in ambito democratico.
Se un cittadino ritiene, liberamente e in piena coscienza, di sentirsi rappresentato da un soggetto impreparato, o che non abbia mai dato nulla alla società prima, è libero di farlo sapendo che le conseguenze delle scelte che verranno compiute da chi lo rappresenta saranno prima di tutto sue. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Sbrollini. Ne ha facoltà.
SBROLLINI (PD). Signor Presidente, come hanno detto molti miei colleghi, con grande dispiacere ieri non abbiamo potuto ascoltare la relazione del senatore Calderoli: sarebbe stato importante perché questa è l'Assemblea del Senato, all'interno della quale ci dovremo confrontare (maggioranza e minoranza) su un provvedimento così importante per la vita stessa della democrazia.
Vogliamo davvero capire fino in fondo quale modello di Stato e di democrazia volete costruire, perché sinceramente siamo stati abituati - anche nelle scorse legislature - a confrontarci in una dialettica democratica dove la centralità del Parlamento era un punto fondamentale. Adesso - devo dire con grande dispiacere - assistiamo a una deriva che ci preoccupa moltissimo: un Governo sempre più autoritario, che vuole smantellare il confronto, la dialettica, la mediazione - parti fondamentali della democrazia - e non assistere più neanche a un dibattito, non solo in Aula, ma neanche dedicandovi il tempo necessario all'interno delle Commissioni, dove ancora di più si svolge il lavoro di ogni singolo parlamentare. (Applausi della senatrice Malpezzi).
È ovvio che avete in mente un'idea chiara, ovvero quella di cancellare le prerogative della democrazia rappresentativa, quindi del Parlamento. Continuate a fare becera propaganda, riducendo tutta la discussione a una mera diminuzione del numero dei parlamentari, e questo è veramente avvilente e umiliante, ma dovrebbe umiliare anche voi della maggioranza il non sentire più la responsabilità del ruolo che avete e che dovreste esercitare ogni giorno nelle Aule parlamentari, e non solo sui social.
Ognuno di noi fa il suo mestiere e sa benissimo quali sono le prerogative del parlamentare. Sappiamo bene quali impianti costituzionali e quali riforme - nelle legislature precedenti - si è cercato di portare avanti, con Governi sia di centrodestra che di centrosinistra, ma c'era un'idea: l'idea di una riforma organica; non c'era soltanto la propaganda, la demagogia. Noi avremmo voluto fare questo; avremmo voluto costruire un modello di efficienza: un bicameralismo differenziato dove finalmente i ruoli di Camera e Senato fossero più chiari, con procedure più snelle, con un lavoro quotidiano del parlamentare in grado di dare risposte più rapide a una società che cresce e che chiede velocità. Nulla di tutto questo abbiamo trovato nelle vostre parole e nei vostri documenti. Qui si vuole soltanto attuare una strategia: quella della piattaforma Rousseau. D'altra parte, siete stati abituati a discutere solo sui social, pensando che tutto il mondo si esaurisca lì. Eppure, la democrazia è qualcosa di diverso: è un esercizio quotidiano fatto di un confronto fra le parti, di mediazione, per cui tanti provvedimenti presentati dalla maggioranza si discutono, si affrontano, magari a volte si migliorano, come abbiamo cercato di fare in passato anche noi.
Qui non c'è nulla di tutto questo, però certamente in questi nove mesi di Governo avete prodotto un risultato e cioè quello di aver lacerato il Paese, di averlo reso più fragile, di aver minato le istituzioni che voi stessi dovreste rappresentare (Applausi della senatrice Malpezzi)con l'orgoglio di appartenere a questo Paese. Invece no: ci avete portato a conflitti permanenti anche nel resto dell'Europa, non solo all'interno del nostro Paese, mettendo gli uni contro gli altri, pensando così di rendere tutto più facile e magari anche di manipolare le coscienze e la buona fede dei cittadini e di poterli controllare meglio. Questo sì è un piano ed è una strategia che mi pare sia stata ben chiarita anche durante l'esame della legge di bilancio, approvata senza un confronto fra le parti e senza avere neanche un momento di discussione nelle Commissioni competenti.
Guardate però che l'Italia è altro e, prima o poi, anche voi farete i conti con questa realtà. Il nostro è un grande Paese, fatto di competenze, di intelligenze, di professionalità e di responsabilità importanti. Non avete sentito neanche il bisogno di confrontarvi con i costituzionalisti e di cercare in tutti i modi di avviare una discussione, non solo dentro le Aule parlamentari - che sarebbe stato il minimo - ma anche nel Paese, perché vi interessava soltanto mantenere un costante impegno nella campagna elettorale permanente e dimostrare ogni giorno che il Paese non ha bisogno di costruire credibilità e dignità, ma soltanto di propaganda e demagogia. Certamente avete ottenuto questo risultato, ma penso che prima o poi, anche in tempi molto brevi, qualcuno vi chiederà il conto. Ve lo chiederanno tutti quei cittadini che sono abituati a ragionare con la propria testa, che sono abituati a confrontarsi e che vanno in giro nei territori, perché molti colleghi della maggioranza non siamo neanche abituati a vederli nei territori, quando torniamo dalle settimane di lavoro parlamentare.
Penso che continueremo a svolgere il nostro ruolo in maniera propositiva, perché crediamo che questo sia un tema serio e fondamentale per la democrazia. Anche noi vogliamo maggiore efficienza e avevamo inserito nella riforma costituzionale la riduzione del numero dei parlamentari, ma per l'appunto differenziando il ruolo della Camera dei deputati da quello del Senato.
Signor Presidente, mi dispiace dover parlare in un'Aula quasi vuota, perché si è preferito andare avanti. Mi auguro però che questa giornata possa servire quantomeno a non ripetere un dibattito così povero, miserabile e umiliante per l'Assemblea. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. La ringrazio, senatrice, ma non so se l'Aula sia vuota perché siamo andati avanti o per una fisiologica minore presenza durante la fase della discussione generale.
È iscritto a parlare il senatore Rampi. Ne ha facoltà.
RAMPI (PD). Signor Presidente, non credo sia pensabile che il vuoto sia fisiologico, perché sono sicuro che i colleghi di maggioranza che hanno deciso di affrontare questa discussione di rango costituzionale hanno intenzione di prestare tutto il loro tempo, tutta la loro intelligenza e tutta la loro profondità a questo argomento. Mi sembra non vi sia alcuna fretta di approvare questo provvedimento, quindi vogliamo approfondirlo. Sono certo che in queste settimane i colleghi lo avranno approfondito e proprio per questo sono sicuro che in queste ore e anche nelle notti insonni, pensando di toccare la Costituzione italiana, saranno tornati nelle loro letture a quei brani di Platone, del «Politico» e delle «Leggi», che parlavano della demagogia e di come la democrazia rischia facilmente di decadere in demagogia.
Vedete, è quello che sta accadendo in Italia, e non da oggi; sta succedendo almeno dall'inizio degli anni '90 e sta succedendo come conseguenza culturale degli anni '80. Però poi ognuno, di volta in volta, si assume un pezzo di responsabilità e ognuno contribuisce a suo modo a questo decadimento. Sono anche sicuro che in queste ore stanno ripensando alle loro letture di Cicerone e a quei brani del «De re publica» in cui Cicerone parlava del Senato, quel Senato romano che è stato talmente importante da aver dato il nome a tutte le Camere alte del mondo e che noi incarniamo ancora in qualche misura, pur poco distanti, pur essendo cambiati nella struttura: per il mondo noi siamo il Senato di Roma e portiamo quella responsabilità. Nel «De re publica» Cicerone rifletteva sull'autorevolezza che doveva avere il Senato e su come tale autorevolezza fosse una garanzia per tutti i cittadini, mentre il rischio dell'uomo forte al comando fosse un pericolo. Ecco, come finì quella storia lo sapete tutti; come può finire oggi questa storia nelle democrazie moderne è qualche cosa che rischiamo di sperimentare nei prossimi anni e spero che ognuno di voi, nella sua libera coscienza, nell'esercizio libero del suo mandato parlamentare (secondo quello che prevede la Costituzione, senza alcun vincolo di mandato, senza dover rispondere a nessuna società esterna, senza dover dipendere da nessun capo), sicuramente valuterà nel voto se quello che sta facendo è qualche cosa che va nella direzione di dare in pasto ai cittadini un risultato demagogico oppure di rendere migliori, più efficaci e più efficienti le istituzioni.
Vedete, la discussione sulla democrazia decidente è in corso in Italia da numerosi anni ed è una discussione seria e importante. Io ho affrontato persone della mia parte politica con cui ci siamo duramente divisi e scontrati su questo punto, perché non appartiene alla mia natura e non appartiene alla mia parte politica il fatto di conservare le cose così come sono. Quindi una riflessione sulla democrazia e sul suo funzionamento, sul rapporto con il tempo della democrazia e con la sua capacità decisionale, sul fatto che queste Aule non siano dei luoghi di pura forma e diventino dei luoghi di confronto e di sostanza vera è un tema attuale e reale.
Questo può avere a che vedere, in una direzione o nell'altra, con il numero dei parlamentari. I colleghi hanno ricordato tante volte quante sono state le riforme che hanno previsto tale riduzione. Io non so se sia giusta o sbagliata; i parlamentari possono essere troppi, ma possono essere troppi anche quelli della vostra proposta, se questo è un fatto di numeri, oppure possono persino essere pochi; dipende da come organizziamo queste istituzioni. Sicuramente oggi c'è qualche cosa che non funziona, perché, se non c'è questa autorevolezza, se non c'è questa credibilità, se non c'è questa capacità di rispondere ai problemi delle persone, qualche cosa non funziona. È un problema e lo dobbiamo affrontare.
Ma come lo vogliamo affrontare? Vogliamo scegliere una via demagogica? Vogliamo scegliere una scorciatoia? Vogliamo scegliere una via che non prevede una discussione approfondita? Io credo che questa sia una responsabilità grande, perché, vedete, non c'è dubbio che oggi i leader dei movimenti politici che governano il Paese sono all'apice e forse possono persino salire nel consenso. Guardate, è capitato a tutti. Però la grande mitologia classica, che è eterna e riguarda tutti, ci ricorda che quando Icaro sale, a un certo punto, se non ha la capacità di fermarsi, arriva un po' troppo vicino al sole, le ali di cera si sciolgono e precipita. Di questi precipizi, nell'era demagogica post-anni '90, ne abbiamo visti tanti e temo che ce ne siano alcuni prossimi. Quindi, come dire, dando buoni consigli, non potendo più dare il cattivo esempio, suggerisco agli attuali Icaro di fermarsi prima di precipitare anche loro, perché è interesse collettivo. Questo susseguirsi di precipizi non fa bene alla democrazia e non fa altro che assecondare nel popolo l'idea che quello che succede qua dentro non riguardi più nessuno e non serva più a niente. E se questo discorso si afferma, non saranno 200, non saranno 100, non saranno 50, perché saranno sempre e comunque troppi, anche se fossero tre quelli che si trovano qua dentro, perché l'idea che è passata è che la nostra discussione non serva a niente e non risolva neanche un problema delle persone. (Applausi dal Gruppo PD).
Vi chiedo allora di essere coraggiosi: noi possiamo o potremmo - non so quale forma verbale utilizzare - in questa Camera (e arrivo a dire di più: persino nell'altra, se non riusciremo in queste ore a convincerci, o magari nell'ulteriore passaggio in questa Camera, se ci sarà) trovare un punto di contatto sul tema e decidere di farla insieme questa riforma.
Vi abbiamo proposto degli emendamenti: possono non andar bene questi, allora riscriviamoli. Avete assistito in queste settimane alla discussione nel Parlamento inglese? Avete visto com'è fatta? Quali forme ha e quale libertà e realtà di confronto c'è? Portiamo questa forma qua dentro. Non sto dicendo che i colleghi inglesi stiano messi meglio di noi, hanno problemi enormi e difficoltà di decisione ma quella vecchia democrazia, pur nella sua difficoltà attuale, comunque continua a funzionare nella sua capacità di confronto reale e di contaminazione. Credo che questo sia il nostro obiettivo.
Il relatore di questo provvedimento, che ha una lunga storia parlamentare e ne ha viste tante di trasformazioni, sa benissimo che quello che sto dicendo non è un discorso che facciamo nell'alternarsi delle vicende, oggi in maggioranza, domani all'opposizione. Questo intervento lo avrebbe potuto fare un collega di minoranza, uguale e contrario a me, nella scorsa legislatura. Proviamo allora a superare questa contrapposizione, perché altrimenti quello che otterrete è solo un consenso immediato e facile. È evidente: oggi, se dovessimo andare a fare un referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari questo probabilmente otterrebbe numeri sorprendenti. Certo, poi bisognerà vedere - se mai si celebrerà questo referendum - se quel voto sarà sulla riduzione del numero dei parlamentari o magari diventerà un voto su chi governa in quel momento. Se dovesse essere un giudizio su chi governa in quel momento, infatti, potrebbero anche esservi delle sorprese e potrebbe finire in maniera inaspettata anche rispetto a chi lo propone. (Applausi dal Gruppo PD).
Quindi, vediamo di concentrarci su questo tema. Nessuno di noi è portatore da solo del giudizio del popolo. (Applausi dal Gruppo PD). Il popolo nelle democrazie rappresentative ha un'unica forma che è quella dei propri rappresentanti, cui ha consegnato una fiducia che bisogna guadagnarsi ogni giorno, e questa fiducia è la capacità di incontrarci tra di noi e costruire il bene comune. Il bene comune non è qualcosa che esiste in qualche luogo; il bene comune è l'oggetto e il risultato del confronto. Chi ha pensato le Assemblee parlamentari, qualunque forma essa abbiano, ha pensato a questo.
Qualche tempo fa parlavo con un giovane costituzionalista che mi spiegava, giustamente, che la democrazia rappresentativa nasce quando le comunità diventano troppo grandi e non si può più stare tutti attorno a un fuoco a discutere uno con l'altro e quindi si decide che qualcuno attorno al fuoco ci sta e qualcun altro sta qualche metro più indietro, ma è rappresentato da qualcuno tra quelli che stanno attorno al fuoco. Mi diceva che oggi con questi strumenti tutti possiamo stare attorno al fuoco, perché abbiamo la possibilità di partecipare. Attenzione, perché questo non è vero: con questi strumenti si possono esprimere le proprie opinioni, con questi strumenti si può votare, ma non si può discutere e non ci si può confrontare.
Essere attorno al fuoco è diverso che essere tutti lontani dal fuoco e mandare un messaggio senza contaminarsi. Corriamo allora il rischio della contaminazione. Facciamo qualcosa di sorprendente: riportiamo il Senato della Repubblica all'altezza di quello che è il suo ruolo nella storia e di quello che è il suo ruolo nel presente. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Taricco che, nell'ordine degli interventi, si sostituisce al senatore Comincini. Ne ha facoltà.
LONARDO (FI-BP). Come mai non c'è l'alternanza?
PRESIDENTE. In questi casi non c'è l'alternanza. L'ordine degli interventi segue l'ordine di iscrizione. Non è prevista dal Regolamento.
TARICCO (PD). Signor Presidente, vorrei portare il mio piccolo contributo a questo percorso di riforma costituzionale che rischia, per come si è incamminato e per come lo stiamo trattando, di passare come un atto scontato di ordinaria amministrazione, in un quadro di sostanziale indifferenza generale. Dirò subito che non sono pregiudizialmente contrario, nonostante siamo in una posizione critica rispetto a questo provvedimento, a una riduzione del numero dei deputati e dei senatori e lo dico nonostante le carte che ci sono state fornite dall'Ufficio studi ci dimostrino che la situazione italiana non è così lontana da gran parte delle situazioni europee, ma è sostanzialmente in linea con il numero dei parlamentari rapportato al numero degli abitanti. Si può dire che questa proposta della riduzione, in sé, non sia irricevibile, ma lo è se pensiamo di affrontare solamente la questione della riduzione numerica dei parlamentari. Il tema di cui stiamo parlando, infatti, non riguarda tanto cosa c'è in questa proposta, ma cosa non c'è in questa proposta. Il tema che ci lascia molto perplessi è la totale assenza di un quadro di riferimento. Io credo - lo hanno già detto molti colleghi prima - che l'Italia abbia bisogno di una riforma del suo sistema-Paese, ma soprattutto del suo sistema istituzionale: è necessario un sistema più snello, più efficace, capace di rendere realmente esigibili tutti quei diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini, alle imprese, alle comunità civili e alle loro forme di organizzazione ed è anche per questo che nella passata legislatura si è impressa una spinta fortemente riformatrice che seguiva tanti tentativi già effettuati in altre legislature di mettere mano in modo proficuo all'assetto istituzionale del Paese.
Quello che sommessamente ci permettiamo di dire è che in questo percorso servirebbe un disegno compiuto che orientasse i singoli passi ed è quello che noi chiediamo in questo momento, credendo di poterci fare interpreti di tanti che lo stanno chiedendo; vogliamo cioè capire come questa modifica costituzionale, volta alla riduzione dei parlamentari, si colloca dentro un disegno generale di riforma. Il disegno, come dicevo, non c'è, anche se alcuni fatti che stanno accadendo un disegno lo lasciano intuire. Se infatti mettiamo insieme questa riforma con la riforma del referendum che si sta portando avanti alla Camera e con le dichiarazioni di leader di questa maggioranza che in qualche misura lasciano trapelare l'idea di un superamento di fatto del parlamentarismo e che lasciano intendere una modifica per mettere a sorteggio - verrebbe da dire on web - l'idea di democrazia del futuro, ciò che si intuisce è un disegno di superamento della democrazia parlamentare, che poi vuol dire sostanzialmente superamento della democrazia. Noi, in Italia, di duci che parlavano direttamente al popolo ne abbiamo già visti altri e non hanno mai portato bene a questo Paese. (Applausi del senatore Rampi). Questo lo dico soprattutto per convinzione personale, ma anche certo di interpretare le prime voci di costituzionalisti che stanno cominciando a far emergere, seppure dal nostro punto di vista in modo assolutamente diverso rispetto ad altri pronunciamenti su altre riforme, alcune osservazioni che denotano perplessità.
Noi abbiamo presentato già alla Camera alcuni - pochissimi - emendamenti, senza alcun approccio strumentale o di ostruzionismo, che ponevano alcune questioni che questa riforma, nel concreto, ribalta sul sistema istituzionale. Innanzitutto, si vorrebbe capire se c'è la volontà di provare a ragionare anche, se l'obiettivo è quello di rendere più efficaci ed efficienti le istituzioni, sulle funzioni della Camera e su quelle del Senato. Se vogliamo veramente affrontare il tema dell'efficienza delle istituzioni, crediamo che questa sia una questione assolutamente centrale.
Abbiamo posto il tema di una riflessione sull'attuale adeguatezza dei limiti di età per l'elettorato passivo ed attivo per il Senato; abbiamo posto anche una questione che deriva come conseguenza della riduzione del numero dei deputati e dei senatori, e cioè il ragionamento sulla distribuzione dei collegi e sulla distribuzione degli eletti a riforma completata. Vedremo quale sarà il giudizio di ammissibilità che verrà dato di questi emendamenti in Assemblea. Il fatto che in Commissione questi emendamenti siano stati ritenuti inammissibili ci pone grandi perplessità sul fatto che realmente l'obiettivo sia quello di dare maggiore efficienza, efficacia e capacità di rispondere alle istituzioni e non si voglia invece semplicemente offrire in pasto ai cittadini qualcosa che facilmente può lucrare consenso.
Credo che in quest'Aula, soprattutto quando parliamo di materie costituzionali, dovremmo avere la consapevolezza che il cuore e il centro del nostro impegno dovrebbe essere il bene comune del Paese. Può sembrare un'affermazione fuori del tempo, lontana da queste Aule, ma credo che in quest'Aula discutere e confrontarsi abbia ancora un senso, un significato, e una pregnanza se lo sforzo da parte di tutti è di provare a mettere al centro quello che è in prospettiva il bene di questo Paese. Se dovessimo smarrire tale consapevolezza potrebbe passare qualunque riforma, ma credo ci avvieremmo su un percorso che sicuramente non potrebbe portare bene al futuro di questo Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Lonardo. Ne ha facoltà.
Le preciso che l'alternanza,peraltro quando si ritiene di farla, è tra maggioranza e opposizione. In questo caso, non c'è nessun iscritto alla discussione generale del Gruppo della Lega e relativamente pochi iscritti del MoVimento dei 5 Stelle, per cui l'alternanza non è, neanche volendo, possibile.
LONARDO (FI-BP). Signor Presidente, non insisto ma l'elenco era così fatto. Ad ogni modo, non c'è alcun problema. Ringrazio tutti coloro che sono in quest'Aula: non sono numerosissimi, ma il nostro esercizio democratico lo espleteremo comunque.
Signor Presidente, rappresentati del Governo, colleghi, in questo momento storico assai confuso quella che era un'esigenza di non poco conto, la riduzione del numero dei parlamentari, diventa un fatto quasi secondario nell'attuale contesto istituzionale in cui ci tocca vivere. Mi spiego meglio. Non discuto che il numero dei parlamentari in Italia sia alto, né si può sottovalutare che le Camere sono due e che svolgono la stessa funzione. Inutile risalire alle motivazioni che spinsero i Costituenti nel Dopoguerra a darsi tale assetto istituzionale.
Vorrei però sottolineare che oggi ci troviamo di fronte ad un Parlamento, che pure ci ha fatto compagnia in questi decenni di democrazia e di crescita del nostro Paese, che oggi rischia di vedere saltare i cardini stessi dell'impianto costituzionale. Mi riferisco per primo all'articolo 67 della nostra Carta costituzionale, in cui è vergato: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Il rapporto tra libero mandato parlamentare e rappresentanza politica è considerato in tutti i Paesi dell'Occidente democratico un vero e proprio discrimine tra lo Stato premoderno e lo Stato dei nostri giorni.
Osserviamo invece un movimento politico, oggi maggioranza in Italia, che irrompe nel Parlamento dichiarando esplicitamente che ogni suo componente non può non obbedire a un mandato imperativo che arriverebbe in Aula da una piattaforma esterna, gestita da una società privata.
Le riforme costituzionali non possono essere fatte esercitando l'arbitrio della dittatura della maggioranza: le riforme vanno fatte concordando con le opposizioni, per definire i luoghi nei quali ognuno possa sentirsi a suo agio nell'alternanza del potere. Ormai, purtroppo, prende sempre più corpo questa dittatura della maggioranza, che alcuni fanno finta di non vedere, altri accettano con indifferenza, ma così potremmo entrare nel cono d'ombra della nostra democrazia repubblicana.
Chi vi parla non insegna diritto costituzionale in una qualche università del nostro Paese. Cionondimeno, mi chiedo e chiedo anche a voi, forse con un eccesso di candore: chi professa una linea così configgente con la nostra Carta costituzionale può entrare in Parlamento e svolgere il suo mandato? Io credo di no, ma può essere che mi sbagli. Correggetemi se sbaglio, come diceva - lo ricordiamo tutti - il Papa.
Il secondo punto assai controverso del programma di questo Governo è l'interpretazione dell'articolo 116 della Costituzione, quello cosiddetto dell'autonomia. Alla fine del 2017 la Lombardia e il Veneto e - dopo - l'Emilia-Romagna hanno tenuto nelle rispettive Regioni un referendum consultivo per domandare ai propri cittadini se erano interessati a una maggiore autonomia in certe materie. La risposta delle urne, come era prevedibile, è stata plebiscitaria. Zaia, il presidente del Veneto, uomo forte della Lega di quella Regione, ha tentato qualche anno fa di trasformare la propria Regione in una Regione a Statuto speciale, come una delle cinque che, per ragioni storiche, hanno fruito nel Dopoguerra di tale specialità.
Signor Presidente, in Aula c'è un brusìo che mi rende difficile parlare. La prego di intervenire.
PRESIDENTE. Senatrice Lonardo, le assicuro che il brusìo è nettamente inferiore alla media, ma accolgo la sua richiesta.
LONARDO (FI-BP). È una media che evidentemente non mi trova d'accordo.
PRESIDENTE. Una cosa è il brusìo inferiore alla media, ma girare la schiena verso chi parla non è carino, colleghi.
LONARDO (FI-BP). Stavo dicendo che si tratta di una specialità che consente, in genere, un livello di vita superiore a quello delle Regioni a statuto ordinario. Quindi, avendo il presidente Zaia constatato che l'impresa appariva troppo complicata (perché la Costituzione per essere modificata ha bisogno di una procedura lunga e difficile, con l'insidia finale del referendum), ha ripiegato su una formula meno complicata. Ricordo che gli ultimi due referendum - quello sulla riforma di Renzi e quello, precedente, sulla riforma di Bossi (che gli italiani, semplificando, avevano definito il referendum sulla devolution) - ebbero un esito infausto per entrambi i promotori.
In cosa consiste questo improvviso ripiegamento? Egli ha chiesto di utilizzare il comma 3 dell'articolo 116 della Costituzione, che permette di ottenere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (...)». Tale procedura parlamentare permette di ottenere lo scopo attraverso una legge ordinaria da approvare a maggioranza assoluta dei parlamentari. Si tratta di uno strumento che nessuno conosce. Ad ogni modo, tale meccanismo istituzionale gli permette di acquisire la gestione diretta di addirittura 23 materie (tante ne ha chieste), naturalmente con relative risorse da trattenere direttamente dal gettito fiscale della propria Regione, notoriamente molto alto. Solo che questa impresa andasse in porto - e le condizioni ci sono tutte - e se le Regioni del Nord si appropriassero unilateralmente del bottino del gettito fiscale prodotto nel proprio territorio, salterebbe il fondo perequativo che tiene in vita le aree deboli. In una parola, salterebbe il Mezzogiorno. Salterebbe la lettera m) del comma 2 dell'articolo 117 della Costituzione, relativo alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Per quanto possa sembrare paradossale, le condizioni per il successo dell'operazione politica ci sono tutte.
Malgrado il MoVimento 5 Stelle abbia ottenuto il 47 per cento dei consensi nel Sud, è possibile che, per via del famoso contratto, voti una legge terrificante per l'intero Mezzogiorno, che annienterebbe ogni possibilità di sviluppo, rendendolo periferico ed estraneo al resto del Paese. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Per questi motivi, pur volendo dare il massimo di importanza al numero dei parlamentari, anche alla luce delle ultime due leggi elettorali che hanno spogliato gli elettori del diritto a scegliere i propri eletti, credo che i due temi costituzionali che ho indicato acquistino un valore prioritario nel clima storico di sottovalutazione - spesso indifferenza o, peggio, incompetenza - che registriamo sotto i nostri occhi.
Con l'elusione dell'articolo 67 della Costituzione, salta il concetto di libertà in un libero Parlamento; con l'applicazione del comma 3 dell'articolo 116 della Costituzione, nella forma richiesta dal presidente Zaia, salta l'unità del Paese. Le sue ragioni possono apparire comprensibili, ma per noi del Sud sarebbe francamente la fine di ogni speranza e sogno (e colgo l'occasione per indirizzare un saluto alle rappresentanze universitarie, imprenditoriali, sindacali e del mondo delle associazioni che, riunite a Napoli proprio ieri, hanno individuato sette punti da inviare al Governo e al Parlamento). Sarebbe quindi, come dicevo, la fine di ogni speranza e di ogni sogno per noi del Sud. Salterebbe l'idea stessa di Nazione. Con l'autonomia differenziata si assisterebbe a uno strappo radicale dello stare assieme ai cittadini diversamente italiani. L'autonomia è una sanzione delle differenze e rende definitive le differenze e gli squilibri. Per noi del Sud è inaccettabile.
Vorrei, infine, che si trovasse un modo di rappresentare nel nuovo contesto parlamentare ogni Provincia italiana, assegnando alle più piccole un minimo garantito di un senatore e di due deputati. In fondo, negli Stati Uniti avviene così legittimando una presenza parlamentare nel Senato che prescinda dalla preponderanza dei numeri che sono dati dalla popolazione. Se non c'è questo elemento di equilibrio costituzionale, le aree del Paese che soffrono già di un notevole spopolamento sarebbero ridotte a mere espressioni geografiche e sarebbero espropriate della loro titolarità. Avremmo le aree popolose del Paese a occupare spazi parlamentari in un Parlamento sempre più brutalizzato negli ultimi tempi nelle sue funzioni costituzionali. Se non c'è questo equilibrio, se le realtà più piccole non dovessero trovare la loro legittimazione democratica e costituzionale, allora mi dispiace molto ma la battaglia diventa di natura costituzionale qua e soprattutto fuori di qua.
Non vorrei che questo disegno portasse a forme di mutismo geografico, ad espressioni di libertà di aree mutilate per ragioni di convenienza elettorale.
No, così proprio non va. O si trova, per quanto mi riguarda, il modo di contemperare queste esigenze o, viceversa, esprimo le mie riserve su un impianto che finisce per offendere la dignità del luogo cardine dell'istituzione.
Mi vado chiedendo: il disegno è volto ad una riduzione dei parlamentari o ad una riduzione delle funzioni dei parlamentari, visto il modo con il quale il Governo, eccedendo il suo potere e le sue prerogative, come ricordato recentemente dalla Corte costituzionale, ha marginalizzato e violentato il Parlamento, tentando di delegittimarlo? Sembra quasi che il Parlamento appaia alla maggioranza attuale come un intralcio, un inconveniente e un'espressione costituzionale retorica e barocca. Quando si modificano gli assetti istituzionali occorre che ci sia un dialogo serrato tra maggioranza e opposizione perché le istituzioni sono il luogo sacro della neutralità. In questo caso non è così. Ecco perché farò le mie valutazioni e deciderò secondo coscienza e libertà. (Applausi dal Gruppo FI-BP. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Comincini. Ne ha facoltà.
COMINCINI (PD). Signor Presidente, intervengo in questo dibattito sulla riforma costituzionale con il timore e la reverenza che deve avere chi ha la consapevolezza che la Costituzione definisce le regole della nostra convivenza civile e democratica stabilendo la nostra liturgia civile, dove la parola «liturgia» nell'antica Grecia significava azione per il popolo.
Ci troviamo a discutere della proposta di ridurre il numero dei parlamentari. È una proposta avanzata da più parti negli ultimi trenta anni che, in linea di principio, non mi vede certo contrario. È una proposta, però, che si è sempre inserita in un'analisi più ampia dei bisogni di riforma della nostra Carta fondamentale. Se guardiamo alla storia dei tentativi di riformare la nostra Costituzione (dalla Commissione Bozzi del 1983 alla Commissione De Mita-Iotti del 1993, dal Comitato Speroni nel 1994 alla Commissione D'Alema nel 1997, dalla riforma Berlusconi nel 2005 alla Commissione dei saggi nel 2013, fino al disegno di legge Renzi-Boschi nel 2014), tutti i tentativi messi in campo sono stati sviluppati con una visione complessiva dell'assetto costituzionale. A prescindere dalla condivisione o meno degli aspetti politici, erano formulazioni solide ed evidenti. Tutte contemplavano modifiche al funzionamento del Parlamento, oltre che al numero dei parlamentari. Tali proposte sono state bocciate per fatti contingenti, come una fine anticipata della legislatura, subentrati dissidi politici o bocciature dei referendum popolari. Qual è invece la vision sottostante questa proposta? La riduzione dei costi della politica, per stessa ammissione dei proponenti. Non si può certo dire che si tratti di una vision, perché non si intravede come la nostra democrazia possa funzionare meglio, limitandoci alla riduzione del numero dei parlamentari. Basta vederlo in questo momento in Aula, del resto: siamo un centinaio scarso di senatori a parlare di una questione rilevante. Vi pare che questo numero ridotto di presenze ci permetta di dialogare meglio e confrontarci seriamente sul funzionamento costituzionale della nostra democrazia? Non mi pare affatto.
Ho detto che la riduzione dei costi della politica è sottostante a questa proposta di riforma, ma il costo del funzionamento del Parlamento non ha a che fare con i costi della politica, bensì con quelli della democrazia: se questa differenza non è chiara e viene snaturata e nascosta ai cittadini, a cosa si sta puntando? I costi della politica - come quelli che state sostenendo, dopo aver riempito Palazzo Chigi di un numero spropositato di collaboratori dedicati alla comunicazione, mai visto prima - non diminuiranno per effetto dell'eventuale approvazione di questa riforma costituzionale. Quale obiettivo ci si vuole dare, quindi? I costi della politica che vengono sostenuti foraggiando una società privata, che dà input politici e suggerisce ad alcuni parlamentari, con un prontuario giornaliero, quanto dire e cosa fare, non diminuiranno per effetto dell'eventuale approvazione di questa riforma costituzionale. I costi della politica sono altra cosa rispetto a quelli della democrazia, questa è davvero demagogia.
Se mettiamo in relazione questa proposta di riforma costituzionale con quella in discussione alla Camera dei deputati, relativa ai referendum propositivi alla modifica del quorum per quelli abrogativi, non ci si può non interrogare su come si possa conseguire l'obiettivo della riduzione dei costi - secondo la vostra volontà - posto che l'inevitabile aumento delle proposte referendarie comporterà un logico aumento dei costi per far esprimere i cittadini.
E badate: se pensate che basterà far esprimere elettronicamente i cittadini per sostenere che i costi diminuiranno, vi state sbagliando; al netto dei costi d'investimento per avere gli strumenti necessari ad esprimersi elettronicamente, il grosso del costo di ogni consultazione democratica non sarebbe dato dalla carta per stampare le schede elettorali, che verrebbe risparmiata, ma dal personale coinvolto. Infatti, come peraltro sperimentato in Lombardia, con il primo voto elettronico avvenuto in Italia relativo al referendum consultivo per l'autonomia, non ci si può esimere dal sostenere i costi per il personale che gestisce il seggio (presidente, scrutatori, segretari), le Forze dell'ordine chiamate a vigilare che le operazioni di voto avvengano nei seggi in maniera corretta e senza incidenti di sorta o le ore di straordinario da rimborsare ai Comuni per il lavoro svolto dal personale addetto agli uffici elettorali.
Nella Lombardia a guida leghista, che si vanta di essere la Regione più efficiente d'Italia, il voto elettronico per il referendum sull'autonomia, al netto dell'investimento di 23 milioni di euro per l'acquisto di 24.000 tablet necessari al voto, è costato 24 milioni di euro: una cifra considerevole, se teniamo conto che la stessa Regione Lombardia spende 50 milioni di euro nel triennio 2017-2019 per finanziare le tariffe del trasporto pubblico. Se parametriamo i costi della efficiente Lombardia all'intero Paese, ne traiamo che un referendum elettronico - sempre al netto dei costi d'investimento per i macchinari e i software necessari - costerebbe al Paese circa 140 milioni di euro per ogni consultazione, che si moltiplicherebbero per effetto della riforma in discussione alla Camera. Ma di quali risparmi dei costi della politica o della democrazia state parlando, quindi?
Quanto proponete è pura demagogia, parola della quale il dizionario Treccani dà la seguente definizione: «La pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni, specialmente economiche, con promesse difficilmente realizzabili». Si tratta di un metodo, conclude il Treccani, «che rappresenta la forma corrotta della democrazia o una simulazione di questa». Una simulazione: ecco l'obiettivo, simulare la democrazia.
Cari colleghi, Presidente, nella mia esperienza pubblica... (Brusio).
PRESIDENTE. Vi pregherei di ascoltare l'intervento del collega, per favore, o comunque di parlare a bassa voce.
COMINCINI (PD). Grazie, Presidente. Nella mia esperienza pubblica vengo da un significativo impegno amministrativo come sindaco della mia città - Cernusco sul Naviglio - e come vice sindaco della città metropolitana di Milano, un'esperienza concreta che consente di misurare effetti e conseguenze delle norme. Quando, nel 1993, venne varata la riforma che introdusse nel nostro ordinamento l'elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia, quell'importante riforma, forse la meglio riuscita sugli assetti istituzionali del nostro Paese, comportò anche una revisione sostanziale del numero dei membri dei consigli comunali e delle funzioni attribuite a consiglio, giunta e sindaco. Fu dunque una riforma organica e se, come detto, la riforma funziona è per effetto di questa organicità. Non si intervenne a ridurre i componenti dei consigli comunali per una questione finanziaria, di cassa. Peraltro, fatemi dire che quanto ancora oggi viene riconosciuto come indennità di carica ai sindaci rispetto alle responsabilità che ognuno di loro si accolla ogni giorno, di fronte ai propri concittadini e di fronte alla legge, non ha paragone rispetto a quanto percepito da altri livelli istituzionali, non ha proprio paragone, ma bisogna avere il coraggio di riconoscere queste differenze e queste responsabilità e di valorizzarle adeguatamente, non tacerle per comodo perché non sentito dalle masse. Anche questa è demagogia.
Concludo e mi rivolgo alla Presidenza e al Governo perché considerino le proposte emendative che il Partito Democratico ha presentato, tese ad accompagnare la riduzione del numero dei parlamentari con una modifica anche di altri aspetti, in modo specifico del bicameralismo indifferenziato.
Voglio ricordare le parole di Dossetti, uno dei Padri costituenti, che aveva partecipato alla Resistenza e che, parlando nel 1988 della Carta che aveva contribuito a scrivere, sosteneva: «La Costituzione l'abbiamo fatta con spirito di rinnovamento, di modernità, almeno in alcuni punti, almeno in alcune parti. (...) Certe strutture come il bicameralismo paritario assoluto, come il referendum, come la configurazione della Corte costituzionale erano indubbiamente strutture di cui si poteva già allora, in una certa misura, intravedere allora che avrebbero rallentato di molto e indebolito di molto le possibilità decisionali che pure l'epoca moderna impone a chi ha la responsabilità politica». Questi, detti da un Padre costituente, sono i nodi sui quali bisogna intervenire, non il numero dei parlamentari.
Quindi, per il bene della nostra democrazia e di un'azione concreta ed efficace, chiedo alla Presidenza e al Governo di procedere anche accogliendo gli emendamenti che, ampliando la discussione, non considerino solo la riduzione del numero dei parlamentari, ma prendano nell'insieme gli aspetti che permettono un migliore funzionamento della nostra democrazia e gli assetti costituzionali. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Verducci. Ne ha facoltà.
*VERDUCCI (PD). Signor Presidente, signori del Governo, voi volete ridurre di un terzo il numero dei parlamentari. Noi vi abbiamo detto che su questo punto siamo disposti a confrontarci ad un patto: che da qui si esca con una riforma che rafforzi il Parlamento, che rafforzi, con le prerogative e le funzioni dei parlamentari, la capacità della democrazia di dare risposte alle attese e ai bisogni dei cittadini.
Nella scorsa legislatura, noi del Partito Democratico non solo non ci siamo sottratti a questo tema, ma ne abbiamo fatto un punto essenziale, perché siamo convinti che crisi sociale e crisi istituzionale siano aggrovigliate insieme, siano due spine della stessa questione italiana ed europea che da troppo tempo causano frammentazione ed esclusione, scaricando i costi di questa crisi sui più deboli, in particolare sulle nuove generazioni, rendendo fragile la nostra Repubblica perché c'è una crisi di legittimazione che accade quando si fa fatica a riconoscersi in un Paese, nel nostro Paese, se non si riesce a trovare un lavoro, se la mia famiglia, per quanti sforzi e sacrifici faccia, non può farmi studiare, se politiche sbagliate come quelle che voi state facendo, fanno precipitare l'Italia in recessione come sta avvenendo. (Applausi dal Gruppo PD).
Ci tolgono quote di export, come sta avvenendo, e sono costretto a smontare la mia azienda manifatturiera. Quando succede questo, la mia frustrazione, il mio risentimento mi fanno apparire la democrazia come un guscio vuoto e mi chiedo dove sia finita la promessa per cui i nostri figli sarebbero stati meglio dei nostri padri. È in questo cortocircuito, in questo buio, che si fanno strada parole d'odio come quelle che voi, signori al Governo, avete utilizzato e utilizzate per mettere gli uni contro gli altri i deboli e chi è ancora più debole. Il qualunquismo, il nazionalismo, tentativi autoritari che strumentalizzano in modo distorto e pericoloso il bisogno di protezione, di emancipazione che solo la democrazia può realizzare.
Voi avete vinto, sì, perché avete incanalato il disagio sociale contro i partiti, contro la politica e addirittura contro il Parlamento, ma la vostra è una vittoria vergognosa perché è pericolosa, distruttiva ed è per voi una vittoria di Pirro, perché solo inclusione, integrazione e diritti creano sicurezza; solo lavoro, sapere e cittadinanza creano sicurezza; solo una democrazia più forte può contrastare diseguaglianze che minano le nostre società. Noi questo lo sappiamo bene, ma voi signori del Governo, lo sapete? Voi i problemi li volete risolvere o vi fa comodo amplificarli, farli esplodere, giocare al "tanto peggio, tanto meglio"?
Non c'è danno maggiore, non c'è inganno peggiore dell'antipolitica, ma non per noi che siamo qui, per chi sta fuori e ogni giorno combatte per realizzare il proprio progetto di vita. Infatti, in questi venticinque anni di crisi democratica, in cui si è consumata la cosiddetta Seconda Repubblica, l'antipolitica è stato il nutrimento del berlusconismo, del leghismo e del grillismo alla stessa maniera. E c'è un nesso tra antipolitica e neoliberismo, che non a caso sono cresciuti insieme in questi anni.
Se la nostra società è debole, è perché i grandi soggetti della rappresentanza che la tenevano insieme, forze sociali e partiti popolari, oggi di fatto non esistono più e noi diciamo che è urgentissimo, vitale, rifondarli. Non lo dico solo per il mio pensiero, qui c'è il monito dei Costituenti, che hanno assegnato ai partiti la funzione civica di organizzare la democrazia (l'articolo 49), di costruire forme partecipative rinnovate, capaci di connettere sempre politica, istituzioni e società. Guai a spezzare questo legame, come voi state facendo. Guai per tutti! Questo è il punto.
Qui sta il tema del numero dei parlamentari che serve per dare voce ai cittadini, ai territori, soprattutto a quelli periferici, alle istanze sociali, soprattutto quelle più deboli. Si possono ridurre i parlamentari, ma se trasformiamo il Senato in una camera dei Comuni, dei territori, delle garanzie, allora sì, ha un senso, perché siamo in un'ottica per dare nuova linfa e funzione al parlamentarismo. Ma non è ciò che voi volete fare e che state facendo: voi tagliate via i parlamentari come si taglia un cencio vecchio e questo è inammissibile! (Applausi dal Gruppo PD). Alimentando e dando ragione alla menzogna di chi dice che il Parlamento non serve. È facile dire che costa troppo, è un giochino troppo facile, signori del Governo, e sconsiderato, perché se la democrazia costa troppo, provate a ricordare quanto costa e quanto ci è costata la dittatura in questo Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
Ogni taglio che fate a una voce è una voce in meno a rappresentare i cittadini, che qui, attraverso di noi, è la voce di lavoratori, di categorie, di Comuni.
Ogni volta che varchiamo la soglia di quest'Aula e chiediamo la parola, ci sforziamo di rappresentare istanze, comunità. Voi invece volete allontanare quei cittadini e quelle istanze, perché laddove oggi un collegio si compone di 500.000 elettori, domani si comporrà di un milione di elettori e sarà impossibile conoscerli, parlarci, ascoltarli, fare politica, costruire insieme partecipazione. Togliete voce ai cittadini, a un territorio come il nostro, fatto da piccoli Comuni di entroterra; voi togliete voce.
Il vostro è l'inganno di chi dice che diminuisce le poltrone, ma in realtà diminuirà il numero delle persone che si impegneranno in politica per emanciparsi. Lo state facendo: colpite la democrazia e il Parlamento in un crescendo di continua espropriazione; avete imposto la fiducia sulla legge di bilancio, impedendo di votare emendamento per emendamento, continuate a fare un uso abnorme dei decreti-legge di urgenza che impediscono di discutere, della fiducia che strozza il dibattito, introducete un referendum propositivo che rischia di dare a una minoranza il potere di scardinare il Parlamento.
Signori del Governo, il Parlamento è la democrazia e la democrazia rappresentativa è l'unica forma liberale. Lo dice l'articolo 1 della nostra Costituzione: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Qui c'è l'essenza dello Stato di diritto e lei signor Ministro - che non è qui neanche oggi, quando si discute di riforma costituzionale, si riconosce in questa formula? Vorremmo saperlo, perché lì è scritta l'essenza della democrazia rappresentativa.
Vorremmo sapere delle dichiarazioni rilasciate alla stampa da Casaleggio, che, attraverso la piattaforma Rousseau, è il dominus del principale partito di questo Governo, il quale ha detto testualmente che il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile; ha detto che tra qualche lustro il Parlamento non sarà più necessario. Ma come? Per noi sono affermazioni non solo pericolose, ma eversive, perché mettono in discussione le fondamenta della democrazia nel nostro Paese, come sancita dalla Costituzione (articolo 55 e seguenti).
E cosa pensa il Ministro delle parole di Grillo, fondatore e garante del suo movimento, che ha detto testualmente che la democrazia è superata e deve essere sostituita con qualcos'altro, magari con un'estrazione a sorte? Ministro Fraccaro, vogliamo sapere cosa ne pensa, perché lei ha giurato sulla Costituzione e queste affermazioni sono contro la nostra Costituzione. (Applausi dal Gruppo PD).
Senatore Calderoli, vogliamo sapere cosa lei ne pensa, perché presupporre la fine del Parlamento significa presupporre la fine della democrazia rappresentativa e dunque della democrazia stessa, perché non possono esistere democrazie senza Parlamenti; perché cancellare la rappresentanza porta dispotismo e totalitarismo, e noi italiani abbiamo già pagato amaramente.
Basta con gli inganni della favola della democrazia digitale diretta: la Rete, i social network non possono sostituire la democrazia, perché sono uno strumento non libero ma ferocemente controllato da gestori privati, che lo indirizzano attraverso algoritmi che ci condizionano tutti nei comportamenti, nel voto; sono uno strumento che porta a una degenerazione plebiscitaria.
Presidente, concludo dicendo che servirebbe subito una legge sulla neutralità della Rete e contro il conflitto di interessi, di cui il rapporto tra l'imprenditore Casaleggio e il MoVimento 5 Stelle è un emblema inquietante, un caso di partito-azienda all'ennesima potenza. (Applausi dal Gruppo PD).
Il Paese ha bisogno di riforme, ma non queste.
PRESIDENTE. Concluda, per cortesia.
VERDUCCI (PD). Presidente, mi faccia concludere su un tema così importante.
Se ci saranno riforme serie, se ci vorremo confrontare seriamente, noi ci saremo; ma non saremo mai complici di chi, invece, vuole umiliare il Parlamento e la democrazia. Noi non saremo complici. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pichetto Fratin. Ne ha facoltà.
PICHETTO FRATIN (FI-BP). Signor Presidente, colleghe e colleghi, perché questo provvedimento? Perché si vuole ridurre il numero dei parlamentari? Nelle relazioni sono indicati i vari motivi. Essenzialmente, si parla di aumentare l'efficienza, aumentare la produttività, razionalizzare la spesa pubblica e rendere meno rissoso il nostro Parlamento. Allo stesso modo, viene da chiedersi perché i Padri costituenti, nel 1948, abbiano previsto questa struttura, questa architettura istituzionale, dettando una Costituzione che ha dato libertà ai cittadini, dopo il periodo terribile della Guerra mondiale, ma avendo anche l'equilibrio, in quel momento, di tenere conto di ciò che c'era di buono nel periodo precedente, che si poteva ritenere sconfitto e rispetto al quale bisognava cambiare. Ricordo, in questo senso, il sistema comunale e provinciale, la previsione delle Regioni, l'organizzazione di stampo francese delle nostre istituzioni, con il controllo prefettizio (di fatto l'organizzazione napoleonica), ma anche la decisione di mantenere norme fondamentali di convivenza civile. Richiamo ad esempio il codice civile e vi invito a leggere il testo del 1º gennaio 1942, scritto in piena epoca di guerra, che era un capolavoro, per il suo equilibrio e per il suo essere scorrevole e leggibile da tutti. Naturalmente nel 1946 venne abrogato un articolo, quello sul matrimonio morganatico, perché non c'era più il re da sposare e quindi non c'era più il problema di chi potesse diventare regina.
Dobbiamo cambiare? Il nostro sistema va reso più moderno e adeguato ai tempi? Sì, noi siamo favorevoli al cambiamento e lo eravamo già, come Forza Italia, alla fine degli anni Novanta, nel momento in cui iniziò una grande discussione, unitamente ai colleghi della Lega, sul modello federale di Stato. Comunque, gran parte di noi votò la riforma costituzionale del 2001: il mio partito non era favorevole, ma io votai a favore, perché era un passo avanti in un cambiamento, in un adeguamento e in una modernizzazione della nostra Costituzione. Ma sempre, quando si è messo mano a tali riforme, si è stati attenti ai pesi e ai contrappesi, perché i contrappesi, in una democrazia e in un'organizzazione istituzionale, servono ad evitare le esagerazioni.
Questo modello di equilibrio, di pesi e contrappesi nella nostra Costituzione, è quello che ha permesso all'Italia di diventare la settima o l'ottava economia del mondo, partendo da una condizione di straccioni, come eravamo nel 1945. Ci ha permesso di diventare anche campioni di diritti civili: vorrei ricordare che è il Parlamento ad aver votato la legge sul divorzio o quella sull'aborto. Esse vennero confermate dal popolo con il referendum, ma è il Parlamento che le ha discusse e le ha votate. Come Paese siamo diventati anche campioni di libertà, un Paese dove funzionava anche l'ascensore sociale. Scusate la digressione: pure io sono un mancato operaio, due braccia rubate all'agricoltura - allora lo si diceva in senso denigratorio, mentre oggi tale definizione si è qualificata un po' di più - e ho potuto permettermi di studiare e di laurearmi. Questo perché si era creato un equilibrio nel Paese, si era creato un meccanismo di crescita sociale, un meccanismo di sfida, in cui ogni famiglia e ogni individuo poteva cimentarsi. Dobbiamo toccare questo equilibrio? Oggi parliamo della parte del potere legislativo: va modificata? Certo. La stessa riforma del Regolamento del Senato, fatta nella passata legislatura, è intervenuta. Dobbiamo rafforzare l'Esecutivo? Va bene. La velocità del cambiamento della nostra società determina anche la necessità di avere, probabilmente, un Esecutivo più forte, più immediato e più attivo. Dobbiamo avere il coraggio di valutare l'indipendenza del potere giudiziario, non contestualizzandolo, ma con una valutazione pluriennale? Vediamolo. Però stiamo attenti, colleghi. Il Parlamento deve rappresentare tutti i cittadini e chi ha la maggioranza, anche se siamo a parità di diritti, ha un dovere in più, quello di rappresentare e di tutelare anche chi è minoranza. Le regole non devono permettere che alcun potere possa sopraffare gli altri - ecco cosa significa equilibrio - e non devono permettere che chi gestisce il potere esageri nel suo esercizio.
Modernizziamoci, sì; evitiamo questi rischi, va bene. Ma chiedetevi perché nel 1948, a seguito di un dibattito, il referendum propositivo non venne previsto. Non erano forse i costituenti i maggiori fautori del popolo, della democrazia, del voto e dei diritti? Eppure, non venne preso in considerazione. Se oggi facessimo un referendum propositivo sulla TAV, credo vincerebbe il popolo, ma non sono d'accordo nemmeno su questo, perché democrazia rappresentativa significa anche evitare che gruppi, lobby, poteri, organizzazioni, aziende e strutture organizzate che rappresentano una minoranza possano sopraffare.
In questo contesto, la riduzione del numero dei parlamentari può essere una piccola parte e può essere anche condivisibile (gli Stati Uniti hanno un Senato di 100 persone, non di 1.000, poi hanno una Camera molto più numerosa, certamente). Ma non è il numero che dobbiamo affrontare, bensì l'equilibrio istituzionale e costituzionale che il nostro Paese deve avere. Siamo d'accordo nel rendere più efficiente il sistema, nel dare l'importanza dovuta nei rapporti tra i poteri e nel lavorare meglio, ma non vogliamo che questo sia invece uno spot puramente elettorale. La riduzione del numero dei parlamentari è stata già bocciata dal popolo italiano, nell'ultimo referendum del 2016, ma anche nel precedente referendum del 2006, riforme proposte rispettivamente dal centrosinistra e dal centrodestra; quindi ci sono stati già due voti del popolo.
Sono d'accordo sulla necessità di trovare una soluzione, ma si abbia il coraggio di vederla complessivamente, perché i tentativi a spot e i tentativi a emendamento, tanto per richiamarci a un meccanismo tanto ben usato in manovra di bilancio e anche con il decreto semplificazioni, rischiano di mettere in dubbio lo Stato di diritto, i diritti e la democrazia rappresentativa, che è garanzia di mediazione. Ecco, questo noi non lo vogliamo. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Manca. Ne ha facoltà.
MANCA (PD). Signor Presidente, onorevoli senatori, rappresentanti del Governo, lo si capisce, a mio avviso, con estrema facilità e proprio per questo credo che a noi sia ben noto e ben chiaro: la vostra proposta, la riduzione del numero dei parlamentari, è totalmente indirizzata a una ricerca precisa, al consolidamento del consenso. È un'iniziativa elettorale, non è una riforma costituzionale; anzi, usa la riforma costituzionale per introdurre un processo orientato più al consolidamento del consenso elettorale che a una diversa organizzazione della Repubblica, per ridare centralità al Parlamento, ridurre i conflitti tra Stato, Regioni ed enti locali, costruire una nuova architettura istituzionale.
Le modifiche costituzionali sono sempre particolarmente rilevanti: non è un caso che il legislatore abbia assegnato alle stesse un percorso particolare e ne abbia definito, nel quorum, nei passaggi e nel referendum, un elemento nobile e importante. E sappiamo bene che toccare una riforma costituzionale, anche con la riduzione del numero dei parlamentari, determina comunque lo scardinamento di equilibri importanti.
Ce n'è uno particolarmente rilevante, che colpisce il Senato della Repubblica ancor più che la Camera dei deputati: portare a 200 il numero dei senatori può rischiare di ridurre la capacità di rappresentanza nei confronti delle minoranze, può produrre il lasciar fuori da queste Aule pezzi importanti di consenso e di minoranze fondamentali per l'organizzazionedel dibattito parlamentare e per la credibilità della democrazia, perché le soglie che si vengono a determinare qui dentro rischiano di essere particolarmente alte e non sempre coerenti con i principi della rappresentanza, perfino della rappresentanza regionale, alla quale è ancorata la vita e l'organizzazione del Senato della Repubblica.
Lo voglio dire in premessa: non abbiamo nessuna allergia e dunque nessuna contrarietà nei confronti della riduzione del numero dei parlamentari, ma non abbiamo neanche bisogno di ulteriori prove, perché nella storia la sinistra e il centrosinistra, fin dalla tredicesima legislatura con la Commissione bicamerale, ha sempre indicato nella riduzione del numero dei parlamentari un approccio condiviso e sostenibile, ma il tutto, onorevoli colleghi, avveniva all'interno di una riperimetrazione della centralità e della credibilità del Parlamento.
La nostra è sempre stata un'iniziativa orientata a rafforzare la centralità, la credibilità del Parlamento e dunque la credibilità della democrazia come elemento fondamentale per ripristinare una nuova relazione tra i cittadini e le istituzioni, per ricercare nuova partecipazione dentro una Repubblica parlamentare democratica più solida e più efficiente. Voi invece rinunciate a una riforma costituzionale compiuta e introducete, per pure esigenze elettorali, non a caso oggi, la riduzione del numero dei parlamentari, senza nessuna modifica né del bicameralismo paritario, né tantomeno di una diversa riorganizzazione dei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali, che rappresentano la vera questione fondamentale dalla quale dovremmo ripartire. Dunque il primo invito che vi rivolgo, proprio nella complessità dell'iter di modifica costituzionale, è orientato a farvi comprendere quanto sarebbe necessario riaprire seriamente il cantiere delle riforme, rinunciare alla propaganda e costruire una condivisione parlamentare utile per il futuro del Paese. (Applausi dal Gruppo PD).
Questa, se vogliamo introdurre una proposta seria nel nostro dibattito, dovrebbe essere l'altezza alla quale dovrebbe porsi una forza politica che oggi sta nella maggioranza e sostiene un Governo, non ridurre la centralità del Parlamento. Dico questo perché, onorevole senatori, sono troppi gli episodi in questa legislatura che mi portano a immaginare e a pensare che non abbiate a cuore la centralità del Parlamento. Lo abbiamo visto con la legge di bilancio: ci avete costretto qui in quest'Aula a votare un maxiemendamento senza aver avuto il tempo per poterci confrontare, leggere e approfondire questioni rilevantissime che riguardano l'equilibrio economico e finanziario dello Stato e le ricadute che tutto questo comporta nel sistema della finanza pubblica. Questo è stato il primo grave episodio, che ci ha portato a un ricorso nei confronti della Corte costituzionale. Abbiamo assistito alla sottovalutazione del ruolo del Parlamento, con la volontà di impedire al Parlamento di esprimersi, ad esempio con atti di indirizzo in materia di politica estera, come sta capitando in queste ore, in cui ci si nega la possibilità di votare una risoluzione. Tutto questo non è sintomo della volontà di ridare centralità al Parlamento, questo vuol dire considerare il Parlamento un peso, un orpello e un freno alla relazione tra i Governi e la società. Questa è già una violazione della nostra Costituzione, siamo già in un solco che è diametralmente opposto a quello sul quale noi insistiamo e possiamo rappresentare un'alternativa a questo declino, a questo degrado costituzionale che voi invece cercate di rappresentare. Anche negando, in quest'Aula, un dibattito di assoluta attualità - perché la prima cosa che fa un Paese in recessione è lavorare per sbloccare le opere pubbliche e i cantieri, per generare lavoro e crescita - si determina il senso del rapporto tra un Governo e il Parlamento, e l'idea che sottende è che riteniate costantemente il Parlamento un peso, un freno, non un'opportunità per arricchire la qualità della democrazia. Sono troppi gli episodi attraverso i quali ce lo state dimostrando.
Noi abbiamo a cuore le riforme costituzionali, per dimostrare che la centralità del Parlamento può evolvere nel superamento del bicameralismo, recuperando efficienza e relazioni ulteriori tra Regioni ed enti locali; voi pensate, invece, che il Parlamento sia un freno, un problema, un peso e anche la riduzione del numero dei parlamentari la collocate dentro questo contesto. Cercate di volta in volta un nemico e è il volto attuale del sovranismo e del populismo, quello che deve cercare un nemico nella sua insistenza.
Colleghi senatori del MoVimento 5 Stelle, lo dico con grande rispetto istituzionale: continuare a trovare una incoerenza nel passato per nascondere l'assenza di un progetto per il futuro non sarà utile nemmeno al radicamento del vostro consenso. Lo dico perché tra un po' il tempo sarà galantuomo e il passato servirà a scrivere i libri di storia: ai Governi e alle maggioranze viene chiesto di avere un'idea per il futuro del Paese e che questa non sia una riforma, ma un'operazione esclusivamente legata a un consenso, è evidente a tutti. Dunque cambiate strada, indicate una prospettiva per ridare centralità al Parlamento, per garantire la rappresentanza parlamentare, perché non vorrei e non vorremmo trovarci in un sistema democratico in cui pesi di più un like che un confronto, in cui sia molto più utile una piattaforma che un ragionamento all'interno di queste Aule, perché la vera rappresentanza del popolo sta qui ed è qui perché è prevista dalla Costituzione, non la si può mistificare a seconda delle stagioni o dei venti di riferimento. Noi non abbiamo nulla contro le piattaforme, contro i social, contro la digitalizzazione, contro l'informatizzazione, un campo nuovo di partecipazione e di coinvolgimento, ma non potremo mai accettare di sostituire la centralità del Parlamento con forme non nobili ma ignobili, dove la comunicazione prende il posto delle riforme della Costituzione. Questo non è accettabile. Ecco perché siamo già, a mio avviso, all'interno di un processo involutivo proprio per salvaguardare la credibilità e la qualità delle istituzioni democratiche. Ecco perché vi invitiamo a cambiare strada e lo diciamo con tutto l'affetto e il senso delle istituzioni che portiamo, per questo vi diciamo che dovete procedere senza di noi in questo passaggio. (Applausi dal Gruppo PD). Senza di noi, perché noi vogliamo rappresentare un'alternativa non solo sulle politiche economiche e sociali, che riteniamo sbagliate, ma anche sul concetto e sui valori della democrazia. Questa è la nostra opinione, che mi porta a chiedervi con forza di aprire il cantiere delle riforme, anziché insistere nella propaganda, inutile per la qualità della democrazia di questo Parlamento. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Casini. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Binetti. Ne ha facoltà.
BINETTI (FI-BP). Signor Presidente, dopo tante ore di dibattito su un tema così importante, ci si chiede se ci sia ancora qualcosa che non sia stato detto e a me viene in mente di pormi questa domanda: si parla di ridurre il numero dei parlamentari e molti colleghi si sono espressi a favore della riduzione del numero dei parlamentari e, in concreto, anche a favore della riduzione del numero dei senatori, ma la prima domanda a cui mi piacerebbe che avessimo risposto è: ma chi è, oggi, il senatore? Che cosa chiediamo, oggi, ad un senatore? Quali sono le sue responsabilità? Quali sono le aspettative che sono riposte nei suoi confronti da parte degli elettori, da parte del Paese? Ma anche, quali sono le aspettative che - chiamiamola così - la grande macchina istituzionale, che definisce non solo il Parlamento, ma il Parlamento, il Governo e tutto l'insieme delle sue funzioni, ha nei confronti del parlamentare e del senatore in particolare?
Guardate, in questi anni, in cui sono stata in Parlamento, la sensazione che con maggiore dispiacere ho avuto modo di vivere anche nell'esperienza diretta è la riduzione progressiva del peso e del valore delle cose che si fanno. Non mi riferisco soltanto a cose già abbondantemente denunciate, come per esempio il ricorso frequente alla decretazione d'urgenza. Basterebbero, per questo, alcuni indici statistici che ci dicessero quanti disegni di legge di origine parlamentare sono stati approvati in questo mese e quanti invece sono stati i decreti-legge convertiti: vedremmo immediatamente come la decretazione non sia più una decretazione d'urgenza, ma sia uno strumento ordinario con cui, oggettivamente, il Governo fa mano rampante in campo altrui. Ma ci sono anche altre cose, forse meno apparenti, meno vistose, che definiscono ancora di più la sottovalutazione reale del ruolo del parlamentare. Penso, per esempio, a quello che è successo recentemente col decreto semplificazioni e - me lo si lasci dire - allo scempio che è passato anche alla Camera, dove tutto è rimasto intoccabile, rendendo vano di fatto il meccanismo del bicameralismo. Penso agli emendamenti tagliati d'emblée: prima, la sovrapproduzione degli emendamenti di marca squisitamente governativa e, poi, il taglio completo di questi emendamenti. Il tutto con una sensazione di sbandamento, che ancora una volta ci pone il problema: ma chi è il senatore? Quanto conta realmente il mio pensiero, la mia capacità di prendere delle decisioni, la mia capacità di influire sui processi?
Penso, ad esempio, ad un intervento che ho svolto recentemente in quest'Aula, in cui ho messo una dietro l'altra - e le ho anche consegnate - tutte le interrogazioni, le mozioni e le interpellanze che non hanno mai avuto alcuna risposta. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Questo significa che, sostanzialmente, anche il cittadino qualunque sa bene che chiederci una cosa, alla luce dei suoi problemi, sperando in una risposta che sia un modo di influire sui processi decisionali, è una probabilità prossima allo zero. È questa la vera patologia del sistema: non si tratta tanto del ridurre il numero dei parlamentari, ma dell'averli ridotti all'impotenza. Ciò significa che è come tagliare un ramo secco. Ma non è così che si fa in democrazia: in democrazia una diagnosi corretta, onesta, davvero piena di rispetto per la verità democratica, ci porterebbe a dire: quanti errori sono stati fatti in questa progressiva svalutazione; quanto sale si è buttato sulle ferite e quanto sale si è buttato sul terreno perché non crescesse nulla, rendendo di fatto ben poco significativo il lavoro, facendo passare la voglia di presentare l'ennesima domanda, l'ennesimo quesito. Questa però è veramente la morte civile del Parlamento e costituisce un progressivo prosciugamento della libertà.
Quello che noi vogliamo è esattamente il contrario, ossia rimettere al centro dell'attenzione e del dibattito il ruolo e il valore del senatore e del Senato. Noi romani siamo abituati a leggere, a tutti gli angoli delle strade, il famoso acronimo SPQR: Senatus populusque romanus. Per noi la sintesi del Senato con la popolazione è impressa in tutte le lapidi e segnali che definiscono la storia di una città, di un impero, di un Paese: il Senato e il popolo. Abbiamo veramente la forte sensazione che falcidiando il Senato, in realtà si stia tappando la bocca al popolo, se ne stia limitando la capacità di espressione e di porre i propri bisogni, le proprie esigenze e la propria ricchezza davanti alla costruzione di una democrazia rinnovata.
È di questo che ha bisogno il Paese: guardare con occhi nuovi a una democrazia che preveda, ancora una volta, da quella che si chiamava Camera alta, la competenza sul piano culturale, storico, giuridico, economico e linguistico, ossia che preveda gente che sa di cosa parla e che parla di ciò che sa, con quell'appropriatezza di linguaggio che - ancora una volta - riflette l'antico lemma dei romani: Rem tene, verba sequentur (se conosci l'argomento, le parole verranno dietro). A volte abbiamo la sensazione che non ci sia la possibilità di esprimere la competenza specifica posseduta da tanti dei parlamentari presenti in quest'Aula, dove ci sono persone che vengono da una lunga storia politica e persone che vengono da una lunga storia professionale e è nel giusto mix tra competenza squisitamente politica e competenza specificatamente professionale che si costruiscono i disegni di legge che prendono forma in una Commissione e che si nutrono dei contributi della maggioranza e della minoranza. Sappiamo bene che quando un disegno di legge di iniziativa parlamentare entra in Commissione ne uscirà fortemente vivificato, arricchito e modificato dai contributi di tanti colleghi - della maggioranza e dell'opposizione - in uno scambio che nasce dalla condivisione di valori profondi e dall'idea che su quel tema non ci distinguiamo per appartenenza politica, ma ne rispondiamo per il ruolo di rappresentanti del popolo.
Tutto questo si perderà, perché nella visione puramente autocratica del Governo che governa se stesso e risponde solo a se stesso delle proprie decisioni noi perderemo di vista che è nella divisione dei poteri che si costruisce la struttura profonda della democrazia. Non possiamo permettere queste ingerenze, né la riduzione del Parlamento, perché, giustamente, come è stato detto, la questione non sta nel numero di parlamentari, ma nel fatto che questa scelta risponde a una manovra elettorale e con essa si dice: signori, in settant'anni di Repubblica, un terzo dei senatori che si sono seduti in quelle Aule era del tutto inutile e, facendo i conti, pensate a quanto avreste risparmiato. Ma come si può dire una cosa di questo genere? Ma come si può postulare una inutilità che voi avete reso possibile? Questo Governo, infatti, in un solo anno di vita, ha dato una spinta enorme alla vanificazione del lavoro parlamentare: siete voi che avete reso inutile il ruolo del Senato. Ma noi ci aspettiamo che il Governo passi. Questo è il bello della democrazia: ci aspettiamo che vengano altri tempi e altri modelli, nell'ambito dei quali i senatori possano esprimere tutta la loro ricchezza, competenza e passione politica, in una sintesi tra maggioranza e opposizione che tenga conto, in un caso e nell'altro, di ciò che è bene per il Paese. (Applausi dal Gruppo FI-BP. Congratulazioni).
Sui lavori del Senato
PRESIDENTE. Colleghi, vi do notizia delle decisioni della Conferenza dei Capigruppo, che ha adottato modifiche al calendario corrente e ha anche stabilito il nuovo calendario dei lavori dell'Assemblea addirittura fino al 7 marzo.
Nella seduta odierna si concluderà in ogni caso la discussione generale sul disegno di legge costituzionale che stiamo trattando, relativo alla riduzione del numero dei parlamentari. Nell'eventualità che riuscissimo a chiudere la discussione generale prima delle ore 20,30, si va comunque avanti fino alle ore 20,30 e chiuderemmo entro tale orario le votazioni che comincerebbero degli emendamenti.
Nella giornata di domani, invece, oltre alla conclusione fino al voto finale dell'esame del provvedimento che abbiamo appena citato, si svolgerà la discussione generale del disegno di legge in materia elettorale. In ogni caso, alle ore 15 resta confermato il question time con i Ministri della giustizia, dell'ambiente e per il Sud.
La settimana dal 12 al 14 febbraio sarà prevalentemente dedicata ai lavori delle Commissioni. L'Assemblea, comunque, si riunirà martedì 12 febbraio alle ore 15,30, per comunicazioni del Ministro degli affari esteri sulla situazione in Venezuela, così come richiesto da diversi Gruppi. Potranno essere presentati strumenti di indirizzo da sottoporre al voto dell'Assemblea.
Il calendario della settimana dal 19 al 21 febbraio prevede il seguito del disegno di legge sull'applicabilità delle leggi elettorali (quello di cui cominciamo domani la discussione generale), il decreto-legge sul reddito di cittadinanza e pensioni, la ratifica della Convenzione di Faro sul patrimonio culturale e le seguenti mozioni: TAV Torino-Lione; istituzione del Comitato per le questioni degli italiani all'estero; coltivazione e commercializzazione della canapa; istituzione di una Commissione speciale sull'autismo; misure per fronteggiare le malattie oncologiche.
Nel pomeriggio di giovedì 21 febbraio, alle ore 15, avrà luogo il cosiddetto «Premier question time».
Nella settimana dal 26 al 28 febbraio l'Assemblea terrà seduta unicamente in caso sia necessario proseguire l'esame del decreto-legge sul reddito di cittadinanza e pensioni. Nella settimana dal 5 al 7 marzo sono previsti il decreto-legge Banca Carige (in corso di esame presso la Camera dei deputati), l'eventuale seguito di argomenti non conclusi e le ratifiche di accordi internazionali definite dalla Commissione affari esteri. Sono previsti, altresì, il sindacato ispettivo e, giovedì 7 marzo, alle ore 15, il tradizionale question time.
Il calendario resta integrato con i disegni di legge n. 897 e connessi sulla videosorveglianza, nell'ipotesi che siano conclusi dalla Commissione competente.
Nelle settimane riservate ai lavori dell'Assemblea le Commissioni potranno convocarsi solo per l'esame di disegni di legge di conversione di decreti-legge o per pareri su atti del Governo di imminente scadenza.
Calendario dei lavori dell'Assemblea
PRESIDENTE. La Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari, riunitasi oggi, con la presenza dei Vice Presidenti del Senato e con l'intervento del rappresentante del Governo, ha adottato - ai sensi dell'articolo 55 del Regolamento - modifiche al calendario corrente e il nuovo calendario dei lavori dell'Assemblea fino al 7 marzo:
Mercoledì | 6 | febbraio | h. 9,30-20,30 (*) | - Seguito disegno di legge costituzionale n. 214 e connessi - Riduzione numero parlamentari (prima deliberazione del Senato) (voto finale con la presenza del numero legale)
- Discussione generale disegno di legge n. 881 - Applicabilità delle leggi elettorali
- Interrogazioni a risposta immediata, ai sensi dell'articolo 151-bis del Regolamento (giovedì 7, ore 15) |
Giovedì | 7 | " | h. 9,30 |
(*) La seduta di mercoledì 6 febbraio potrà proseguire oltre le ore 20,30 per completare la discussione generale dei disegni di legge n. 214 e connessi (Riduzione numero parlamentari).
Martedì | 12 | febbraio | h. 15,30 | - Comunicazioni del Ministro degli affari esteri sulla situazione in Venezuela |
La settimana dal 12 al 14 febbraio sarà prevalentemente dedicata ai lavori delle Commissioni.
Martedì | 19 | febbraio | h. 9,30-20 | - Seguito disegno di legge n. 881 - Applicabilità delle leggi elettorali (voto finale con la presenza del numero legale)
- Disegno di legge n. 1018 - Decreto-legge n. 4, Reddito di cittadinanza e pensioni (voto finale entro il 27 febbraio 2019) (scade il 29 marzo 2019)
- Disegni di legge nn. 257 e 702 - Ratifica convenzione di Faro sul patrimonio culturale
- Mozioni n. 65, Laus, e n. 66, Bernini, sulla TAV Torino-Lione; n. 24, Giacobbe, sull'istituzione del Comitato per le questioni degli italiani all'estero; n. 31, Mallegni, sulla coltivazione e commercializzazione della canapa; n. 42, Giammanco, sull'istituzione di una Commissione speciale sull'autismo; n. 67, Romeo, sulle misure per fronteggiare le malattie oncologiche
- Sindacato ispettivo
- Interrogazioni a risposta immediata, ai sensi dell'articolo 151-bis del Regolamento, al Presidente del Consiglio dei ministri (giovedì 21, ore 15) |
Mercoledì | 20 | " | h. 9,30-20 | |
Giovedì | 21 | " | h. 9,30 |
Gli emendamenti al disegno di legge n. 1018 (Decreto-legge n. 4, Reddito di cittadinanza e pensioni) dovranno essere presentati entro le ore 12 di venerdì 15 febbraio.
Martedì | 26 | febbraio | h. 9,30-20 | - Eventuale seguito decreto-legge n. 4, Reddito di cittadinanza e pensioni (voto finale entro il 27 febbraio 2019) (scade il 29 marzo 2019) (*) |
Mercoledì | 27 | " | h. 9,30-20 | |
Giovedì | 28 | " | h. 9,30 |
(*) Diversamente l'Assemblea non terrà seduta.
Martedì | 5 | Marzo | h. 16,30-20 | - Disegno di legge n. … - Decreto-legge n. 1, Banca Carige (ove trasmesso in tempo utile dalla Camera dei deputati) (scade il 9 marzo 2019)
- Eventuale seguito argomenti non conclusi
- Ratifiche di accordi internazionali definite dalla Commissione affari esteri
- Sindacato ispettivo
- Interrogazioni a risposta immediata, ai sensi dell'articolo 151-bis del Regolamento (giovedì 7, ore 15) |
Mercoledì | 6 | " | h. 9,30-20 | |
Giovedì | 7 | " | h. 9,30 |
Il termine per la presentazione degli emendamenti al disegno di legge n. … (Decreto-legge n. 1, Banca Carige) sarà stabilito in relazione ai tempi di trasmissione dalla Camera dei deputati.
Il calendario resta integrato con i disegni di legge n. 897 e connessi (Videosorveglianza), ove conclusi dalla Commissione competente.
Ripartizione dei tempi per la discussione del disegno di legge n. 1018
(Decreto-legge n. 4, Reddito di cittadinanza e pensioni)
(10 ore, escluse dichiarazioni di voto)
Relatori di maggioranza |
| 45' |
Relatori di minoranza |
| 45' |
Governo |
| 30' |
Votazioni | 1 h. |
|
Gruppi 7 ore, di cui: |
|
|
M5S | 1 h. | 41' |
FI-BP | 1 h. | 10' |
L-SP-PSd'Az | 1 h. | 8' |
PD | 1 h. | 4' |
FdI |
| 42' |
Misto |
| 39' |
Aut (SVP-PATT, UV) |
| 35' |
Dissenzienti |
| 5' |
Ripartizione dei tempi per la discussione del disegno di legge n. ...
(Decreto-legge n. 1, Banca Carige)
(7 ore, escluse dichiarazioni di voto)
Relatori di maggioranza |
| 30' |
Relatori di minoranza |
| 30' |
Governo |
| 30' |
Votazioni |
| 30' |
Gruppi 5 ore, di cui: |
|
|
M5S | 1 h. | 12' |
FI-BP |
| 50' |
L-SP-PSd'Az |
| 49' |
PD |
| 46' |
FdI |
| 30' |
Misto |
| 28' |
Aut (SVP-PATT, UV) |
| 25' |
Dissenzienti |
| 5' |
Ripresa della discussione dei disegni di legge costituzionale
nn. 214, 515 e 805 (ore 14,56)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Mallegni. Ne ha facoltà.
MALLEGNI (FI-BP). Signor Presidente, il disegno di legge costituzionale di cui discutiamo oggi è stato presentato da un decano del Senato (decano non è un offesa, anzi vorrebbe essere un complimento), il quale ovviamente ha vissuto, come lei, Presidente, l'esperienza del 2005, quando il centrodestra, con la Casa delle libertà, presentò il progetto costituzionale che diventò legge e poi, l'anno successivo, venne - purtroppo, a mio avviso - fatto con poca lungimiranza un confronto serrato nel Paese per portare alla disapprovazione del provvedimento approvato dalle Camere. Nel frattempo, sono passati diversi anni da quel momento - quattordici, a questo punto - e, con particolare riferimento all'ultima modifica costituzionale, si è detto che in un Paese come il nostro non si sarebbe più potuto parlare di modifiche costituzionali e che, se la cancellazione del Senato non fosse avvenuta in quel preciso momento, il 4 dicembre del 2016, non avremmo mai più potuto discutere della modifica costituzionale che poteva andare nella direzione che auspicavamo, ossia la riduzione del numero dei parlamentari. Ebbene, dopo appena due anni e mezzo, siamo qua: come sempre, però, non tutte le ciambelle escono col buco. Qui si sarebbe dovuto fare un bel pezzo di strada e avevamo concordato un programma di mandato quinquennale che prevedeva anche la riduzione del numero dei parlamentari, ma prima di tutto, a pagina 1 del programma del centrodestra, avevamo inserito il presidenzialismo.
Visto che, quando andiamo a toccare la Costituzione, ci sono da compiere passaggi più impegnativi rispetto all'esame di una legge ordinaria, probabilmente si è persa un'altra occasione. La logica presidenzialista, infatti, è quella che noi - insieme, come centrodestra unito - per le scorse elezioni politiche, quelle del 4 marzo, avevamo concordato con il corpo elettorale, i cittadini italiani. Non voglio che si dimentichi che abbiamo preso 12.147.000 voti, 12.147.000 cittadini che avevano votato per il programma da 103 pagine che il centrodestra, dopo averlo firmato con i propri leader, aveva loro sottoposto; proprio a pagina 1 di quel programma c'era scritto che volevamo una Repubblica presidenziale, per fare in modo che vi fossero un Presidente eletto direttamente dai cittadini e un Parlamento con numerazioni ridotte, ovviamente, come avevamo già proposto nel progetto costituzionale del 2005, approvato dalle Camere.
Abbiamo perso quest'occasione, ma anche un'altra, perché non avevamo scritto di voler ridisegnare soltanto l'assetto istituzionale e costituzionale con la presenza di un Presidente eletto direttamente dal popolo. No; avevamo detto anche un'altra cosa, avevamo preso in considerazione la questione delle Province che, a nostro avviso, avrebbero dovuto essere reintrodotte. Anche in questa legislatura abbiamo presentato disegni di legge relativi, convinti che le Province italiane debbano tornare ad avere un Presidente, perché si tratta del primo livello istituzionale di coordinamento serio. Tutte le volte che dico quanto sto per dire, qualche collega della maggioranza mi ricorda in Commissione che l'ho già detto, ma io lo ridico e visto che ho fatto l'amministratore locale per tanti anni e continuo a farlo, ve lo ridirò fino allo sfinimento, perché forse qualcuno di voi, che lo continua a fare, se l'è dimenticato: il livello più importante per un Comune è quello provinciale, perché nella logica provinciale si ragiona sugli assetti delle società partecipate e sulla questione dell'assetto urbanistico. Non esiste un piano regolatore regionale; c'è qualche Regione folle, come la Toscana, che pensa di poter gestire il tutto dall'ambito regionale, quindi fiorentinocentrico, ma è sbagliato. Avevamo detto, avevamo concordato, scritto e firmato questo patto con gli elettori secondo il quale appena fossimo stati forza di Governo, avremmo portato avanti il progetto delle Macroregioni, perché 20 Regioni sono una follia assoluta, e avremmo reistituito le Province con elezione diretta del Presidente del Consiglio provinciale, dando poteri reali ai sindaci e risorse sufficienti per poter portare avanti l'attività sul territorio.
Ebbene, l'elefante ha partorito il topolino, perché si poteva fare una battaglia seria, nell'interesse del futuro della nazione, che poteva portare realmente ad una riduzione dei costi, quella sì, perché invece di 20 Regioni ce ne sarebbero state cinque e perché avremmo dato poteri reali al consiglio provinciale che, alla fine, ha gli stessi costi di prima, dato che nel frattempo, nella logica del progetto Delrio da me sempre avversato, sia da amministratore che da parlamentare, le Province non hanno ridotto i loro costi, perché la prospettiva dello spostamento del personale dall'ente provinciale ad altri è clamorosamente fallita. Le Province hanno ancora il personale ma non hanno più le funzioni, hanno ancora i costi ma non hanno gli incassi.
Anche in questa occasione, nella legge di bilancio che è stata approvata, col nostro voto orgogliosamente contrario, prima della fine dell'anno, le Province ci avevano chiesto 1,8 miliardi per cercare di fare investimenti sulle scuole e sulle strade e 280 milioni per la parte corrente e abbiamo dato loro zero per il corrente e 280 milioni per gli investimenti (per la serie: ci avete capito poco).
Quindi noi oggi stiamo discutendo di una questione sulla quale siamo contrari? Assolutamente no: come potremmo essere contrari! Siamo contrari allo spirito che ci portava sulla strada della modifica costituzionale. Dovevamo fare dieci cose e ne abbiamo fatta mezza. Il Parlamento è stato chiamato prima nelle Commissioni e poi in questi giorni in Aula a discutere ore ed ore di un provvedimento che poteva essere strutturato in maniera presidenzialista, con la riduzione del numero delle Regioni e la riqualificazione delle Province.
Presidenza del vice presidente ROSSOMANDO (ore 15,04)
(Segue MALLEGNI). Lo dico, per essere ancora più simpatico, a chi con noi ha fatto un percorso. Guardo lei, Ministro, perché c'è una sostituzione in corso al banco della Presidenza e allora, non sapendo chi guardare, mi rivolgo al Ministro e lei sa che il Regolamento del Senato prevede che il senatore si rivolga al banco della Presidenza (sono stato ripreso più volte dal presidente Calderoli). Diciamo che in questo passaggio guardavo lei.
PRESIDENTE. Grazie senatore ma eravamo molto attenti entrambi.
MALLEGNI (FI-BP). Credo che anche in questo caso gli amici della Lega abbiano perso un'occasione e dirlo al presidente Calderoli mi spiace molto, ma mi tocca dirlo: anche in questo caso vi hanno scorciato le unghie. Siete arrivati con le unghie lunghe del leone e siete tornati a casa con quelle del pinguino, perché, francamente, rispetto ad un provvedimento costituzionale con il quale dovevamo portare a casa i risultati che poco fa ho ricordati, uno per uno (dal presidenzialismo, alle Regioni, alle Province, alla riduzione del numero dei parlamentari), ci stiamo accontentando della riduzione del numero parlamentari. Va bene. Ormai va di moda in questa legislatura - l'ho sentito dire spesso - affermare che intanto facciamo qualcosa. Intanto facciamo qualcosa per le pensioni, intanto facciamo qualcosa per la questione del reddito, intanto facciamo qualcosa per le grandi opere, intanto facciamo qualcosa. Sapete cosa vuol dire? Non fare niente su nessun argomento. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Vuol dire fare dei pezzettini e degli strapuntini.
Quindi a questo punto, Presidente, l'insoddisfazione regna. Spero che la comunità italiana si renda conto della situazione e, come noi, sia profondamente insoddisfatta di un provvedimento che poteva essere rivoluzionario e invece è soltanto un pannicello caldo in una logica elettorale che gli alleati di Governo pensano di poter utilizzare durante le elezioni europee. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Fedeli. Ne ha facoltà.
FEDELI (PD). Signor Presidente, le devo dire che ho una particolare preoccupazione. Anche se so che non ci si dovrebbe rivolgere a singoli senatori, mi rivolgo - diciamo per consuetudine - al presidente Calderoli, che vedo in Aula e che ringrazio. Io sono rimasta molto stupita, presidente Calderoli, ma lo dico anche al Governo, del fatto che si sia portato all'esame dell'Assemblea questo provvedimento che propone una riforma costituzionale e non si è avuto nemmeno (io lo chiamo così, chiedo scusa) il rispetto verso quest'Assemblea di illustrare, motivare, argomentare, provare a convincere dato che, secondo me, stiamo affrontando una parte che non è banale, insignificante, non è tecnica; non stiamo dicendo che si diventa comunque parlamentari sottraendo ad un numero "X" un altro numero. Ciò mi ha molto colpito e mi ha fatto riflettere. Non lo dico al senatore Calderoli perché so che non sarà per questa ragione, ma mi ha colpito il fatto che il Governo, quindi le forze di maggioranza, ha scelto di non venire in quest'Aula a presentare una visione, un'ipotesi di funzionamento del Paese, delle sue istituzioni e della democrazia. Avreste dovuto mettere insieme questa parte relativa alla riduzione del numero dei parlamentari, quella sul federalismo, di cui invece vi occupate altrove, ancora una volta, senza una vera discussione parlamentare, e la questione della legge elettorale.
Tuttavia, quello che mi preoccupa di più è che avete effettuato uno spacchettamento fra le due Camere: qui la riduzione del numero dei parlamentari e alla Camera la questione del referendum, che è il vero punto di una visione politica che avete. Allora, quando si hanno visioni politiche seppur legittime, è opportuno venire in Aula a spiegare cosa si vuole fare nel rapporto tra il referendum propositivo e la funzione legislativa che deve restare a Camera e Senato. (Applausi dal Gruppo PD). Questo, infatti, è l'elemento che mi preoccupa. Lo spacchettamento che avete fatto innanzitutto va contro una storia fatta di trasparenza, di responsabilità, ma anche di confronto democratico nelle aule parlamentari.
Non solo non ci si vuole confrontare sull'insieme dei provvedimenti di modifica della Costituzione che si propongono (il senatore Collina lo ha detto prima di me e io sono d'accordo), ma all'esterno, nel Paese non c'è una discussione. Sembra quasi che ognuno di questi diversi provvedimenti abbia una valenza in sé non collegata all'altro, recando quindi una diminuzione di importanza di queste modifiche. Penso che questo sia un elemento di non trasparenza, di non responsabilità politica e non era mai avvenuto nella storia della Repubblica. Si può non essere stati d'accordo, non aver visto arrivare fino in fondo gli altri progetti di modifica costituzionale, oppure averne avanzati degli altri all'interno delle diverse coalizioni, ma in queste Aule c'è sempre stata la visione che si proponeva all'Assemblea, ai parlamentari e al Paese delle ragioni delle modifiche, dei cambiamenti che si volevano proporre. Invece in quest'Aula non abbiamo nemmeno una visione d'insieme nel presentare un singolo provvedimento, perché la stessa maggioranza che al Senato fa discutere una parte dei provvedimenti di modifica costituzionale, alla Camera fa discutere un'altra parte del provvedimento e con alcune Regioni persino la questione del federalismo.
Secondo me questo è un punto che noi abbiamo l'obbligo politico, prima ancora che di parte politica, di comunicare al Paese. In questo frangente si sta sottraendo al Paese la connessione che c'è tra questi provvedimenti e io penso che questo sia il primo danno democratico in termini di trasparenza che avete scelto di fare, per rendere tutto semplice, come se fosse una passeggiata. Non è vero che tali modifiche non incidono.
Arrivo a trattare anche altre due questioni. Io sono molto preoccupata del fatto che non discutiamo insieme dei due provvedimenti, quello che è all'ordine del giorno qui in Senato e quello in discussione alla Camera sul referendum propositivo. Cito una fonte che so non essere amata da tutti, ma è sempre utile citarla. Penso che avesse ragione Norberto Bobbio quando diceva che nulla rischia di uccidere la democrazia più che l'eccesso finto di democrazia e il populismo, esattamente ciò che si sta verificando con il referendum propositivo. Lì si apre alle lobby parziali, non c'è chiarezza sulle materie ma soprattutto non c'è chiarezza sulla funzione legislativa: se rimarrà o meno a chi verrà eletto alla Camera e al Senato, considerando le leggi che verranno presentate dal cosiddetto - termine fondamentale che sta nella nostra Costituzione - popolo.
Colleghi, questo è lo svuotamento degli elementi di funzione democratica. Penso sia questo il tema su cui dobbiamo tutti insieme ragionare e riflettere perché, a mio avviso, vale la pena, anche nel nostro dibattito interno, sapere che questa connessione c'è, che è una visione di svuotamento democratico che tutti gli interventi del Partito Democratico hanno dimostrato. Noi non siamo disponibili a sostenerla perché per noi rimane fondamentale il rapporto democratico tra eletti e chi ovviamente elegge, con un numero congruo di relazioni, ma soprattutto la funzione democratica della legislazione, quindi delle norme legislative che si fanno solo nelle sedi parlamentari. Questo è un principio basilare della democrazia liberale; è fondamentale da questo punto di vista, oltre che essere la base fondante della nostra Costituzione.
Non elenco i temi in discussione, che dal mio punto di vista sono anche incostituzionali. Lo vedremo. Nello stesso tempo, però c'è anche un fatto politico di metodo. Lo dico perché proprio in questa Assemblea una parte di noi nella precedente legislatura ha vissuto sulle riforme costituzionali un rapporto tra maggioranza e minoranza con una scelta politica, perché si sceglie il confronto, la mediazione. Non è una cosa che capita se si è d'accordo o no, cioè se la minoranza è d'accordo con me allora la ascolto, altrimenti non l'ascolto. La scelta di una mediazione politica è una scelta precisa che si fa. Peccato che in quest'Aula e in Commissione non si sceglie, per esempio, di ascoltare le proposte emendative che le opposizioni hanno presentato. Anche questo è un elemento della valutazione politica di questo provvedimento.
Voglio capire perché alla Camera è in corso una discussione tra la maggioranza e la minoranza; ci sono dibattiti e accoglimenti - giusto o sbagliato io rimango dell'opinione che ho espresso - però c'è una dinamica di relazione, come è giusto che sia sulle riforme costituzionali, tra maggioranza e opposizione Qui no. Qui, Presidente - glielo dico esplicitamente perché varrebbe la pena riferirlo al presidente Alberti Casellati - in 1a Commissione ci siamo trovati davanti al fatto compiuto che il Presidente della Commissione ha considerato estranee per materia le proposte che abbiamo avanzato - conseguenti a una scelta che comunque si fa di riforma costituzionale, di diminuzione del numero dei parlamentari - rispetto alla composizione, alle funzioni, e alle modifiche coerenti e conseguenti, dal nostro punto di vista, al testo di legge presentato.
Dichiarare che c'è estraneità di materia - lo voglio sottolineare - significa dire esattamente che le nostre proposte non gli interessano, che non le vogliono nemmeno prendere in considerazione, nemmeno quella a nostro avviso talmente popolare che dovrebbe essere presa in considerazione, ovvero la richiesta della stessa base di elettorato attivo e passivo tra Camera e Senato. Dichiarare francamente che persino una proposta del genere è estranea per materia, quando si modifica il numero dei parlamentari, lo considero veramente strano. Senza contare il fatto che dal nostro punto di vista si dovrebbe pensare a una presenza delle autonomie. Questo è un altro punto del diniego del rapporto tra maggioranza e minoranza quando si fa una discussione sulle questioni costituzionali. Non l'abbiamo mai usato; non lo abbiamo fatto nella precedente legislatura, non l'ha mai usato nessuno; piuttosto, proprio su ogni modifica costituzionale si è ricercato un rapporto perché si sa che il rapporto tra maggioranza e minoranza ha valore politico.
Credo che su questo bisognerà fare una discussione fino in fondo prima di arrivare al voto finale del provvedimento in titolo. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Pinotti. Ne ha facoltà.
PINOTTI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei rivolgermi anche al Ministro: parlerò col Sottosegretario, ma mi sarebbe piaciuto avere qui presente in Aula il Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta. Cito per intero il nome della sua delega, perché secondo me è in relazione con ciò di cui stiamo discutendo oggi. Già alcuni commentatori, subito dopo la nascita del Governo, avevano messo in evidenza e notato che era quasi un ossimoro parlare di Ministro per i rapporti con il Parlamento e di Ministro per la democrazia diretta. Il Parlamento è infatti l'emblema, il tempio o lo strumento - usate il sostantivo che ritenete più utile - della democrazia rappresentativa.
Questa definizione della sua delega, signor Ministro che non c'è - ma spero glielo riferiranno - da un lato la induce ad avere rapporti con il Parlamento, non frequentissimi visto che non è neppure presente in questo momento in Aula, ma dall'altro anche a spingere sulla democrazia diretta. Non avremmo dovuto stupirci, anche se l'ossimoro ci sta tutto, perché in molte dichiarazioni politiche che abbiamo ascoltato c'erano segnali in questo senso. All'inizio della scorsa legislatura ricordo che l'arrivo del MoVimento 5 Stelle in Parlamento era stato salutato dicendo che il Parlamento sarebbe stato aperto come una scatoletta di tonno. C'è stata da sempre nei discorsi dei leader del MoVimento 5 Stelle l'esigenza di superare la democrazia rappresentativa e poi si è arrivati anche all'ipotesi del sorteggio dei parlamentari.
Vorrei dunque chiedere al Ministro quali rapporti vengono intrattenuti con il Parlamento dal Governo e dal Ministro per i rapporti con il Parlamento, in questa legislatura. Abbiamo avuto degli esempi molto significativi e quello più eclatante, che costituisce davvero un unicum nella storia del Parlamento, è costituito dall'ultima legge di bilancio. Il fatto di non poter neppure leggere il maxiemendamento e quindi arrivare a votare una legge di bilancio di cui non conoscevano i contenuti né i parlamentari di opposizione né quelli di maggioranza, è stato veramente un episodio increscioso. Peraltro, avendo un po' di tempo per leggere il provvedimento, si sarebbero potuti evitare anche degli errori, che poi sono stati riconosciuti dalla stessa maggioranza. Ne cito due per tutti: la cosiddetta tassa sulla bontà, ovvero il raddoppio dell'aliquota Irpef per le Onlus e le associazioni di volontariato e la mancata prosecuzione dell'esenzione delle tasse per coloro che sono stati colpiti dal crollo del ponte Morandi. Sono due cose su cui il Governo ha ammesso di dover rimediare, ma forse, se ci fosse stato il tempo di leggere, magari avremmo potuto evitare gli errori, perché poi a rimediare ci vuole tempo.
Pensiamo anche al cosiddetto decreto semplificazioni: abbiamo trascorso ore e giorni senza nemmeno riuscire a capire il calendario dei lavori, con senatori di fatto tenuti in ostaggio, senza rispettare il tempo, la dignità e il senso che deve avere il lavoro fatto nelle Aule parlamentari. Sono segnali che non dobbiamo dimenticare. Allora, rivolgendomi ai colleghi della maggioranza, che mi ascoltano, il vero tema è che cosa volete fare della democrazia rappresentativa e quale concezione avete della democrazia. Anche su questo tema c'è una serie di indizi. In molte dichiarazioni vi sentiamo dire che rappresentate 60 milioni di cittadini italiani. Chi governa dovrebbe realmente governare, pensando ai 60 milioni di cittadini italiani, cosa che non mi pare venga sempre fatta. Ma esso non rappresenta 60 milioni di italiani; la rappresentanza è quella che troviamo in questo Parlamento, che è più composita. Il Presidente del Consiglio si autoproclama "avvocato del popolo". Sulla TAV ho sentito il Ministro delle infrastrutture dire che il Governo è sovrano; in realtà, la TAV è stata approvata dal Parlamento, perché si tratta di un trattato internazionale e, a Costituzione vigente, è il Parlamento ad essere sovrano in questo caso. Anche sul caso della nave Diciotti, sul quale dovrà esprimersi la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, il tema non è se deve essere giudicato il ministro Salvini o se deve essere tutto il Governo che pone la memoria. Il tema è: può chi governa essere sopra le leggi? La decisione politica può essere sopra le leggi? Cito questi indizi perché, secondo me, sono indicativi del tipo e della qualità di democrazia che vuole rappresentare questa maggioranza.
Nella Costituzione ci sono pesi e contrappesi. C'è un'attenzione al rapporto tra Esecutivo e Parlamento. E guardate che, chi nel corso della storia, ha detto al Governo "io rappresento il popolo, io sono il popolo", in Italia non ha funzionato granché; non dimentichiamocelo. La democrazia serve. Cosa c'è in mente? C'è un modello plebiscitario? Non vi nascondo che anch'io, come la collega che mi ha preceduto, sono preoccupata di questa discussione parallela; qua stiamo discutendo della riduzione del numero dei parlamentari e alla Camera si parla di una riforma del referendum propositivo. Da tale proposta nascerà di fatto una contrapposizione fortissima fra la funzione legislativa del Parlamento e quello che potrebbe generare questa tipologia di referendum.
Da tutti questi indizi, che a me danno molta preoccupazione, deduco forse che non ci sia bisogno di riforme? No, certo; di riforme ne abbiamo bisogno. La Costituzione non è intoccabile; anzi, nella Costituzione stessa sono insiti la modalità e il percorso con cui può essere aggiornata. La discussione sulle riforme parlamentari è, o dovrebbe essere, un momento alto della discussione parlamentare. Come sapete, noi stessi ci siamo impegnati, nella scorsa legislatura, in una riforma costituzionale complessa, con molte questioni aperte; tale riforma poi è stata bocciata nel referendum. Questo per dire che la necessità delle riforme la sentiamo tutta; non è un voler ripudiare questa necessità, non ripudiamo quello che abbiamo fatto. Non abbiamo vinto il referendum; però noi pensiamo che le riforme costituzionali siano necessarie, così come siamo convinti che la democrazia serva e sia importante. Ma va aggiornata.
Fra gli emendamenti che abbiamo presentato e che non sono stati accolti in Commissione c'era nuovamente - perché sapete che è un nostro punto di vista - il superamento del bicameralismo perfetto, perché è necessario che i tempi della democrazia si riducano, che la democrazia diventi efficace e dia risposte in tempi rapidi. Tutti noi sappiamo che la navetta paritetica e identica fra Camera e Senato dei provvedimenti è antistorica e certamente non ci aiuta ad essere credibili come istituzione. Però di questo non è possibile parlare.
Così come non si parla di federalismo con principi di solidarietà, non si parla degli equilibri e dei contrappesi fra i poteri oppure dell'eccesso di decretazione d'urgenza, che è un'altra anomalia della situazione; di tutto ciò non c'è traccia nella proposta. Cosa c'è? C'è solo la riduzione del numero dei parlamentari. È uno scalpo ghiotto, lo capisco bene; lo si può brandire molto bene in campagna elettorale. Però non vi ponete dei problemi importanti, perché svuotare la democrazia rappresentativa non apre al potere del popolo, come dite voi, ma apre al rischio che siano le lobby a determinare le scelte; e questo è un grave problema per la democrazia. Certo, sono convinta che questo provvedimento abbia un interesse soprattutto elettorale e per questo non avete messo altro. Ho già quasi nelle orecchie gli slogan con cui potrete dire «ecco, il Partito Democratico si è espresso contro, perché sono il partito della casta, perché sono attaccati alle poltrone» e dico solo questo perché sono una persona in genere moderata, ma mi aspetto molto altro.
Ebbene, vi dico oggi in quest'Assemblea, immaginando che brandirete questo scalpo in campagna elettorale: per favore, almeno questa volta non siate così disonesti. Il Partito Democratico è per la riduzione dei parlamentari; non avremmo con forza voluto quella riforma costituzionale, se non fosse così, ma non ci stiamo a fingere un unanimismo di facciata su qualcosa che non è una riforma, ma è semplicemente una mossa forse furba, ma che speriamo i cittadini possano capire e giudicare come tale. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cangini. Ne ha facoltà.
CANGINI (FI-BP). Signor Presidente, illustri anche se scarni membri di Governo, colleghi senatori, facendo una classifica e incrociando il dato del numero dei parlamentari con quello della popolazione degli Stati membri, l'Italia si collocherebbe a livello europeo al ventiduesimo posto su 28. Quindi, almeno in questo caso, a differenza del solito, non siamo il fanalino di coda e non siamo l'eccezione esecrabile.
Naturalmente si può discutere di tutto e quindi si può discutere anche dell'opportunità di ridurre il numero dei parlamentari. Lo si è fatto tante volte in passato: la prima volta lo si fece nel quadro dei lavori della Commissione presieduta dal liberale Aldo Bozzi (era il 1983), poi vi furono la Commissione Iotti-De Mita, la bicamerale D'Alema, la riforma organica della Costituzione varata dal Governo Berlusconi, bocciata dagli elettori con il referendum del 2006, e la riforma Renzi-Boschi, bocciata dagli elettori nel 2016. I precedenti ci sono, ma sono di seme diverso: in tutti questi casi si trattava, appunto, di riforme organiche della Costituzione, dei poteri dello Stato e della forma di governo all'interno delle quali si discuteva anche dell'opportunità di ridurre il numero dei parlamentari, ma si trattava di una discussione a latere, marginale, quasi irrilevante rispetto alla portata di quelle riforme.
In questo caso non è così: il disegno di legge costituzionale di cui parliamo oggi ha come oggetto esclusivamente la riduzione del numero dei parlamentari. Ci si chiede quale sia la logica: è forse quella di rendere più forte e autorevole la politica? È forse quella di rendere più efficace ed efficiente il lavoro del Parlamento o - come si usa dire oggi ed è un bene che lo si dica, anche se spesso lo si fa in malafede - di avvalorare il concetto del primato della politica? Evidentemente no: la logica è quella esattamente opposta, cioè di svilire la politica, perché l'unico argomento per accreditare questa riforma, nella narrazione dei partiti che sostengono il Governo, è quello economico: i soldi tolti alla casta. Ancora con lo spirito anticasta, ancora con la narrazione della politica come una faccenda di crimine, di privilegi e di denari.
Ecco, se credete che con questo sistema si possa colmare il vuoto che c'è - e che sarebbe sciocco negare - tra i cittadini e il Parlamento, tra i cittadini e la politica, tra i cittadini e il Palazzo, vi illudete. Se aveste letto qualche libro di storia sapreste che sicuramente l'esito sarà quello opposto: da Robespierre a Matteo Renzi, non hanno fatto una buona fine quelli che hanno inteso giustificare riforme costituzionali o riforme di qualsiasi genere con questa cifra e con questa chiave di lettura. Ancora ce lo ricordiamo: la riforma del Senato - udite, udite - ci consentirà di risparmiare un miliardo, diceva l'allora presidente del Consiglio Matteo Renzi. In una difficoltà politica evidente Emmanuel Macron sta cercando di accreditare una riforma analoga sul numero di parlamentari rappresentati all'Eliseo, ma si tratta appunto di piccoli espedienti. Voi così continuate ad alimentare la belva dell'antipolitica, la nutrite a bistecche grondanti sangue del ceto politico e la belva fatalmente sbranerà anche voi.
In un Paese che ogni anno spende più di 800 miliardi è ridicolo e anche un po' pericoloso andare a cercare di fare economia di spesa a partire dalle istituzioni e a partire da quegli organismi costituzionalmente garantiti dai quali dipende la funzionalità della nostra democrazia. Ma forse non è un caso, anzi sicuramente non lo è, perché il ministro Fraccaro, che vedo intento a scrivere al computer, sicuramente lo ha detto con una chiarezza intellettuale ammirevole: i due provvedimenti vanno di pari passo, cioè la riduzione del numero dei parlamentari si accompagna al provvedimento che vuole introdurre il referendum propositivo in questo Paese. La conseguenza del referendum propositivo, per come è stato pensato, ovviamente, sarà quella di annichilire completamente il Parlamento, di destrutturare completamente lo Stato, di marginalizzare completamente la politica. Per voi 500.000 firme, o per meglio dire 500.000 click su una piattaforma digitale, varranno più del voto di milioni di elettori. È evidente che così si distrugge la democrazia e si delega a pochi, spinti dagli interessi di pochissimi, il potere legislativo, perché è chiaro che questo sistema, qualora fosse davvero introdotto nel nostro ordinamento, sarebbe uno splendido servizio alle lobby, ai gruppi di interesse. Cosa fareste voi se produceste armi nella Val Trompia? Io personalmente aspetterei il primo fatto di cronaca nera (fatti di cronaca nera, purtroppo, ne sono sempre esistiti e continuano ad esisterne, nel nostro Paese). C'è una rapina con strage in una villetta del Triveneto? Benissimo, il giorno dopo investirei poche decine di migliaia di euro in una campagna social, raccoglierei con estrema facilità 500.000 firme e la liberalizzazione della vendita delle armi da fuoco sarebbe legge in questo Paese. Così per gli interessi della lobby del tabacco, per gli interessi della lobby del gioco d'azzardo, per gli interessi, evidentemente ben rappresentati in quest'Aula, come nell'Aula della Camera, dei giganti del web. E allora, voi davvero volete mettere a disposizione delle lobby e dei piccoli ma potenti gruppi di interesse il potere legislativo? Ripensateci, se non lo fate per senso delle istituzioni, per rispetto dello Stato, fatelo almeno per istinto di sopravvivenza. È evidente che, se questo strumento fosse già nella disponibilità del Parlamento e della classe politica, noi di Forza Italia impiegheremmo un attimo a raccogliere 500.000 firme su una legge per introdurre immediatamente la TAV, o per varare immediatamente la flat tax, che la Lega ha evidentemente dimenticato e che è scomparsa dall'orizzonte di questo Governo. E che fine farebbe il vostro Governo, se questi referendum avessero successo, come naturalmente accadrebbe? Diviso com'è su questi due punti, cadrebbe fatalmente. Non è, quindi, un modo di procedere rispettoso del Parlamento, della politica e delle istituzioni, ma è un modo di procedere che prescinde dalla politica, prescinde dal Parlamento, prescinde dalle istituzioni.
In quest'Aula la scorsa settimana - mi pare che fosse mercoledì - è stato fatto un discorso importante. Il Capogruppo della Lega, il senatore Romeo, seguito a ruota dal Capogruppo del MoVimento 5 Stelle, il senatore Patuanelli, ha parlato di primato della politica. È un concetto ampio, profondo, che raramente viene utilizzato, soprattutto nelle Aule parlamentari. A quel concetto io fui avviato molti anni orsono da un signore che di mestiere faceva il politico, anche se riteneva che la politica non fosse una professione, ma un'arte, da un signore che quando scriveva la parola «politica» su un foglio bianco la scriveva con la "P" maiuscola. Quel signore si chiamava Francesco Cossiga. Io mi chiedo cosa direbbe Francesco Cossiga di fronte alla vostra proposta di ridurre il numero dei parlamentari e di fronte alla vostra proposta di introdurre il referendum propositivo, cosa direbbe della vostra retorica sul primato della politica, sul «prima gli italiani», sul «prima lo Stato», quando tutto quello che fate e che proponete con atti formali di Governo va evidentemente nella direzione opposta, cioè distruggere la politica, distruggere le istituzioni e di conseguenza, visto che la forza della politica è la forza degli Stati, distruggere la credibilità, l'autorevolezza e la forza dello Stato italiano. Se non volete fermarvi, allora, accompagnate questa riforma con una visione - che già sarebbe qualcosa - ma possibilmente con una visione più ampia. Vogliamo ridurre il numero dei parlamentari? Facciamolo, ma al tempo stesso poniamoci il problema del vuoto di rappresentanza che questa riduzione porrebbe: meno parlamentari, meno contatti tra i territori e il palazzo. E allora eleggiamo direttamente il Presidente della Repubblica o il Capo del Governo (preferisco la prima, ma si può discutere anche della seconda).
Volete ridurre il numero di parlamentari? Bene, ma fatelo in ragione di una visione, di un principio che abbia a che vedere con l'interesse generale; non fatelo denigrando la politica e per dare un colpo palese alla casta politica. Non solo perché della casta ormai siete voi i principali rappresentanti, ma perché così segate il ramo su cui siete seduti, su cui siamo seduti tutti e su cui è seduto l'intero Paese.
Se farete tutto questo, se renderete alla politica quell'onore che pochi politici e molti aspiranti tali gli hanno con evidenza negato, il mio voto sarà assicurato. Se non lo farete, sarà chiaro a tutti che questo è l'ennesimo provvedimento pensato unicamente per ottenere qualche vantaggio elettorale a scapito della democrazia, delle istituzioni e della politica, e questo io personalmente non lo potrò accettare. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Faraone. Ne ha facoltà.
FARAONE (PD). Signor Presidente, a me una cosa colpisce di questo dibattito e cioè il fatto che sia totalmente assente dalla discussione su questo provvedimento una forza politica di Governo, una delle due forze politiche di Governo, e cioè la Lega. Non è intervenuto il relatore Calderoli, né c'è stato un intervento da parte di un solo esponente di questo partito. Io credo che questo sia figlio di una impostazione che è proprio insita nella formazione di questo Governo, di questa compagine e anche nella modalità di governare. Ognuno ha un suo provvedimento, per cui non c'è un Governo che presenta delle proposte organiche su tutti i temi che interessano il Paese, compresa la riforma costituzionale. Qui c'è un Governo, in cui ci sono sponsor, Ministri o parlamentari, a seconda dei provvedimenti che vengono discussi. (Applausi dal Gruppo PD). In questo momento tocca al MoVimento 5 Stelle.
Quindi non si sta immaginando una riforma organica costituzionale che tiene dentro le questioni che hanno a che fare con la riduzione del numero di parlamentari, con la differenziazione delle funzioni delle Camere, con le funzioni delle Regioni. Non si sta parlando di questo, ma di un provvedimento che deve servire esclusivamente per consentire uno spot al populismo, che in questo momento tocca al MoVimento 5 Stelle. Governare con lo scambio e quindi pensare a provvedimenti di Governo nella modalità «un giorno tocca a me, domani tocca a te», io credo che sia un elemento e un modo di governare profondamente sbagliato, proprio per quello che dicevo poco fa: perché non ci consente di ragionare organicamente. E quando si ha a che fare con la Costituzione, questo diventa ancora più grave.
Pertanto non si immagina una riforma organica, e lo ricordo anche ai colleghi di Forza Italia che si apprestano a votare favorevolmente a questo provvedimento: anche voi avete presentato una riforma organica della Costituzione; noi abbiamo presentato una riforma organica della Costituzione. Questa, invece, non è una riforma organica della Costituzione, ma uno spot del MoVimento 5 Stelle, perché poi dovremo sorbirci Fraccaro che andrà in piazza o a Montecitorio o davanti a Palazzo Madama coi palloncini gialli a gridare: «evviva, abbiamo tagliato i parlamentari». Dopodiché, cosa cambierà per noi, cosa cambierà per il funzionamento di questa democrazia, non è dato saperlo.
Quando abbiamo ragionato sulla riforma costituzionale, ad esempio, abbiamo pensato a differenziare le funzioni delle due Camere. Invece qui non cambia nulla. Quando abbiamo pensato alla riforma costituzionale, abbiamo ritenuto di dover rivedere i referendum, abbiamo pensato a una funzione diversa e ad una rappresentanza maggiore delle autonomie. Avevamo pensato anche alla modalità di voto del Presidente della Repubblica, e che la platea che elegge il Capo dello Stato fosse più ampia rispetto a quella che avremmo se dovesse passare questa riforma. Invece no, si prosegue sempre con il ragionamento dello scambio. Ho sentito Salvini dichiarare poco fa che avrebbe querelato chiunque avesse immaginato che si trattava di uno scambio tra il voto, che ci sarà a breve, sull'autorizzazione a procedere nei suoi confronti e i lavori per la Tav. Mi quereli pure, perché io credo che quello scambio si praticherà e si sta praticando in Parlamento. (Applausi dal Gruppo PD).
È lo stesso scambio che, in questo momento, stanno mettendo in campo la Lega e il MoVimento 5 Stelle sul provvedimento in esame e su quello che si voterà in Consiglio dei ministri il prossimo 15 febbraio, quando si discuterà di secessione mascherata. Infatti, se ne parla ancora poco, ma noi stiamo già pagando la regionalizzazione della sanità. Credo che regionalizzare l'istruzione sia un fatto grave, perché sottintende l'idea che le Regioni più ricche possano andare più spedite e utilizzare meglio le risorse derivanti dalle proprie tasse rispetto a quelle più povere, con ciò impendendo che tutte le Regioni partano dallo stesso punto e con le stesse potenzialità. Quella che si sta mettendo in campo nel Paese è una secessione mascherata. Lo si sta facendo silenziosamente, molto più di quando la Lega gridava a noi terroni del Sud, ma - al tempo stesso - non riusciva a praticare la secessione. Oggi magari grida meno, perché le interessano i nostri voti, ma - al tempo stesso - ha trovato un compagno di Governo che le consente questa secessione mascherata. (Applausi dal Gruppo PD. Brusio).
PRESIDENTE. Senatore Faraone, scusi se la interrompo, ma c'è brusio in Aula.
Prego i colleghi presenti tra i banchi di Forza Italia di abbassare il volume della loro conversazione.
Prego, senatore Faraone.
FARAONE (PD). Noi pensiamo che, anche in questo caso, la Lega abbia trovato un compagno di Governo che le può finalmente consentire di praticare quello che finora non era riuscita a fare negli anni passati.
Tra l'altro, c'è un aspetto veramente surreale, che si collega alla titubanza espressa nei confronti della riforma costituzionale da noi pensata nella passata legislatura. Io sono convinto di quell'impianto che, paradossalmente, avrebbe probabilmente consentito al MoVimento 5 Stelle di governare da solo in questa legislatura e avere una maggioranza per poter approvare le riforme speditamente, in una Camera soltanto. Quindi, di fatto, se fosse passata quella riforma costituzionale che noi avevamo immaginato, pensando alla democrazia e al suo funzionamento, al di là di chi avrebbe governato il Paese in quel momento, paradossalmente oggi avremmo dovuto sopportare il MoVimento 5 Stelle al Governo da solo. Sarebbe però stato un percorso democratico che avrebbe portato alla vittoria e sarebbe quindi stato corretto che il MoVimento 5 Stelle potesse poi governare speditamente e approvare i provvedimenti che più ritengono utili per questo Paese.
Invece, grazie al loro no, oggi dobbiamo sopportare gli esponenti del MoVimento 5 Stelle che ci dicono che sono stati costretti al contratto, perché abbiamo adottato una legge elettorale che non ha consentito loro di avere la maggioranza. No, colleghi, vi ricordo che se il referendum fosse passato, probabilmente avreste avuto la maggioranza e avreste potuto governare. Dobbiamo sopportare anche Salvini che dice che, se fosse al Governo da solo, avrebbe fatto altro, mentre così deve regolarsi con il MoVimento 5 Stelle ed è condizionato. Se fosse passata quella riforma costituzionale, con il bicameralismo differenziato e - accanto - una legge elettorale maggioritaria che avrebbe consentito alla forza politica arrivata prima di avere una maggioranza (una riforma costituzionale che allora avete considerato una deriva autoritaria e un pericolo per la democrazia), probabilmente oggi non avremmo bisogno del Governo dello scambio, che mette in piedi i provvedimenti e li reputa utili soltanto se portati avanti da un Ministro verde o giallo. (Applausi dal Gruppo PD). Noi pretendiamo almeno le scuse, Presidente. In quel momento non si stava discutendo di deriva autoritaria o di qualcosa che non aveva a che fare con la democrazia: in quel momento si stava discutendo di riforma costituzionale. Piaccia o meno, era una riforma costituzionale seria. (Applausi dal Gruppo PD).
Dunque, mentre stiamo ragionando del Bignami di quell'autorevole riforma costituzionale, anziché stare sui tetti, siamo qui a discutere con voi, perché noi siamo diversi da voi, caro ministro Fraccaro. (Applausi dal Gruppo PD). Noi stiamo discutendo infatti del Bignami di una riforma che non porterà nessun vantaggio al Paese, se non la possibilità per lei, ministro Fraccaro, e per i colleghi del MoVimento 5 Stelle di far volare i palloncini gialli. (Applausi dal Gruppo PD).
Credo che il Paese e la nostra Costituzione abbiano necessità di un rispetto maggiore di quello che, invece, ci si sta propinando.
Concludo, Presidente, chiedendo alle forze di maggioranza, perché ancora siamo in tempo e noi siamo ancora convinti che ci sia bisogno di quella riforma costituzionale, di avere l'ambizione - anche approfittando del fatto che qui ci sono delle persone responsabili, non persone che stanno sui tetti - di pensare un'altra volta una riforma costituzionale insieme, in modo da rendere utile questa legislatura. Sono convinto che questo sia indispensabile.
Quindi, se si riuscisse a ragionare di riforma costituzionale tenendo dentro tutti i profili realmente utili, penso che ognuno potrebbe svolgere la propria parte. Se, invece, dobbiamo ragionare dello spot al populismo e di un provvedimento che di fatto non è messo in campo per migliorare le nostre istituzioni, presentato così è il primo passo verso l'erosione del Parlamento.
Il numero dei parlamentari ridotto non è proposto per far funzionare meglio il Parlamento, ma per dire che, siccome il Parlamento non funziona, intanto si tolgono un po' di parlamentari, ma l'obiettivo in prospettiva è poi di toglierli tutti.
Penso che questo sia un elemento che vada contrastato con tutte le forze possibili. Credo che quella della deriva autoritaria - e chiudo, Presidente, per evitare un suo richiamo - sia un'idea che hanno in testa i leader del MoVimento 5 Stelle: lo hanno detto e neanche lo hanno nascosto nel passato. Se poi vogliono scegliersi per sorteggio, considerandosi tutti uguali, fatti loro.
Quando però poi tutto questo diventa un disegno di legge costituzionale e il tema diventa un po' più preoccupante, penso che dobbiamo avere invece l'ambizione di cambiare la Costituzione seriamente, perché una riforma è necessaria. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare al senatrice Valente. Ne ha facoltà.
VALENTE (PD). Signor Presidente, come ha detto giustamente la senatrice Binetti, è complicato parlare dopo tanti interventi senza rischiare di essere ripetitivi.
Proverò davvero in pochi minuti a soffermarmi soltanto su alcune sfaccettature rispetto a temi e argomenti che sono stati già richiamati da tanti miei colleghi, in modo particolare dai colleghi del Partito Democratico.
Parto da una delle considerazioni principali della senatrice Fedeli e mi rivolgo direttamente al ministro Fraccaro, che finalmente è arrivato tra noi e per questo lo ringraziamo davvero, perché si tratta di una discussione importante: così, dopo aver passato giornate intere a discutere da soli in Commissioni, con l'Aula semivuota, con interventi scarsissimi da parte della maggioranza, che veramente si contano sulle dita di una sola mano, almeno possiamo interloquire con lui. (Applausi dal Gruppo PD).
Il ministro Fraccaro all'inizio di questo percorso aveva preannunciato che l'iter di riforme costituzionali di questa maggioranza sarebbe stato «a pezzi», con interventi singoli che sarebbero stati portati avanti in maniera distinta, probabilmente anche con l'obiettivo di sottoporli poi in maniera individuale e specifica a referendum costituzionale, facendo tesoro forse di qualche errore di valutazione fatto anche da noi in passato. (Applausi della senatrice Malpezzi). A lui va riconosciuta sicuramente l'onestà e la legittimità di questa posizione e così state procedendo.
Come ha detto benissimo la senatrice Fedeli, voi qui ci state portando un pezzo: non so se e quanto sia il pezzo più importante di un disegno organico, ma è sicuramente un pezzo importante di questa riforma. Un altro pezzo, quello sul referendum propositivo, è all'attenzione della Camera; altri pezzi verranno e penso alla legge elettorale, che probabilmente non modificherete, ma modificate ovviamente i collegi nel caso in cui dovesse essere approvato questo pezzo di riforma, con una delega che - mi pare di intuire - come Parlamento volete dare al Governo. Ci sono poi il CNEL e altri pezzi di questa riforma. Diciamo quindi che avete scelto - legittimamente, lo ribadisco - di proseguire così. Quello che però - glielo dico francamente - credo non sia non solo legittimo, ma neppure onesto, né ritengo renda onore a questo Parlamento e a questo Governo, è fare tutto questo o facendo finta che una riforma organica non ci sarà - e invece nei fatti, com'è ovvio, ci sarà comunque, come risultato della somma di tutti questi elementi - o addirittura sapendo che c'è, ma non consentendo la discussione in merito.
Quindi, consapevoli o inconsapevoli, non consentite tale discussione, perché non ci presentate la riforma né ci consentite di discutere del suo complesso. Non lo avete consentito oggi - lo ribadisco - presentando una relazione all'Assemblea e con gli interventi svolti in Aula, né addirittura in Commissione. Non ce la presentate una riforma, quindi, ma nei fatti c'è.
Ribadisco di non sapere se c'è, se la coltivate in maniera consapevole, a differenza di quanto hanno detto tanti miei colleghi, e se siete profondamente consapevoli di dove ci stiate portando o se non ne siete nemmeno consapevoli, per cui pensate ad interventi spot, che potete abilmente giocarvi in una perenne campagna elettorale (e non so quale alternativa sia la peggiore, a dir la verità).
In tal modo, state dimenticando che non siete sempre in campagna elettorale e soprattutto che non siete più una forza di opposizione, ma di Governo, e che, oltre a speculare su difficoltà, sofferenza e rabbia, avete l'onore e l'onere di dare risposte, rimboccandovi le maniche. L'hanno già sostenuto tanti colleghi meglio di me, per cui posso procedere velocemente sul punto, ma lo dico perché alla vostra scelta di non parlare della riforma probabilmente - se tale consapevolezza c'è - sottintendete un disegno drammatico per la democrazia di questo Paese che tende sostanzialmente a sconfiggere e svilire, minandone le fondamenta, il sistema democratico della rappresentanza, per come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi e così com'è caro all'Italia e alla nostra tradizione. Lo fate con un livello d'irresponsabilità tale da costringerci intanto ad una reazione, che è quella che proviamo a mettere in campo in queste Aule, ma soprattutto da richiedere un intervento con cognizione di causa, puntuale e preciso.
Abbiamo provato, soprattutto in Commissione, a costruire puntuali emendamenti di richiamo, che vi tendessero anche una mano, allo scopo di aggirare ed eliminare i rischi di questo vostro tentativo. Ribadisco che lo abbiamo fatto costruendo emendamenti molto puntuali. Voi, però, non ci avete consentito di presentarli, quindi neppure di discuterli, perché la maggioranza e il Presidente della Commissione li hanno dichiarati addirittura inammissibili, dimostrando di pensare solo ed esclusivamente ad un perenne spot elettorale e di propaganda; noi, però, in tal modo abbiamo svelato il vostro gioco, perché voi vivete di questo. (Applausi dal Gruppo PD).
Una domanda, però, ve la voglio rivolgere: oggi ci proponete di ridurre il numero dei parlamentari che va ridotto perché, evidentemente, a vostro avviso, è troppo alto. Ma troppo alto rispetto a cosa e per cosa? Anche noi lo avevamo ritenuto troppo alto nella nostra riforma del Parlamento, infatti, ma il motivo era che intendevamo farne una organica, di carattere funzionale. Di conseguenza, i numeri sarebbero scesi, perché pensavamo a una riforma funzionale, nell'intento di aggredire un problema, ossia il deficit di democrazia e rappresentanza. (Applausi della senatrice Malpezzi). Aggredivamo quel problema per provare a dare una risposta, non per cavalcare la rabbia o minare ancor più un assetto democratico già duramente messo alla prova. Noi, allora, lo facemmo con quello spirito.
Oggi, però, nonostante abbiate completamente ignorato la possibilità di prendere in considerazione un atteggiamento di tale tenore, dite di voler ridurre il numero dei parlamentari. È chiaro ed evidente che si tratta di un elemento che procura consenso, che è l'unica cosa che siete bravi a fare, anche quando costa molto al Paese, e lo state continuando a fare. Ma io voglio fare una domanda e spero davvero in una replica, in una risposta: è troppo rispetto a che? Rispetto agli altri Paesi europei? Sappiamo che non è così. È troppo rispetto ai costi? Quanto deve costare un Parlamento secondo voi? Ve lo chiedo: quanto deve costare un Parlamento secondo voi? (Applausi dal Gruppo PD).
Ditemi una cifra, voglio sapere la cifra perché voglio capire quel troppo è considerato rispetto a cosa? Troppo rispetto alle funzioni che dovrebbe svolgere il Parlamento? E allora ragioniamo delle funzioni, allora guardate i nostri emendamenti, ve lo abbiamo detto come si dovrebbe ripensare l'assetto funzionale del Senato, della Camera, del Parlamento, se vogliamo davvero aggredire questo problema, se voi aveste davvero a cuore la questione. Ma per avere a cuore una simile questione ci vuole serietà, rigore, competenza e amore, amore per il Paese, non cinismo. (Applausi dal Gruppo PD).
Non dovete giocare sulla pelle degli italiani. Lo avete fatto in materia economica portando, con i vostri provvedimenti e con la vostra propaganda, l'Italia in recessione. Lo avete fatto e solo voi potete credere che la recessione dipenda dalle legislature precedenti. Ve lo dite, ve lo raccontate e nemmeno ci credete, non ci crede nemmeno voi, sapete che non è così.
Adesso il prezzo della vostra propaganda lo fate pagare al nostro assetto istituzionale, il che, forse, è addirittura ancora più grave. Lo fate pensando di essere sempre maggioranza ed è un errore grave che commette chi soffre di delirio di onnipotenza. Non sarete sempre maggioranza, per fortuna di questo Paese; non sarete sempre maggioranza perché con questo vostro disegno - lo ripeto - che voi ne siate consapevoli o inconsapevoli, vengono mortificate in maniera drammatica le prerogative e la rappresentanza di alcuni territori - e voi questo lo sapete bene -, la possibilità che per interi territori addirittura ci siano forze politiche che saranno in grado di esprimere una rappresentanza in quel territorio ma io dico ancora di più: avete provato a fare i conti? Il nostro ufficio studi ci ha fornito un dossier che fa degli esempi: se una Commissione che è composta da 14 senatori agisce in sede deliberante, quanti senatori potranno approvare in Commissione un disegno di legge? Vi rendete conto di quello a cui state approdando? Vi siete fatti almeno uno scrupolo di coscienza? Io credo sinceramente di no. Credo sinceramente di no perché a voi non interessa il contributo di merito che possiamo dare noi ma soprattutto a voi non interessa il bene di questo Paese, lo dimostrate ancora una volta, e questo credo sia l'elemento davvero più drammatico di questa ulteriore pagina.
Del resto ne avete dato già prove abbastanza consolidate. È dovuto intervenire il presidente Mattarella per fare in modo che la pessima, rischiosa consuetudine di umiliare questo Parlamento non diventasse, appunto, una consuetudine ma fosse una tantum. Vi ha detto di fare attenzione perché quello che è accaduto con la manovra di bilancio non deve accadere mai più perché purtroppo il vostro disegno strategico viene fuori dai provvedimenti che state approvando ma anche da come trattate e mortificate questo Parlamento sempre, non solo - ripeto - in questa seduta, in questa sessione e rispetto a questo disegno di legge; ne avete già dato esempio nel corso dell'approvazione di alcuni provvedimenti importanti.
Allora vi dico che siete ancora in tempo, fermatevi. Noi vi abbiamo offerto una possibilità: prendete in considerazione i nostri emendamenti, dimostrate che a voi sta a cuore non solo il confronto con noi, con le opposizioni, con le minoranze, ma sta a cuore l'interesse dell'Italia, del Paese e del suo assetto istituzionale e costituzionale. Provate quindi a entrare nel merito e provate a non fare soltanto di questo provvedimento l'ennesimo atto di propaganda e spot. Un atto che forse a voi porterà, nell'immediato, qualche consenso ma avete sperimentato sulla vostra pelle che questi sono consensi che possono cambiare tacitamente; li avete oggi e non li avrete probabilmente domani, intanto però all'Italia lascerete un sistema seriamente compromesso. Noi di questo sicuramente non saremo complici. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Vitali. Ne ha facoltà.
VITALI (FI-BP). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, signor Ministro per i rapporti con il Parlamento, parliamo di un tema sensibile che sta molto a cuore a Forza Italia, al di là di quella che è la percezione che in questo momento si ha nel Paese della necessità di tagliare i costi della politica e quindi di rendere efficiente un Parlamento. Lo diciamo a ragion veduta perché noi siamo stati quelli che nel 2005 hanno varato una riforma costituzionale che prevedeva la riduzione dei parlamentari ma che prevedeva anche una serie di altri interventi che non rendevano inutile la riduzione dei parlamentari ma ottimizzavano il loro ruolo. Non so per quale motivo questa maggioranza non abbia ritenuto di presentare una sua proposta - lo abbiamo sentito negli altri interventi - di riforma costituzionale che ci facesse capire qual era l'obiettivo e qual era il fine da raggiungere. Nel dibattito in Commissione ci è stato detto che questa maggioranza non voleva incorrere nello stesso errore (lo ha chiamato così) delle maggioranze precedenti che, per la presunzione di fare una riforma costituzionale complessiva, sono andate a sbattere contro il referendum che ha bocciato di fatto quelle riforme costituzionali.
Ebbene, questa posizione è anche comprensibile, ma non esonera i proponenti di questa riforma costituzionale dal dire al Parlamento quale ne è il senso. Abbiamo capito che non si vuole fare una riforma costituzionale complessiva per non incorrere nel rischio di impattare con un referendum che potrebbe avere esiti negativi, ma abbiamo il diritto di sapere dove dobbiamo andare a finire. Infatti, realizzare soltanto la riduzione del numero dei parlamentari e lasciare tutto così com'è forse rappresenterà una scusante per le coscienze dei rappresentanti di questa maggioranza verso il loro popolo, verso il popolo in generale, cui potranno dire di aver tagliato la politica, ma nei fatti creerebbe le condizioni per impantanare e rendere più difficile il lavoro dei parlamentari.
Pertanto, se non si parla della forma di Governo, se non si parla di quali competenze deve avere la Camera e quali il Senato (noi abbiamo fatto una proposta nella nostra riforma costituzionale del 2005, probabilmente non condivisibile, ma se ne può fare un'altra), ci venga almeno detto se riducendo il numero dei parlamentari dobbiamo mantenere il bicameralismo perfetto, quindi rendere ancora più lungo il processo legislativo, anche se ci siamo resi conto che coloro che dicevano che porre la questione di fiducia era una limitazione alle prerogative costituzionali dei parlamentari oggi ne fanno utilizzo a piene mani. Questo Governo del cambiamento, piuttosto che fare una riforma spot (per la quale purtroppo non abbiamo motivo di dire no, ma diremo a quali condizioni potremmo dire sì), avrebbe dovuto dare l'idea di un cambiamento nella gestione della cosa pubblica. Chiedo pertanto al Ministro per i rapporti con il Parlamento se sa quanti decreti di attuazione il Governo deve varare. Lo dico io: sono 900! Si sta prendendo la consuetudine di approvare disegni di legge rimandando a decreti di attuazione che non si sa come, quando e chi dovrà emanare; peraltro, di questi 900 decreti di attuazione 260 sono vostri, non sono eredità del vecchio Governo, sono decreti di attuazione che dovete emanare voi. Fino ad oggi nel cosiddetto decretone sul reddito di cittadinanza e le pensioni a quota 100 sono previsti 40 decreti di attuazione, altri 40 per il decreto-legge Genova: quando li farete?
Vi siete sottratti anche all'obbligo che avevate nei confronti del Parlamento di rendicontare periodicamente circa lo stato di adozione dei decreti di attuazione. Lo avete fatto soltanto a luglio, perché dovevate indicare qual era l'eredità avuta dal Governo precedente; da luglio abbiamo perso le tracce del presidente del Consiglio Conte e del suo Governo e non conosciamo in effetti l'andamento della realizzazione dei decreti.
In un momento come questo, che vede il nostro Paese stretto da una crisi economica e di lavoro, voi pensate che tagliare il numero dei parlamentari vi renda più simpatici e più accettabili nei confronti dell'opinione pubblica e non vi preoccupate che siamo in una recessione tecnica che potrà diventare reale, il cui costo ricadrà sulle famiglie degli italiani e sugli italiani tutti. Di questo non vi preoccupate, pensate che la mancia del reddito di cittadinanza possa essere la soluzione al problema.
Quale serietà ha un Governo di qualunque colore nel momento in cui mette in discussione accordi internazionali sottoscritti in nome e per conto del popolo italiano? (Applausi dal Gruppo FI-BP). Quale serietà e quale credibilità può avere un Governo che mette in discussione quello che altri hanno sottoscritto nelle piene funzioni rappresentando il nostro Paese? Quale credibilità, quale serietà e quale autorevolezza può avere un Governo nel momento in cui si oppone all'Europa affinché ponga fine alla situazione ingovernabile del Venezuela, laddove ci viene chiesto da centinaia di migliaia di nostri connazionali? (Applausi dal Gruppo FI-BP). Vi basta ottenere il gradimento e il riconoscimento di Maduro? Non so se questa sia la strada migliore da seguire.
I problemi sono tanti. E noi abbiamo fatto una proposta e anticipo che nei prossimi giorni il mio Gruppo presenterà in Commissione affari costituzionali una serie di disegni di legge costituzionali che potranno essere affiancati al provvedimento sulla riduzione del numero dei parlamentari. Vogliamo vedere in quella occasione quale sarà l'atteggiamento di questo Governo e della maggioranza. Ci auguriamo che la Lega - con noi è stata protagonista della riforma costituzionale del 2005 - non voglia tradire e disattendere quei principi che avevamo inserito in quella riforma costituzionale: noi vogliamo dividere le competenze delle due Camere, perché non basta soltanto ridurre il numero dei parlamentari; bisogna modificarne anche le competenze. Vogliamo istituire una nuova forma di Stato; vogliamo una Repubblica presidenziale; non si può parlare di riforme costituzionali senza mettere mano alla riforma della magistratura o ai criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale. Non si può parlare di riforme costituzionali e lasciare le Province nel pantano nel quale si trovano, quando ci sono disegni di legge di Forza Italia e anche della Lega che chiedono di ripristinare le vecchie Province; e non si possono ripristinare le vecchie Province se non si pone mano a una ristrutturazione della nostra geografia delle Regioni.
Il nostro Paese non si può permettere 1.000 parlamentari, ma non si può permettere neanche 20 Regioni. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Di questo quando vogliamo parlare?
Va bene: incominciamo con la riduzione del numero dei parlamentari. Probabilmente il nostro Gruppo darà un atto di fiducia, un'apertura di credito nei confronti di questo Governo e della sua maggioranza per evitare quello che diceva una collega del Partito Democratico, ovvero che fuori da quest'Assemblea qualcuno vada a sbandierare il fatto che il Governo e la sua maggioranza vogliono le riforme, che vogliono castigare la casta mentre c'è chi la vuole mantenere. No, noi nei fatti non vogliamo mantenere la casta: vogliamo rendere la politica efficiente ed efficace, ma è un'apertura di credito condizionata.
Nelle prossime settimane verificheremo quale sarà l'atteggiamento della maggioranza in Commissione e in Assemblea sulle proposte di riforma costituzionale che faremo anche noi, in maniera non compressiva, in modo tale da evitare l'impatto di una riforma complessiva. Questa è soltanto la prima lettura: dovremo rivederci ancora e, quindi, avremo il tempo per valutare quali saranno le reali intenzioni di questo Governo e della sua maggioranza.
Colleghi, il rischio che si corre - e voi purtroppo ce ne avete dato un anticipo, per noi assolutamente inaccettabile - è che, se la riforma della riduzione del numero dei parlamentari deve fare il paio con la riforma che sta uscendo dalla Camera sul referendum propositivo e l'abbassamento del quorum, evidentemente ci troviamo di fronte a un caso di riduzione non della spesa delle istituzioni e della politica, ma dei poteri e delle prerogative istituzionali previsti dalla Costituzione a favore del Parlamento.
Volete sostituire il lavoro del parlamentare alla iniziativa popolare, peraltro senza quorum.
Se questo è il vostro percorso, probabilmente l'immarcescibile ministro Di Maio, in uno dei tuoi tweet scriverà: «Abbiamo distrutto le istituzioni: fatto». Ci auguriamo di sbagliare, ma lo misureremo nel corso delle prossime settimane. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Alfieri. Ne ha facoltà.
ALFIERI (PD). Signor Presidente, vorrei condividere alcune delle riflessioni che sono state fatte e riprendere la preoccupazione di chi ritiene che questo possa essere un grande spot elettorale. Il sospetto è che il provvedimento venga tirato fuori nel momento in cui i sondaggi cominciano a scendere e le difficoltà del MoVimento 5 Stelle alla guida del Governo sono evidenti. Ecco allora rispuntare argomenti del passato: gli stipendi dei parlamentari e la riduzione del numero dei parlamentari, senza un ragionamento su che cosa sarebbe oggi necessario per una riforma istituzionale seria e organica.
Basterebbe questo per definire tutto ciò come uno spot elettorale, da sventolare in vista delle elezioni europee e poi magari da far scivolare lì. È infatti evidente il silenzio di una parte della maggioranza, della Lega, che di solito è presente e che oggi non partecipa e non interviene, quasi ci fosse un tacito accordo, per cui si consente di fare questa sceneggiata, questo show, in vista delle elezioni europee, per poi far cadere il tutto nel dimenticatoio, dicendo magari che ci sono delle difficoltà e altri provvedimenti da mandare avanti.
Se questo fosse solo uno spot elettorale, ce ne faremmo una ragione. Ho paura però che tutto questo porti a giocare con gli umori delle persone. Abbiamo bisogno di guidare il Paese e non di assecondarne le pulsioni. Se uscendo da qui andiamo a fare un sondaggio di opinione, chiedendo ai cittadini se vogliono diminuire il numero dei parlamentari, tutti risponderebbero di sì. Il problema è che molti direbbero addirittura di eliminarli tutti, chiedendosi se ce ne sia davvero bisogno. Avete creato infatti un clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni. "Surfare" sull'onda del malcontento e giocare sulle ansie, le preoccupazioni, le paure e le inquietudini delle persone non è facile e alla lunga quell'onda rischia di scaricarsi anche su di voi.
Facciamo invece una discussione seria su come deve essere riformato un sistema di democrazia rappresentativa evidentemente stanco, perché nella modernità occorre provare in qualche modo a conciliare l'efficacia degli strumenti e delle forme di Governo con la rappresentatività. Questo è un tema che interroga tutte le democrazie europee, occidentali e liberali, che evidentemente incontrano delle difficoltà davanti a un mondo che cambia, investito dalla globalizzazione che entra in casa e squassa la vita. Cambiano le modalità con cui guardiamo al futuro, con la rivoluzione del digitale che ha democratizzato le informazioni, mettendo in mano a tutti, con un semplice strumento, la possibilità di accedervi. È chiaro che tutto questo porta anche a una richiesta di maggiore partecipazione.
L'esigenza di ragionare anche su una rivoluzione del modo in cui guardiamo alla democrazia rappresentativa è dunque qualcosa di sentito, ma non penso si possa affrontare in questo modo, giocando sulle paure e sulle preoccupazioni delle persone, parlando di riduzione del numero dei parlamentari e basta. Il combinato disposto che mettete in campo, con la riforma degli strumenti di democrazia diretta e del referendum approvativo - da una parte - e con la riduzione del numero dei parlamentari - dall'altra - sembra quasi un attacco alla democrazia rappresentativa, per distruggerla e sostituirla con un sistema completamente diverso, in cui magari poi a decidere è uno solo, magari fuori dalle istituzioni e dal Parlamento, sia esso una Srl o una persona sola.
Noi ci opporremo a questo disegno. Noi siamo disponibili; lo abbiamo fatto - e concludo - quando abbiamo presentato una riforma, che magari poteva non piacere. Piace sentire, anche da persone che hanno votato in maniera contraria, che oggi c'è bisogno di una riforma organica e fa piacere che, in maniera postuma, lo riconoscano altri. (Applausi dal Gruppo PD). Noi in campo quella riforma l'avevamo messa, una riforma organica. Allora ripartiamo da lì. C'è la disponibilità, da parte nostra, a discutere su quei temi. Saremo invece contrari se gli strumenti che mettete in campo sono solo degli spot elettorali, che giocano sulle paure e le preoccupazioni dei cittadini senza risolvere i problemi. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Quagliarello. Ne ha facoltà.
*QUAGLIARIELLO (FI-BP). Signor Presidente, signor Ministro, colleghi senatori, io sono il presentatore di una proposta di legge sulla riduzione del numero dei parlamentari, già nella scorsa legislatura, poi replicata in questa, che fondamentalmente è copia conforme della riforma presentata dal Governo, quantomeno della sua prima versione. Da cosa nasce questa iniziativa? Credo che essa nasca da un'analisi condivisa, almeno nei tratti fondamentali, al di là dei toni, dal fatto, cioè, che stiamo vivendo un periodo di profonda crisi della rappresentanza parlamentare.
Non è la prima volta che ciò accade nella storia. È accaduto in passato, all'inizio del secolo scorso, quando nacquero i partiti di massa, i partiti extraparlamentari (non perché fossero estremi, ma perché erano fuori dal Parlamento). È accaduto negli anni Trenta, quando si riteneva che i regimi autoritari potessero divenire la normalità. È accaduto con le derive assembleariste del secondo Dopoguerra, e poi anche con l'assemblearismo del Sessantotto. Anche allora si parlò di crisi di civiltà, riferendosi alla crisi della rappresentanza.
Io ritengo che la crisi che stiamo vivendo oggi sia più profonda e anche più significativa, per due elementi strutturali. Il primo è che la rappresentanza, la democrazia rappresentativa, ha bisogno di un tempo di sedimentazione; nel momento in cui si dà il mandato a un rappresentante del popolo, gli si attribuisce anche una libertà di azione e si determina il fatto che un giudizio sul suo operato verrà espresso dopo un certo periodo. Così si giustifica il divieto di mandato imperativo nelle democrazie rappresentative. Ora questo tempo di sedimentazione è purtroppo venuto meno. È venuto meno per i sondaggi, è venuto meno per i talk show e, alla fine, è venuto meno per la rete e per i social network. La democrazia rappresentativa implica inoltre la necessità di un autocontenimento, sia da parte dei rappresentati, sia da parte dei rappresentanti. Non si può pensare di essere onniscienti, non si può avere la presunzione fatale di parlare su tutto, perché la legge dei numeri, che sta alla base della democrazia, non si adatta a tutto. Ci sono alcune materie che hanno bisogno di speciali competenze. Vede signor Ministro, in questa Aula, fino a qualche legislatura fa, c'erano quelli che parlavano di sanità e quelli che parlavano di politica estera; erano pochi i colleghi che parlavano di tutto. Evidentemente siamo in un altro tempo.
Ora, se tutto ciò è vero e quindi partiamo da una base di consapevolezza comune, nondimeno siamo di fronte a un bivio: questa democrazia rappresentativa in crisi la vogliamo riformare o la vogliamo distruggere? Il mio intento e l'intento della legge che ho presentato è quello di riformare la democrazia rappresentativa, perché, nonostante tutto e nonostante le sue imperfezioni, fondamentalmente uno strumento migliore per governare le società complesse non c'è. Non è stato prodotto dalla storia e non è stato prodotto nemmeno dalle elucubrazioni sul futuro che in qualche caso alcuni visionari ci propongono. A cosa può servire dunque il taglio del numero dei parlamentari per chi coltiva una prospettiva di riforma? Ad aumentare l'efficienza del Parlamento; a snellire i lavori e quindi a consentire quel tempo di sedimentazione che è venuto meno; a migliorare la qualità della rappresentanza per recuperare la competenza. Credo che questi siano gli obiettivi di fondo.
Chi invece vuole distruggere la democrazia rappresentativa pensa alla riduzione del numero dei parlamentari con disprezzo, ancor più che nei confronti del Parlamento, nei confronti del parlamentare e della classe politica: anche nella propaganda che mi capita di leggere in rete scorgo il fatto che i parlamentari sono oggi considerati una specie di metastasi. Ne discende che lo scopo che ci si prefigge è quello di ridurre il danno: non cercare, di migliorarne la qualità, ma di ridurre il danno - l'esistenza dei parlamentari - fino a tendere probabilmente allo zero, perché fondamentalmente c'è una cultura del sospetto. Un parlamentare è una persona nei confronti della quale nutrire sospetto.
Mi rendo perfettamente conto che questi sentimenti sono diffusi anche nella società civile, e non sono presenti soltanto in quest'Aula. Ma credo che queste siano state, anche in passato, le premesse di quella presunzione fatale di essere migliori di cui nella storia si sono nutriti i regimi di tipo autoritario o addirittura totalitario.
Dov'è allora che sconteremo la differenza tra queste due prospettive? Nel confronto su alcuni aspetti fondamentali, sui cui ci auguriamo che i due approcci possano avvicinarsi: in primo luogo, dovremo farsì che anche con il taglio dei parlamentari sia assicurato il criterio della rappresentatività territoriale; in secondo luogo, che siano garantite le minoranze; in terzo luogo, che ci sia un'interazione positiva con altre riforme costituzionali. Sui primi due punti sarebbe molto importante parlare del taglio dei parlamentari insieme a una proposta di legge elettorale, perché è così che capiremmo se le minoranze sono garantite e se i territori sono comunque rappresentati. Sul terzo aspetto, ciò che al momento ci proponete è semplicemente un'interazione con il referendum propositivo.
Vede, signor Ministro, sul tema non ho un pregiudizio negativo e credo che anche un referendum propositivo possa servire a integrare in qualche modo una rappresentatività che ha sempre più difficoltà ad affermarsi. Per me non è quindi un tabù e le devo dire che ho apprezzato anche alcune modifiche che sono state apportate rispetto al primo testo, che fondamentalmente non reggeva e faceva acqua da tutte le parti. Ma ci sono ancora molti aspetti che dovremo affrontare e che auspico possano essere esaminati viste in maniera "interattiva", attraverso un confronto e senza barricate.
Innanzitutto, un referendum propositivo non può nemmeno essere pensato per leggi di spesa, perché evidentemente ciò renderebbe il nostro Paese, in un momento nel quale stiamo scontando la crisi dei debiti pubblici, debolissimo. Lei avrà presente il lavoro della Commissione che ho avuto l'onore di presiedere: è stato il primo aspetto che abbiamo messo in evidenza.
In secondo luogo, è necessario limitare il numero delle proposte, perché senza una limitazione si arriverebbe alla sostanziale abrogazione del Parlamento. Infine, è necessario pensare meglio il rapporto tra l'iniziativa referendaria e l'iniziativa legislativa delle Camere, perché nella proposta in discussione è soltanto abbozzato.
Affronteremo il dibattito sul referendum nel prossimo periodo. Ed è evidente che da esso dipenderà anche l'atteggiamento sul testo che è oggi all'esame di quest'Aula. Le ripeto, signor Ministro, che per quel che mi riguarda ci cimenteremo senza pregiudizi e saremo pronti a collaborare, se anche da parte vostra ci sarà volontà di collaborazione, ma saremo invece durissimi se invece tutto ciò servirà a fomentare un'altra pagina, un po' provinciale, di antiparlamentarismo. Se tutto ciò scadrà al livello di una proposta di piccoli Boulanger di provincia, senza neppure il fascino di una cavalcata, in questo caso non vi faremo sconti. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Margiotta. Ne ha facoltà.
MARGIOTTA (PD). Signor Presidente, i principi ispiratori del disegno di legge in esame sono facilmente sintetizzabili: propaganda e dispregio della democrazia rappresentativa.
Si tratta di un po' di propaganda, perché i 5 Stelle calano nei sondaggi in maniera vertiginosa, sono in sofferenza e riscoprono una proposta demagogica assolutamente al di fuori di un coerente disegno di riforma istituzionale. Chi dice no alla riduzione del numero dei parlamentari? Noi abbiamo presentato una proposta di legge in questo senso, certamente non fortunata al referendum, ma in Parlamento l'abbiamo portata avanti in tutte le letture necessarie per riformare la Costituzione. I senatori del PD - io ero tra quelli anche nella scorsa legislatura - hanno votato una riforma coerente di abbandono del bicameralismo, sostanzialmente mettendo totalmente a repentaglio la propria possibilità di rientrare in Parlamento. Abbiamo le carte in regola, non abbiamo timore che qualcuno ci possa accusare di difendere postazioni, avendo dimostrato con i fatti di non averlo posto in essere. E voi ce la farete? Farete quattro letture? Arriverete fino alla fine? No, carissimi, perché ognuno di voi sa in cuor suo che questa maggioranza non avrà una durata tale da poter svolgere tutti i passaggi e in questi giorni lo stiamo vedendo. Soprattutto, però, il vostro disegno nasce in virtù di uno spregio fortissimo nei confronti della democrazia rappresentativa, di cui date segnali e prove quotidiani. Per fare degli esempi, avete difeso il bicameralismo e in questa legislatura l'avete trasformato in un monocameralismo di fatto: oggi il decreto semplificazioni sta per essere approvato con il voto di fiducia, ovviamente non toccando nulla rispetto al testo uscito dal Senato, e così a turno. Altro che bicameralismo! Avete cambiato di fatto, in maniera strisciante, il modo di legiferare. Per non parlare della legge di bilancio: i ricordi in quest'Aula sono ancora molto freschi, la censura della Corte costituzionale molto chiara. Il fatto è che non credete alla democrazia rappresentativa e temo che non crediate alla democrazia tout court. Berlusconi un giorno disse che bastava avere solo i Capigruppo in Aula e che era inutile avere tanti parlamentari. Bene, vedo che vi siete incamminati lungo quel percorso, anzi per la verità lo peggiorate, perché il vostro guru, il vostro fondatore e ispiratore Grillo ha detto che i parlamentari possono essere sorteggiati, anziché eletti. È tutto assolutamente coerente, nella vostra idea di democrazia.
Voi avete persino introdotto in maniera surrettizia il vincolo di mandato, il contratto tra il capo e l'eletto; cacciate le persone che non votano come voi imponente di votare; utilizzate i parlamentari come clac, li fate arrivare sotto il balcone dove il capo esce e urla di gioia per aver abolito la povertà e tutti voi giù ad applaudire. Uno vale uno, ma mi pare che uno valga l'altro, perché l'importante è che ognuno di loro stia lì ad applaudire.
Continuate a fare propaganda. La stessa riforma dei vitalizi che avete sbandierato, anche quella con cortei e bottiglie di spumante italiano, non è nient'altro che l'applicazione di una legge approvata da noi nel 2012 a quelli eletti prima del 2012. Quindi, avete fatto una bella riforma a costo zero rispetto alle vostre tasche, perché del vostro status non avete toccato assolutamente niente.
Lo stesso referendum propositivo - mi associo a quanto detto dal senatore Quagliariello - di cui torneremo a parlare, va inquadrato in questo disegno e, se in esso inquadrato, ci troverà assolutamente contrari.
Ma di questo e di altro parleremo più avanti. Di una cosa state certi: voi volete distruggere la democrazia rappresentativa: noi la difenderemo e ve lo impediremo. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Astorre. Ne ha facoltà.
ASTORRE (PD). Signor Presidente, il tema della riduzione del numero dei parlamentari è stato sempre considerato all'interno di un progetto riformatore più ampio. Fin dalla riforma Bozzi, fin dal progetto riformatore approvato nella passata legislatura dal nostro Governo, e respinto dal voto popolare del 4 dicembre 2016, la riduzione del numero dei parlamentari da sempre è stata collegata alla necessità di migliorare il funzionamento delle due Camere.
Pensare di modificare la Costituzione fermandosi esclusivamente ai numeri, a me sembra rispondere più a una logica punitiva nei confronti della classe politica, nel solco della più becera antipolitica, e soprattutto alla necessità di recuperare consenso elettorale da parte dei 5 Stelle, che non alla volontà di superare gli elementi che non consentono, nel pieno rispetto della rappresentanza degli elettori e della rappresentatività del Parlamento, ai due rami del Parlamento di funzionare in maniera più efficiente e più razionale.
Personalmente, reputo assurdo sacrificare la nostra Costituzione e le nostre istituzioni democratiche sull'altare del consenso elettorale, pur importante, delle elezioni europee. Questo infatti mi sembra essere il fine, neanche troppo malcelato, di questa riforma. Il disegno di legge in esame, così come è congegnato, peggiora e di molto il problema riguardante il legame tra eletto ed elettore, tra eletto e territorio di riferimento. A ben guardare, soffermandoci solo sul dato numerico, la diminuzione dei parlamentari riduce notevolmente il rapporto tra il numero di elettori ed eletti: vi è una diminuzione di oltre il 35 per cento, peraltro con problemi importanti in Regioni minori quali il Molise o con meno abitanti come la Sardegna.
Tuttavia, al di là di questo, sappiamo tutti che a ripristinare quel legame di rappresentanza, quel rapporto fiduciario tra eletto ed elettore e territorio di riferimento, il cui smarrimento è il vero protagonista dello scollamento tra politica e cittadini, sono le leggi elettorali e le tecniche di trasformazione dei voti in seggi. Questo disegno riformatore manca anche di tale aspetto. Leggi elettorali che non consentono, o attraverso le preferenze o attraverso collegi uninominali piccoli (com'era il Mattarellum), di scegliere direttamente i propri rappresentanti sono il vero scollamento tra eletto ed elettore.
Lasciare inalterata la distinzione riguardante l'età di elettorato passivo e attivo alla Camera come al Senato è l'altro grande vulnus di questo disegno di legge. Non si supera infatti il problema del funzionamento delle Camere derivante dalla difformità dell'elettorato attivo - diciotto anni alla Camera e venticinque al Senato - problema che non viene minimamente affrontato.
Questa riforma è come don Abbondio: le manca il coraggio, è pavida; non affronta il problema del funzionamento del bicameralismo; non affronta il problema delle funzioni identiche delle due Camere; non affronta il problema della rappresentanza delle Camere su un elettorato attivo diverso. Questa riforma avrebbe senso e sarebbe sicuramente approvata da tutti se potesse affrontare il tema vero del problema che c'è in Italia: il problema di due Camere che, dal 1948, per ragioni storiche ben definite, fanno tutte e due la stessa identica cosa; un inutile orpello al funzionamento della democrazia che viene superato con i sotterfugi della fiducia blindata in una Camera e col testo inalterato all'altra Camera. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Misiani. Ne ha facoltà.
MISIANI (PD). Signor Presidente, penso che nessun Gruppo presente in quest'Aula metta in dubbio la necessità di una riforma dell'assetto del nostro Parlamento.
È dal 15 aprile 1983, giorno in cui si insediò la Commissione presieduta dall'onorevole Bozzi, che si sono susseguite, legislatura dopo legislatura, Commissioni bicamerali, iniziative e referendum volti a una revisione della Costituzione e, in questo quadro, a una riforma del Parlamento.
I temi aperti sono indubbiamente numerosi e su di essi il Parlamento è chiamato a discutere per riformare se stesso. Vi è anzitutto l'assetto bicamerale perfetto, che rappresenta oggettivamente un'anomalia del Parlamento italiano, che - unico nell'Unione europea tra i 28 Paesi comunitari - prevede un'assoluta parità tra la Camera e il Senato. In 15 Paesi comunitari c'è un sistema monocamerale e negli altri 12 un sistema bicamerale, ma con una Camera legata al Governo da rapporto fiduciario e l'altra Camera generalmente rappresentativa delle autonomie territoriali.
Dovremmo discutere di un diverso equilibrio tra il Governo e il Parlamento nell'iniziativa legislativa. Le statistiche della XVII legislatura sono eloquenti, da questo punto di vista: sono state approvate 379 leggi, ma nel 74 per cento dei casi si tratta di provvedimenti di iniziativa governativa; inoltre, in 83 casi sono leggi di conversione di decreti-legge, che - come è noto - rappresentano ormai un esempio di monocameralismo alternato, perché si discute realmente in una Camera e, poi, il disegno di legge di conversione viene di fatto ratificato nell'altro ramo del Parlamento.
Dovremmo discutere di un diverso equilibrio tra il ruolo di indirizzo e controllo della Camera e del Senato e quello di produzione legislativa, in un Paese che soffre di un eccesso di produzione legislativa e di un ruolo invece debole del Parlamento nell'indirizzo e nel controllo nei confronti dell'operato dell'Esecutivo.
Dovremmo discutere di una diversa articolazione tra i lavori di Aula e quelli di Commissione, che è sì materia regolamentare, ma ha un'indubbia rilevanza costituzionale perché - come è noto - la Costituzione riconosce il ruolo e la funzione delle Commissioni parlamentari.
Colleghi, tutte queste tematiche dovrebbero inquadrarsi in una riflessione di ampio respiro, approfondita e meditata sul ruolo del Parlamento nella nostra democrazia, nonché sul futuro della democrazia italiana, in una stagione in cui tanti - troppi, mi si permetta - mettono in discussione il valore della democrazia rappresentativa e chiedono il prevalere di una democrazia partecipativa sulle istituzioni rappresentative. Credo che vadano rafforzati gli istituti partecipativi nella nostra democrazia, ma nelle Assemblee parlamentari vediamo iniziative che vanno in una direzione che noi riteniamo squilibrata dal punto di vista del rapporto delle istituzioni rappresentative con le istanze che vengono direttamente espresse dal corpo elettorale. Dovremmo discutere in modo approfondito dell'assetto complessivo delle istituzioni repubblicane, al cui interno inserire una riforma del Parlamento.
Che cosa sta facendo invece questa maggioranza, ossia il MoVimento 5 Stelle, la Lega e il Governo da loro sostenuto? Questa maggioranza sta umiliando il Parlamento. Lo abbiamo visto nella discussione della legge di bilancio per il 2019, quando, per la prima volta, la competente Commissione permanente, prima al Senato e poi alla Camera, non è stata messa in condizione di votare nemmeno un emendamento. La legge di bilancio è stata approvata in una versione stravolta rispetto alla versione originariamente presentata, a colpi di voto di fiducia prima al Senato e, poi, alla Camera dei deputati. State umiliando il Parlamento al di fuori delle Aule parlamentari, con una retorica antiparlamentare che umilia la funzione dei rappresentanti dei cittadini e che è insopportabile in una democrazia come quella che noi vogliamo difendere e tutelare. State portando avanti una riforma a spizzichi e bocconi, che complessivamente vuole svuotare il ruolo del Parlamento. Questo è infatti il senso della proposta sul referendum propositivo, sganciata, ma in realtà parte integrante di un disegno che prevede con questo provvedimento la mera riduzione del numero dei parlamentari.
Signor Presidente, così non va. Non è questo il percorso per una riforma organica e meditata del Parlamento. Non è questo il percorso per dare alla democrazia italiana un Parlamento che sia messo nelle condizioni di svolgere pienamente le funzioni che la Costituzione stessa gli attribuisce.
Discutiamo insieme di come cambiare seriamente il Parlamento, non con proposte sganciate apparentemente l'una dall'altra, ma con un disegno organico, che affronti i nodi cui facevo riferimento in precedenza, quelli rimasti irrisolti dal lontano 1983. Discutiamo insieme su come cambiare il Parlamento per rendere migliore la nostra democrazia. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Minuto. Ne ha facoltà.
MINUTO (FI-BP). Signor Presidente, onorevoli colleghi, Forza Italia certamente non è preoccupata della riduzione del numero dei parlamentari.
La riforma che voi oggi proponete non è per noi una novità; anzi, vorrei ricordare che questo è l'ottavo tentativo di riforma. Siamo stati fra i primi a proporre una modifica costituzionale in tal senso. Il Parlamento, grazie al nostro contributo tra il 2003 e il 2005, aveva approvato la riduzione del numero dei parlamentari, riforma che poi, a seguito del referendum promosso dalle opposizioni, non ha avuto seguito.
Tuttavia, per mantenere un equilibrio fra i poteri dello Stato, si dovrebbe intervenire bilanciando le prerogative del potere legislativo con quelle dell'Esecutivo, delle autonomie locali, già fortemente compromesse dalla legge Delrio. Invece, la riforma costituzionale che questa maggioranza sottopone al nostro esame esautora e svilisce il ruolo del Parlamento, privandolo delle sue prerogative e della sua indipendenza.
Il disegno costituzionale che volete farci approvare non è ispirato alla difesa dei principi democratici su cui si fonda la nostra Carta.
La riduzione secca del numero dei parlamentari non sembra tener conto del principio di rappresentanza democratica che è il fondamento e la legittimazione del nostro mandato.
Cari colleghi, spesso vi sento invocare in quest'Aula e nel Paese - credo più per un intento mediatico - la difesa della democrazia, la tutela dei diritti dei cittadini. Vi ho sentito, anche in passato, parlare contro la casta, contro i privilegi.
Ebbene, io qui non rappresento e non ho mai rappresentato alcuna casta, non ho mai avuto alcun privilegio. Vorrei aggiungere che sono stata eletta all'età di diciannove anni con il voto di preferenza, quando si scriveva il nome e il cognome e, quindi, quando avevamo l'opportunità di parlare direttamente con i nostri elettori. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Vorrei ricordare che quando l'ultima riforma costituzionale, proposta dall'allora presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, fu sottoposta al voto popolare, il risultato del referendum fu disastroso per il suo promotore.
I cittadini credono nel ruolo delle istituzioni e, se anche a volte contestano chi in quel momento le rappresenta, non sono disposti a cedere alcuna prerogativa propria dello Stato democratico.
Abbiamo un Governo che ha paralizzato l'adozione di provvedimenti importantissimi: penso alle infrastrutture, alla TAV, alle trivelle, alla TAP, che riguarda la mia Puglia, che è stata costretta poi a rientrare. Voi però, in questo caso, avete deciso di ignorare quel risultato; eppure, è stato sancito dagli italiani attraverso uno strumento di democrazia diretta, lo stesso che siete determinati a snaturare con un'altra riforma insensata.
Credo che oggi voi ci stiate proponendo un diversivo, qualcosa che possa distrarre gli italiani dai vari problemi del Paese che il Governo non è in grado di affrontare. Volete che il Parlamento diventi un bersaglio del malcontento popolare e non il luogo dove portare avanti in modo serio e costruttivo le istanze provenienti da tutti i settori del nostro Paese. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Presidenza del vice presidente LA RUSSA (ore 16,47)
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Parrini. Ne ha facoltà.
PARRINI (PD). Signor Presidente, utilizzerò i minuti a mia disposizione per spiegare come mai, a mio giudizio, siamo di fronte a un provvedimento che è allo stesso tempo insufficiente e pericoloso.
Prima di tutto, muoverò la seguente osservazione di metodo: non ritengo giusto trattare quest'atto parlamentare in sé, senza riflettere sul contesto in cui si colloca e sul disegno complessivo di cui fa parte. Se lo valutassimo in sé, potremmo esprimere lo stesso commento di molti, i quali, nei loro interventi, hanno detto che la montagna ha partorito un topolino. A me verrebbe da dire che persino le dimensioni di un topolino sono troppo grandi per un'iniziativa come questa, per cui dovremmo forse parlare di moscerino.
Non credo ci si possa limitare a un giudizio su quest'atto. Penso invece che si debba riflettere sulle cose che già sono state fatte o annunciate da questa maggioranza, per quanto riguarda il rapporto tra Esecutivo e Parlamento e, all'interno del Parlamento, tra maggioranza e minoranza parlamentare e, all'interno dell'ordinamento statale, tra i vari poteri dello Stato.
La maggioranza che oggi propone una tale riduzione del numero dei parlamentari è la stessa che ha fatto vivere a questa Camera, il Senato, uno dei momenti più umilianti della sua storia repubblicana in occasione della discussione sulla legge di bilancio. Non consentiremo a nessuno di mettere un velo e di far dimenticare che, per la prima volta nella storia della Repubblica, la legge di bilancio è stata approvata senza che un ramo del Parlamento potesse esaminarla e discuterla. È stata cioè approvata con una violazione gravissima delle prerogative del Senato in generale e soprattutto della minoranza parlamentare.
La maggioranza che oggi propone la riduzione del numero dei parlamentari è quella che più volte, nel dibattito pubblico, ha fatto cose che non si erano mai viste prima, ossia un attacco deliberato e uno screditamento molto aggressivo dei contropoteri che nella nostra Costituzione esistono per limitare il rischio di abusi da parte della maggioranza e che costituiscono elementi essenziali degli equilibri costituzionali che a tutti noi dovrebbero essere cari.
Non dimentichiamo cosa è stato detto dagli esponenti di questa maggioranza della Banca d'Italia, dei tecnici del Ministero dell'economia e delle finanze, della Ragioneria generale dello Stato, dei magistrati e di chiunque abbia osato far presente che vincere le elezioni significa acquisire non il diritto di fare quel che si vuole, ma il diritto-dovere di governare nel rispetto della Costituzione.
Abbiamo poi visto arrivare in Parlamento questa proposta di riforma costituzionale e un'altra alla Camera sul referendum propositivo, che presenta tratti agghiaccianti e inquietanti, in quanto rappresenta un tentativo non di migliorare il modo in cui funziona il rapporto tra Parlamento e popolo, ma di svuotare il Parlamento, in nome di un falso omaggio alla sovranità popolare e di una falsa democrazia diretta.
Poi ci sono i provvedimenti annunciati: quello sul quorum nel referendum abrogativo, quello sul superamento del divieto di mandato imperativo. Niente - per esempio - è stato proposto su un elemento fondamentale come la garanzia della democrazia all'interno dei partiti. Certamente non può proporre una riforma costituzionale che attua l'articolo 49 un binomio di forze - soprattutto una - che ha una gestione interna dittatoriale. (Applausi dal Gruppo PD), che in ogni suo atto nega la democrazia non soltanto nel rapporto con il Parlamento ma anche per come vive internamente.
Allora è evidente che la proposta che oggi ci viene fatta e che discutiamo non rappresenta un atto giudicabile in sé, perché è parte di un disegno chiaro di demolizione della democrazia rappresentativa in questo Paese attraverso - in primo luogo - lo svuotamento e l'umiliazione del Parlamento. Diciamo questo oggi all'Aula e lo diremo in continuazione alle cittadine e ai cittadini italiani perché ci pare un fatto non trascurabile. E - lasciatemelo dire - anche quel misto di arroganza, di spocchia e di sufficienza con cui il provvedimento è stato portato in Parlamento e non presentato all'Aula è un'espressione di arroganza illiberale. Fin nei comportamenti minimi negate che sia vostra intenzione rispettare l'equilibrio tra i poteri dello Stato e questo non è un fatto eludibile.
Poi c'è, ovviamente, quello che è stato detto da parte di altri, la ricerca di un diversivo: avete bisogno di un'arma di distrazione di massa per risollevare i sondaggi? Sì, può darsi, soprattutto - credo - per nascondere i fallimenti in campo economico, la cosa più grave che sta avvenendo oggi in Italia. Siamo un Paese in recessione, dove stanno andando in fumo decine di migliaia di posti di lavoro e questo avviene essenzialmente per colpa vostra.
Oggi la Commissione europea ha detto che nel 2019 l'economia italiana crescerà dello 0,2 per cento. Quando siete andati a fare la pagliacciata sul balcone, parlavate dell'1,5; quando avete fatto il colpo di mano della legge di bilancio dicevate 1 per cento; dopo un mese e mezzo siamo all'0,2, cinque volte meno di quanto avete stimato e questo significa che ogni vostra previsione è scritta sull'acqua, che aprirete un buco nei conti dello Stato, che dovrete ricorrere a una manovra correttiva per non tradire gli impegni presi con l'Unione europea. Avete bisogno di nascondere tutto questo. Poi andate a incontrare i gilet gialli invece di incontrare i lavoratori della Pernigotti. Vergogna! Vergogna! Dieci volte vergogna! (Applausi dal Gruppo PD).
Concludo dicendo che noi, al momento, non sappiamo - non abbiamo avuto il piacere di udire la vostra voce in quest'Aula, e penso lo avremo presto - quale accoglienza sarà riservata ai nostri emendamenti. Ma noi vi sfidiamo con quegli emendamenti, perché la riduzione del numero dei parlamentari e anche il referendum propositivo hanno fatto parte di un tentativo di riforma che è una cosa di cui noi, ancora oggi, siamo convinti, che abbiamo presentato, che non ha passato l'esame del referendum, ma che ha rappresentato un punto alto del riformismo in questo Paese. Quindi, sul tema in sé del numero dei parlamentari e anche del referendum propositivo, noi non abbiamo nessuna preclusione, ma diciamo no agli spot e alle buffonate. I nostri emendamenti hanno lo scopo di provare a vedere se siete disposti a passare dalla pagliacciata elettoralistica, dalla presa in giro propagandistica a una riforma seria con un intervento minimo.
Sapete quanti articoli della Costituzione toccano i nostri emendamenti? Ne toccano soltanto sette. Ho visto che un esponente della maggioranza ha detto che noi vogliamo fare un gran calderone. Sette articoli, collega: leggi, leggi gli emendamenti prima di parlare, studia, fa bene. (Applausi dal Gruppo PD. Commenti della senatrice Lupo). Fa bene. Anche se non porta a risultati immediati, lo studio migliora la capacità di migliorarsi, aumenta il potenziale di crescita in futuro. Sette articoli soltanto: altro che gran calderone!
Non possiamo trascurare il fatto, se si interviene sul numero dei senatori, che siamo l'unico Paese dell'Unione europea dove un ramo del Parlamento eletto direttamente non è eletto a suffragio universale. Ve lo ripeto: l'unico Paese dell'Unione europea dove c'è un ramo del Parlamento a elezione diretta che non è eletto a suffragio universale, perché le persone di età compresa tra i diciotto e i venticinque anni sono escluse dal diritto di voto. Cosa impedisce di dire che i diciottenni possono votare per l'elezione del Senato? (Applausi dal Gruppo PD).
Cosa impedisce di differenziare le funzioni delle due Camere? Sapete quanti Paesi nel mondo ci sono con il bicameralismo paritario e perfetto? Ce ne sono soltanto tre: l'Italia, la Svizzera e gli Stati Uniti. Non devo spiegarvi come mai la Svizzera e gli Stati Uniti non possono essere per noi un esempio da prendere. Quindi, questa differenziazione va fatta e penso anche che dovremmo ragionare su come debba modificarsi la platea che elegge il Presidente della Repubblica se modifichiamo il numero dei senatori e dei deputati.
Sono tre proposte serie, aspettiamo una risposta. Se ci direte di no, noi non possiamo essere corresponsabili e complici di una cosa di così basso livello che di una riforma non è nemmeno lontana parente. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cerno, che però non vedo in Aula. Si intende pertanto che vi abbia rinunciato. (Commenti dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. Se non c'è... (Proteste dal Gruppo PD). Non chiedete neanche la sostituzione? Almeno la cortesia in questi casi di dire che interviene al suo posto un altro senatore..
È iscritto a parlare il senatore Moles. Ne ha facoltà.
Se nel frattempo arriva, potrà parlare anche il senatore Cerno.
FARAONE (PD). Come è buono, Presidente! Se non ci fosse lei!
PRESIDENTE. Può dirlo forte.
MOLES (FI-BP). Signor Presidente, ero molto indeciso se intervenire o meno in questa discussione generale, perché la gran parte delle cose dette dai miei colleghi sono più che condivisibili e condivise. Potrei rinnovare il fatto che fin dall'inizio il nostro movimento ha lavorato per rinnovare il nostro sistema e lo ha fatto con rispetto per le istituzioni democratiche. Rispetto è una parola che non ho usato a caso, perché solo chi non ha rispetto per le istituzioni può pensare di ridurre la questione della democrazia rappresentativa a un puro calcolo economico o al numero di teste da far cadere.
Forza Italia è stata la prima formazione politica a parlare di riforma delle istituzioni e di riduzione del numero degli eletti, ma lo ha fatto perlomeno in una cornice di riforma complessiva dell'assetto istituzionale. Come si può pensare che basta tagliare qualche eletto per migliorare il nostro sistema democratico? Questa è l'ennesima prova del fatto che alcuni di voi non accettano l'idea che ci sia un Parlamento di persone perbene, di liberi eletti tramite libere elezioni, non tramite qualche algoritmo di società informatiche.
Se vogliamo e volete trasformare il nostro Parlamento in una vittima sacrificale del malcontento popolare, cioè se volete sacrificarlo sull'altare di un consenso elettorale che magari - come alcuni hanno detto - vedete scendere - e nello stesso tempo litigate e magari gli elettori se ne stanno accorgendo - la questione è un'altra: quando vi renderete conto del fatto che tutto ciò che state facendo è un danno, e non per i singoli parlamentari, ma per le istituzioni, per il rispetto che si deve alle istituzioni? Vi rendete conto che, se diminuite il numero degli eletti, secondo le leggi che governano ogni democrazia rappresentativa, dovreste contestualmente ridurre proporzionalmente i poteri del Governo, il numero dei Ministri e Sottosegretari, rivedere il potere giudiziario e così via?
Mi chiedo allora a chi giovi tutto ciò. Qual è il vero obiettivo di tutti questi provvedimenti e del provvedimento spot in esame? Questo dispregio verso la politica e i politici nasce in realtà da lontano, da Governi non nati dalle indicazioni dei cittadini (Monti, Letta e Renzi), che hanno fatto sì che appaia quasi inutile il voto dei cittadini. Voi della piattaforma Rousseau, però, siete solo gli esecutori, il plotone di esecuzione di altri prima di voi, che come voi prima gridavano alla difesa della Costituzione violata e che poi oggi come allora dicono di volerla difendere, ma da quando sono al potere l'hanno voluta distruggere. In quel momento non ho visto il «popolo viola» in piazza; non ho visto girotondi.
Come si fa a non essere d'accordo con la riduzione del numero dei parlamentari? Alleggerimento del numero dei parlamentari sì, demolizione della democrazia rappresentativa no. E questo passa ancora - lo ripeto - per rispetto dell'istituzione parlamentare, ma ciò non è più accaduto. Non è accaduto - ad esempio - in occasione della discussione della legge di bilancio.
Il Parlamento si chiamava Parlamento perché si parlava, si discuteva, senza contingentamento dei tempi; le opinioni si confrontavano per migliorare un qualcosa al servizio dell'intero Paese. Questo non è accaduto. Non vorrei che questa sia la scorciatoia, ancora una volta più semplice, per aggirare la credibilità delle istituzioni. È un altro provvedimento di facciata? Meglio un bel referendum in rete? Non lo so.
La democrazia dà i costi? Certo, ma, se è solo questione di costi, allora suggerisco un altro provvedimento al Governo e a tutti i colleghi senatori: facciamo un disegno di legge dove diciamo che il Senato è trasformato nella Camera dei Lord e il titolo di senatore si acquista attraverso bonifico bancario ed è trasmissibile in via ereditaria, previo pagamento di tassa di successione rispetto all'importo versato per l'acquisto. (Applausi dal Gruppo FI-BP). È solo questione di costi? Allora, tagliamo lo stipendio dei parlamentari ma facciamolo - per esempio - in base alla media dei cinque anni precedenti, come da dichiarazione dei redditi, rispetto a quando si viene eletti. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Per favore, diteci qual è l'idea di riforma costituzionale generale, perché allora vuol dire che questo non è l'ennesimo provvedimento spot. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cerno. Non essendo presente in Aula, si intende abbia rinunziato a intervenire.
È iscritta a parlare la senatrice Sudano. Ne ha facoltà.
SUDANO (PD). Signor Presidente, devo dire che in questi due giorni sono abbastanza imbarazzata dal fatto che sia noi del Partito Democratico sia i colleghi di Forza Italia continuiamo a intervenire nel silenzio assoluto dei partiti di maggioranza. Onestamente mi dispiace anche che il senatore Calderoli non abbia fatto la relazione sul testo in esame e non tanto perché ci sia molto da spiegare, poiché effettivamente il testo è abbastanza semplice e comprensibile trattandosi di una secca riduzione del numero dei parlamentari. Forse ha ritenuto non opportuno spiegarci il testo. Tuttavia, se andiamo a ritroso, da quando si è insediato l'attuale Governo, basta guardare i vari passaggi che ci sono stati per capire che ormai abbiamo la prova, come si suol dire. Ci sono più indizi: c'è Fraccaro, Ministro della democrazia diretta e non Ministro per le riforme; c'é Grillo, che dal mese di giugno 2018 dice che i parlamentari possono essere eletti a sorteggio; c'é Casaleggio, che dice che il Parlamento potrà essere superato. Bastano questi tre indizi per fare una prova e per dire che il provvedimento in esame ha un disegno ben preciso, ovvero superare la democrazia diretta.
Ognuno di noi - come è stato già raccontato - ogni partito ha fatto le sue battaglie referendari, ha fatto le sue proposte di riforma costituzionale, ma lo ha fatto a viso aperto, non mettendosi una maschera e nascondendosi dietro l'idea di assetto istituzionale.
Credo che questo Governo debba levarsi la maschera e dire qual è la sua idea al popolo italiano. È giusto che a quel punto anche questa Assemblea si confronti nel merito delle singole proposte di legge, perché è impensabile che si affrontino due testi di riforma costituzionale diversi - uno al Senato e uno alla Camera - e non si sia pensato di fare, invece, una riforma organica.
Si è sentito il capogruppo Patuanelli un'ora fa dichiarare che il PD utilizza soltanto delle scuse perché non vuole tagliare i costi della politica. Come stiamo vedendo, si parla solo di leggi spot: è una classica legge spot che serve per le elezioni europee, perché tanto sappiamo che siamo alla prima lettura e non sappiamo se ci sarà una seconda lettura e se questo Governo durerà. Come infatti ha detto prima il collega Faraone, il MoVimento 5 Stelle e la Lega non fanno altro che scambiarsi ricatti su ciò che devono portare avanti per aumentare le proprie percentuali nei sondaggi. Le elezioni europee si terranno fra pochi mesi e quindi vi giocherete in campagna elettorale l'esito di questa prima lettura. Prima ho sentito il collega Quagliarello spiegare perché ha presentato il presente disegno di legge, ma onestamente ciò mi ha lasciata un po' basita. Egli ha raccontato all'Assemblea che le crisi parlamentari democratiche si sono succedute negli anni della nostra Repubblica e ha spiegato anche che un tempo in Senato non c'erano i "tuttologi" e che non tutti potevano parlare di tutto, ma c'era chi parlava di sanità o chi parlava di politica estera, mentre oggi tutti parlano di tutto. Questo dimostrerebbe perché il Parlamento viene visto come una metastasi e per questo va ridotto.
Credo invece nella politica e nei partiti e credo che la cosa più giusta sia invece riformare e selezionare la classe dirigente e non tagliare il Parlamento, perché è considerato un costo, come vuole far credere il MoVimento 5 Stelle. L'anticasta l'avete creata voi in questi anni e avete ridotto questa Assemblea a non contare più nulla. Ricordo che, ad inizio legislatura, abbiamo approvato una legge in tre giorni e il senatore Calderoli, rivolgendosi al Partito Democratico ha evidenziato che non c'era bisogno del referendum e che la riforma costituzionale non serviva, visto che avevamo approvato una legge in tre giorni. Mi chiedo allora quale sia il problema che ci porta a diminuire soltanto il numero dei parlamentari, vedendolo solo come un costo. In particolar modo una persona con grande esperienza come il senatore Calderoli non si sarebbe dovuto prestare a un atteggiamento del genere nei confronti del Parlamento, che rappresenta da tanti anni. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Toffanin. Ne ha facoltà.
TOFFANIN (FI-BP). Signor Presidente, onorevoli senatrici e senatori, rappresentante del Governo, mi associo al coro dei colleghi che hanno espresso il proprio disappunto per la mancata illustrazione della relazione da parte del relatore Calderoli, non perché ci manchino gli elementi per approfondire il testo presentato, di cui parliamo ormai da un giorno intero, ma perché - e mi rammarica molto dirlo - lo ritengo l'ennesimo sgarbo al Parlamento. Se consideriamo infatti che il provvedimento incide in maniera prepotente ed esclusiva proprio sulla vita di questa Assemblea e di quella della Camera dei deputati, il minimo che avreste potuto fare sarebbe stato spiegarci il vostro punto di vista e la ratio di questa decisione. Invece, non c'è nulla di tutto ciò, né dal relatore, né dalla maggioranza che non interviene, ma tant'è. Anche questa volta esprimeremo le nostre opinioni, con la sensazione che la maggioranza non abbia interesse alcuno a un confronto con le minoranze. Essa non ha interesse alcuno a far esercitare il proprio ruolo all'Assemblea.
Entrando nel merito del provvedimento in esame, che ricordo a tutti essere una riforma costituzionale, non posso esimermi dal notarne subito l'approssimazione e la superficialità. Una riforma della nostra Costituzione, testo che vi invito ancora una volta, come ho già fatto ieri, a rileggere ogni tanto, non può essere fatta a spizzichi e bocconi per un'esclusiva esigenza elettorale. Da tutti gli interventi effettuati finora, credo sia chiaro che il problema non sia la riduzione del numero dei parlamentari, a cui praticamente tutti ci siamo dichiarati favorevoli. Il problema è lo spacchettamento di un provvedimento, che dovrebbe essere ben più complesso e che dovrebbe tener conto di tutta una serie di norme che rendano efficace questa riduzione.
Alla base di questa pseudoriforma, non ci sono fondamenta solide, non c'è uno studio approfondito del nostro tessuto sociale e politico, non c'è un vero ascolto del territorio, c'è solo la volontà, ancora una volta, di fare propaganda spicciola attraverso grandi titoli. L'hashtag «TagliaPoltrone», come lo avete ribattezzato, è l'ennesima operazione di marketing da social network, senza che il suo contenuto sia altrettanto efficace. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Una riforma costituzionale che riguardi la democrazia e la rappresentatività politica, per definirsi tale, deve tener conto di tutte le forme del Governo, da quelle nazionali a quelle regionali, dalle Province, che versano ancora in uno stato di assoluta confusione dopo la sciagurata riforma Delrio, ai Comuni, ormai ultimo baluardo reale di democrazia.
Ripeto: siamo favorevoli alla riduzione dei parlamentari. Lo dico ancora una volta, perché Forza Italia non consentirà che i suoi interventi vengano strumentalizzati nella campagna elettorale ormai imminente. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Non permetteremo che ci accusiate di voler proteggere i privilegi di quella che considerate una casta, della quale ormai fate parte a tutti gli effetti. E non lo faremo perché la verità è che non avete inventato nulla: la riduzione dei parlamentari era presente nella riforma costituzionale del terzo Governo Berlusconi, solo che in quel caso non era pura demagogia, ma era inserita in una riforma ben più complessa che intendeva superare il bicameralismo perfetto, modificare la forma di Governo, potenziare i poteri delle Regioni e anche ridurre i numeri dei parlamentari. Senza entrare nel merito della correttezza di quella riforma, che ricordo essere stata bocciata da un referendum popolare (e noi rispettiamo la volontà degli elettori), appare però evidente che era tutto un altro apparato.
Ora, non voglio star qui a elogiare quella riforma e a sminuire questa solo per uno spirito prettamente campanilistico; voglio però sottolineare come questo tentativo di riforma non sia altro che il frutto di questo Governo del compromesso, cui ormai ci siamo abituati. Un provvedimento, l'ennesimo, che cerca una mediazione al ribasso pur di non far litigare i due partiti di maggioranza. Ma la Costituzione è una cosa seria e la democrazia è una cosa seria; non è possibile considerarle come un terreno di conquista su cui posizionare delle bandierine. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Caliendo. Ne ha facoltà.
CALIENDO (FI-BP). Signor Presidente, vede, mi basta anche poco tempo per dire che sono un po' avvilito. Sono avvilito perché, come molti di voi, ho letto gli atti che riguardano i lavori dell'Assemblea costituente e devo dire che sarei stato felice di appartenere a quel mondo, dove vi era un confronto di idee. Il Parlamento sta diventando qualche cosa in cui non mi riconosco: non è più un confronto di idee. Voi non parlate, non dite una parola, non sappiamo qual è la vostra intenzione.
Io al liceo ero innamorato dei grandi dibattiti della cosiddetta prima Repubblica di questo Paese, signor Ministro. Quando fu abolito il latino nella scuola media (io ero appena all'università), Stefano Riccio - ricordo ancora il nome del deputato - parlò quattro ore in latino; era una logica completamente diversa. Si è ridotto il Parlamento a qualche cosa in cui non mi riconosco: tempi stretti, in cui si può parlare sempre meno. Il Presidente correttamente, dato il numero degli interventi, mi dice che ho cinque minuti di tempo, il che è la negazione stessa del nostro modo di essere. Che senso ha? Che senso ha, quando parlerò del reddito di cittadinanza, avere cinque minuti di tempo? C'è da discutere e da valutare sul perché di alcune sanzioni che lasciano aperto il discorso in eterno, in modo molto diverso da quanto avviene anche con i minorenni nei procedimenti penali.
Qual è la logica di questa riforma? Badate, molti di voi ricorderanno e il presidente Calderoli ricorda benissimo che qua dentro, tre anni fa, c'era il Gruppo Partito Democratico che sosteneva che noi eravamo contro il popolo, perché il popolo voleva l'abolizione del Senato. Molti che hanno votato con noi e che hanno fatto la battaglia elettorale in difesa della Costituzione ne erano convinti ma è una preoccupazione che io non ho mai avuto: il popolo italiano sa qual è la ragione della scelta che i Costituenti fecero e ci sono pagine che spiegano perché i senatori devono essere 315. Invece qua non se ne discute e stiamo discutendo di tutt'altro.
La mia domanda allora è: siete proprio sicuri dell'esito del referendum? Certo state tentando - e probabilmente vi riuscirete - di non andare al referendum, ma sarebbe l'ideale andare al referendum per voi che proponete la democrazia diretta e capire qual è la volontà del popolo italiano. Io ero convinto allora che il popolo italiano fosse contrario e sono convinto oggi che sarà contrario alla riduzione del numero dei senatori a 200. Non modificando il numero delle bicamerali, infatti, non modificando le Commissioni d'inchiesta e non modificando i rapporti tra Governo e Parlamento, il numero di 200 è basso: significa svuotare questa Camera del Parlamento facendola diventare un organismo eterodiretto, nel senso che sarà un "votificio" a favore dei provvedimenti e delle idee del Governo di turno. Non dico del Governo attuale, perché quando si discute di materia costituzionale si deve avere la capacità di guardare avanti e, per poter valutare la bontà di una riforma, pensare che il proprio Gruppo e il proprio partito sia partito di Governo.
Cosa porterebbe questa riforma sotto il profilo della coerenza rispetto ai poteri all'interno della Carta costituzionale? Come dovremmo andare a stabilire i procedimenti di accusa nei confronti del Presidente della Repubblica? Dovreste fare una valutazione complessiva.
Sono ancora indeciso sulla possibilità di correggere, eventualmente dopo l'approvazione di questo disegno di legge, alcuni aspetti del sistema costituzionale, in modo che vi sia la libertà nel nostro Paese affinché anche chi è minoranza possa essere nello stesso tempo fautore di un confronto e di un dibattito con la maggioranza sulle scelte della politica sociale ed economica. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Saluto ad una rappresentanza di studenti
PRESIDENTE. Saluto a nome dell'Assemblea una delegazione di studenti della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Macerata, che stanno assistendo ai nostri lavori. Saluto i futuri colleghi, non so se senatori, ma sicuramente avvocati. (Applausi).
Ripresa della discussione dei disegni di legge costituzionale
nn. 214, 515 e 805 (ore 17,21)
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Messina Assuntela. Ne ha facoltà.
MESSINA Assuntela (PD). Signor Presidente, onorevoli senatori, è bene innanzitutto in questa sede ribadire il valore di un confronto sulle riforme costituzionali, un'esigenza sentita da tempo e che si fa sempre più stringente e improrogabile. Anzi, questo è un tema che coinvolge tutti e che soprattutto ci responsabilizza.
È la nostra stessa Costituzione, d'altra parte, ad imporre un'ampia condivisione intorno all'idea di una rivisitazione del suo portato e tutti noi avvertiamo qui l'importanza di prendere parte a questo processo. E proprio nell'ottica di contribuire all'opera di riforma rivendichiamo l'esigenza di discutere nel merito le proposte avanzate, proposte che, nostro malgrado, hanno una portata molto circoscritta rispetto alle più ampie esigenze di riforma del nostro assetto costituzionale.
Se davvero è intenzione di questo Parlamento rendere più efficienti le istituzioni e renderle ancora più interpreti dei bisogni e delle domande dei cittadini, se davvero si vuole favorire una razionalizzazione e un miglioramento della funzione legislativa, allora la proposta in discussione non può essere sufficiente.
Il rischio è che questa proposta ricalchi la narrazione di un Parlamento svuotato, di una casta da combattere, che cavalchi l'idea che la democrazia rappresentativa possa essere vista addirittura come un ostacolo da rimuovere. Insomma, c'è il rischio che possa prendere piede un atteggiamento teso a contrapporre società civile e classe dirigente, cittadini e istituzioni, democrazia diretta e democrazia rappresentativa. Un modo di interpretare la politica che allontana anche dalla comprensione piena delle responsabilità di tutti noi, di chi è chiamato a rappresentare la collettività e il cui impegno dovrebbe proiettarsi soprattutto a ricostruire, a dare nuovo senso e vigore ai fondamenti di uno spirito che deve essere alla base della comunità nazionale e che guardi esclusivamente al bene e al futuro del nostro Paese. E questo è ancora più preoccupante, perché avviene in un momento di grave crisi e di grande fragilità per il nostro Paese e per la nostra democrazia, anche per l'idea che della nostra democrazia stiamo dando.
Il concetto di democrazia e il valore e la centralità di questo luogo, la funzione della rappresentanza non possono essere ricondotti a questioni solo numeriche. Dobbiamo ricordare che solo grazie a luoghi come questo sono possibili l'incontro e il confronto tra le tante e differenti sensibilità sociali e politiche del nostro Paese. Dobbiamo essere all'altezza del ruolo che ricopriamo e della fiducia che milioni di italiani hanno riposto in noi: in tutti noi e in ciascuno di noi, ognuno a suo modo.
Si dice che mediante la riduzione del numero dei parlamentari si possono contenere e razionalizzare i costi del Parlamento. Ma quale spazio è stato dato alla considerazione e che i costi della politica, come spesso sono definiti, in realtà sono i reali costi della democrazia? Rappresentare, mediare, dare voce alle grandi e piccole comunità della società civile, tutelare le minoranze territoriali e politiche, coinvolgere i cittadini nella partecipazione a progetti condivisi, raggiungere e avvicinare le periferie: tutto questo è un valore che un Paese democratico ha il dovere di sostenere.
Un altro argomento a sostegno di questa riforma fa leva sui presunti benefici che si trarrebbero dalla riduzione di deputati e senatori in termini di efficientamento della funzione legislativa. Se questo è un effetto che pensate possa essere certo, allora vorremmo ascoltare e discutere le ragioni che ne sono alla base. Se invece, come crediamo, questo automatismo potrebbe non avere effetti positivi, allora siamo noi i primi a voler discutere con voi una riforma costituzionale differente, che raggiunga davvero questi scopi. Ma il nostro contributo non può che essere vincolato a un ragionamento più ampio, che dia un senso a ciò che intendiamo fare.
Modificare la composizione delle Assemblee elettive raggiunge un senso compiuto solo se questa idea è inquadrata in un più ampio contesto di riforma della Costituzione, che tenga conto di tutti questi aspetti. E allora parliamo anche di riduzione del numero di deputati e senatori, ma facciamolo discutendo di riforma del bicameralismo paritario o di razionalizzazione della forma di Governo. (Applausi dal Gruppo PD). Interveniamo sui Regolamenti parlamentari, sui diversi modi di differenziare le due Camere, su un nuovo equilibrio nel rapporto tra Governo e Parlamento, sugli spazi di dialogo reale con le Regioni e gli enti locali. Parliamo di funzioni e organizzazione e non soltanto di numeri.
Lavoriamo insieme, allora, ma per ridare centralità al Parlamento, per far sì che funzioni meglio e più velocemente, perché, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, in una società priva dei luoghi e delle garanzie della democrazia rappresentativa, le decisioni sono appannaggio di pochi e strumento di rivalsa contro tantissimi.
Siamo qui per discutere insieme a voi, ma ovviamente riempiendo di senso il nostro contributo e il valore che vogliamo continuare a dare all'idea di democrazia. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Vattuone. Ne ha facoltà.
VATTUONE (PD). Signor Presidente, i colleghi sono già intervenuti quasi tutti, anche in modo esaustivo, e hanno rappresentato bene l'idea e la posizione del Partito Democratico in riferimento al provvedimento in discussione. Anch'io voglio lasciare, pur brevemente, in pochi minuti, traccia di alcune considerazioni, perché le riforme costituzionali - lo hanno già detti tanti miei colleghi - sono all'ordine del giorno in Italia da oltre venticinque anni, anche se non si è mai riusciti a portarle a termine. Quindi sappiamo che il problema c'è e lo condividiamo: anche noi abbiamo tentato. Ma, ad eccezione della revisione del Titolo V della seconda parte della Costituzione, tutti gli altri tentativi sono falliti.
Sappiamo pertanto che c'è questa necessità, perché non c'è dubbio che ci sia bisogno di una riforma istituzionale; non c'è dubbio che ci sia un problema di efficienza del Parlamento, così come di stabilità dei Governi; è altrettanto indubbio che ci sia un aumento - è stato detto a più riprese - del bisogno di partecipazione dei cittadini nella vita della nostra società e delle nostre istituzioni. Ma il bisogno di partecipazione dei cittadini e l'esigenza di costruire un sistema politico che sappia meglio interpretare e rappresentare le necessità dei cittadini, non può partire da una menzogna e da una risposta che è solo di facciata.
Il punto da introdurre è come si affronta, come si approccia una riforma di un sistema complesso come quello della nostra democrazia. Non si può porre la questione solamente in termini numerici di maggiore o minore efficienza, o in termini di riduzione dei costi, nascondendo un principio elementare, cioè il tema - anche questo è stato ricordato a più riprese - della rappresentatività dei parlamentari. Questo tema investe direttamente la qualità del nostro sistema democratico e, di conseguenza, il principio della sovranità popolare.
Quindi già focalizzandoci sul contenuto di questo provvedimento, a fronte delle caratteristiche e le esigenze del nostro ordinamento, ne emerge la pochezza, l'insensatezza e l'arbitrarietà. È una riforma istituzionale che ha ad oggetto esclusivamente la riduzione del numero di senatori e deputati senza ridefinire in alcun modo compiti e funzioni del Parlamento; senza uscire dal bicameralismo perfetto; senza aggiornare la ripartizione di competenza con le Regioni (molto importante), che non tocca in nulla la questione del federalismo, che pure dovrebbe interessare a qualcuno in quest'Aula. Una riforma che non intende migliorare la nostra democrazia, ma ha come scopo unicamente quello di lanciare un messaggio - l'ennesimo per la verità - demagogico, populista e solo in chiave elettorale.
Ad esempio, com'è stato giustamente osservato da alcuni colleghi in precedenza in quest'Aula: perché duecento senatori e quattrocento deputati? Con che criterio si è arrivati a questa cifra? Che visione c'è in questa determinazione? Che impatto ha sulla riduzione del lavoro delle Commissioni e del Parlamento sui procedimenti legislativi, sulla rappresentatività anche dei piccoli territori e dei piccoli Comuni? Questo è stato affrontato anche solo in piccola parte?
Noi lo abbiamo detto e lo abbiamo anche tentato di fare in passato: non siamo contro la riduzione del numero dei parlamentari. Ma ridurre i parlamentari senza una riforma complessiva della Costituzione è un semplice spot, per usare il termine cui hanno fatto ricorso molti miei colleghi e che rende bene. Non serve alla democrazia e non risolve alcun problema. E l'idea di modificare il nostro sistema democratico riducendo solo qualche seggio in Parlamento è veramente repellente.
La scorsa legislatura il Partito Democratico ha proposto una riforma, il cui principio guida era il superamento del bicameralismo paritario. Riteniamo che sia necessario ripartire da questo, ossia dalla necessità di superare un assetto in cui Camera e Senato, eletti con criteri diversi, svolgono le stesse funzioni. Abbiamo presentato degli emendamenti al provvedimento in esame. Discutiamone. Noi vogliamo dare il nostro contributo. Pensiamo che questa sia la prospettiva in grado di permettere una maggiore efficienza e qualità del lavoro delle Camere.
Chiedo l'autorizzazione a consegnare la parte restante del mio intervento affinché sia allegato al Resoconto della seduta. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza in tal senso.
È iscritto a parlare il senatore Galliani. Ne ha facoltà.
GALLIANI (FI-BP). Signor Presidente, signor Ministro, care colleghe e cari colleghi, il Parlamento è l'organo legislativo dello Stato e quindi il luogo più sacro di uno Stato di diritto. Nelle Aule parlamentari nascono le leggi che incidono sulla vita dei cittadini. L'Aula parlamentare è l'essenza più alta della democrazia. Forza Italia è da sempre favorevole alla riduzione del numero dei componenti del Parlamento, ma proprio perché profondamente consapevole dell'importanza fondamentale dell'equilibrio dei poteri all'interno dello Stato di diritto, l'ha sempre concepita in una cornice di riforma complessiva dell'assetto dello Stato. Se si decide di intervenire sul potere legislativo, padre della rappresentanza democratica, lo si deve fare intervenendo, parimenti e nello stesso momento, anche sul potere esecutivo. Ministro Fraccaro, guardo lei perché è a lei che il mio intervento è indirizzato.
Ogni tentativo di riforma del Parlamento, sottoposta anche a referendum, aveva previsto una riduzione del numero dei parlamentari. L'ultima, di iniziativa del Governo Renzi, vedeva peraltro un Senato con funzioni diverse dalla Camera e un diverso bilanciamento dei poteri. La riforma precedente, del 2005, anch'essa sottoposta a referendum con esito negativo, fu quella del Governo Berlusconi. Si trattava però di una riforma di vastissima portata, elaborata dopo un lungo e approfondito confronto parlamentare. Un provvedimento di riforma creato attraverso una precisa architettura costituzionale, che sosteneva un mutamento ampio, veramente articolato e complessivo, all'interno del quale la sostanziosa riduzione del numero dei parlamentari trovava una logica compiuta.
Ribadisco: noi concordiamo sulla riduzione del numero dei parlamentari, purché ciò avvenga all'interno di un più complessivo disegno, in cui vengano ridefiniti i pesi e i contrappesi che sono alla base delle regole democratiche. Adesso - invece - si sta percorrendo una strada assai originale, ma anche molto rischiosa. Da una parte, in Senato, si approva un disegno di legge costituzionale che riduce il numero dei senatori da 315 a 200 e dei deputati da 630 a 400. Nell'altro ramo del Parlamento si porta avanti una proposta costituzionale in cui si introduce il referendum propositivo, che avrebbe validità, laddove approvato dagli italiani, anche senza un quorum definito. In altre parole, una minoranza attiva potrebbe far prevalere le proprie ragioni sulla maggioranza degli italiani e ciò - secondo me - è la negazione della democrazia. Si capisce bene, quindi, che manca un'opera di ingegneria costituzionale che tiene assieme le due riforme proposte dall'attuale maggioranza. Inoltre, si introducono dei pericoli seri per la nostra democrazia perché restano immutate le norme che riguardano gli altri poteri dello Stato, realizzando di fatto uno squilibrio evidente e rischioso. Non fu per caso che, nello scrivere la nostra bellissima Costituzione, i Padri costituenti tennero in estremo conto che nessuno dei poteri potesse prevalere sull'altro.
Quindi, mentre noi restiamo favorevoli alla riduzione del numero dei parlamentari, abbiamo forti dubbi che possano essere efficaci le riforme adottate senza tener conto del fatto che uno Stato democratico deve avere come priorità assoluta quella di garantire la libertà dei suoi cittadini, titolari di diritti, primo fra tutti quello di essere rappresentati. (Applausi dal Gruppo FI-BP. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Mirabelli. Ne ha facoltà.
MIRABELLI (PD). Signor Presidente, in questi giorni in cui abbiamo cominciato a discutere di questo provvedimento mi sono spesso fatto una domanda, dalla quale partirò: a cosa serve, se non ad assecondare un umore che si è sollecitato e l'opinione pubblica, nonché a spiegare che si è trovato rimedio a tutti i problemi dell'Italia, colpendo il Parlamento e diminuendo il numero dei parlamentari?
In realtà, penso che una cosa vada detta: questo provvedimento non migliora nulla, in assenza di un quadro e di un contesto, come hanno già detto molti colleghi. Forse interviene un pochino sulla diminuzione dei costi, ma sicuramente non cambierà il funzionamento del Parlamento; sarà ridotta la rappresentanza dei territori di questo Paese, perché si fa un taglio netto e dritto, che dimezza, senza un ragionamento che tenda a garantire comunque la rappresentanza dei territori. Si lascia il bicameralismo perfetto, quindi non si abbrevieranno i tempi per l'approvazione delle leggi. Insomma, non migliora, nemmeno per i cittadini.
Quale scopo ha, allora? Credo che il provvedimento sia figlio di un'idea che si ispira a un modello di democrazia diversa dalla mia, nella quale abbiamo creduto e crediamo, ma più simile a quella ungherese che a quella liberale italiana. Si tratta dell'idea che chi vince può fare quello che vuole e il Parlamento, sotto questo profilo, diventa uno dei tanti impedimenti: nessuno deve disturbare il manovratore, potremmo dire, né frapporsi tra chi ha vinto le elezioni o ha fatto un contratto di Governo e il popolo. Il Parlamento diventa quindi un orpello, un problema: bisogna svuotarlo e indicarlo come una cosa inutile, per cui è possibile dimezzare i parlamentari, non farlo lavorare e votare una legge di bilancio senza neanche discuterla. Questa è l'idea che ogni tanto mi viene in mente possiate avere.
Poi vedo che quando gli enti di garanzia o le agenzie che dovrebbero rappresentare tutto il Paese dicono qualcosa che va in controtendenza rispetto al pensiero del Governo li si attacca direttamente, insieme alle persone che esprimono quelle idee, senza però mai discuterle; non ci si confronta mai sulle idee, quindi, ma si attacca chi le esprime. Ecco, avete questa idea di democrazia. Gli enti che dovrebbero rappresentare tutti o li occupate, come state facendo adesso con la Consob, o cercate di svuotarli, come avete fatto con l'INPS o con chiunque dia dati diversi da quelli che vi fanno comodo. (Applausi dal Gruppo PD). Penso che una simile idea di democrazia sia pericolosa e sia diversa dalla mia. Mettere lì così, da una parte, la riduzione dei parlamentari e, dall'altra, il referendum propositivo, rappresenta l'idea che il Parlamento e la democrazia rappresentativa vadano superati e cancellati.
Siccome non siamo d'accordo, continueremo a batterci contro una concezione per cui - lo ribadisco - chi dice che una cosa non va bene o dà dati diversi da quelli che fanno bene a questo Governo e a questa maggioranza viene attaccato. Non ci sono, né confronto, né volontà di reagire mettendo in campo altri dati: si attaccano le persone, i giornalisti, i magistrati e chiunque sia di impedimento. È un'idea della democrazia sbagliata e pericolosa. Noi vogliamo una riforma istituzionale che rafforzi la democrazia non che ne inventi una nuova. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore De Bertoldi. Ne ha facoltà.
DE BERTOLDI (FdI). Signor Presidente, cari colleghi, non è certamente difficile per un rappresentante della destra intervenire su questo tema che tanto affascina i colleghi del MoVimento 5 Stelle e questa maggioranza. Voi cercate di recuperare quelle incapacità politiche che avete purtroppo dimostrato in politica economica, volete far dimenticare la recessione e volete far dimenticare quello che non siete stati capaci di fare per il nostro Paese ricorrendo alla demagogia pura e semplice. Lo state facendo e lo avete fatto con il reddito di cittadinanza che, lo ricordo a me e a voi stessi con la matematica che non è un parere ma è oggettiva, è esattamente paragonabile agli 80 euro degli amici del Partito Democratico: cinque miliardi di euro per cinque milioni di persone vuol dire mille euro all'anno per persona, che diviso per dodici mesi vuol dire una media di 80 euro al mese. Quindi non avete avuto neanche tanta fantasia, almeno nei numeri, per differenziarvi dalle precedenti elezioni europee. Avete semplicemente copiato, almeno in termini numerici, la mancia elettorale che qualcuno prima di voi aveva già pensato di dare grazie alla posizione di governo che occupava.
Quindi demagogia: demagogia con il reddito di cittadinanza, demagogia ancora maggiore con la riduzione del numero dei parlamentari. Chi può dirsi contrario? La casta, questa casta che non lavora, che approfitta: riduciamola, andiamo a ridurla ulteriormente; togliamo rappresentatività ai territori, magari anche alle autonomie, così la gente sarà contenta.
D'altra parte, parliamo di chi si diletta ad andare in giro per la Francia con il nuovo profeta della demagogia, di chi dall'India e dal Sudamerica oggi preferisce andare a trovare i gilet gialli, cioè coloro che, tanto per ricordarlo a noi e ai nostri concittadini, stanno bruciando un ponte a settimana. Ricordiamocelo chi sono i gilet gialli, cioè quelli con i quali voi, amici del MoVimento 5 Stelle, state flirtando in questo momento. Da parte di chi segue questa demagogia non c'è da stupirsi che si voglia procedere con demagogia a iosa.
Ebbene, perché affronto con coraggio questo tema e vi sfido? Perché la destra del tema dell'efficienza e della riduzione dei costi se ne è occupata prima di voi e sono gli atti parlamentari che lo dimostrano. Però, vedete, non bastano le parole. La riduzione dei parlamentari può avere un senso, anzi avrebbe un senso, nel momento in cui fosse inserita nell'ambito di un piano organico, nel momento in cui la si coniuga con il federalismo, con il presidenzialismo, con la riforma della legge elettorale e magari, cari colleghi, nel momento in cui non si fa un taglio percentuale indistinto tra la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, perché una cosa è ridurre di 200 parlamentari la Camera e una cosa è portare a 200 senatori il Senato quando già oggi con 300 senatori ci sono evidenti problemi di funzionamento delle Commissioni. Un Senato di 200 rappresentanti significa gravi problemi nel funzionamento delle Commissioni. Quindi, ancora una volta, si dimostra che voi non perseguite la sostanza ma - ahimè - solamente la demagogia. Avete bisogno di coprire le inefficienze economiche e di andare nelle piazze per dire che avete attaccato la casta.
Il ministro Fraccaro, mio concittadino trentino, ieri ha dichiarato che si darà più efficienza alle istituzioni. Ma credete davvero che la vostra proposta di legge sia fatta per dare efficienza? Non voglio insegnare a nessuno che l'efficienza è un equilibrio tra i costi e i risultati. Che risultati volete avere se non costruite nulla intorno al taglio del numero dei parlamentari, che è una misura puramente ed esclusivamente demagogica?
Se fosse solo questo potrei anche essere soddisfatto; o meglio, non sarei soddisfatto ma magari sarei meno preoccupato. Invece purtroppo, anche per la mia professione di economista e di uomo d'impresa, sono abituato a considerare lo scenario più completo, a guardare cosa sta dietro una misura che magari non condivido e che critico, come ho fatto fino ad ora. Ebbene, purtroppo io ho intravisto e vedo l'ennesimo pezzo di un sistema che si vuole demolire: voi volete demolire le istituzioni democratiche, la democrazia rappresentativa, per sostituirla magari con la democrazia, o meglio - come ha detto una collega nelle ore precedenti - con la "democratura" del web. Volete sostituire i parlamentari regolarmente eletti sul territorio con dei parlamentari che magari potrebbero essere estratti a sorte (come il comico genovese ci ha insegnato, uno vale uno); in sostanza pensate a una democrazia che non è più tale, ma che vuole diventare una semplice guida di un software che vuole determinare i destini della nostra Patria. Questo è il messaggio più preoccupante che emerge da questi progetti.
Vi siete mai domandati, cari colleghi, cosa significa mettere insieme vitalizi, finanziamento dei partiti, taglio delle indennità, riduzione del numero dei parlamentari? Significa distruggere la democrazia rappresentativa, offendere i Padri costituenti: abbiate almeno il coraggio di dire che i Padri costituenti erano dei corrotti, erano dei politici che non avevano a cuore il destino dello Stato. Forse non vi rendete conto che quei giovani ai quali tanto parlate, quei giovani ai quali vi rivolgete consci, e alle volte tronfi, della vostra vicinanza alle loro esigenze, quei giovani che magari hanno un lavoro autonomo, che fanno gli idraulici, che hanno una bottega o che sono anche chirurghi o avvocati, sono quei giovani che se a trent'anni dovessero decidere di prestare il proprio tempo alla politica e di venire in queste Aule alla Camera e al Senato, grazie al sistema dei vitalizi così come lo avete concepito non potranno più farlo, perché arriveranno qua magari a trent'anni, non avranno più per dieci anni la possibilità di svolgere il proprio lavoro e a quaranta-quarantacinque anni, quando dovranno tornare a lavorare non sapranno più cosa fare.
Presidenza del vice presidente ROSSOMANDO (ore 17,50)
(Segue DE BERTOLDI). Ecco cosa vuol dire fare demagogia, quindi ben vengano le riduzioni del numero dei parlamentari, ben venga una differenziazione dei vitalizi, ma quando un medico vi dà una cura non vi dice di non mangiare più carboidrati e quindi di stare a dieta, ma di sostituirli o magari di mitigarli e quindi di creare una dieta equilibrata. Voi state semplicemente dando in pasto al popolo delle misure populiste, demagogiche, inefficaci, che purtroppo si riverbereranno sui nostri giovani e sui nostri concittadini.
D'altra parte, cari colleghi, cosa si può dire guardando il funzionamento del Parlamento in quest'ultimo anno? C'è una coerenza: vi ho sempre riconosciuto la coerenza sul piano economico della decrescita felice, ma vi riconosco anche la coerenza della delegittimazione delle istituzioni. D'altra parte abbiamo visto che lo scorso autunno noi parlamentari siamo stati mesi in Commissione bilancio per poi non poter far nulla, ci siamo visti arrivare il testo del disegno di legge di bilancio un minuto prima di portarlo all'esame dell'Assemblea. Questo vuol dire delegittimare il Parlamento. Questo vuol dire leggere un processo completo dove voi mirate a distruggere la democrazia rappresentativa.
Lo si vede in tutti gli atti anche contemporanei, ad esempio sul Venezuela non avete voluto che il Parlamento si esprimesse e magari avete fatto fare una figuraccia a questo Paese, che è l'unico rimasto in Europa, insieme a Cipro e alla Grecia, senza una linea chiara e precisa. Lo si è visto sulla TAV: non volete far pronunciare il Parlamento. Addirittura su questi argomenti nemmeno i referendum vanno bene. In sostanza, volete scardinare un sistema dando in pasto al popolo misure demagogiche e parte di un progetto altamente preoccupante.
Posto quindi che rilevo queste gravi problematicità (perché non si tratta di mere criticità), io, che pure nel merito sarei favorevole alla riduzione dei parlamentari, per protesta e per non prestarmi a questa ignobile attività che state portando avanti, mi asterrò dal voto e uscirò dall'Aula nel momento in cui questo provvedimento verrà votato alle spalle degli italiani e dei giovani del nostro Paese. (Applausi dai Gruppi FdI e FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Testor. Ne ha facoltà.
TESTOR (FI-BP). Signor Presidente, onorevoli colleghi, la proposta al nostro esame si ripete ormai da varie legislature. Diverse sono state le altre riforme costituzionali, più ampie e complessive di quella che esaminiamo oggi, che hanno previsto la riduzione del numero dei parlamentari. Tra le prime proposte votate e approvate dal Parlamento c'è certamente la riforma costituzionale promossa dal Governo Berlusconi.
Oggi ci troviamo ad affrontare un disegno di legge che deriva da quello presentato su iniziativa di Forza Italia, tant'è che il primo disegno di legge è stato presentato in questa legislatura dal senatore di Forza Italia Gaetano Quagliariello. Questo ha indotto gli altri Gruppi a presentare i loro testi. L'ultimo, in ordine cronologico - lo voglio sottolineare - è quello del MoVimento 5 Stelle. Quindi, i 5 Stelle non possono certamente intestarsi un'iniziativa nella quale sono arrivati dopo tutti, per ultimi, come dimostra chiaramente la cronologia di presentazione delle proposte.
Siete arrivati per ultimi a proporre quello che noi proponiamo da anni; a proporre quello che abbiamo già approvato con il Governo Berlusconi, in un contesto di riforma più vasto, e che purtroppo un referendum impostato male non ha confermato. Nonostante ciò, sono veramente convinta che le priorità in questo momento siano altre. Rappresentare le esigenze della gente che chiede un Paese più dinamico, con un'economia che cresca di più, che abbia maggiori occasioni di lavoro: questo è importante. Un'Italia che non chiede elemosine, che non vuole la decrescita in cui ci ha portato una politica che dice no a tutto.
I cittadini vogliono altro. Il Paese attende la riduzione delle tasse, la vera flat tax, gli investimenti in infrastrutture, la politica vera, le grandi opere, la sanità, la grande riforma per il sociale, le politiche a sostegno delle scuole e delle Forze dell'ordine. Vogliono prima di tutto la credibilità dell'Italia nelle sedi internazionali. Vogliono politiche che non frenino l'infrastrutturazione del nostro Paese e che rendano la nostra economia meno fragile e più appetibile per chi vuole investire.
C'è un evidente calo degli investimenti in Italia, accompagnato da una sfiducia nei nostri titoli pubblici. Chi pensate che voglia investire in un Paese dove la giustizia ha tempi indefiniti e non certi? Sono queste le priorità. Gli imprenditori devono essere capitani coraggiosi?
C'è bisogno di opere straordinarie, frutto della ricerca tecnologica più innovativa, come la TAV per collegare l'Italia al resto d'Europa e ai corridoi internazionali, per non tornare indietro e diventare un Paese da terzo mondo, anche se nel linguaggio della politica via web qualcuno ha definito tali opere «un buco».
Tornando a quello che si sta discutendo qui oggi, mi viene da chiedervi: un minor numero di senatori porterà a una maggiore selezione, e quindi verranno eletti soltanto i migliori? Speriamo. Non dimentichiamoci delle minoranze linguistiche che sono tutelate dalla nostra Costituzione all'articolo 6: esse devono essere sempre rappresentate. Lo dicono anche i trattati internazionali e gli Statuti delle autonomie, e spero che sia così anche dopo questa riforma. Non dimentichiamoci il contatto con la propria gente, l'idem sentire con il proprio territorio, che non è cosa da sottovalutare.
Questa riforma segna solo il primo passo verso un chiarimento, dovuto e improcrastinabile, contro ogni proposta demagogica.
Ci auguriamo che il Parlamento, dopo questa riforma, possa lavorare a un nuovo Regolamento; un Regolamento del Senato che riequilibri i poteri tra Parlamento e Governo. Un riequilibrio che veda la nostra Repubblica parlamentare non soccombere, come oggi, alle proposte meramente demagogiche. Una riforma che veda trionfare la proposta e il confronto in Parlamento, rispetto al soddisfacimento delle esigenze del bulletto di turno. Resta per noi fondamentale il rispetto della democrazia, del dibattito e del sano e costruttivo confronto, che dia valore prima di tutto alle esigenze dei cittadini, che qui siamo chiamati a rappresentare.
Concludo dicendo che oggi ho sentito parlare di minoranze linguistiche: un valore aggiunto per la nostra Nazione. Spero che non siano dimenticate - e ringrazio il Ministro - e che vi sia sempre la giusta considerazione delle minoranze, che oggi qui rappresento in Senato. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Iori. Ne ha facoltà.
IORI (PD). Signor Presidente, purtroppo la logica è sempre la stessa: anche in questo caso abbiamo propaganda, demagogia, antipolitica, anticasta e tutto quanto è stato già sottolineato negli interventi che mi hanno preceduto. Una riforma costituzionale si può ridurre ad un semplice taglio del numero dei parlamentari? Sia chiaro che non siamo contro il taglio in modo pregiudiziale, ma riteniamo che questa proposta sia solo una sforbiciata, che non affronta la complessità e le criticità che ne conseguono sul piano della democrazia.
Il Parlamento deve rappresentare i diversi interessi, obiettivi e ideali politici che esistono nella popolazione, ma capisco che nella democrazia diretta, del click, questo non sia un gran problema. Tuttavia, per noi testardi difensori della democrazia parlamentare, è invece una questione ineludibile. Se in un certo senso è comprensibile che si voglia mandare un segnale forte di discontinuità, con una politica che avete rappresentato come malata, credo che il cambiamento di policy e ancora di più i cambiamenti istituzionali dovrebbero comunque essere discussi entro un disegno complessivo, perché la semplificazione non risponde alla complessità del tempo in cui viviamo e tantomeno si addice e si combina con la democrazia.
Prima di cambiare il numero dei parlamentari bisognerebbe innanzitutto porsi il problema della rappresentanza. Il Parlamento deve rappresentare al meglio i diversi interessi, gli obiettivi politici e i punti di vista che coesistono nella nostra cittadinanza e deve poterlo fare in modo corretto, coerente e consapevole. Chi insiste, giustamente, sul fatto che in Parlamento debbano entrare categorie sottorappresentate, come ad esempio le donne, non può simultaneamente chiedere di dimezzare il numero dei parlamentari senza porsi il problema del chi avrà accesso ad un Parlamento dimezzato. Nel testo avete deciso di ampliare ulteriormente la forbice tra eletti e abitanti: come pensate che sia possibile dare corso all'esercizio reale della funzione rappresentativa? Questa vostra proposta rischia di creare dei seri problemi di rappresentanza delle Regioni più piccole, come la Valle d'Aosta, l'Umbria, il Molise, la Basilicata e la Sardegna, che correrebbero il serio rischio di non avere eletto alcun candidato, soprattutto al Senato, dove, tenuto conto dell'esiguo numero di rappresentanti, potremmo avere eletti solo nelle Regioni più popolose, con il più alto numero di abitanti.
Un'altra considerazione di carattere organizzativo: anche l'attività dei parlamentari si fonda su un lavoro collegiale nelle Commissioni, sulla divisione del lavoro, sulla specializzazione; e le Commissioni istituzionalizzano proprio questa necessità. Non si può dunque voler dimezzare il numero dei parlamentari e pensare che la qualità delle leggi non ne risenta. Anche per questo servirebbe allora una vera riforma costituzionale, con il superamento del nostro bicameralismo perfetto. Il funzionamento dell'attuale sistema si è dimostrato lento e macchinoso, in comparazione soprattutto con gli altri sistemi, dove le seconde Camere si occupano generalmente di questioni territoriali.
Ecco, continuate a dimostrare la vostra poca attenzione nei confronti della dialettica parlamentare, ma è un atteggiamento che non stupisce, perché è un profondo antiparlamentarismo quello che anima tutto il provvedimento. Noi abbiamo presentato degli emendamenti, affinché, riducendo il numero dei parlamentari, non si mettano in discussione i principi della democrazia rappresentativa. Un atteggiamento pregiudiziale nei confronti di questo provvedimento vi serve solo per fare campagna elettorale e non per migliorare il sistema.
Ora, se Dossetti, Padre costituente e mio concittadino, affermava che la Costituzione l'abbiamo fatta con spirito di rinnovamento, possiamo dire che il rinnovamento non è certamente lo spirito di questa vostra proposta. Bene, così noi non ci staremo, e non perché siamo pregiudizialmente contrari, ma perché la forma in cui viene presentata rappresenta un arretramento istituzionale e democratico e non certo un avanzamento. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Marino. Ne ha facoltà.
MARINO (PD). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghe e colleghi, ho seguito il dibattito devo dire con un qualche stupore in alcuni passaggi, per l'eterogeneità delle argomentazioni addotte fino a quando la maggioranza è intervenuta. Avrei ascoltato con molto piacere le argomentazioni del presidente Calderoli in qualità di relatore, perché lo apprezzo e conosco la sua capacità di argomentazione, ma soprattutto perché avrei sperato di capire qual è la ratio del provvedimento. Sono sicuro che non mancherà occasione, durante la replica.
Ho allora seguito le indicazioni che lui ci aveva dato e sono andato a leggermi la relazione cui ci aveva rimandato. Quando leggo che «nel corso dei dibattiti sviluppatisi negli ultimi venti anni intorno alla revisione dell'assetto costituzionale dello Stato, da più parti si è invocata la necessità di ridurre il numero dei parlamentari», permettetemi di dire che lo trovo un po' riduttivo. Ma poi, se continuo e leggo «con il duplice obiettivo di aumentare l'efficienza e la produttività delle Camere e, al contempo, di razionalizzare la spesa pubblica», ecco, qui mi sembra che si stia un po' esagerando. Se mi posso permettere un suggerimento, io penso che, per migliorare il funzionamento delle Camere, dovremmo cominciare ad applicare il Regolamento del Senato che abbiamo approvato il 20 dicembre della scorsa legislatura e che ancora non abbiamo posto in essere. Già un primo risultato potremmo ottenerlo, perché attuare principi come quello della programmazione penso che sarebbe un qualche cosa che migliorerebbe la qualità della vita tutti quanti noi. Sono dieci anni che sono indegnamente in questo Senato e devo dire che non ho mai lavorato così male come dall'inizio di questa legislatura, in cui la programmazione non c'è stata assolutamente. (Applausi dal Gruppo PD). La seconda affermazione invece, quella relativa alla razionalizzazione della spesa pubblica, la ritengo un po' riduttiva e mi limito a quello che hanno già detto gli altri colleghi parlando della differenza fra i costi della politica e i costi della democrazia, che ritengo assolutamente fondamentali.
Tutto questo però significa non essere contrario alla diminuzione del numero dei parlamentari, ma voler capire che cos'è e all'interno di quale progetto questa riforma è inscritta. Cambia molto, dal mio punto di vista; anzi, direi che cambia quasi tutto. Cambia avere in testa un modello di Stato oppure cercare di accontentare l'opinione pubblica. Nella riforma del 2005 - che io non condividevo - e in quella del 2016 - che condividevo - c'era una riforma di Stato. Qui mi sembra che ci sia semplicemente un tentativo di scagliarsi acriticamente e in maniera non neutra contro i simboli delle istituzioni, perché all'orizzonte ci sono le elezioni europee. E, siccome la situazione in Italia peggiora, siamo in recessione - possiamo utilizzare questa parola? - a causa delle politiche sbagliate del Governo e gli indicatori economici sono preoccupanti, allora noi ci occupiamo della riduzione dei parlamentari.
Non vedo un progetto, ma vedo tanta confusione. Ancora peggio la vedo, se la pongo in relazione, alzando lo sguardo, all'intervento che si sta facendo alla Camera dei deputati sul referendum propositivo: la difficoltà di attuazione di questo referendum è veramente grande (a me capitò di occuparmene da presidente del consiglio comunale a Torino) e, soprattutto, un referendum propositivo finisce per limitare i poteri dell'organo assembleare, in questo caso del Parlamento. Vedo il combinato disposto di queste due norme con preoccupazione, soprattutto perché, in un momento difficile come l'attuale, penso che questi comportamenti finiscano per minare in maniera significativa l'essenza stessa della democrazia.
Norberto Bobbio scriveva nel libro «Il futuro della democrazia», un simpatico pamphlet edito da Einaudi, che la democrazia non è il sistema perfetto, ma il sistema migliore, perché permette di stabilire chi assume decisioni sulle basi di quelle regole. Allora, personalmente, vedo nell'attacco al Parlamento un attacco - permettetemi - alla stessa democrazia. Ma questo, perché capita?
Dall'inizio della grande crisi, oggettivamente, è aumentato il numero di cittadini che hanno la sensazione di aver perso il controllo del proprio destino. C'è un forte senso di insicurezza che parte dalla dimensione economica e si allarga alla visione sociale della persona. La risposta non può essere la banalizzazione populista del «riduciamo il numero dei parlamentari». Vi dico però che dietro questo progetto intravedo o penso di intravedere qualcosa, ma se così fosse mi piacerebbe che affrontassimo il tema, sentendo anche le voci della maggioranza, per evitare di sfogliare la margherita o, meglio ancora, il carciofo. Quello che vedo, comprendo e intuisco è che dietro di ciò ci sono le teorizzazioni di Michel Houellebecq, filosofo citato da diversi esponenti del MoVimento 5 Stelle, che sostiene la fine della democrazia come l'abbiamo conosciuta finora: «Io non voglio essere rappresentato. Voglio essere consultato, di continuo, su ogni argomento». Questo è un auspicio di democrazia diretta che si scontra con i principi della democrazia rappresentativa e la democrazia parlamentare è una sottospecie di democrazia rappresentativa. Allora, se il confronto è su questi temi, accettiamo a viso aperto il confronto su questi temi, ma non mistifichiamo la realtà.
Si ritiene addirittura che sia antidemocratica l'affermazione per cui c'è una presunta incompetenza dei cittadini. No, quello che viene proposto è la teoria dell'onniscienza. Adesso c'è la tecnologia che permette di consultare le persone in maniera precisa e puntuale. Non ho il tempo per farlo, ma per cultura generale vi rinvio, come lettura, a Tom Nichols, «La conoscenza e i suoi nemici. L'era dell'incompetenza e i rischi per la democrazia». (Applausi dal Gruppo PD). Ci sarebbe molto da discuterne all'interno di questo Parlamento. Questo è il futuro che prefigurate? La falsa promessa che fate agli elettori di restituire loro il controllo su tutto? Penso che questa sia una cosa estremamente difficile.
Tutto questo non è la mia visione riformista del futuro del Paese. So che non è facile, a me viene in mente un libro molto bello di Federico Caffè, «La solitudine del riformista», di cui consiglio la lettura, anche questo per cultura generale, ma voglio declinare quei concetti alla mia maniera. È per questo che chiudo dicendo quella che per noi è la profonda differenza fra noi e voi di fronte a un problema: i populisti cercano un colpevole, oggi sono i parlamentari, domani saranno i magistrati o i giornalisti; i riformisti cercano una soluzione e noi siamo orgogliosamente riformisti. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Zanda. Ne ha facoltà.
ZANDA (PD). Signor Presidente, definirò il mio voto dopo le decisioni dell'assemblea del mio Gruppo e lo dico solo per premettere che questo mio intervento avrà un carattere esclusivamente politico, che però è naturale, perché la natura di questo provvedimento è certamente politica.
Nella passata legislatura ho presentato un disegno di legge che prevedeva la riduzione del numero dei parlamentari nella stessa misura della proposta che stiamo discutendo e verso la quale non ho quindi alcun pregiudizio negativo. Ma in termini politici molto è cambiato nel nostro Paese con il risultato elettorale del 4 marzo: il quadro politico si è radicalmente modificato e l'Italia è passata da una prospettiva democratica di ammodernamento delle sue istituzioni all'annuncio di un radicale sconvolgimento della democrazia parlamentare. La riduzione del numero dei parlamentari, presentata in tempi di riformismo democratico, è diventata dal 4 marzo una cosa diversa, una mossa preparatoria di un futuro istituzionale democraticamente equivoco. Futuro equivoco per l'oscurità del modello costituzionale verso cui MoVimento 5 Stelle e Lega vogliono portare l'Italia e perché nessuno sa in che modo le loro iniziative, sia quelle già all'esame del Parlamento, sia quelle contenute nel contratto di Governo, concorrano a realizzare quella democrazia diretta che, per quel poco che se ne sa, è molto pericolosa per l'Italia. La domanda è questa: dove Lega e MoVimento 5 Stelle vogliono portare il nostro Paese? Sulle loro strategie costituzionali di fondo non sappiamo nulla di nulla, possiamo solo cercare di connettere tra loro posizioni che, pur così disordinate, sono tutte indirizzate a scardinare i principi della democrazia parlamentare. Non c'è soltanto il trattamento riservato al Senato nello scorso dicembre in occasione della legge di bilancio e che possiamo definire eversivo e al quale si sono riferiti molti degli interventi che mi hanno preceduto, ma c'è anche il vincolo di mandato previsto dal contratto di Governo e ci sono le dichiarazioni di Casaleggio, Grillo e Di Maio sul superamento della democrazia e sulla inutilità del Parlamento. Ci sono poi i magistrati e c'è la Banca d'Italia a cui, secondo Salvini e Di Maio, è negato il diritto di parola perché non sono stati eletti. (Brusio).
PRESIDENTE. Mi scusi un momento, senatore Zanda. Colleghi, mi rivolgo soprattutto a voi che occupate la parte destra dell'emiciclo, vi invito a far cessare il brusio, perché è davvero difficile seguire l'intervento.
Prego, senatore Zanda, prosegua.
ZANDA (PD). Io non sono capace di parlare a voce alta, quindi la ringrazio molto Presidente se regolerà il brusìo nell'Aula.
C'è infine «Gaia», un filmato del 2008 di Gianroberto Casaleggio, che prevede che dopo una lunga e devastante guerra avremo un nuovo ordine mondiale dominato dalla rete, senza più Stati né partiti né ideologie né religioni, dove ogni uomo per esistere dovrà essere nella rete, perché fuori dalla rete nessuna persona esisterà. Come si fa a non prendere sul serio questi annunci? Sono tutti coerenti tra loro e provengono da personalità che oggi governano l'Italia. Come si fa a non tener conto che nessuna di queste dichiarazioni sia stata mai smentita? Così come non si può non vedere che la presa di distanza dei 5 Stelle dell'evocazione antisemita dei Protocolli dei Savi di Sion da parte di un loro senatore sia stata tanto lieve da essere passata inosservata. (Applausi dal Gruppo PD).
Con la nuova politica, tutto diventa possibile: dall'abolizione del Parlamento al superamento della democrazia, ai Protocolli dei Savi di Sion, tutto fa pensare che 5 Stelle e Lega abbiano scelto di trattare il Parlamento e la democrazia rappresentativa come un qualsiasi ortaggio che si può spogliare e indebolire foglia dopo foglia. È per questa ragione che, fino a quando al Parlamento e al Paese non verrà chiarito come e quando maggioranza e Governo intendono realizzare la democrazia diretta, dobbiamo usare il massimo rigore non solo sul progetto di riduzione del numero dei parlamentari, ma anche su qualsiasi altra equivoca proposta di modifica delle nostre istituzioni rappresentative.
Voglio dirlo con chiarezza: nella sua essenza, la scelta dei costituenti a favore della democrazia parlamentare è uno dei principi supremi che la Corte costituzionale ha dichiarato immodificabili. Non è accettabile che uno stravolgimento così profondo avvenga pezzo dopo pezzo, con provvedimenti abilmente distribuiti un po' alla Camera e un po' al Senato.
L'antieuropeismo, l'amicizia con leadership autoritarie e la politica migratoria sono alcuni degli ingredienti della deriva di paura e di odio con i quali 5 Stelle e Lega stanno cercando di cambiare, incattivendola, la natura degli italiani. È su questo sfondo di propaganda martellante, fatta di disvalori e incultura, che si inseriscono gli attacchi al Parlamento, alle aree più delicate della pubblica amministrazione, alla libera stampa e alla magistratura.
A proposito della magistratura, non stupisce che Matteo Salvini rifiuti il processo. Tutti ricordano quando al magistrato che gli aveva mandato l'avviso di garanzia diceva: «io sono stato eletto e lui no». È sufficiente riguardare il filmato "Gaia" per capire che la democrazia diretta non prevede corpi intermedi tra chi comanda e un popolo destinato solo ad ubbidire; un regime dove il primato della politica si stinge in una formula nuova, fatta di populismo, sovranismo e autoritarismo che usano la Rete per convivere in un patto di potere, al solo scopo di governare insieme.
Mi vorrei rivolgere ai due Capigruppo della maggioranza, i senatori Patuanelli e Romeo, che non vedo in Aula ma a cui spero vengo riferito di questo intervento. Come si fa ad accettare singoli pezzi di riforma senza che almeno ci sia un ampio confronto in Parlamento sull'obiettivo finale, sulla riforma complessiva? Lega e 5 Stelle hanno i numeri; li usino per promuovere un grande dibattito parlamentare che metta a confronto la democrazia parlamentare con la loro democrazia diretta. (Applausi dal Gruppo PD). Se questa è la sfida, affrontatela con trasparenza, senza sotterfugi. Abbiate il coraggio di aprire qui in Senato una discussione seria sulle vostre idee: ne trarremo tutti grandi benefici e finalmente gli italiani capiranno di cosa stiamo parlando.
Tutti sappiamo che le nostre istituzioni vanno riformate e che la stessa democrazia parlamentare va rinnovata. Ma non così. Prima di abbandonare quella centralità del Parlamento che ci hanno insegnato con tanto sacrificio Moro e Berlinguer, La Malfa e Saragat, De Gasperi e Togliatti, Einaudi e Nenni, ci vorrebbe qualcosa di più convincente, in termini democratici, della generica allusione alla democrazia diretta di Di Maio e Salvini. (Applausi dal Gruppo PD).
Chiudo con un'ultima considerazione. Da qualche giorno l'Italia è ufficialmente in recessione ed è certo che i nostri problemi non saranno risolti dall'annuncio dell'avvocato Conte e dell'onorevole Di Maio di un 2019 bellissimo e di un boom economico come negli anni Cinquanta e Sessanta. Ma Conte, Salvini e Di Maio, con il loro parlare vano e i loro tweet, hanno messo in evidenza una grande questione e cioè il rapporto tra economia e politica. Hanno reso chiaro che le dichiarazioni di Toninelli su Lione e di Di Battista su Maduro sono strettamente collegate alle difficoltà della nostra economia.
C'è un filo rosso che lega politica ed economia. Quando a una crisi economica grave si sovrappone un Governo litigioso che progetta riforme pericolose, allora i guai diventano molto, molto seri. Ed è proprio per il forte legame tra politica ed economia che la prospettiva dell'introduzione in Italia di una incostituzionale democrazia diretta pesa molto, oltre che sul nostro futuro e sul nostro isolamento internazionale, anche sul nostro destino economico e sulle decisioni degli investitori e dei mercati.
È per l'insieme di queste ragioni che considero la riduzione del numero dei parlamentari non una misura di razionalizzazione del lavoro parlamentare, ma un tassello dell'opera di demolizione della nostra democrazia rappresentativa. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bressa. Ne ha facoltà.
BRESSA (Aut (SVP-PATT, UV)). Signor Presidente, siamo di fronte al primo atto della riforma costituzionale della maggioranza Lega-5 Stelle, riforma che sappiamo essere necessaria. In discussione, infatti, non è il se, ma il come farla. Quando si parla di riforma costituzionale, si parla del confronto più alto tra la politica e il diritto.
Il professor Leopoldo Elia, Presidente emerito della Corte costituzionale, diceva che per comprendere il contenuto e gli effetti degli istituti giuridici è necessario ricostruire i processi storici e analizzare le caratteristiche del contesto politico e culturale. Egli citava una famosa opinione del giudice della Corte suprema degli Stati Uniti d'America, Felix Frankfurter, a proposito del diritto, che deve essere fondato su qualche cosa di molto più profondo e plausibile della preferenza personale, dovendosi basare su premesse fondamentali radicate nella storia. Se non si è capaci di questo, si può aspirare al massimo a fare un bricolage costituzionale.
Ma se le premesse fondamentali radicate nella storia risiedono nel fatto che solo la nostra Costituzione e quella del Belgio del 1831 contemplano un bicameralismo perfetto, con una posizione equivalente delle due Camere, qual è l'indirizzo generale, la visione, la cultura istituzionale che sostiene questa vostra riforma del bicameralismo? Non si vede, non c'è. Non si va oltre lo slogan del «dimezziamo il numero dei parlamentari» in nome della riduzione dei costi della politica.
L'intento è condivisibile e anche percorribile. Nelle nostre proposte di riforma c'è stato e c'è il fondamento radicato nella storia: il superamento del bicameralismo perfetto. Per voi, questo fondamento radicato nella storia è la riduzione dei costi della politica, tuttavia tale riduzione non può mai mettere in dubbio i costi per la democrazia.
Due Camere uguali, che fanno le stesse cose, una la metà dell'altra. Avete pensato al livello e alla qualità del lavoro di una Camera composta da 200 persone chiamate a un'intensa attività legislativa, di indirizzo e controllo politico, così come l'attuale? 12 Commissioni, 16 componenti per ciascuna, con una maggioranza di 9 componenti, solo per fare un esempio.
Max Weber diceva che si può odiare o amare l'istituzione parlamentare, ma abolirla non si può, la si può soltanto rendere politicamente impotente. Ed è quello che vi avviate a fare, in modo più sottile ed efficace che aprire una scatoletta di tonno. Ma è pericoloso, molto pericoloso. Un pericolo che va segnalato con chiarezza e determinazione.
Questo nostro tempo è prigioniero di una concezione elementare della democrazia, come onnipotenza della maggioranza e del suo capo, in quanto espressione della volontà popolare; una sorta di feudalizzazione della politica basata sullo scambio tra fedeltà e protezione. In questa logica, il Parlamento è un ostacolo e allora tanto vale renderlo inoffensivo. Questo è il vostro primo passo, onorando - a modo vostro - la richiesta popolare di abbattere costi e privilegi, rendendovi protagonisti di un'ordalia istituzionale senza precedenti. Ma tutto questo a cosa porta? A uno svilimento del Parlamento e della democrazia rappresentativa.
Aldo Moro diceva: «Io non credo che la politica sia pura convenienza, ha coefficienti di convenienza ma non è pura convenienza; la politica è anche ideale». Voi siete i professionisti della convenienza, che però è passeggera e, quando è passata, dovrebbe sorreggervi l'ideale. Ma qual è l'ideale che vi tiene insieme? La risposta è molto difficile, probabilmente si tratta di un malinteso senso del potere, senza idealità, senza responsabilità.
Per questi motivi, voterò contro questa vostra pseudoriforma. Un no che va oltre il merito della proposta, per denunciare il vostro disegno di delegittimazione della democrazia rappresentativa e parlamentare. Il mio è un no politico a questo disegno inconfessato e inconfessabile. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice De Petris. Ne ha facoltà.
DE PETRIS (Misto-LeU). Signor Presidente, come vedete, ho qui sul banco un piccolo libricino che ho preso l'abitudine di portare sempre in borsa, per averlo a portata di mano. Si tratta della Costituzione della Repubblica italiana, in un formato che mi permette ogni volta di consultarla, per trarne sempre ispirazione. Ho iniziato a farlo nella legislatura in cui cominciò il percorso della riforma costituzionale di Berlusconi (il senatore Calderoli era sempre relatore), perché mi permetteva di avere una guida e un punto di riferimento preciso. Ovviamente ho continuato a farlo anche in tutta la fase della scorsa legislatura, nella quale abbiamo affrontato una discussione molto complicata e una battaglia referendaria sulla riforma Renzi-Boschi (o Boschi-Renzi). Per la verità, avevo anche creduto alla sincerità della battaglia referendaria che i Cinquestelle avevano condotto nelle Aule di questo Senato e alla Camera. Abbiamo persino presentato insieme alcuni ricorsi al TAR sui quesiti referendari. Voi mi direte: «eppure, dopo tanto tempo, dovresti essere abituata: sei stata molto ingenua». Ci avevo creduto sinceramente, convinta che difendere la Costituzione e portare avanti una battaglia contro quella riforma significasse poi, nel momento in cui si arrivava a diventare il partito di maggioranza relativa, affrontare quelli che, ci eravamo ripetuti in tutti questi anni, erano i nodi veri per quanto riguarda le riforme costituzionali e la questione di ridare forza alla democrazia parlamentare e rappresentativa.
Come ha detto questa mattina il mio collega, senatore Errani, è evidente - e nessuno di noi può non vederlo o tacerlo - in cosa consistano la difficoltà e la crisi della democrazia rappresentativa, la crisi del rapporto tra cittadini e istituzioni e tra rappresentanti e rappresentati, e quali siano i problemi nel far vivere con forza la democrazia parlamentare. Ci troviamo invece di fronte a uno scenario molto diverso, fatto di questa proposta e di dichiarazioni e alimentato in realtà, ancora una volta, da un'altra malattia, che contraddistingue - ahimè - la storia di questo Paese, quella dell'antiparlamentarismo. Tutto - la difesa della Costituzione, la battaglia referendaria e quella contro quella riforma costituzionale - si è trasformato in un fortissimo antiparlamentarismo, che adesso assume i connotati dell'anticasta. Nella storia del nostro Paese l'antiparlamentarismo ha assunto elementi sempre forti - e penso al 1919 - che sapete bene cos'hanno prodotto; è un fiume carsico, che emerge, poi torna in profondità, quando ci sono gli anticorpi, per poi riemergere nuovamente e questa è la fase storica in cui sta riemergendo con forza. Ebbene, mi rivolgo a quello che è diventato il partito di maggioranza relativa: questa forma di antiparlamentarismo è diventata la caratteristica fondamentale di qualsiasi questione venga affrontata. Aver iniziato alla Camera l'altra parte della riforma, sui referendum propositivi, non è stato uno strumento atto a rinforzare ulteriormente la democrazia rappresentativa, nel tentativo di superare lo iato esistente tra cittadini e istituzioni e tra rappresentanti e rappresentati. No: anche quella è diventata la retorica della democrazia diretta, contrapposta nei fatti al Parlamento. Questo è quanto non possiamo che constatare. E questo - lo dico al ministro Fraccaro - è molto pericoloso. Le varie forme di democrazia partecipata e diretta (io ho cominciato ad occuparmene quando avevo 18, 19 anni) devono essere uno strumento per rafforzare la democrazia rappresentativa, la democrazia parlamentare.
E allora, dato che dicevamo insieme, in quest'Aula, che nella riforma del Governo Renzi c'erano degli elementi pesanti di supremazia dell'Esecutivo sul Legislativo, il primo intervento da fare, la prima questione da affrontare e da prendere di petto - questa sì urgente, urgentissima come abbiamo visto in questi primi mesi di Governo - era la decretazione d'urgenza, la questione delle fiducie, fare in modo che riemergesse con forza l'equilibrio dei poteri, ridando forza al Legislativo e confermando l'Esecutivo per la parte che deve svolgere. In questi primi mesi è accaduto esattamente il contrario.
Voi come rispondete? Da una parte, sugli istituti del referendum; al Senato, invece, presentate, nuda e cruda, con motivazioni che sono più legate ai cosiddetti costi e quindi ai risparmi, la riduzione dei parlamentari (e poi chiariremo dove è ancorata) senza affrontare la questione, vera, dell'efficienza. Non potete presentare la riduzione dei parlamentari come un modo per snellire le procedure. Sapete meglio di me che dobbiamo affrontare - questo sì che sarebbe importante per il Paese - il modo in cui legiferiamo, il modo disordinato in cui si producono le leggi, il fatto che si producono le leggi e poi non si fanno i decreti attuativi, oppure il fatto che dopo un mese che è stata promulgata una norma, magari con la fiducia, si producono altre norme che contraddicono la prima.
Quando avete fatto le consultazioni per tentare di formare il Governo, una delle questioni che avevate posto - lo dico perché siamo stati invitati da voi, abbiamo detto quello che pensavamo e voi quello che pensavate - era relativa a come si interviene legiferando attraverso il sistema dei codici monotematici, un modo ordinato per produrre meno leggi e per fare leggi che fossero più ordinate. Questo risponderebbe all'esigenza di dare efficienza allo Stato e alla macchina amministrativa. E invece no. Ancora una volta, siete stati presi dalla normalità, iniziata in questo Paese agli albori degli anni Ottanta, per la quale l'unico mantra, ripetuto ossessivamente, era quello delle riforme costituzionali: prima la Commissione bicamerale Bozzi, poi abbiamo avuto la bicamerale D'Alema e poi tutti i vari tentativi, perché alla fine quel mantra era solo un modo con il quale le classi dirigenti si davano un alibi, dicendo che non era loro la colpa se non si producevano risultati importanti per il Paese, non era colpa loro se le persone avevano problemi, ma era necessario intervenire sulla Costituzione. Alla fine, si scaricavano le proprie responsabilità sulla Costituzione. Anche voi vi siete fatti prendere da quel mantra. Certo, correttamente applicate l'articolo 138, perché non fate una riforma ampia ma una cosa molto più selettiva, ma alla fine, dal punto di vista dell'ispirazione culturale, benvenuti anche voi nella normalità degli altri, di quelli che hanno pensato sempre di poter scaricare tutto sulla Costituzione.
Ci si sta avviando ma i contorni di dove si vuole arrivare non sono chiari, perché voi ci state facendo discutere della riduzione dei parlamentari e poi - e lei lo sa, Ministro - il Consiglio dei ministri ha all'ordine del giorno, per il 15 febbraio, la riforma sull'autonomia rafforzata, di cui il Parlamento può al massimo prendere visione, può dire sì o può dire no, ma non può intervenire, ed è una questione che le abbiamo posto perché sarebbe davvero un cambio di scenario negli assetti dello Stato. Questo è il punto.
Questi sono i veri problemi da affrontare per rafforzare la democrazia parlamentare. Come la rafforziamo? Con il farci votare la legge di bilancio portata all'ultimo secondo? Questo è il rafforzamento della democrazia parlamentare? Come pensate di fare? Pensate semplicemente di ridare voce e forza ai cittadini, di ricostruire un rapporto tra rappresentati e rappresentanti solo con la retorica della democrazia diretta? Non lo si può fare, se non ridando energia alla democrazia parlamentare, come ha detto bene il senatore Zanda e come intendo dire in chiusura. L'ispirazione dell'assetto scelto dai Padri e dalle Madri costituenti è stato quello della democrazia parlamentare. Questo è il punto. Invece, qui ci si sta avviando concretamente, nella prassi e nelle vostre dichiarazioni, verso un percorso che sarà quello di negare alla radice la democrazia rappresentativa e di questo vi state assumendo, ancora una volta, la responsabilità.
Aggiungo un'altra considerazione: tutti hanno provato ad accarezzare la bestia, voi siete stati maestri ad accarezzare la bestia dell'antiparlamentarismo, ma poi questo si è ritorto contro coloro che lo hanno fatto e, purtroppo, si è risolto con un indebolimento forte degli istituti parlamentari e della democrazia. Questo non è un modo per creare la possibilità di un futuro per questo Paese. (Applausi dai Gruppi Misto-LeU e PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ferrari. Ne ha facoltà.
FERRARI (PD). Signor Presidente, se dicessi che il Partito Democratico è fortemente a favore della riduzione del numero dei parlamentari, come ampiamente dimostrato nella propria storia in tentativi seri che promuovevano esattamente questo obiettivo; se dicessi che il modo demagogico con cui voi state compiendo questo atto, o raggiungendo questo obiettivo, non ci appartiene; se dicessi che non siamo d'accordo con la demolizione della democrazia rappresentativa parlamentare; se dicessi che non c'è nessuna traccia di differenziazione tra i poteri delle due Camere e che quindi secondo noi - e lo diciamo a ragion veduta, sulla base di ciò che questo Paese ha discusso e studiato per settant'anni - non c'è nessun miglioramento che porti le istituzioni italiane a sostenere lo sviluppo di questo Paese; se dicessi tutte queste cose farei un elenco esaustivo di considerazioni che certamente segnano la posizione del Partito Democratico, che non è un no pregiudiziale, anzi direi che è quasi un sì pregiudiziale, ma che è certamente un no al modo con cui voi state conseguendo questo obiettivo.
Tuttavia, siccome per natura sono prudente e non esiste una materia come quella della riforma costituzionale che induca e imponga a tutte le parti di dialogare, un dialogo provo a farlo anche in questi pochi minuti. Siamo inciampati in diverse occasioni, in tutte le nostre diverse carriere politiche, nella provocatoria espressione machiavelliana secondo la quale il fine giustifica i mezzi e penso che in questo caso sia appropriata: qual è il fine e qual è il mezzo, penso sia il vero tema del passaggio parlamentare che stiamo vivendo. Così come è veramente il tema capire se stiamo parlando di riduzione o di numero e anche in questo caso la differenza non è irrilevante (aspettiamo che si concluda il cambio della Presidenza, così consentiamo ai colleghi di provare almeno ad ascoltare una richiesta di dialogo).
Presidenza del presidente ALBERTI CASELLATI(ore 18,41)
(Segue FERRARI). Dicevo che non è rilevante distinguere il significato di riduzione e di numero. Se guardiamo all'oggi, sembra che il fine sia la riduzione del numero dei parlamentari. È evidente, infatti, qual è stato il comportamento tenuto dalla maggioranza, insieme al Governo, rispetto a questo Parlamento negli ultimi mesi: un atteggiamento di grande discredito, di mancanza di rispetto, di mancanza di considerazione. Sono evidenti, palesi, lampanti, pubbliche le dichiarazioni di alcuni leader dei movimenti che sostengono questo Governo, in particolare quelle di Davide Casaleggio; è evidente la combinazione con l'altra riforma che sta prendendo corpo nell'altro Ramo del Parlamento, quella che rivede il funzionamento dei referendum. Quindi, mettendo insieme tutti questi aspetti, capiamo che la riduzione per voi è un fine; il fine è esattamente quello di dire che, siccome il Parlamento serve sempre meno in questo Paese, tanto vale ridurlo; non c'è alcuna rilevanza nel fatto di avere un numero di parlamentari così ampio.
Se lo fate per una ragione di sobrietà della politica e delle istituzioni, lasciateci dire che ci sono diversi altri modi per garantire la sobrietà, per mostrare, dare l'esempio sulla sobrietà: è nel modo con cui si parla ricoprendo cariche istituzionali importanti; è nel modo con cui ci si veste; nel modo con cui ci si relaziona con gli altri Paesi, non solo della nostra Unione europea ma del mondo. (Applausi dal Gruppo PD). È nel modo con cui si difende l'immagine dell'Italia in occasioni come quella del Venezuela. Tutto questo è sobrietà e non mi pare - a partire dal modo con cui utilizzate la lingua italiana - che di questa sobrietà vi facciate carico fino in fondo: è quindi evidente che non sarà semplicemente la riduzione dei parlamentari che può consentirvi di raggiungere l'obiettivo.
Se guardiamo a «ieri», il numero - non la riduzione - era il mezzo, perché ieri, cioè quando questo Parlamento è stato fondato, l'obiettivo era rappresentare, unire, consolidare l'unità del Paese; è stato costituito e pensato per gestire qui dentro i conflitti sociali. È stato pensato per imparare la democrazia e questa è un'espressione estremamente importante, a cui credo dobbiamo rivolgere le nostre riflessioni.
Con questo provvedimento avete pensato - nella migliore delle ipotesi - di provare a interpretare i cambiamenti in atto della nostra società, del mondo digitale che sta invadendo in maniera così significativa le nostre vite, i nostro costumi, i nostri usi. Quindi, state dicendo che un adeguamento del funzionamento delle istituzioni al mondo che cambia è determinante, se non vitale. Concordiamo con questo. Il problema è che non c'è stato un vostro intervento che abbia messo in correlazione - in questa, che è un'Aula del Parlamento italiano - il mondo che sta cambiando e quindi l'attenzione a questa prospettiva, rispetto alla storia che abbiamo. Ma vi sembra possibile che stiamo per approvare una riforma costituzionale di così grande rilevanza senza che nessuno di voi abbia provato a mettere in correlazione storia e visione di un mondo nuovo, a mettere in relazione il nostro Parlamento e il mondo nuovo? Vi sembra un atto di rispetto verso questa Assemblea? (Applausi dal Gruppo PD).
Imparare la democrazia significa avere memoria dei lavori parlamentari precedenti, perché se non c'è memoria qui, è evidente che non ce n'è nel Paese. E questo è il luogo nel quale il presidente Napolitano, accettando - straordinariamente - il rinnovo del proprio incarico di Presidente della Repubblica, disse che era essenziale che si riformassero le istituzioni parlamentari e il rapporto tra Parlamento e Governo, perché senza quel cambiamento così radicale non è che lui non avrebbe accettato di fare il Presidente, ma l'Italia sarebbe rimasta indietro nel mondo, non avrebbe adeguato le proprie istituzioni a una funzione primaria che le stesse istituzioni hanno, e cioè consentire al Paese di progredire.
Dobbiamo avere memoria di quello che è accaduto e voi non potete non fare una considerazione su due anni di lavoro della scorsa legislatura. Mi rivolgo anche al ministro Fraccaro, con cui ho condiviso diversi anni in Commissione affari costituzionali alla Camera. Abbiamo discusso con un'attenzione democratica e un rispetto della materia che stavamo trattando che non possono non esserci anche in questo caso, Ministro; non può non essere nelle vostre intenzioni. Abbiamo discusso tenendo conto della memoria; abbiamo discusso introducendo una funzione, al nuovo Senato, che si chiamava valutazione dell'impatto delle politiche pubbliche, che dovrebbe essere uno dei vostri primi obiettivi, per quello che dite, e cioè valutare esattamente cosa accade nella vita dei cittadini e sui territori dopo che il Parlamento assume una decisione. Nulla, nessuna traccia di correlazione tra il vostro disegno e quel ragionamento, che fu un ragionamento ancor prima che una scelta del centrosinistra. Non c'è traccia della memoria delle autonomie e mi rivolgo ai colleghi della Lega: è mai possibile che in un Paese, in cui è più normale ricorrere gli uni verso gli altri anziché concorrere verso gli stessi obiettivi (e lo dico da lombardo) non vi sia una traccia della discussione che per settant'anni, con grandissimi picchi culturali, questo Paese ha fatto sul rapporto tra istituzioni locali e Parlamento? (Applausi dal Gruppo PD). È possibile che non ci sia una vostra voce che dica come in questa visione rientri anche un disegno di distribuzione e diffusione di potere e di responsabilità e quindi di rafforzamento dell'autonomia?
Tutto questo non c'è e credo che sia un grande limite del vostro lavoro, come un grande limite sta nell'atteggiamento che ho già richiamato, dei colleghi che stanno affrontando questo come un passaggio burocratico, come se non ci fosse un obbligo di ricomprendere alcune delle tematiche che ho introdotto e tutto il dibattito svolto in due anni di lavoro, nella scorsa legislatura, al quale comunque parteciparono tutti i Gruppi parlamentari. Per non parlare delle edizioni precedenti, attraverso Commissioni bicamerali o altro, che hanno affrontato e provato a rivedere e riattualizzare la cultura democratica del Paese; lo hanno fatto in una direzione o in un'altra, ma ci hanno provato. Colleghi, voi avete l'atteggiamento di chi o è qui per caso, oppure vive semplicemente questa come una formalità burocratica, oppure non ha quella tensione che porta ognuno di noi a studiare all'infinito, perché il rispetto che si deve a questa Assemblea è il rispetto che dobbiamo al nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD). Il rispetto che dobbiamo alla nostra Assemblea è il rispetto per la nostra storia.
Ma voi ricordate cosa si dicevano, mentre erano in esilio, Sturzo e Salvemini, appena prima che fosse scritta la nostra Costituzione? Parlavano di centralità dello sviluppo della persona umana, del sistema universalistico dei nostri diritti e di come pian pianino il potere istituzionale dovesse diffondersi, perché fossero garantiti in maniera universalistica i diritti scritti nella prima parte della nostra Costituzione. Di tutto questo dovremmo aver rispetto e anche di quello che è accaduto nelle storie delle persone che hanno scritto la Costituzione e che hanno continuato a dibatterne nei decenni. Tra le cose più curiose di cui mi è capitato di venire a conoscenza nel lavoro fatto per la scorsa riforma costituzionale, c'è stato un aneddoto che mi ha impressionato: molti comunisti, molti parlamentari componenti del Partito Comunista, arrivarono in Parlamento senza conoscere nulla, addirittura facendo fatica a parlare italiano. Il Partito Comunista chiese alle persone più esperte, culturalmente competenti e in quel momento più preparate della Democrazia Cristiana di dare lezioni ai parlamentari comunisti. Possiamo pensare dunque di affrontare un cambiamento così significativo della Costituzione senza tener conto della tensione di cambiamento, della volontà di dare il meglio di se stessi che ci hanno insegnato, in quel caso, i rappresentanti di due forze politiche, che erano esattamente all'opposto nello schieramento parlamentare? Lo possiamo fare? No, perché altrimenti non faremmo altro che rompere un rapporto di fiducia, che non può che stare in sottofondo tra le componenti e le parti politiche che siedono in Parlamento, quando in gioco c'è il cambio della Costituzione. Il rapporto di fiducia consiste nel pensare che, pur da posizioni diverse, insieme si possa arrivare ad un obiettivo comune. Allora, tutte le argomentazioni che ho portato vi inducano a ripensare al modo con cui trattiamo questo tema. Tutte le motivazioni e anche le storie personali e i contributi culturali che ho cercato sommariamente di ricordare vi inducano a portare, a testa alta, dignità in queste Aule, anche perché, altrimenti, ho l'impressione che ci troveremmo - lo dico in particolare ai nostri colleghi del MoVimento 5 Stelle - di fronte ad un altro atto beffardo, simile al Porcellum, che sarebbe un colpo bruttissimo e gravissimo per la nostra democrazia. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Gasparri. Ne ha facoltà.
GASPARRI (FI-BP). Signor Presidente, Forza Italia ha nel suo DNA una volontà riformista seria, autentica e dimostrata sul campo. Rivendichiamo un percorso che, già diverse legislature fa, portò al varo di un testo organico e ampio di riforma della Costituzione, che riguardava sì, il taglio del numero dei parlamentari, di cui oggi esclusivamente e in maniera limitata si discute, ma anche l'elezione diretta del Premier, un rapporto diverso tra Stato centrale e territorio e tutta una serie di questioni riguardanti la vita della democrazia italiana. Il referendum confermativo di quella riforma della Costituzione si tenne nel 2006, subito dopo un'elezione politica per noi sfortunata, ma in realtà perdente solo per 26.000 voti. E, mentre si discuteva del riconteggio delle schede e si avviava un Governo che poi durò poco (il Governo Prodi bis), ebbe luogo quel referendum, che cadde in un momento in cui forse la denigrazione da parte della sinistra - ricordiamolo - di alcuni contenuti riguardanti il federalismo, che fu rappresentato in maniera scorretta nel Mezzogiorno, e la distrazione all'indomani delle elezioni, portò a un risultato negativo per quella riforma. La democrazia è fatta anche di referendum confermativi e le cose sono andate così. Lo ricordo per dire agli improvvisati tagliatori di teste che noi siamo riformatori veri e non facciamo spot elettorali per distrarre la gente. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Abbiamo contribuito nella scorsa legislatura, fin quando è stato possibile politicamente, a un processo di riforme. I Governi erano di altri, c'era il PD al Governo. Abbiamo assistito a cambi di scena e a intrecci sulla legge elettorale; abbiamo passato nottate in quest'Aula, quando i premi di maggioranza passavano dalle coalizioni alle liste. Direte: che c'entra la legge elettorale con le riforme? Era un pacchetto connesso di questioni. Alla fine, il PD e il Governo Renzi l'hanno talmente confuso, che l'hanno reso indigeribile per noi, che pure avevamo collaborato, perché, colleghi, le riforme della Costituzione sono di tutti e questo l'abbiamo imparato a spese anche dei referendum, che abbiamo perso, gli uni e gli altri. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Questo è un pezzetto, cari colleghi, per distrarre la gente. Qua non abbiamo potuto votare, di fatto, la legge di bilancio, non abbiamo potuto votare, di fatto, il decreto-legge semplificazioni, non abbiamo potuto votare sul Venezuela e la libertà nel mondo, un valore fondamentale. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Poi sentiamo la lezioncina ad uso del rispettabilissimo popolo dei bar, che io frequento, perché la democrazia è fatta dal popolo dei bar, dai pendolari che, sui treni e nelle metropolitane, parlano con insofferenza della politica, quindi il taglio dei parlamentari è un tema popolarissimo. Peraltro, colleghi, noi, il taglio dei parlamentari lo abbiamo approvato con quattro letture, insieme alla riforma della Costituzione, portandolo al voto popolare; quindi non prendiamo lezioni da nessuno. Voi dei 5 Stelle volete adesso, con questo spot, coprire una serie di cose, come hanno detto alcuni colleghi. Parlateci invece dell'usa e getta di Savona, persona di cui parlo con rispetto: un giorno deve fare il Ministro dell'economia, poi non va bene e fa il Ministro delle politiche comunitarie, che non ha lasciato traccia, adesso deve andare alla Consob, carica per la quale ha certamente ha le competenze, ma non ha i requisiti di legge, cari signori, e non è che la legge si cambia. Nulla quaestio sulla persona e le sue competenze, però ci sono le leggi e le incompatibilità.
Voi state facendo uno spot. Avete fatto anche una cosa singolare: tutti aspettano le decisioni sulla TAV e voi, che siete, chi più, chi meno sovranisti, le demandate ai francesi e all'Unione europea invece che al Parlamento della Repubblica italiana. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Allora, di fronte a questo, il problema è se qui siamo in 320, in 200 o in 180? Le abbiamo fatte quelle riforme e sarebbero in vigore da lustri interi, se avessero avuto un consenso popolare che non c'è stato. Però le lezioncine non le prendiamo. I costi della democrazia sono stati detti: costa più Casalino del presidente del Consiglio Conte, costano più i trombati elettorali che state riciclando in tutti i Ministeri, senza titoli e competenze. (Applausi dal Gruppo FI-BP e delle senatrici Bellanova e Boldrini). È costato più segnalare alla Raggi i vari Lanzalone, no? Sono i Ministri di oggi dei 5 Stelle che hanno mandato dalla Liguria o da Livorno i Lanzalone al Comune di Roma e all'ACEA. Quanto ci sono costati i Lanzalone di turno? (Applausi dal Gruppo FI-BP).
E allora, le gare di moralizzazione non le potete fare. Lasciamo perdere poi i familiari, perché sarebbe ingeneroso parlare di condoni, lavori neri e altre cose. Lasciamo perdere, ce lo risparmiamo. Diciamo che il problema degli sprechi è un problema da affrontare, ma anche la qualità della democrazia è un tema da difendere. Dovevate aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno: avete preso la scatoletta e vi siete mangiati il tonno, cancellando la democrazia e cancellando il confronto. (Applausi dal Gruppo FI-BP). E la scatoletta aperta è anche tagliente: attenti a come la maneggiate, perché dopo che si apre il tonno con l'apriscatole, sono sempre oggetti pericolosissimi da maneggiare.
Quindi, benissimo il discorso sulla riduzione dei parlamentari, che noi abbiamo fatto quando voi stavate appresso a Grillo, non so se sui palchi degli spettacoli o quelli della politica. Vogliamo trasparenza, perché si può ridurre il numero dei parlamentari, ma non la quantità di democrazia, che non è l'oscuro modo di consultarvi che avete voi con le piattaforme Rousseau o con i metodi Casaleggio. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
I Parlamenti sono vituperati da secoli e potremmo riempirvi di dotte citazioni antiparlamentariste. Il Parlamento da sempre è bersaglio di polemiche e invettive, da destra e da sinistra, da D'Annunzio ai giorni nostri. Si potrebbe fare letteratura anche un po' più qualificata di quella di Toninelli. Noi vogliamo che ci sia rispetto per la democrazia sostanziale; decideremo come votare e lo faremo in un'assemblea di Gruppo, ma siamo forti alle spalle di riforme. Poi qua ci sono quattro letture, cari colleghi, e vedremo se in questo tempo si chiarirà qual è la forma di governo, qual è il rapporto tra Stato centrale e territorio e quali sono le politiche complessive, perché sul piano economico già vi abbiamo giudicato. Il nostro Gruppo non ama gli editti del Fondo monetario internazionale, sono organismi che spesso hanno fatto danni, ma andatevi a leggere la conferma della recessione. Fate lo spot per ridurre il numero dei parlamentari perché avete portato anche alla riduzione dell'economia italiana e alla recessione. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Questi sono i dati, altro che + 1,9 o + 1,6 per cento e tutte le cifre che avete dato: parliamo dello 0,6 per cento di aumento, quindi la legge di bilancio è stata scritta sulla sabbia e non è stata discussa. Il Presidente del Senato dovette, a un certo punto, in quei giorni di dicembre, sottolineare anche alcune modalità. Il presidente della Repubblica Mattarella, il 31 dicembre, nel messaggio di fine anno ha invitato il Parlamento a discutere di quello che è avvenuto sulla legge di bilancio e noi vogliamo discutere di come voi, di questo Governo, avete trattato il Parlamento della Repubblica, anche fosse composto da 50 persone, perché la democrazia rappresentativa è essenziale.
Il referendum: come hanno detto altri colleghi, noi vogliamo i referendum propositivi, ma bisogna capire i quorum, la rappresentanza. Non è che si fanno con la gente che non partecipa e con le invettive, casomai facciamo anche il risultato attraverso la piattaforma Rousseau e andiamo a cambiare i principi fondamentali. Noi dobbiamo riportare partecipazione nella democrazia e il Parlamento è un luogo rappresentativo. Può essere migliorato e può avere regolamenti nuovi: abbiamo collaborato al Senato anche a redigerli, nella scorsa legislatura, perché la nostra è una cultura di governo vera, non di potere come la vostra che state occupando ogni ambito con persone squalificate. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
La nostra è una cultura di governo, perché il nostro pensare e il nostro agire è sempre rivolto agli interessi della nazione, dello Stato e della comunità nazionale. Lo abbiamo dimostrato e a volte si è abusato della disponibilità nostra e di Silvio Berlusconi, che, mentre partecipava a processi riformatori, con modalità illegali veniva estromesso dal Senato della Repubblica. (Applausi dal Gruppo FI-BP). Ricordiamolo: venne estromesso mentre dall'opposizione dava un contributo anche accettando i compromessi, le rinunce che i numeri del Parlamento a volte impongono.
Noi condividiamo le riforme, ma tutte le riforme, non lo spot per far dimenticare i Lanzalone, le gaffe i Toninelli, i problemi dei familiari, la recessione che c'è, l'occupazione che non cresce e le promesse sui redditi di cittadinanza che non riuscirete a mantenere, perché avete promesso molto e darete poco con modalità confuse.
Noi vi possiamo dare lezioni di riformismo, perché abbiamo tentato e fatto riforme importanti. Se su questo percorso prenderà corpo una riforma vera della Repubblica italiana e anche la democrazia diretta, quella vera, non quella dei computer che ognuno può manipolare, ma l'elezione diretta del Capo del Governo o del Presidente della Repubblica, un elemento essenziale di democrazia e di gente vera che vota, vedremo, nel percorso, che cosa accadrà. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Gli spot che fate non vi servono molto, soprattutto la componente 5 Stelle ci ha riempiti di spot ma i voti, che erano molti - e sono ancora tanti, per carità, so contare i voti e ve ne diamo atto - adesso stanno calando. Del resto, se il vostro modello di democrazia è quello del torturatore Maduro, noi siamo un'altra cosa. Tenetevi Maduro, noi ci teniamo la democrazia del Parlamento. (Applausi dal Gruppo FI-BP. Molte congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Morra. Ne ha facoltà.
MORRA (M5S). Signor Presidente, colleghe e colleghi, voglio immediatamente citare chi mi ha preceduto, e cioè il senatore Gasparri, di cui ho apprezzato le infinite battute, quelle per cui, ad esempio, noi saremmo gli sdoganatori dei Lanzalone vari, quando il senatore Gasparri ha appoggiato per decenni i Governi, che a questo punto, ripagandolo con la stessa moneta, definirò dei Berlusconi vari (Applausi dal Gruppo M5S), che sono i Governi che - non solo loro - hanno portato lo stato di salute del Paese in una fase di prostrazione straordinaria. Vede, senatore Gasparri, bisogna frequentare tutti i luoghi in democrazia, anche i bar, come lei giustamente diceva, ma bisogna avere l'umiltà di ascoltare e quando si sbaglia bisogna ammetterlo. Noi siamo nati, una decina d'anni fa, senatore Gasparri, perché le forze politiche tradizionali, per quanto si chiedesse da parte della cosiddetta opinione pubblica uno sforzo di moralizzazione, tutto facevano tranne che moralizzarsi.
Senatore Gasparri, io mi vergogno di appartenere ad uno Stato in cui si fa polemica perché il reddito di cittadinanza, per me misura straordinaria ottenuta da questo Governo, viene considerato troppo vicino allo stipendio medio garantito agli under 30 italiani. (Applausi dal Gruppo M5S). Questa è responsabilità non di chi sta parlando, ma di chi poc'anzi faceva le battute sulla democrazia da bar e magari in quei bar si affollavano cittadini che non sapevano con che cosa far mangiare i propri figli e le proprie mogli. Questo è un problema. (Applausi dal Gruppo M5S. Commenti del Gruppo FI-BP).
MALAN (FI-BP). Chi non ha da mangiare non va al bar!
MORRA (M5S). Sento un ronzio. Il «vaffa» è una sana filosofia, se lo si sa prendere con ironia, ma l'ironia non deve mai mancare fra di noi e badate la faccio per me. Quando sono entrato la prima volta qua dentro, il 15 marzo del 2013, ricordo ancora, come fosse oggi, il momento in cui sono entrato in quest'Aula. Per me era un momento di assoluta sacralità. (Applausi dal Gruppo M5S). Io entravo nel luogo che, in qualche modo, aveva concorso a determinare per milioni e milioni di italiani battaglie di civiltà vera, battaglie di legalità, battaglie di giustizia. In quel luogo io, come penso tanti altri, avrei dato tutto me stesso per fare giustizia, ma giustizia innanzitutto sociale, perché in questo Paese, Presidente, c'è dannatamente bisogno di giustizia sociale. E allora, per quanto possa essere, anche di mezzo miliardo di euro, il risparmio che questa riforma costituzionale potrà produrre, è pur sempre un trasferimento di risorse da chi ha, forse tanto, a chi non ha, perché con i Governi in cui ci sono parlamentari del MoVimento 5 Stelle, si guarda agli ultimi e non alle cosiddette lobby, non ai portatori di interessi, non a coloro che hanno già avuto tanto e pretendono di avere ancora di più. (Commenti dal Gruppo FI-BP). Che cosa significa, Presidente? Presidente, vogliamo parlare delle aberrazioni cui il sistema ha portato? Voi vi ricordate, nella passata legislatura, il senatore Roberto Calderoli che, con carriola - metaforicamente parlando - portava milioni di emendamenti perché venissero a fermare ostruzionisticamente un provvedimento che si voleva fermare? Ma secondo voi è o non è irrazionale produrre milioni di emendamenti? Possono per caso essi essere esaminati? E che cos'è l'ostruzionismo parlamentare, se non una forma degenerata di opposizione a forme di democrazia autoritaria che vengono imposte dal Parlamento? (Applausi dal Gruppo M5S. Vivaci proteste dal Gruppo PD).
FEDELI (PD). Ma che cosa sta dicendo?
PRESIDENTE. Concluda, senatore.
MORRA (M5S). Io vorrei concludere, signor Presidente, ma se parlo, lo faccio per farmi capire, e se... (Commenti dal Gruppo FI-BP. Vivaci proteste dal Gruppo PD).
VALENTE (PD). Voi avevate occupato i banchi del Governo!
PRESIDENTE. Ognuno è libero di esprimere quel che vuole, anche se non lo condividete. (Commenti e proteste dal Gruppo PD). Ognuno è libero di dire quello che vuole. Lasciatelo dire. Non lo condividete e basta. Continui.
MALPEZZI (PD). Deve fare interventi sul merito!
MORRA (M5S). Signor Presidente, credo che la democrazia sia anche e soprattutto ascolto reciproco.
MALPEZZI (PD). Ma se il Ministro non era in Aula!
VOCE DAL GRUPPO PD. L'ostruzionismo lo fate da soli.
MORRA (M5S). Noi tutti ci dovremmo domandare che senso abbia... (Commenti dal Gruppo PD). Signor Presidente, andiamo avanti. Capisco che sia necessario andare avanti sempre col sorriso.
Ora, sappiamo tutti che la riduzione dei costi dovrebbe essere accompagnata anche da altre misure, che non mancheranno...
MALPEZZI (PD). Ditecele.
MORRA (M5S). ...perché si dovrà garantire - per esempio - un ulteriore risparmio toccando le indennità e le diarie da corrispondere ai singoli parlamentari. (Applausi dal Gruppo M5S. Commenti dal Gruppo FI-BP).
VALENTE (PD). Buffone! Buffone! Solo questo!
MORRA (M5S). Io sarò un buffone, ma è la nostra Costituzione che parla di inderogabili doveri di solidarietà politica, sociale ed economica allorquando il Paese è in difficoltà. (Applausi dal Gruppo M5S).
VALENTE (PD). Cinico! Solo sulla disperazione della gente!
MORRA (M5S). Signor Presidente, voglio concludere. (Commenti dal Gruppo PD e del senatore Saccone). Mi aspettavo che in questo dibattito facesse sentire la sua voce un collega che ha un'incredibile sapienza giuridica; è un avvocato trevigiano cui il Senato della Repubblica paga mensilmente tutte le indennità, come è giusto. Mi pare che sia Niccolò Ghedini. Mi piacerebbe sapere che percentuale di presenza in Assemblea e in Commissione abbia questo collega. (Applausi dai Gruppi M5S e L-SP-PSd'Az).
CARBONE (FI-BP). Ma come ti permetti!
MORRA (M5S). Perché anche di questo...
PRESIDENTE. Io credo che non debba essere lei a censurare le presenze o le assenze in quest'Aula. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
MORRA (M5S). Certamente sarà giustificato, però mi domando...
PRESIDENTE. Non abbiamo bisogno di grilli parlanti qui dentro. (Applausi dai Gruppi FI-BP e PD).
MORRA (M5S). Sorridere fa sempre star bene ed io accetto la battuta. (Commenti dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. Per favore, fatelo finire. (Commenti del senatore Marcucci).
VOCE DAL GRUPPO FI-BP. Grillo parlante!
MORRA (M5S). Io ricordo citazioni dotte, precise e puntuali fatte da tanti di coloro che sono intervenuti. È stato citato Aldo Moro ed è stato ricordato Salvemini. Benissimo. Vorrei che tutti quanti ci mettessimo una mano sul cuore, perché questo Paese sta morendo. (Commenti dai Gruppi FI-BP e PD). Noi, poco alla volta, stiamo cercando di salvarlo. (Applausi dal Gruppo M5S. Applausi ironici dal Gruppo FI-BP).
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.
Ha facoltà di parlare il relatore.
CALDEROLI, relatore. Signor Presidente, la prima cosa che devo dire in fase di replica è che non sono mai stato nominato tante volte in vita negli interventi come quando non ho parlato. Mi viene in mente il film «Ecce bombo», in cui Nanni Moretti si chiedeva se sarebbe stato notato di più a una festa se fosse andato, oppure no. Oggi ho la risposta: per essere ricordati, è meglio non andare alla festa. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S).
Il mio mancato intervento non è una provocazione, né un gesto di non rispetto: si tratta dell'applicazione formale del nostro Regolamento, che prevede che la relazione sia scritta e che il relatore possa anche chiedere un'integrazione orale (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S). In occasione dell'esame del precedente provvedimento di cui ero relatore mi sono rimesso alla relazione scritta e nessuno ha detto niente. Sarebbe auspicabile che tutte le volte che esiste una relazione scritta non ci si approfitti di quel momento per andare a raccogliere applausi. Credo che il ruolo del relatore, ancorché di maggioranza, debba essere tecnico e non si debba andare alla ricerca di applausi o cose del genere. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S).
Immaginavo anche che qualcuno avrebbe avuto la volontà di leggere la relazione, in quanto si compone di una pagina e mezzo. Non bisogna essere dei grandi matematici o ingegneri per scrivere che il numero di deputati passa da 630 a 400 e quello dei senatori da 315 a 200. Il resto delle motivazioni è di natura politica. Svolgerò la parte politica in sede di dichiarazione di voto, quando potrò esprimermi sui contenuti della riforma.
Pertanto, la mia replica riguarderà soltanto ciò che è stato detto in quest'Assemblea. Sono stati svolti 80 interventi e, quindi, c'è stata una bella discussione generale. Il dibattito in Aula si è svolto, così come si è svolto regolarmente, per un certo periodo, quello in Commissione. Pertanto, siamo nella più ordinaria gestione del provvedimento.
In questi giorni ho sentito parlare molto spesso della necessità di una riforma complessiva e non solo puntuale, non potendosi cambiare un solo punto della Costituzione se non si cambia tutto il resto. Colleghi, io non ci casco più, perché ci sono cascato, come Ministro, nel 2005: dopo aver fatto votare la riforma che cambiava tutta la Costituzione, questa è stata bocciata con il referendum popolare. Dietro quei voti ci sono anche delle motivazioni politiche. Ricordo che anche la vostra riforma è stata bocciata nel 2016 con referendum. I casi sono due. Non credo che i nostri concittadini siano contro l'abolizione del CNEL, piuttosto che la riduzione del numero dei parlamentari. Essi non vogliono che venga loro sottoposta una serie di quesiti che reputano incomprensibili. C'è così il rifiuto e la riforma viene bocciata.
Per questo motivo, abbiamo preso la strada di riforme chirurgiche e puntuali, in cui fosse chiara la volontà di quello che si andava a proporre e votare sia qui che, nel caso, dal popolo. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S).
Qualcuno sostiene che l'intervento è non di chirurgia, ma addirittura di microchirurgia, perché siamo intervenuti solo sul numero dei parlamentari. Ma voi credete che non ci fosse, anche da parte degli stessi membri della Commissione, la volontà - per esempio - di intervenire sull'elettorato attivo del Senato per far diventare il suffragio veramente universale? Tutti l'avremmo voluto fare. Qualcuno non avrebbe voluto abrogare il CNEL? Tutti l'avremmo voluto fare.
Abbiamo scritto che avremmo ridotto il numero dei parlamentari e ci siamo volutamente limitati a ciò, all'interno di un contesto che non è esclusivamente di questa singola riforma, perché le singole riforme, se uno vuole, le può vedere nel contratto di Governo, che so non essere un documento, ma si può comunque consultare (Commenti del senatore Faraone); si possono anche ricordare leggendo quanto ha detto il presidente Conte, quando ha richiesto la fiducia, o i resoconti parlamentari delle audizioni del ministro Fraccaro. Lì troverete i singoli pezzi del Lego con cui si fa la riforma complessiva. E questo è lo stato dell'arte.
Ho poi sentito anche tante altre belle cose: si è parlato non solo di riforma, ma anche della legge di bilancio, e molto, del decreto semplificazioni e dei numeri delle Madri e dei Padri costituenti. E questo mi ha scioccato, perché nella Costituzione non hanno mai scritto il numero dei deputati e dei senatori, che nacque invece con la legge costituzionale n. 2 del 1963. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S).
Non credo che siano in gioco la tirannide o il rischio della democrazia, di cui pure ho sentito parlare. Potete dire tutto quello che volete, ma mi limito al contenuto della legge. Volete ridurre il numero dei parlamentari, sì o no? Questo è il primo quesito. Se devo prendere quello che è stato proposto e sostenuto nel corso di tutti gli anni, mi sembra che si voglia ridurre il numero dei parlamentari. Però dire sì o no non può equivalere a quanto ho sentito dire per due giorni, del tipo: «sì, però; facciamo domani la riduzione, o nel finesettimana, ma c'è mia moglie che si sposa; anzi no, ha una comunione e poi c'è il compleanno dello zio». (Commenti dal Gruppo PD). No, adesso si deve andare a bersaglio.
MARCUCCI (PD). Non fare il pagliaccio, parla della Costituzione!
CALDEROLI, relatore. O uno lo vuole ridurre o non lo vuole ridurre. La riduzione che è stata proposta è di 230 deputati e 115 senatori. Poi uno può essere d'accordo o meno sulla riduzione, può dire che li abbiamo ridotti troppo o che li abbiamo ridotti troppo poco. Ci sta assolutamente, ma all'interno di ciò voglio svolgere la mie valutazioni, così come le abbiamo fatte in Commissione, dove c'è stata una serie di problemi che abbiamo affrontato e risolto.
C'era il problema del Molise: uno o due seggi? Abbiamo deciso per due e abbiamo risolto il problema. C'era il problema delle due Province autonome di Trento e Bolzano, che sarebbero state penalizzate, con un confronto acceso sul rispetto dei valori contenuti nella misura 111 del cosiddetto pacchetto dell'Alto Adige, e lo abbiamo risolto. Avevamo il problema del numero giusto rispetto al minimo che ciascuna Regione dovesse avere e si è dibattuto partendo dal sette della Costituzione vigente, ma c'era chi ha proposto sei, cinque, quattro; poi abbiamo individuato il tre come numero più equilibrato, perché purtroppo abbiamo Regioni che vanno da poco più di 300.000 abitanti a dieci milioni e riuscire a garantire a tutte un equilibrio, rispettando il fatto che il Senato sia eletto su base regionale, non è stato assolutamente facile.
Pensiamo che sia la soluzione migliore possibile - o la meno peggiore - ma la matematica è tale e questa è una riduzione del 36,5 per cento. Voglio dirlo anche rispetto a chi, dell'opposizione, ha detto che abbiamo risolto questo e quest'altro problema, ma resta solo quello degli eletti all'estero. Se esiste un problema, non può essere riferito agli eletti all'estero, perché da dodici passano a otto alla Camera e al Senato da sei a quattro. Se tutti, a livello nazionale, si riducono del 36,5 per cento, per me la stessa riduzione dev'essere applicata anche agli eletti all'estero. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S. Commenti dei senatori Alderisi e Fantetti).
Rispondendo a chi parla alle mie spalle, che però sento, sono uno dei pochi che votarono contro la legge Tremaglia e, se fosse dipeso dalla mia volontà, avrei abolito del tutto gli eletti all'estero. (Applausi dal Gruppo L-SP-PSd'Az).
FANTETTI (FI-BP). Male!
CALDEROLI, relatore. E infatti non li ho aboliti, ma li ho ridotti come tutti gli altri.
FANTETTI (FI-BP). Se non rispettiamo le leggi...
CALDEROLI, relatore. Anticipando un discorso che faremo domani sugli emendamenti, ma è l'ultimo residuo dei problemi rimasti perché tutto il resto lo abbiamo affrontato, vorrei accennare al sistema dei pesi e dei contrappesi che verrebbe - secondo qualcuno - rotto a causa del cambiamento del numero dei parlamentari. L'unica cosa su cui si va a incidere è il diverso rapporto rispetto ai 58 grandi elettori regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica, per cui qualcuno propone una riduzione da tre rappresentanti per Regione a due. È giusto o sbagliato? Io ho fatto qualche calcolo: oggi i 58 grandi elettori regionali pesano sui 1003 elettori totali per il 5,8 per cento. Con la nostra proposta, sui 658 elettori totali peserebbero per l'8,9 per cento. Ma io non sto dicendo che l'8,9 per cento degli elettori saranno scalmanati, esagitati o delinquenti. Sto parlando di persone che sono state elette in Consiglio regionale e, nella stragrande maggioranza dei casi, legittimate attraverso il voto di preferenza. Quindi, non vedo cosa ci sia di così allucinante nel fatto che i grandi elettori del Presidente della Repubblica siano 58 e restino 58.
URSO (FdI). Dovrebbe valere anche per gli italiani all'estero.
ALDERISI (FI-BP). Ci sono anche gli italiani all'estero.
CALDEROLI, relatore. A proposito degli italiani all'estero, mi ricordo che si diceva «no taxation without representation». Per me è: no taxation, no representation. Qui ce l'avete già per una buona parte. Qualcosa vi è arrivato. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S. Commenti dai Gruppi FI-BP e PD).
MARCUCCI (PD). Presidente, sta offendendo una parte del Senato! Mica si può dire qualsiasi cosa!
CALDEROLI, relatore. Se è così eversivo, l'aver portato all'8,9 per cento il peso dei consiglieri regionali, non capisco come possa essere poi sostenuta questa posizione e proposto un emendamento da chi nella passata legislatura aveva attribuito a consiglieri regionali e sindaci un peso del 13 per cento, perché nel collegio elettorale votavano 630 deputati, 74 consiglieri regionali e 21 sindaci. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S).
BINI (PD). Ma era un sistema diverso!
CALDEROLI, relatore. Quindi mi sento tranquillo sotto questo aspetto. Questa sera, se ce ne sarà il motivo e domani nel caso - ma penso già stasera - entreremo nel merito della valutazione dei singoli emendamenti. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S).
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
FRACCARO, ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta. Signor Presidente, desidero ringraziare tutti i senatori che sono intervenuti. Non posso negare che il Governo auspichi l'approvazione di questa riforma semplicemente perché è presente nel contratto di Governo e non posso non esprimere favore per il metodo adottato che prevede riforme puntuali. Come Ministro per la democrazia diretta, ritengo che questo potrebbe portare, in caso di referendum, a una domanda univoca nei confronti dei nostri concittadini chiamati a esprimersi.
Nonostante questo, Presidente, intendo rinunciare alla replica nel merito e vi chiedo di non considerarla come una mancanza di rispetto nei confronti di quest'Assemblea.
MALPEZZI (PD). Perché non eri in Aula!
FRACCARO, ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta. Non replico semplicemente perché, al contrario, rispetto quest'Assemblea. Nonostante tutto questo credo che, in materia costituzionale e a maggior ragione di fronte a una riforma che riguarda il numero dei parlamentari, dei senatori e dei deputati, il Governo debba rimettersi totalmente al Parlamento e alla sua volontà come rappresentante supremo del popolo italiano. (Applausi dai Gruppi M5S e L-SP-PSd'Az).
MARCUCCI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCUCCI (PD). Signor Presidente, il Ministro ci ha appena detto che il Governo tiene molto all'approvazione di questo provvedimento di riforma, perché è nel contratto di Governo (Applausi dal Gruppo PD). Poi ci dice la bugia che il Governo non è interessato, non ha il coraggio di prendersi la responsabilità su questa questione. No, signor Ministro, se lei esclude questo tema dal contratto di Governo è un conto. Ma, se motiva il desidero di approvazione come proveniente dal contratto di Governo, come ha sostenuto poc'anzi, allora deve intervenire e ci deve dire i motivi per cui il Governo appoggia questo tipo di provvedimento. Non si può dire in quest'Aula tutto e il contratto di tutto, come siete abituati a fare al Governo. (Applausi dal Gruppo PD).
Pertanto, se la motivazione dell'appoggio del Governo è il contratto di Governo, intervenga e abbia il senso della propria responsabilità nei confronti del Parlamento. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, la Presidenza dichiara improponibili, ai sensi dell'articolo 97, comma 1, del Regolamento, gli emendamenti 2.113, 2.7 e 2.0.1, in quanto estranei all'oggetto del disegno di legge, che reca esclusivamente modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.
MARCUCCI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCUCCI (PD). Signor Presidente, chiedo scusa e capisco che siamo tutti stanchi. Tuttavia, sinceramente, non vi infastidite se chiediamo di intervenire sulla riforma costituzionale, quando la Presidenza ha assunto la decisione di rendere improponibili degli emendamenti che ci permetterebbero di affrontare il tema vero della riforma costituzionale. (Commenti del senatore Airola).
PRESIDENTE. Per favore, lasciatelo finire. Sta esprimendo la sua opinione. Per favore, stia zitto.
Senatore Marcucci, continui.
MARCUCCI (PD). Signor Presidente, noi non siamo affatto d'accordo con questa improponibilità. Io ho avuto modo di farglielo presente. (Commenti del senatore Airola).
PRESIDENTE. Senatore, rispondo io su questo, essendo questa solo una mia prerogativa inappellabile.
AIROLA (M5S). Il Presidente non dirige la seduta adeguatamente. (Commenti dal Gruppo PD).
FEDELI (PD). Signor Presidente, quello che ha detto verso di lei è inaccettabile.
PRESIDENTE. Senatore Marcucci, può concludere il suo intervento per cortesia?
MARCUCCI (PD). Io credo che l'atteggiamento del senatore Airola sia conseguenza dell'atteggiamento che ha il MoVimento 5 Stelle nei confronti del Parlamento, se c'era bisogno di una conferma.
PRESIDENTE. Sta uscendo.
MARCUCCI (PD). Sta uscendo per propria volontà.
PRESIDENTE. Per favore, andiamo al sodo. Dica cosa vuole esprimere.
MARCUCCI (PD). Va bene, signor Presidente, ma sta a lei garantire che io possa parlare. Se mi interrompono, non è certo una mia responsabilità. (Commenti dal Gruppo M5S).
Noi non siamo d'accordo, anzi siamo molti frustrati e preoccupati per l'atteggiamento rispetto alle improponibilità. Noi non possiamo accettare il ragionamento che ha espresso poc'anzi il relatore, e cioè che comunque si possano fare delle operazioni microchirurgiche a sé stanti che non intaccano in quadro complessivo della nostra Carta costituzionale, perché la nostra Carta costituzionale è comunque un insieme che sta nelle dinamiche complessive e degli equilibri e lì ritrova la propria forza.
Faccio riferimento alla volontà da parte sua di rendere improponibili degli emendamenti e di non darci la possibilità di discutere sull'impatto che ha sulla Carta un provvedimento come quello in esame, che è parte di un disegno ben preciso, perché di questo bisogna tenere conto. Noi sappiamo perfettamente qual è il disegno di questa maggioranza; lo sappiamo per i provvedimenti di modifica costituzionale che sono stati presentati in Senato e per quelli presentati contestualmente alla Camera. Che il disegno sia di ridurne il più possibile la capacità di intervento nel processo normativo del Parlamento (Senato e Camera dei deputati) da parte di questa maggioranza è evidente. (Applausi dal Gruppo PD).
Quindi, quando le chiediamo di intervenire con un emendamento, Presidente, non ci siamo comportati come il senatore Calderoli; non abbiamo deciso di presentare migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia, milioni di emendamenti strumentali, signor Presidente. (Applausi dal Gruppo PD). Abbiamo deciso di presentare qualche unità di emendamenti. Il Presidente della Commissione ci ha impedito di discuterli, di illustrarli, di confrontarci con la vostra maggioranza in Commissione. Lei sta facendo altrettanto in Aula.
Signor Presidente, questo atteggiamento è molto grave e pericoloso. (Applausi dal Gruppo PD). Questo atteggiamento va contro la logica di un confronto aperto e costruttivo sulla Carta costituzionale e sulle sue modifiche. Quindi, è estremamente preoccupante. Lei oggi crea un precedente che non possiamo assolutamente accettare. Lei sta minando la possibilità, all'interno del Senato della Repubblica, di discutere (Applausi dal Gruppo PD), di confrontarsi tra forze politiche sulla modifica della nostra Carta costituzionale.
PRESIDENTE. Senatore Marcucci, rispetto il suo pensiero, ma non posso accettare che lei dica che io mino la Costituzione.
MARCUCCI (PD). Ma è così.
PRESIDENTE. Non lo posso accettare.
MARCUCCI (PD). Non lo accetta, ma è così. Lei sta minando la possibilità di avere un confronto fattivo e costruttivo su questi passaggi. Lei lo sta facendo, Presidente, e io lo dico quanto voglio in quest'Aula, perché tutto si può togliere ma non la libertà di esprimere la nostra opinione. (Applausi dal Gruppo PD). Questo non glielo permettiamo noi. Questa libertà ce l'abbiamo e, se lei ha sbagliato...
PRESIDENTE. Io le ho dato la parola, ma adesso gliela tolgo, perché lei non avrebbe neppure il diritto di intervenire - e lo sa benissimo - sulle improponibilità. (Vivaci proteste dal Gruppo PD. Applausi dal Gruppo M5S). L'ho fatta parlare fino ad ora.
Siccome lei ha posto un problema, capisco fare l'opposizione, ma non può essere un'opposizione destituita di fondamento giuridico. (Commenti del senatore Marcucci). Mi faccia finire, io l'ho fatta parlare.
Il testo proposto dalla Commissione titola «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari».
Io ho esaminato tutti gli emendamenti che sono stati presentati, uno per uno, come ho l'abitudine di fare, tanto è vero che ho riammesso - lei lo ha taciuto - due emendamenti che erano stati dichiarati inammissibili dalla Commissione proprio perché li ho ritenuti pertinenti. Non ho ritenuto ammissibili - e lei lo sa meglio di me - quelli che riguardano il contenuto delle modifiche del bicameralismo.
Lei è entrato nel merito di una riforma che non è questa. Nel disegno di legge in titolo si sta trattando esclusivamente della riduzione del numero dei parlamentari. Gli emendamenti che ho dichiarato inammissibili riguardano tutte le modifiche sostanziali che richiamano un'altra cosa, la modifica che voi avete fatto, addirittura ritenendo - ad esempio - che il Senato dovesse avere una competenza diversa rispetto alla Camera. (Applausi dai Gruppi M5S e L-SP-PSd'Az).
Io non so se sia giusto o sbagliato, ma so soltanto che questo non fa parte del merito del provvedimento in esame.
PARRINI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PARRINI (PD). Signor Presidente, la ringrazio di avermi dato la parola. Penso di dover dire qualcosa di significativo e lo farò con molto rispetto nei suoi confronti.
Signor Presidente, lei ha appena detto che c'è una motivazione giuridica per la dichiarazione di inammissibilità sugli emendamenti.
PRESIDENTE. Senatore Parrini, sull'inammissibilità ha già parlato il suo Capogruppo e, quindi, non le do la parola su questo. Mi dispiace, ma - come lei sa - per Regolamento la mia decisione è inappellabile e ho già fatto parlare il suo Capogruppo.
Passiamo all'esame degli articoli del testo unificato proposto dalla Commissione.
Procediamo all'esame dell'articolo 1, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.
DE PETRIS (Misto-LeU). Signor Presidente, nel mio intervento in discussione generale non ho avuto modo di entrare più nel dettaglio delle norme di revisione costituzionale, in merito alla riduzione del numero dei parlamentari, che ci è stata proposta. Il relatore però, con la sua replica, mi ha dato modo di illustrare in modo migliore gli emendamenti che ho presentato.
Signor Presidente, i numeri di 400 e 200 parlamentari sono stati proposti dal relatore e dalla maggioranza - questo è accaduto anche nel corso della discussione in Commissione - ma, per quanto mi riguarda - e credo anche a parere di altri colleghi - non ho trovato traccia di un ancoraggio a dati certi. Forse si tratta di un mero calcolo o forse suonava bene la somma di 400 e 200, con cui si arriva a 600, che forse è un numero perfetto. L'ancoraggio a dati certi francamente mi sfugge. Che cosa intendo, dunque, per dati certi? Il prezioso dossier che è stato preparato dagli Uffici ci dà i dati anche degli altri Paesi. Capisco che forse l'ambizione, con i numeri di 400 e 200 parlamentari, era di portare il nostro Paese a un record nel rapporto tra eletti e abitanti.
Faccio notare, visto che siamo al Senato - anche se l'articolo 1 riguarda la Camera dei deputati - che con la proposta al nostro esame, vedendo la tabella di confronto tra le varie Camere alte, il numero dei membri del Senato italiano per 100.000 abitanti avrebbe un coefficiente pari a 0,3, che risulterebbe quindi uno dei più bassi, esaminate le diverse situazioni.
Signor Presidente, proprio a dimostrazione che il nostro sforzo è dare almeno una certa razionalità al tutto, abbiamo predisposto alcuni emendamenti, tra cui l'1.1 e l'1.100, ancorandoli a un conteggio molto semplice, con riferimento ai Paesi a noi più vicini, come numero di abitanti e come assetti. Quindi, i numeri che abbiamo indicato, modificando ad esempio il numero dei deputati da 400 a 530 e quindi, a seguire, anche gli altri numeri riguardanti gli eletti all'estero, sono il semplice frutto di un tentativo di trovare una proposta che fosse a metà strada tra la Germania e la Francia, così da rendere contenti magari tutti e due i contraenti del contratto di Governo. Avremmo potuto anche far riferimento magari alla media del Regno Unito che - come il senatore Calderoli sa - è davvero molto più alta, ma abbiamo scelto di fare delle proposte emendative molto più convincenti e molto più simili alla situazione della Germania e della Francia.
Signor Presidente, il numero nasce anche - è una questione che affronteremo - dal fatto che dobbiamo pensare a come poi saranno organizzati i lavori delle Camere e in particolare del Senato. Con il numero di senatori proposto, pari a 200, credo che ci saranno molti problemi nel riorganizzare le Commissioni e, quindi, forse bisognerà un'altra volta rimettere mano, qualora passasse definitivamente questa riforma, anche al Regolamento del Senato. Pertanto, la proposta che noi facciamo, che ci sembra molto equilibrata, è di portare il numero almeno a 530, che è esattamente il punto di avvicinamento ai Paesi più vicini. (Applausi dal Gruppo Misto).
PARRINI (PD). Signor Presidente, noi abbiamo presentato un emendamento all'articolo 1 che riguarda gli eletti all'estero, l'emendamento 1.2. Abbiamo spiegato ieri, sulla base di una petizione di migliaia di nostri concittadini che risiedono all'estero, le ragioni per cui, a fronte di un aumento degli iscritti all'AIRE che è stato negli anni molto forte, da 2.700.000 nel 2006 a quasi 4 milioni e mezzo oggi, riteniamo assurdo intervenire con un provvedimento come quello in esame.
Il senatore Calderoli, con un'arroganza che io avrei voluto lei stigmatizzasse, ha trattato gli eletti all'estero come persone indegne di stare in quest'Aula, perché non pagano le tasse in Italia. (Applausi dai Gruppi PD e FI-BP). Non avrei mai creduto che un potenziale aspirante Padre costituente come il senatore Calderoli riuscisse a toccare un livello di volgarità come quella che questo commento contiene. (Applausi dal Gruppo PD).
Però, ho l'obbligo di dire che a noi è stato impedito, per una supposta estraneità di materia, di discutere di emendamenti che riguardano la possibilità per i diciottenni di votare per il Senato e di essere eletti a venticinque anni e la possibilità per i Presidenti delle Giunte regionali di far parte del Senato con diritto di voto quando si discute di materie che riguardano gli articoli 116 e successivi della Costituzione. Ci è stato inoltre impedito di discutere della differenziazione delle funzioni per quanto riguarda le due Camere, superando il sistema dei doppioni che abbiamo oggi. C'è un fondamento giuridico in questa decisione? Purtroppo, signor Presidente, io non lo vedo. E devo condannare la sua scelta, perché innanzitutto rappresenta un abuso - dal mio punto di vista - della facoltà di emettere decisioni inappellabili che questo Regolamento e la nostra Costituzione le conferiscono. Che le sue decisioni siano inappellabili è fuori questione. Ma che si possa usare l'inappellabilità per comprimere i diritti dei senatori e per impedire a questo Senato di discutere, questo secondo me non è fuori questione. (Applausi dal Gruppo PD).
PRESIDENTE. Sia rispettoso.
PARRINI (PD). Sono molto rispettoso.
PRESIDENTE. È una questione di rispetto delle istituzioni. Può protestare anche moderando i termini. La invito a essere educato nei miei confronti, perché nessuno qui ha abusato. C'è una differenza fra la discrezionalità e l'arbitrio.
FARAONE (PD). Non si può neanche parlare!
PARRINI (PD). La rispetto molto e le spiegherò perché mai non condivido la sua decisione. Mi scusi, ma le spiegherò come mai io devo condannare questa decisione.
L'emendamento che riguarda il superamento del bicameralismo differenziato riguarda appunto la presenza dei Presidenti di Regione nel Senato con diritto di voto per certe materie e, quindi, incide sulla composizione e non è estraneo per materia. La Costituzione dispone nello stesso articolo sia l'età a cui si può essere eletti deputati, sia la composizione della Camera. Quindi dire che è estranea per materia la proposta di far votare per il Senato i diciottenni e di farli eleggere a venticinque anni è una cosa che non sta né in cielo né in terra, perché non è estranea per materia! (Applausi dal Gruppo PD). Lo capisce questo? Io lo dico con rispetto: è una critica che faccio nel merito.
E allora le dico anche che non è vero per niente che lei ha rispettato i precedenti, perché c'è un precedente che risale al presidente Schifani. Si stava discutendo un disegno di legge che recava il titolo: "Modifiche agli articoli 55 e 57 e abrogazione dell'articolo 58 della Costituzione in materia di composizione del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e passivo". Sa quali emendamenti furono dichiarati ammissibili, perché si stava parlando di Costituzione, non di buoni benzina? Furono dichiarati ammissibili gli emendamenti del Popolo della Libertà a firma Gasparri che riguardavano il presidenzialismo. (Applausi dal Gruppo PD). Cioè, in una discussione sulla composizione del Senato furono dichiarati ammissibili emendamenti sulla forma di Governo. (Prolungati applausi dal Gruppo PD). E lei oggi ci impedisce di discutere della possibilità per i diciottenni di votare per il Senato e della possibilità per i Presidenti di Regione di votare in Senato sulle materie di cui all'articolo 116 della Costituzione! Lei si rende conto di quello che sta facendo? (Prolungati applausi dal Gruppo PD).
VOCI DAL GRUPPO PD. Bravo!
PARRINI (PD). E tutto questo, signor Presidente, avviene un mese e mezzo dopo la pagina nerissima, che purtroppo vede anche lei responsabile, dell'impossibilità per il Senato di discutere la legge di bilancio. (Prolungati applausi dal Gruppo PD). Non è mai avvenuto nella storia. Lei ha legato il suo nome a questo precedente!
Lei conosce meglio di me, Presidente - glielo dico con rispetto - quello che ha fatto la Corte costituzionale discutendo il nostro ricorso: lo ha dichiarato inammissibile, ma nel comunicato di accompagnamento ha detto che, se in Senato o alla Camera si ripeterà una simile sconcezza dichiarerà incostituzionale l'atto. Pensavo che, a un mese e mezzo di distanza da quei fatti, da un monito così forte e da una critica così forte che l'istituzione più alta del nostro ordinamento ha fatto alla volontà di comprimere la libertà dei senatori di discutere, ci fosse una decisione più seria e più ampia (Applausi dal Gruppo PD); una decisione che non soffocasse la discussione del Senato, ma, soprattutto perché si tratta di Costituzione, la lasciasse svolgere... (Il microfono si disattiva automaticamente).
PRESIDENTE. Non ho l'abitudine di togliere la parola, ma vorrei che rispettaste i tempi.
BRESSA (Aut (SVP-PATT, UV)). Signor Presidente, vorrei ritirare l'emendamento 1.105 e mantenere invece l'emendamento 1.106, facendo direttamente riferimento all'articolo 6 della Costituzione: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». La minoranza slovena è l'unica delle tre minoranze storiche linguistiche italiane che non ha una norma elettorale che possa garantirne la partecipazione e la presenza ai lavori del Parlamento.
FANTETTI (FI-BP). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FANTETTI (FI-BP). Signor Presidente, intervengo come cofirmatario dell'emendamento 1.2, anche per replicare all'argomentazione doppiamente fallace del relatore Calderoli circa la circoscrizione Estero.
È stata fatta menzione del principio del «no taxation without representation» che gli americani hanno utilizzato nei confronti dei colonialisti inglesi. Faccio notare che noi non l'abbiamo recepito nella Costituzione italiana: quello censitario, come la razza, il sesso, la religione e la residenza, non sono criteri di discriminazione della cittadinanza italiana. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Faccio anche notare che il volume delle rimesse degli italiani all'estero è stato nella storia - e continua a essere - molto rilevante ai fini del fisco italiano. Così come faccio notare che gli italiani all'estero sono gli unici che pagano l'IMU sulla prima casa: una discriminazione che esiste solo per noi. Quindi, se vogliamo parlare di entrate, facciamolo. Se vogliamo parlare di cittadinanza, possiamo farlo: ne abbiamo proposto la modifica dei criteri varie volte, ma non è questa la sede.
Faccio invece notare al relatore un altro punto più politico: lo scorso marzo 2018 la forza politica che lei rappresenta si è presentata con noi di Forza Italia all'estero chiedendo la fiducia di centinaia di migliaia, milioni di italiani all'estero, ricevendola sulla base di un programma condiviso che credeva negli italiani all'estero. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
Quegli italiani ci hanno dato fiducia non per essere discriminati, annullati ed esautorati alla prima occasione che si presenta, come in questo caso.
Voi state commettendo un'atrocità, nel momento in cui l'emigrazione è scoppiata e i numeri crescono. Da tutte le parti d'Italia, in particolare dal Sud, si emigra e in questo momento voi volete fare al Senato della Repubblica una rappresentanza degli italiani all'estero di 5 milioni e mezzo di persone in capo a quattro persone, tra cui un senatore che rappresenterebbe - Dio non voglia mai - 3,3 milioni di italiani. Immaginatevi chi può essere il candidato che si presenta per un collegio di 3,3 milioni di italiani. Questo è censitario. Questa è discriminazione censitaria, perché immaginatevi chi può affrontare una campagna del genere. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
C'è poi un problema di costituzionalità: c'è un principio di proporzione, stabilito dalla Corte costituzionale, di congruità tra i mezzi e i fini. Non è possibile stabilire una congruità tra il fine di rappresentare dei cittadini in Parlamento e il mezzo di farli votare tra 3,3 milioni di persone. Non c'è alcuna rappresentatività, si viola la stessa natura democratica.
Il provvedimento di modifica costituzionale in esame sarebbe palesemente incostituzionale, e su questo non ho alcuna preoccupazione. La preoccupazione che ho è che politicamente stiate commettendo un suicidio alle spalle di poche persone che qui sono rappresentate da pochi di noi, che però ancora possono parlare. (Applausi dal Gruppo FI-BP).
MARCUCCI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARCUCCI (PD). Signor Presidente, io mi devo scusare con lei e con i colleghi Capigruppo, perché durante la Conferenza dei Presidenti di Gruppo non ho fatto presente che stasera alle ore 20 era già stata convocata la riunione del nostro Gruppo proprio per prendere decisioni conseguenti rispetto al provvedimento sul quale stiamo dibattendo.
Nel chiederle scusa, quindi, anche se ci sono molti precedenti di decisioni che sono state prese durante i lavori della nostra Assemblea, io chiedo che si rinviino le votazioni sugli emendamenti e sull'articolato alla seduta di domani mattina. Questo non provocherà ritardi nell'approvazione del provvedimento in termini di giornata, perché nella mattinata verrà comunque concluso, visto il numero molto ristretto, ulteriormente ristretto dopo le notizie che ci ha dato. Chiedo quindi a lei e ai Capigruppo di maggioranza e di minoranza di aderire a questa nostra richiesta.
FAZZOLARI (FdI). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FAZZOLARI (FdI). Signor Presidente, sempre riguardo alla rappresentanza dei nostri connazionali residenti all'estero, il senatore Calderoli è stato molto chiaro nelle sue parole, dicendo di essere da sempre contrario alla legge Tremaglia; che ha consentito, dopo lunghe battaglie della destra, di dare finalmente il voto ai nostri connazionali all'estero. È un momento di chiarezza. Noi di Fratelli d'Italia rivendichiamo quell'eredità, rivendichiamo quella legge e siamo fieri che oggi, al Senato e alla Camera, ci siano dei rappresentanti dei nostri connazionali all'estero grazie a una battaglia di Tremaglia, che rivendichiamo e della quale andiamo orgogliosi. (Applausi dai Gruppi FdI e FI-BP).
Questo, in realtà, è un concetto molto più profondo di quello che oggi stiamo dicendo. Sempre il senatore Calderoli ha affermato che non ci può essere alcuna rappresentanza senza tasse pagate. Questa è una visione della nostra comunità nazionale che non mi stupisce provenga da chi - lo dico senza polemica - non è mai stato né un nazionalista italiano, né un patriota italiano, al contrario di noi che consideriamo nostri connazionali chi ha origini italiane, chi è di nazionalità italiana, a prescindere financo dalla cittadinanza che ha. Per noi il concetto di Nazione va oltre il concetto di confini nazionali, certo al 100 per cento per chi ha la cittadinanza italiana e vive all'estero, ma - dico di più - per noi anche per chi non ha la cittadinanza italiana, ma è di nazionalità italiana. Ciò è un qualcosa di talmente estraneo alla visione di questo Governo, che si autodefinisce sovranista ma che nulla ha di sovranista, che non riesce a capire come dovrebbe - ad esempio - tutelare le proprie comunità nazionali venezuelane anche se di passaporto venezuelano, perché quelli sono italiani a tutti gli effetti, paghino o non paghino le tasse, abbiano o meno il passaporto italiano. (Applausi dai Gruppi FdI e FI-BP).
Qui, invece, stiamo parlando addirittura di italiani con cittadinanza italiana ai quali viene contratto il diritto di rappresentanza alla Camera e al Senato, perché parrebbe che non pagano le tasse. Anche questa però è una inesattezza: è stato ricordato che i nostri connazionali all'estero pagano le tasse perché pagano l'IMU; con le rimesse arricchiscono il nostro Paese e su di esse altre persone pagano le tasse.
Quindi, sotto questo aspetto, ribadiamo come Fratelli d'Italia la volontà che la nostra rappresentanza dei nostri connazionali all'estero sia valorizzata e non sia insultata come è stato fatto. (Applausi dai Gruppi FdI e FI-BP).
MALAN (FI-BP). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MALAN (FI-BP). Signor Presidente, intervengo a seguito della richiesta di iniziare le votazioni domani. Io mi associo a tale richiesta e credo che cambierebbe di poco l'andamento della seduta e delle votazioni. Potremmo iniziare domani e andare in continuità. Gli emendamenti non sono numerosi e credo non ci sarebbero troppi problemi.
PRESIDENTE. Proporrei, se siete d'accordo, di procedere alle votazioni domani mattina, ma questa sera potremmo finire di illustrare i vari articoli. Ripeto che potremmo fare le votazioni domani mattina, ma procedere adesso con le illustrazioni.
GARAVINI (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GARAVINI (PD). Signor Presidente, intervengo rispetto alle dichiarazioni del relatore, senatore Calderoli.
Trovo davvero molto infelice, presidente Calderoli, il fatto che abbia addotto come motivazioni quei due elementi. Evidentemente nel mio intervento di ieri non sono stata sufficientemente chiara. Lei fa riferimento al fatto che la proporzione tra eletti in Italia ed eletti all'estero dovrebbe essere la stessa. Il combinato disposto di due elementi - il fatto che già oggi ci sia una forte sproporzione tra l'elettorato che esprime un eletto in Italia e l'elettorato che esprime un eletto all'estero - fa sì, però, che in realtà non ci sia affatto quella proporzione a cui lei fa riferimento.
Mi auguravo che ne parlasse all'inizio del suo intervento, quando ha detto che c'è e resta il problema degli eletti all'estero. Lei, purtroppo, con le sue dichiarazioni non soltanto non ha dato una risposta a questo problema, ma ha addirittura offeso gli italiani all'estero. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Bressa).
Le cito di nuovo i dati. Noi avremo - se questa riforma andrà in porto - il fatto che, da un elettore ogni 150.000 alla Camera, si passerà a uno ogni 700.000. Quindi, c'è una sproporzione radicale. Al Senato, se per un parlamentare eletto in Italia serviranno 300.000 elettori, all'estero ne serviranno 1.400.000. Mi dice dov'è la proporzionalità? Me lo dice, senatore Calderoli? Non c'è proporzionalità: è un'ingiustizia bella e buona.
Per di più, lei ha detto: «No taxation, no representation». Lei ha presente quanti nostri connazionali pagano le tasse, perché hanno anche un piccolo reddito in Italia perché - ad esempio - proprietari di un immobile nel Paese? Quindi, senatore, questa è veramente un'ingiustizia enorme e mi auguro che la maggioranza si renda conto di che cosa sta facendo. Non è nelle cose il fatto che, magari soltanto per non essere stati sufficientemente premiati dal punto di vista elettorale, adesso si voglia ritorcere contro gli italiani all'estero. (Applausi della senatrice Malpezzi). Questa è una vera vergogna.
Gli italiani all'estero saranno identificati, tra l'altro, proprio da un Governo che si riempie la bocca proclamando il fatto di avere un Sottosegretario eletto all'estero. Se questo deve essere il risultato per i nostri connazionali, credo che ne faranno volentieri a meno. (Applausi dal Gruppo PD). È una vera ingiustizia, una vera vergogna che va a danno di tutti i nostri concittadini, che invece tengono alto il nome dell'Italia e il valore della migliore italianità all'estero.
Proprio ieri qui abbiamo avuto qui esponenti della società civile, espressione di intellettuali, professionisti, imprenditori, anche gente normale, ma gente valida, grandi eccellenze che portano davvero avanti il meglio del nostro Paese. E contro queste persone voi adesso state facendo una riforma totalmente anticostituzionale, perché l'equa rappresentatività è totalmente cancellata.
Mi auguro, quindi, che questa riforma non vada in porto perché, se è fortemente scorretta e anticostituzionale nella parte riguardante la riduzione del numero dei parlamentari in Italia, lo è ancora di più per quanto riguarda la rappresentanza e la voce degli italiani all'estero. (Applausi dai Gruppi PD e FI-BP).
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.
DE PETRIS (Misto-LeU). Signor Presidente, sono stati presentati diversi subemendamenti all'emendamento 2.100, del relatore, senatore Calderoli, che, nel considerare le minoranze linguistiche - tema di cui non si è occupato molto - ha riconfezionato il numero dei parlamentari per quanto riguarda le Province autonome di Trento e Bolzano. Nella proposta iniziale era previsto che nessuna Regione o Provincia autonoma potesse avere un numero di senatori inferiore a cinque, mentre con l'emendamento 2.100 si intende portare il numero a tre. Di conseguenza, vi è una riconsiderazione del numero minimo di senatori per ogni Regione.
Signor Presidente, do lettura di alcuni dati riguardati la proporzione tra senatori ed elettori con riferimento alle Camere alte, e stiamo parlando del Senato. Nel Regno Unito il numero di abitanti per membro è pari a 83.000 e il numero di membri per 100.000 abitanti è pari a 1,2. Do lettura dei coefficienti: in Francia è pari allo 0,5; in Italia - attualmente - allo 0,5; in Spagna allo 0,6. Con la nuova proposta il coefficiente in Italia diventerebbe pari allo 0,3.
Anche in questo caso, ci siamo sforzati di fare una cosa che fosse ancorata a un quadro europeo più chiaro. Non leggo i dati di altri Paesi che spero rimangano abbastanza lontani da noi. Non le faccio l'esempio della Slovenia, dell'Irlanda e dell'Austria. Ho riconsiderato il coefficiente perché - lo vedremo in seguito, esaminando l'Atto Senato 881, riguardante l'adeguamento della legge elettorale ai nuovi numeri, conseguenti alla riduzione del 36 per cento del numero dei parlamentari - noi avremo grandi, ma grandi problemi di rappresentanza dei territori, con collegi molto grandi che - lo dico anche al Ministro - creeranno ulteriori problemi di distacco tra rappresentanti e rappresentati. Infatti, se già con la legge attuale è molto difficile riuscire a capire quali sono i candidati e ad avere con loro un rapporto nei collegi uninominali molto grandi, con siffatte riduzioni e con il conseguente adeguamento della legge elettorale, questo rapporto si allenterà ancora di più.
Anche in questo caso abbiamo fatto un lavoro per tentare di attestarci su una media europea anche più bassa. Per la Camera abbiamo proposto un coefficiente pari allo 0,8, (in Germania è pari allo 0,9), con una mediazione rispetto alla proposta dello 0,7, e anche per il Senato presentiamo una proposta di 265 senatori, con un coefficiente pari allo 0,4.
Signor Presidente, questi numeri più ragionevoli consentono un'articolazione più efficiente (se ci vogliamo soffermare solo sulla vicenda dei numeri).
Rimangono poi aperti alcuni problemi che le voglio sottoporre... (Brusio). Signor Presidente, non si capisce nulla.
PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, non si sente nulla.
DE PETRIS (Misto-LeU). Le ho spiegato adesso la questione dei numeri e dei coefficienti, per cercare di dare anche un po' di razionalità rispetto ai numeri di 400 e 200, perché altrimenti non si capisce da dove arrivano i coefficienti dello 0,3 e dello 0,7.
Vi è poi una serie di questioni molto delicate che abbiamo rappresentato… (Brusio). Signor Presidente, mi rifiuto di illustrare in queste condizioni, preferisco farlo domani,
PRESIDENTE. Vi chiedo un po' di attenzione, colleghi, perché non si riesce a capire nulla. Chi vuole uscire esca, ma chiedo un po' di silenzio, perché vorrei ascoltare quello che dice la senatrice De Petris.
DE PETRIS (Misto-LeU). Presidente, stavo per passare a questioni delicate, che riguardano la rappresentanza delle minoranze linguistiche, ma non si può fare così. Come sa, signor Presidente, in questa legislatura sono abbastanza disciplinata, evidentemente fin troppo, ma la dignità non si tocca. Se permette, quindi, avendo già illustrato i subemendamenti, penso sia il caso di illustrare domani le altre proposte emendative, che sono le più delicate, in quanto riguardano questioni come il problema delle minoranze linguistiche, della rappresentanza delle minoranze politiche e quindi del pluralismo della rappresentanza. (Applausi dal Gruppo Misto e della senatrice Bellanova).
BRESSA (Aut (SVP-PATT, UV)). Signor Presidente, chiedo il ritiro dell'emendamento 2.103, mentre gli altri vanno bene così come sono.
PRESIDENTE. La Presidenza ne prende atto.
ROJC (PD). Signor Presidente, vorrei solo ricordare che gli emendamenti che ho presentato si riferiscono, oltre all'articolo 6 della Costituzione, anche alla legge n. 38 del 2001, che all'articolo 26 reca: «Le leggi elettorali per l'elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati dettano norme per favorire l'accesso alla rappresentanza di candidati appartenenti alla minoranza slovena». Muovo quindi un appello ai colleghi a tenerne conto, perché si tratta di cittadini italiani, che hanno diritto ad esprimere la propria appartenenza.
PRESIDENTE. Poiché abbiamo stabilito di illustrare oggi gli emendamenti, chi ha interesse ad intervenire lo fa, mentre chi non ne ha, lo farà sui singoli emendamenti.
I restanti emendamenti si intendono illustrati.
Passiamo all'esame dell'articolo 3, sul quale sono stati presentati emendamenti che invito i presentatori ad illustrare.
DE PETRIS (Misto-LeU). Signor Presidente, lei - non io - ha deciso che tutta l'illustrazione si deve fare oggi. Le sto dicendo che mi riserverei di farlo domani, perché voglio parlare su tutto un insieme di emendamenti, ma ora non ci sono le condizioni per farlo.
PRESIDENTE. Senatrice, parto dal presupposto che se uno ha interesse a sentirla si ferma: se i senatori sono andati via, vuol dire che non hanno interesse ad ascoltare; io la interpreto così, dal momento che abbiamo deciso di procedere con l'illustrazione. Chi non ha interesse ad illustrare, se n'è andato.
DE PETRIS (Misto-LeU). Ma chi l'ha detto? Chi l'ha stabilito, lei?
PRESIDENTE. Dal momento che la Conferenza dei Capigruppo ha stabilito così, ho ritenuto di continuare con l'illustrazione oggi, come ho detto chiaramente.
DE PETRIS (Misto-LeU). Era prevista la chiusura alle ore 20,30, va bene. Mi prenderò tutto il tempo, allora, e illustrerò gli emendamenti uno per uno. L'emendamento 2.100/6…
PRESIDENTE. Siamo passati all'articolo 3.
DE PETRIS (Misto-LeU). Le ho detto che c'è una questione delicata che riguarda le minoranze linguistiche, che, come sa, sono riconosciute dalla nostra Costituzione, nella quale hanno un peso notevole. Persino nel nostro Regolamento costituiscono uno dei pochi casi in cui non c'è incertezza nell'accettare il voto segreto: come saprà perfettamente, questo è sempre stato stabilito, perché ha un alto livello di certezza rispetto ad altre questioni che riguardano la libertà personale e altri articoli della nostra Costituzione.
Vi è un problema molto serio, che è stato illustrato benissimo, che prima o poi in quest'Aula dovremo affrontare, anche se non so in quale sede perché abbiamo provato a farlo anche nella precedente riforma costituzionale. I senatori sardi non sono in Aula, tranne forse uno (e in questo momento faccio le veci di Uras anche se non è stato rieletto). Siamo arrivati al punto, come alla fine della precedente legislatura, di non aver voluto neanche ratificare un trattato che riconosce e dà forza alle minoranze linguistiche, che nel nostro Paese non sono soltanto, con tutto il rispetto dell'SVP, la minoranza tedesca. In questo Paese, infatti, ci sono diverse aree di confine. Ad esempio, la questione della minoranza slovena è molto seria e molto delicata anche per la storia di questo Paese e di quei confini, e lei lo sa perfettamente. Nel Friuli-Venezia Giulia vi è una questione che riguarda storicamente anche altre componenti ma in generale nel nostro Paese ci sono minoranze linguistiche in aree molto ampie. Nella passata legislatura abbiamo avuto problemi con i Ladini perché adesso abbiamo sistemato la questione con i tre più tre senatori per le Province autonome ma non è detto che la minoranza Ladina dentro quello schema sia rappresentata e questo riguarda strettamente anche l'Alto Adige e il suo confine con la provincia autonoma di Trento.
Esiste poi una lingua che di fatto non è riconosciuta: la lingua sarda. Vogliamo parlare del Catalano? La lingua catalana non solo sopravvive ancora ma è utilizzata anche in alcune università; ha una forte identità e non dispone di forme tutela pur essendo la Sardegna una Regione autonoma a Statuto speciale, neanche per quanto riguarda le norme relative alla Rai e alla comunicazione, per non parlare della scuola.
Vedo qui il senatore Buccarella e lui sa perfettamente cosa intendo: in Puglia vi è un'area geografica che si chiama Grecìa dove ancora si parla il griko antico. Tutte queste forme non hanno, non dico una tutela come quella che stiamo affrontando all'interno della rappresentanza, ma neanche un minimo di tutela per garantire la biodiversità culturale e linguistica di questo Paese. Mi dispiace che ancora una volta, e per questo le avevo chiesto di affrontare la questione domani... (Brusio).
Io capisco, Presidente, che a lei non interessi, mi va benissimo. La questione è però molto delicata. Si tratta di problemi molto delicati ai quali quest'Assemblea - anche se forse non interessa, per carità - o qualcuno prima o poi dovrà dare delle risposte. Lo ripeto, ho molto rispetto e sono molto amica di tutti i rappresentanti della Südtiroler Volkspartei e della minoranza tedesca ma esistono anche altre minoranze ed esiste la necessità in questo Paese di poter finalmente dare delle risposte.
La stessa questione, Presidente, riguarda l'altra minoranza. La affronteremo con la dovuta attenzione quando affronteremo anche il disegno di legge n. 881 ma non potevamo non richiamare in Costituzione, di fronte alla riduzione del numero dei parlamentari, il problema delle minoranze. La rappresentanza è una delle questioni, tant'è che nella sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale il cosiddetto Porcellum - che lei ben conosce, Presidente, perché ne è stata autrice insieme al senatore Calderoli - si richiama fortemente al dovere di evitare, ai fini della governabilità e di altri principi che vengono applicati nel momento in cui si legifera, di contrarre fortemente la rappresentanza perché il pluralismo della rappresentanza è uno dei capisaldi della Costituzione della democrazia parlamentare.
Questo è l'emendamento cui facevo riferimento, che ovviamente ha la necessità di non essere affrontato in modo così burocratico e a fine seduta, e ovviamente, signor Presidente, nelle dichiarazioni di voto che faremo domani produrremo altri interessanti argomenti in merito ad esso.
L'ultima questione concerne un tema molto delicato, che anche il relatore ha affrontato in sede di replica, circa l'elezione del Presidente della Repubblica. È evidente che anche in quel caso si produce un problema, che per qualcuno non è tale; capisco che forse ci stiamo avviando verso uno Stato federale, ma basta dirlo perché allora anche la vostra proposta di elezione diretta del Presidente forse in uno Stato federale avrebbe più senso. Tuttavia, con la riduzione del numero dei parlamentari è chiaro che cambia la proporzione: 58 grandi elettori regionali su 600 diventano praticamente il 10 per cento e questo altera gli equilibri. Pertanto, l'unica cosa che potevamo fare ovviamente era ridurre, con tutte le conseguenze del caso, il numero dei rappresentanti delle Regioni. Tuttavia, al di là dell'emendamento stesso, è una questione che credo meriti di essere approfondita e di trovare delle soluzioni che non possono essere solo volte a riconfermare il quadro così come è. (Applausi dai Gruppi Misto-LeU e PD)
PRESIDENTE. I restanti emendamenti si intendono illustrati.
Rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.
Presidenza del vice presidente LA RUSSA (ore 20,19)
Interventi su argomenti non iscritti all'ordine del giorno
ASTORRE (PD). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ASTORRE (PD). Signor Presidente, con quest'intervento vorrei affrontare una vicenda che interessa il Policlinico universitario e l'Università di Tor Vergata.
Da tempo, sia attraverso interrogazioni parlamentari del MoVimento 5 Stelle sia attraverso interventi in Aula da parte del collega Sileri, presidente della 12a Commissione, vengono attaccati sia il direttore del Policlinico universitario sia l'Università di Tor Vergata, che vengono messi al centro dell'attenzione con una serie di sospetti e di denunce riguardo a supposte procedure concorsuali pilotate e a fatti avvenuti nella gestione dell'Università di Tor Vergata.
A me non interessa dire se c'è o no un interesse diretto da parte del collega Sileri, che è già stato ricercatore universitario a Tor Vergata, chirurgo dell'apparato digerente dell'ospedale e legato all'ateneo. In questa fase a me non interessa dire che in questi cinque anni l'Università di Tor Vergata ha bandito circa 254 concorsi per professori universitari, dei quali solo tre sono stati annullati dalla giustizia amministrativa e prontamente rifatti. Allo stesso tempo è nota la vicenda giudiziaria che vede imputato il rettore dell'università Tor Vergata, professor Giuseppe Novelli, nei confronti del quale è in corso un processo avviato anche a seguito di intercettazioni dello stesso senatore Sileri.
In ragione di questo quadro mi permetta di dire che considero l'atteggiamento del MoVimento 5 Stelle e del collega Sileri eccessivamente sconsiderato e poco rispettoso del lavoro della magistratura, oltre che dell'onorabilità e credibilità dello stesso ateneo chiamato in causa. Prima di richiedere le dimissioni o un forte segnale di discontinuità, come si legge in una delle interrogazioni presentate, sarebbe più opportuno attendere l'esito del processo, perché ad ognuno deve essere consentito difendersi nel processo, e dovreste sapere a maggior ragione che vi deve essere un principio di autonomia della magistratura nella giustizia.
Per quanto riguarda, invece, il Policlinico universitario Tor Vergata, a me non interessa dire che in questi cinque anni è stato ridotto di 50 milioni il deficit universitario; che sono passati da 5.000 a 9.000 gli interventi chirurgici annui; che sono stati spesi 7 milioni di euro per l'assunzione del personale; che sono state certificate le qualità. Quello che chiedo, signor Presidente (lo chiedo anche al presidente Sileri), è che il Presidente della Commissione sanità, se vuole fare chiarezza veramente sulle questioni che più meritano attenzione, eserciti le sue prerogative parlamentari, magari - e lo auspico - convocando in audizione il direttore regionale di Tor Vergata, dando cosi anche modo agli altri senatori di farsi un'idea più completa della vicenda nel merito.
Concludo, presidente. Continuare a gettare ombre, sospetti e discredito colpendo incidentalmente anche il sistema universitario attraverso la stampa non vorrei rispondesse a una precisa strategia, che non mira a fare maggiore chiarezza ma ad alimentare a dismisura ombre e sospetti.
Spero che il collega Sileri accolga rispettosamente il mio invito rispettoso e che possa attivarsi per una maggiore chiarezza, anche attraverso apposite procedure informative parlamentari. Occorre ristabilire la verità dei fatti e non solo le illazioni.
PUCCIARELLI (L-SP-PSd'Az). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PUCCIARELLI (L-SP-PSd'Az). Signor Presidente, onorevoli colleghi, a margine dei lavori parlamentari di oggi, voglio attirare l'attenzione dell'Assemblea su un avvenimento che ritengo debba essere stigmatizzato con forza.
Il 30 gennaio da poco trascorso è stato l'anniversario della morte di Pamela Mastropietro. Si trattò di un crimine la cui efferatezza scandalizzò l'intero Paese. Ebbene, a un anno di distanza il sindaco e l'amministrazione comunale di Macerata non hanno ritenuto opportuno provvedere a una pubblica commemorazione di Pamela.
Il principio di sussidiarietà ci impone pieno rispetto per l'autonomia decisionale dell'amministrazione di Macerata, ma riguardo ai contenuti e alle decisioni assunte dal Comune di Macerata, avvalendosi di quella autonomia, è legittimo, oltreché doveroso, dissentire ed esprimere una condanna morale.
Un principio fondamentale della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza è quello che un adolescente - e a diciotto anni ancora lo si è - ha diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo: esattamente ciò che con orribile ferocia è stato negato a Pamela Mastropietro.
Come se ciò non bastasse, pochi giorni fa il sindaco di Macerata le ha negato anche il diritto di sopravvivere nella memoria collettiva della comunità che è stata teatro della sua morte.
È facile intuire a quale partito appartiene il sindaco di Macerata, lo stesso sindaco che non ha espresso un giudizio sugli assassini ma sulla famiglia della ragazza, la qual cosa è a mio avviso abbastanza vergognosa.
Presidente, questo caso diventa emblematico di un modo di pensare tipico della sinistra: per loro ci sono morti di serie A e morti di serie B. Gli unici che vogliono ricordare sono quelli che permettono loro di fare propaganda, mentre chi ha avuto la sfortuna di morire in circostanze politicamente scorrette viene condannato all'oblio e alla dimenticanza. Ma noi, Presidente, non dobbiamo dimenticare. (Applausi dai Gruppi L-SP-PSd'Az e M5S).
PRESIDENTE. Senatrice Pucciarelli, mi consenta di associarmi completamente alle sue parole.
CORBETTA (M5S). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CORBETTA (M5S). Signor Presidente, ogni anno in Italia abbiamo 90.000 decessi causati dall'inquinamento dell'aria. Gli effetti sanitari sono gravissimi e colpiscono soprattutto le fasce più deboli della popolazione, come gli anziani e i bambini. Il traffico è tra i principali responsabili di questa drammatica emergenza. Si stima che a Milano circa 600 decessi siano dovuti agli elevati livelli di ossidi di azoto che sono emessi prevalentemente dai motori diesel. Servono interventi incisivi per ridurre il traffico privato e potenziare il trasporto pubblico.
In questo scenario, le novità che si prospettano nel trasporto pubblico del milanese sono di fondamentale importanza e non ci si può permettere di sbagliare. L'integrazione tariffaria del trasporto pubblico locale - per la quale i gruppi territoriali del Movimento 5 Stelle hanno raccolto migliaia di firme negli anni scorsi - sarebbe un'ottima notizia, perché permetterebbe ai cittadini di muoversi più facilmente tra Milano e l'hinterland.
Sono invece una pessima notizia le dichiarazioni dei giorni scorsi del sindaco di Milano, Beppe Sala, di vincolare il prolungamento della metropolitana 5 a Monza all'aumento dei biglietti e degli abbonamenti ATM, l'Azienda trasporti milanesi. Innanzitutto, quelle della metropolitana Monza e delle tariffe ATM sono due questioni separate e tali devono rimanere. È inaccettabile che il sindaco Sala si metta di traverso sulla metropolitana di Monza, che egli stesso ha spinto fino a ieri. Si tratta di un progetto che allevierebbe enormi problemi di traffico e di inquinamento, che il territorio aspetta da decenni e che il nostro Governo ha finanziato con ben 900 milioni di euro nella legge di bilancio.
L'aumento del biglietto urbano da 1,5 a 2 euro è una scelta miope, che disincentiva l'uso dei mezzi pubblici in città, invece di agevolarlo. Forse il sindaco di Milano non comprende che il trasporto pubblico non è solo un servizio essenziale per i cittadini che lo utilizzano, ma è anche e soprattutto un sistema di vitale importanza per tutta la città. Cosa sarebbe Milano senza metro, tram e autobus? Sarebbe il caos e lo vediamo ogni volta che c'è lo sciopero dei mezzi. È evidente che il cittadino che prende i mezzi pubblici contribuisce a limitare il traffico e l'inquinamento a vantaggio di tutti. Chi prende la metropolitana e gli autobus fa bene anche a chi, per scelta o per necessità, usa l'auto privata. Usare il trasporto pubblico è quindi una scelta virtuosa, che un sindaco dovrebbe incentivare e premiare; a maggior ragione dovrebbe farlo il sindaco della città più ricca d'Italia: aumentare le tariffe urbane è una scelta suicida, che Milano non può permettersi. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Mi associo alla sua segnalazione, per un'alta velocità Milano-Monza: questo mi pare abbia prospettato.
Atti e documenti, annunzio
PRESIDENTE. Le mozioni, le interpellanze e le interrogazioni pervenute alla Presidenza, nonché gli atti e i documenti trasmessi alle Commissioni permanenti ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento sono pubblicati nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.
Ordine del giorno
per la seduta di giovedì 7 febbraio 2019
PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica domani, giovedì 7 febbraio, alle ore 9,30, con il seguente ordine del giorno:
La seduta è tolta (ore 20,30).
Allegato A
DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NEL TESTO UNIFICATO PROPOSTO DALLA COMMISSIONE
Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari (214 -515-805)
Risultante dall'unificazione dei disegni di legge costituzionale:
Modifiche alla Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari (n. 214)
Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione, in materia di composizione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (n. 515)
Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei deputati e dei senatori (n. 805)
ARTICOLO 1 NEL TESTO UNIFICATO PROPOSTO DALLA COMMISSIONE
Art. 1.
(Numero dei deputati)
1. All'articolo 56 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, la parola: «seicentotrenta» è sostituita dalla seguente: «quattrocento» e la parola: «dodici» è sostituita dalla seguente: «otto»;
b) al quarto comma, la parola: «seicentodiciotto» è sostituita dalla seguente: «trecentonovantadue».
EMENDAMENTI
Al comma 1, apportare le seguenti modificazioni:
a) alla lettera a), sostituire la parola: "quattrocento" con la seguente: "cinquecentotrenta" e la parola: "otto" con la seguente: "dieci";
b) alla lettera b), sostituire la parola: "trecentonovantadue" con la seguente: "cinquecentoventi".
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Apportare le seguenti modificazioni:
1) alla lettera a) sostituire la parola «quattrocento» con la seguente «cinquecento » e la parola «otto» con la seguente: «dieci»;
2) alla lettera b) sostituire la parola «trecentonovantadue» con la seguente: «quattrocentonovanta»
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Al comma 1, lettera a) sostituire la parola «quattrocento» con la seguente «cinquecentotrenta» e la parola «otto» con la seguente: «dieci»;
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Al comma 1, lettera a), sostituire la parola «quattrocento» con la seguente «cinquecento » e la parola «otto» con la seguente: «dieci»;
Parrini, Marcucci, Garavini, Giacobbe, Fantetti, Collina, Alderisi
Al comma 1, lettera a), sopprimere le seguenti parole: «e la parola: "dodici" è sostituita dalla seguente: "otto"».
Conseguentemente, all'articolo 2, comma 1, lettera a) sopprimere le seguenti parole: «e la parola: "sei" è sostituita dalla seguente: "quattro"».
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Al comma 1, lettera b) sostituire la parola «trecentonovantadue» con la seguente: «cinquecentoventi»
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Al comma 1, lettera b) sostituire la parola «trecentonovantadue» con la seguente: «quattrocentonovanta»
Bressa, Unterberger, Durnwalder, Steger, Laniece
Ritirato
Al comma 1, dopo la lettera b), aggiungere, in fine, la seguente lettera:
«b-bis) dopo il quarto comma, è aggiunto, in fine, il seguente: «La legge garantisce l'accesso alla rappresentanza di candidati appartenenti alla minoranza linguistica slovena presente nella Regione Friuli Venezia Giulia.»
Conseguentemente, all'articolo 2, comma 1, dopo la lettera b), aggiungere, in fine, la seguente:
«b-bis) dopo il quarto comma, è aggiunto, in fine, il seguente: "La legge garantisce l'accesso alla rappresentanza di candidati appartenenti alla minoranza linguistica slovena presente nella Regione Friuli Venezia Giulia.»
Al comma 1, dopo la lettera b), aggiungere, in fine, la seguente lettera:
«b-bis) dopo il quarto comma, è aggiunto, in fine, il seguente: «La legge favorisce l'accesso alla rappresentanza di candidati appartenenti alla minoranza linguistica slovena presente nella Regione Friuli Venezia Giulia.»
Conseguentemente, all'articolo 2, comma 1, dopo la lettera b), aggiungere, in fine, la seguente:
«b-bis) dopo il quarto comma, è aggiunto, in fine, il seguente: "La legge favorisce l'accesso alla rappresentanza di candidati appartenenti alla minoranza linguistica slovena presente nella Regione Friuli Venezia Giulia.»
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Dopo la lettera b) aggiungere la seguente:
«b-bis) dopo il quarto comma è aggiunto il seguente:
"Deve comunque essere garantita la rappresentanza delle minoranze."»
ARTICOLO 2 NEL TESTO UNIFICATO PROPOSTO DALLA COMMISSIONE
Art. 2.
(Numero dei senatori)
1. All'articolo 57 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, la parola: «trecentoquindici» è sostituita dalla seguente: «duecento» e la parola: «sei» è sostituita dalla seguente: «quattro»;
b) al terzo comma, le parole da: «sette» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «quattro; il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno».
EMENDAMENTI
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
All'emendamento 2.100, al comma 1, lettera a), sostituire la parola «duecento» con la seguente «duecentosessantacinque» e la parola «quattro» con la seguente: «cinque».
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
All'emendamento 2.100, al comma 1, lettera a), sostituire la parola «duecento» con la seguente: «duecentocinquanta» e la parola «quattro» con la seguente: «cinque».
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
All'emendamento 2.100, al comma 1, lettera a), sostituire la parola «duecento» con la seguente: «duecentosessantacinque».
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
All'emendamento 2.100, al comma 1, lettera a), sostituire la parola «duecento» con la seguente: «duecentocinquanta».
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
All'emendamento 2.100, al comma 1, lettera a), sostituire la parola «quattro» con la seguente: «cinque».
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
All'emendamento 2.100, al comma 1, lettera a), aggiungere infine le seguenti parole: «e sono aggiunte, infine, le seguenti parole "assicurando alle minoranze linguistiche riconosciute il diritto ad essere rappresentate"».
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
All'emendamento 2.100, dopo la lettera c) aggiungere la seguente:
c-bis) dopo il quarto comma è aggiunto il seguente:
«Deve comunque essere garantita la rappresentanza delle minoranze».
Il Relatore
Sostituire l'articolo con il seguente:
«Art. 2
(Numero dei senatori)
1. All'articolo 57 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, la parola: "trecentoquindici" è sostituita dalla seguente: "duecento" e la parola: "sei" è sostituita dalla seguente: "quattro";
b) al terzo comma, dopo la parola: "Regione" aggiungere le seguenti: "o Provincia autonoma" e sostituire la parola: "sette" con la seguente: "tre";
c) il quarto comma è sostituito dal seguente: "La ripartizione dei seggi tra le Regioni o le Province autonome, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall'ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti."»
Al comma 1, apportare le seguenti modificazioni:
a) alla lettera a), sostituire la parola: "duecento" con la seguente: "duecentosessantacinque" e la parola: "quattro" con la seguente: "cinque";
b) alla lettera b), sostituire le parole: "il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno" con le seguenti: "il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta ne ha uno".
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Al comma 1, lettera a), sostituire la parola «duecento» con la seguente «duecentosessantacinque» e la parola «quattro» con la seguente: «cinque»;
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Al comma 1, lettera a), sostituire la parola «duecento» con la seguente «duecentocinquanta» e la parola «quattro» con la seguente: «cinque»;
Ritirato
Al comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:
«b) il terzo comma è sostituito dal seguente: "Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a quattro; ciascuna delle Province autonome ne ha tre; il Friuli Venezia Giulia ne ha sette; il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno."».
All'articolo 2 comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:
«b) il terzo comma è sostituito dal seguente: " Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a quattro; ciascuna delle Province autonome di Trento e Bolzano ne ha tre; il Friuli Venezia Giulia ne ha sei di cui uno destinato al territorio in cui la minoranza linguistica slovena è tradizionalmente presente individuato con le modalità previste dalla legge per favorire l'accesso alla rappresentanza di candidati della minoranza linguistica stessa; il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno."».
All'articolo 2 comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:
«b) il terzo comma è sostituito dal seguente: " Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a quattro; ciascuna delle Province autonome di Trento e Bolzano ne ha tre; il Friuli Venezia Giulia ne ha sei di cui uno destinato alla minoranza slovena presente nelle province di Trieste, Gorizia e Udine; il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno."».
Al comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:
«b) il terzo comma è sostituito dal seguente: "Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a quattro; ciascuna delle Province autonome ne ha tre; il Friuli Venezia Giulia ne ha sei; il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno."».
All'articolo 2 comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:
«b) il terzo comma è sostituito dal seguente: " Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a quattro; ciascuna delle Province autonome di Trento e Bolzano ne ha tre; il Friuli Venezia Giulia ne ha cinque di cui uno destinato alla minoranza slovena presente nelle province di Trieste, Gorizia e Udine; il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno."».
Bressa, Unterberger, Durnwalder, Steger, Laniece
Al comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:
«b) il terzo comma è sostituito dal seguente: "Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a quattro; ciascuna delle Province autonome ne ha tre; il Friuli Venezia Giulia ne ha cinque, di cui uno appartenente alla minoranza linguistica slovena; il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno."».
Al comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente:
«b) il terzo comma è sostituito dal seguente: "Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a quattro; ciascuna delle Province autonome ne ha tre; il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno"».
Al comma 1, sostituire la lettera b) con la seguente: «b) al terzo comma, la parola: "sette" è sostituita dalla seguente: "quattro"».
Durnwalder, Unterberger, Steger
Al comma 1, lettera b), dopo la parola: «quattro;» inserire le seguenti: « la regione Trentino -Alto Adige/ Südtirol ne ha tre per la Provincia Autonoma di Trento e tre per la Provincia Autonoma di Bolzano, »
Al comma 1, lettera b), dopo la parola: «quattro», inserire le seguenti:
«, fatta eccezione della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol che ne ha sei, tre per la Provincia autonoma di Trento e tre per la Provincia autonoma di Bolzano;».
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Al comma 1, lettera b), sostituire le parole «il Molise e la Valle d'Aosta ne hanno uno» con le seguenti «il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta ne ha uno»
Al comma 1, lettera b), aggiungere, in fine, le seguenti parole: "e il Trentino-Alto Adige/Südtirol sei".
De Petris, Errani, Grasso, Laforgia
Dopo la lettera b) aggiungere la seguente:
«b-bis) dopo il quarto comma è aggiunto il seguente:
"Deve comunque essere garantita la rappresentanza delle minoranze".»
Parrini, Malpezzi, Valente, Ferrari, Collina, Faraone, Mirabelli
Improponibile
Al comma 1 dopo la lettera b) inserire la seguente:
«b-bis). dopo il quarto comma è aggiunto, in fine, il seguente:
"I Presidenti delle Giunte Regionali e i Presidenti delle Province Autonome di Trento e di Bolzano partecipano con diritto di voto ai lavori del Senato limitatamente all'esame dei disegni di legge di cui agli articoli 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma."»
Conseguentemente,
dopo l'art. 2, sono inseriti i seguenti:
«Art. 2-bis
(Elettorato attivo e passivo e nuove funzioni del Senato)
1. L'art. 58 della Costituzione, è sostituito dal seguente:
"Il Senato della Repubblica è eletto con metodo proporzionale a suffragio universale e diretto.
Sono eleggibili a senatori tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
Il Senato della Repubblica concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea. Valuta l'impatto delle politiche pubbliche comprese quelle dell'Unione europea sui territori, anche avvalendosi del potere d'indagine e di inchiesta per l'acquisizione di informazioni presso lo Stato, gli Enti pubblici e le pubbliche amministrazioni. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l'attuazione delle leggi dello Stato."
Art. 2-ter.
(Introduzione del bicameralismo differenziato)
1. L'articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente:
"Art. 70. -- La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 80, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.
Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati.
Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata.
I disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione.
Il Senato della Repubblica può, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richiedere alla Camera dei deputati di procedere all'esame di un disegno di legge. In tal caso, la Camera dei deputati procede all'esame e si pronuncia entro il termine di sei mesi dalla data della deliberazione del Senato della Repubblica.
I Presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti.
Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati".
Art. 2-quater.
(Procedimento legislativo)
1. All'articolo 72 della Costituzione, il primo comma è sostituito dai seguenti:
"Ogni disegno di legge di cui all'articolo 70, primo comma, presentato ad una Camera, è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale.
Ogni altro disegno di legge è presentato alla Camera dei deputati e, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale. Il regolamento del Senato della Repubblica disciplina le modalità di esame dei disegni di legge trasmessi dalla Camera dei deputati ai sensi dell'articolo 70.
Art. 2-quinquies.
(Modifiche agli articoli 81 e 94 della Costituzione)
1. All'articolo 81 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, le parole: «delle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati» e la parola: «rispettivi» è sostituita dalla seguente: «suoi»;
b) al quarto comma, le parole: «Le Camere ogni anno approvano» sono sostituite dalle seguenti: «La Camera dei deputati ogni anno approva».
2. All'articolo 94 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma, le parole: «delle due Camere» sono sostituite dalle seguenti: «della Camera dei deputati»;
b) al secondo comma, le parole: «Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia» sono sostituite dalle seguenti: «La fiducia è accordata o revocata»;
c) al terzo comma, le parole: «alle Camere» sono sostituite dalle seguenti: «innanzi alla Camera dei deputati»;
d) al quinto comma, dopo la parola: «Camera» sono inserite le seguenti: «dei deputati».
Art. 2-sexies.
(Modifiche alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 riguardanti la Commissione parlamentare per le questioni regionali)
1. All'articolo 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 le parole da "i regolamenti della Camera" sino a fine periodo sono sostituite con le seguenti: "i Presidenti delle Giunte Regionali e i Presidenti delle Province Autonome di Trento e di Bolzano sono membri di diritto della Commissione parlamentare per le questioni regionali per la durata del rispettivo mandato"
b) al comma 2, le parole "; integrata ai sensi del comma 1" sono soppresse".»
Improponibile
Al comma 1, dopo la lettera b), inserire la seguente:
«b-bis) dopo il quarto comma è aggiunto, in fine, il seguente:
"I Presidenti delle Giunte Regionali e i Presidenti delle Province Autonome di Trento e di Bolzano partecipano con diritto di voto ai lavori del Senato limitatamente all'esame dei disegni di legge di cui agli articoli 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma"».
Conseguentemente, dopo l'articolo 3, inserire i seguenti:
«Art. 3-bis.
1. All'articolo 72 della Costituzione, dopo il quarto comma, sono inseriti i seguenti:
"I disegni di legge di cui agli articoli 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma, della Costituzione sono presentati al Senato della Repubblica.
Sui disegni di legge di cui agli articoli 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma, della Costituzione la Camera delibera sul testo approvato dal Senato".
Art. 3-ter.
1. All'articolo 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole da: "i regolamenti della Camera" sino a fine periodo sono sostituite dalle seguenti: "i Presidenti delle Giunte Regionali e i Presidenti delle Province Autonome di Trento e di Bolzano sono membri di diritto della Commissione parlamentare per le questioni regionali per la durata del rispettivo mandato";
b) al comma 2, le parole "; integrata ai sensi del comma 1" sono soppresse».
EMENDAMENTO TENDENTE AD INSERIRE UN ARTICOLO AGGIUNTIVO DOPO L'ARTICOLO 2
Improponibile
Dopo l'articolo, inserire il seguente:
«Art. 2-bis.
(Elettorato attivo e passivo del Senato)
1. L'articolo 58 della Costituzione, è sostituito dal seguente:
"Il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto.
Sono eleggibili a senatori tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età"».
ARTICOLO 3 NEL TESTO UNIFICATO PROPOSTO DALLA COMMISSIONE
Art. 3.
(Senatori a vita)
1. All'articolo 59 della Costituzione, il secondo comma è sostituito dal seguente:
«Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque».
EMENDAMENTI TENDENTI AD INSERIRE ARTICOLI AGGIUNTIVI DOPO L'ARTICOLO 3
V. testo 2
Dopo l'articolo, inserire il seguente:
«Art. 3-bis.
(Delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica)
1. All'articolo 83 della Costituzione il secondo comma è sostituito dal seguente:
"All'elezione partecipano due delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze"».
Dopo l'articolo, inserire il seguente:
Art. 3-bis
(Delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica)
1. All'art. 83 della Costituzione il secondo comma è sostituito dal seguente:
«All'elezione partecipano due delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato.».
Dopo l'articolo, inserire il seguente:
«Art. 3-bis.
1. All'articolo 83 della Costituzione, al secondo comma, la parola: "tre" è sostituita dalla seguente: "due"».
ARTICOLO 4 NEL TESTO UNIFICATO PROPOSTO DALLA COMMISSIONE
Art. 4.
(Decorrenza delle disposizioni)
1. Le disposizioni di cui agli articoli 56 e 57 della Costituzione, come modificati dagli articoli 1 e 2 della presente legge costituzionale, si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore .
Allegato B
Integrazione all'intervento del senatore Vattuone nella discussione generale sui disegni di legge costituzionale nn. 214, 515 e 805
Il secondo tema che voglio sottolineare, riguarda l'insieme delle proposte di riforma istituzionale presentate in questa legislatura e sostenute, a quello che sembra, dalla maggioranza di governo. E anche, se pure non formalizzata in una proposta di legge, mi voglio riferire alla questione del vincolo al mandato dei parlamentari, già introdotto nello statuto del MoVimento 5 Stelle, e nel loro regolamento qui al Senato; gruppo che peraltro, anche in questa legislatura si stanno distinguendo per espellere, ad esempio, i parlamentari che non erano d'accordo con infilare il condono di Ischia nel decreto relativo a Genova e all'emergenza ponte Morandi.
Bisogna essere chiari su un punto. Questa concezione collide frontalmente con l'art. 67 Cost., che pone il divieto di mandato imperativo. Il mandato imperativo nega l'essenza stessa della democrazia rappresentativa, e del concetto di rappresentanza politica che ne è fondamento. Che è appunto rappresentanza politica del (corpo elettorale); e non di volontà. Mentre qui si afferma, in principio, l'obbligo del parlamentare di prendere ordini da un soggetto esterno all'ordinamento della camera di appartenenza.
L'insieme di questi provvedimenti, non solo rischia di alterare profondamente il principio di rappresentatività e di rendere del tutto disfunzionale la nostra democrazia, ma integra un progetto di superamento e ridimensionamento della democrazia rappresentativa a vantaggio di un'idea di democrazia diretta che oggi non ha alcun riscontro nella realtà e che ha rischi altissimi.
E, guardate, quando si toccano le regole, si modificano le istituzioni bisogna pensare non solo ai prossimi anni ma anche alle conseguenze a lungo termine; a quello che potrebbe succedere tra 10 o 15 anni e ai rischi che ne potrebbero derivare indipendentemente da chi governa oggi.
Congedi e missioni
Sono in congedo i senatori: Barachini, Bogo Deledda, Borgonzoni, Botto, Caliendo, Campagna, Candiani, Cattaneo, Cioffi, Crimi, Dal Mas, D'Angelo, De Poli, Giacobbe, Ginetti, Merlo, Modena, Monti, Napolitano, Nocerino, Ortolani, Pagano, Renzi, Richetti, Ronzulli, Ruspandini, Santangelo, Siri, Solinas e Taverna.
È assente per incarico avuto dal Senato il senatore Vallardi, per attività della 9ª Commissione permanente.
Commissioni permanenti, variazioni nella composizione
Il Presidente del Gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ha comunicato le seguenti variazioni nella composizione delle Commissioni permanenti:
1a Commissione permanente: entra a farne parte la senatrice Lezzi, sostituita in quanto membro del Governo dal senatore Castaldi; cessa di farne parte il senatore Morra;
4a Commissione permanente: entra a farne parte il senatore Morra; cessano di farne parte la senatrice Lezzi, sostituita in quanto membro del Governo dal senatore Castaldi, e la senatrice Bogo Deledda; entra a farne parte il senatore Lucidi, in qualità di sostituto del senatore Santangelo, membro del Governo; cessa di farne parte la senatrice Bottici, in qualità di sostituto del senatore Santangelo, membro del Governo;
13a Commissione permanente: entra a farne parte la senatrice Bogo Deledda.
Commissione parlamentare per la semplificazione, variazioni nella composizione
Il Presidente del Senato, in data 5 febbraio 2019, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per la semplificazione la senatrice Gisella Naturale in sostituzione della senatrice Elena Botto, dimissionaria.
Disegni di legge, annunzio di presentazione
Senatori Berutti Massimo Vittorio, Gallone Maria Alessandra, Tiraboschi Maria Virginia, Battistoni Francesco, Papatheu Urania Giulia Rosina, Serafini Giancarlo, Lonardo Alessandrina, Mallegni Massimo, Moles Giuseppe, Vitali Luigi, Floris Emilio, Toffanin Roberta
Disposizioni per la corretta pianificazione del territorio, per il conseguente contenimento del consumo di suolo, per l'incentivazione del riuso edilizio ed urbanistico, nonché delega al Governo in materia di riuso del suolo (1044)
(presentato in data 06/02/2019);
senatore Ciriani Luca
Modifica dell'articolo 590-bis del codice penale, concernente il delitto di lesioni personali stradali gravi o gravissime, in materia di punibilità a querela della persona offesa (1045)
(presentato in data 06/02/2019).
Governo, richieste di parere per nomine in enti pubblici. Deferimento
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, con lettera in data 6 febbraio 2019, ha trasmesso - per l'acquisizione del parere parlamentare, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 216, convertito, con modificazioni dalla legge 7 giugno 1974, n. 216 e dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14 - la proposta di nomina del professor Paolo Savona a Presidente della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) (n. 17).
Ai sensi delle predette disposizioni e dell'articolo 139-bis del Regolamento, la proposta di nomina è deferita alla 6a Commissione permanente, che esprimerà il parere entro il 26 febbraio 2019.
Governo, trasmissione di atti
Il Ministro della giustizia, con lettera in data 18 gennaio 2019, ha inviato, ai sensi dell'articolo 30, comma 5, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione ed i relativi allegati sull'attività svolta nell'anno 2017 dall'Ente di assistenza per il personale dell'Amministrazione penitenziaria.
Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 2ª e alla 11ª Commissione permanente (Atto n. 172).
Il Ministro della giustizia, con lettera in data 18 gennaio 2019, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, comma 5, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione - con i relativi allegati - sull'attività della Cassa delle ammende nell'anno 2017.
Il predetto documento è deferito, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 2a Commissione permanente (Atto n. 173).
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, in data 6 febbraio 2019, ha inviato, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 25 febbraio 1999, n. 66, la relazione d'inchiesta relativa all'incidente aereo occorso all'aeromobile Piper PA-34-200T, marche di identificazione G-STZA, in prossimità di Salussola (BI), in data 9 settembre 2017 (Atto n. 174).
La predetta documentazione è deferita, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 8a Commissione permanente.
Governo, trasmissione di atti e documenti dell'Unione europea di particolare rilevanza ai sensi dell'articolo 6, comma 1, della legge n. 234 del 2012. Deferimento
Ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento, sono deferiti alle sottoindicate Commissioni permanenti i seguenti atti e documenti dell'Unione europea, trasmessi dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in base all'articolo 6, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234:
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Relazione annuale sull'attuazione degli strumenti dell'Unione europea per il finanziamento delle azioni esterne nel 2017 (COM(2019) 37 definitivo), alla 5a Commissione permanente e, per il parere, alle Commissioni 3a e 14a;
Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni sull'attuazione delle strategie macroregionali dell'UE (COM(2019) 21 definitivo), alla 5a Commissione permanente e, per il parere, alle Commissioni 3a e 14a;
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Regolamento (UE) n. 511/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, sulle misure di conformità per gli utilizzatori risultanti dal protocollo di Nagoya relativo all'accesso alle risorse genetiche e alla giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione nell'Unione (COM(2019) 13 definitivo), alla 13a Commissione permanente e, per il parere, alle Commissioni 3a e 14a;
Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni Programmi di soggiorno e di cittadinanza per investitori nell'Unione europea (COM(2019) 12 definitivo), alla 1a Commissione permanente e, per il parere, alle Commissioni 2a e 14a.
Commissione europea, trasmissione di progetti di atti legislativi dell'Unione europea. Deferimento
La Commissione europea ha trasmesso, per l'acquisizione del parere motivato previsto dal Protocollo (n. 2) sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea e al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, i seguenti progetti di atti legislativi:
in data 1° febbraio 2019, la proposta di regolamento del Consiglio relativo alle misure riguardanti l'esecuzione e il finanziamento del bilancio generale dell'Unione nel 2019 in relazione al recesso del Regno Unito dall'Unione (COM(2019) 64 definitivo). Ai sensi dell'articolo 144, commi 1-bis e 6, del Regolamento, l'atto è deferito alla 14a Commissione permanente ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; la scadenza del termine di otto settimane previsto dall'articolo 6 del predetto Protocollo è fissata al 29 marzo 2019. L'atto è altresì deferito per i profili di merito, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento, alla 5a Commissione permanente, con il parere delle Commissioni 3a e 14a;
in data 5 febbraio 2019, la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2015/757 per tenere debitamente conto del sistema globale di rilevazione dei dati sul consumo di combustibile delle navi (COM(2019) 38 definitivo). Ai sensi dell'articolo 144, commi 1-bis e 6, del Regolamento, l'atto è deferito alla 14a Commissione permanente ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; la scadenza del termine di otto settimane previsto dall'articolo 6 del predetto Protocollo è fissata al 2 aprile 2019. L'atto è altresì deferito per i profili di merito, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento, alla 13a Commissione permanente, con il parere delle Commissioni 8a e 14a.
Interrogazioni, apposizione di nuove firme
I senatori L'Abbate, Accoto, Presutto e Lannutti hanno aggiunto la propria firma all'interrogazione 3-00555 del senatore Puglia ed altri.
La senatrice Unterberger e il senatore Steger hanno aggiunto la propria firma all'interrogazione 3-00560 del senatore Durnwalder.
Il senatore Bertacco ha aggiunto la propria firma all'interrogazione 4-01198 del senatore De Bertoldi.
Mozioni
CIRIANI, RAUTI, BALBONI, BERTACCO, DE BERTOLDI, FAZZOLARI, GARNERO SANTANCHE', IANNONE, LA PIETRA, LA RUSSA, MAFFONI, MARSILIO, NASTRI, RUSPANDINI, STANCANELLI, TOTARO, URSO, ZAFFINI - Il Senato,
premesso che:
con la legge 30 marzo 2004, n. 92, è stato istituito il "Giorno del ricordo", al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani, giuliani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale;
tale giornata è dedicata alla celebrazione ed alla memoria della complessa vicenda del confine orientale e, all'interno di questa, del martirio degli italiani infoibati, del loro assassinio di massa organizzato dalle bande comuniste del maresciallo Tito, raccapricciante segno di una pulizia etnica che fu attuata in terre teatro di uno storico e tragico scontro di nazionalismi che durò almeno fino al 1948, provocando l'esilio forzato di 350.000 italiani dall'Istria, da Fiume e da tutta la Dalmazia;
nonostante, negli ultimi anni, tale ricorrenza sia stata celebrata da parte delle più alte cariche istituzionali, ancora oggi in Italia c'è chi tende a minimizzare la tragedia delle foibe e dell'esodo e, purtroppo, nelle scuole il racconto di questa pagina della storia italiana non è ancora diffuso sufficientemente, nonostante l'indubbio impegno della maggioranza dei docenti, poiché, in molti testi scolastici che dovrebbero contemplare questa drammatica vicenda, la stessa non viene nemmeno menzionata, disattendendo in questo modo una delle principali finalità indicate dalla legge n. 92 del 2004;
all'articolo 1, comma 2, si fa espresso riferimento al fatto che tali commemorazioni debbano essere realizzate per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado e che istituzioni ed enti debbano favorire la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti, in modo da conservare la memoria di quelle vicende;
inoltre, spesso, a parlare agli studenti delle foibe e dell'esodo sono associazioni che il più delle volte tendono a minimizzare l'evento o, comunque, ad effettuare ricostruzioni negazioniste che non corrispondono alle oggettività storiche, così offendendo i martiri italiani;
sarebbe, piuttosto, più opportuno chiamare i testimoni diretti di quei fatti o gli appartenenti ad associazioni di esuli istriano-giuliano-dalmati o che, comunque, prevedano nel proprio statuto l'impegno al ricordo delle vicende del confine;
sono di questi giorni le polemiche scaturite da un commento dal sapore negazionista, pubblicato su "Facebook", da parte dell'ANPI (sezione di Rovigo), e dal fatto che la stessa ANPI, destinataria di finanziamenti pubblici, abbia patrocinato un convegno che si terrà a Parma dal titolo "Foibe e fascismo", durante il quale verrà proiettato un video dal titolo "La foiba di Basovizza: un falso storico", che già dal titolo induce alla vergognosa e antistorica giustificazione degli eccidi;
considerato che:
il 9 febbraio, gli esuli e le rispettive associazioni, verranno ricevuti al Quirinale e la cerimonia verrà trasmessa in diretta dalla RAI;
in occasione della 75a mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia è stato presentato il film "Red Land-Rosso Istria", sostenuto dalla Regione Veneto e patrocinato dai Comuni di Padova, Venezia, Abano Terme, Galzignano Terme, Arquà Petrarca, San Polo di Piave, che ricostruisce in modo storicamente oggettivo ed equilibrato le tragiche vicende delle foibe e in particolare il martirio di Norma Cossetto, medaglia d'oro al merito civile della Presidenza della Repubblica;
in occasione del Giorno del ricordo 2018, è stato pubblicato il fumetto "Foiba Rossa. Norma Cossetto: storia di un'italiana" patrocinato dalle principali associazioni degli esuli e presentato in numerosissimi comuni italiani, ristampato e distribuito a cura dell'ANVGD (Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) e dal Coordinamento adriatico e recentemente ripubblicato, in una propria edizione, anche dalla Regione Veneto per la distribuzione in tutte le terze medie della regione,
impegna il Governo:
1) a promuovere iniziative e commemorazioni volte a celebrare il "Giorno del ricordo", per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado, favorendo altresì la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti volti a conservare la memoria del martirio delle foibe;
2) a privilegiare, sia pur nel rispetto dell'autonomia scolastica, il ricorso a testimonianze rese dai protagonisti di quelle vicende o dagli appartenenti ad associazioni di esuli istriano-giuliano-dalmati, al fine di trasmettere al meglio e conservare la memoria della storia e della tragedia dei confini orientali;
3) a promuovere, in occasione del Giorno del ricordo, presso le scuole secondarie superiori, la proiezione del film "Red Land-Rosso Istria" e la diffusione del fumetto "Foiba Rossa. Norma Cossetto: storia di un'italiana";
4) a verificare che tutte le associazioni che beneficiano di fondi pubblici (come l'ANPI), pena la revoca degli stessi, non propongano conferenze o iniziative il cui contenuto sia giustificazionista, riduzionista o addirittura negazionista delle tragiche vicende del confine orientale;
5) a promuovere, per quanto di competenza, la diffusione a mezzo televisivo delle cerimonie istituzionali celebrate presso il monumento nazionale "foibe di Basovizza".
(1-00074)
GRANATO, PERILLI, ANGRISANI, BOTTICI, CORBETTA, CORRADO, DRAGO, LANNUTTI, LEONE, LUCIDI, PACIFICO, RICCARDI, ROMANO, TRENTACOSTE, VANIN - Il Senato,
premesso che:
il decreto legislativo n. 207 del 2001, ha disciplinato, in attuazione della delega di cui all'articolo 10 della legge n. 328 del 2000, il riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (Ipab), abrogando la disciplina previgente (legge 17 luglio 1890, n. 6972) e prevedendo, ferma la continuità dei rapporti attivi e passivi, la riorganizzazione in aziende pubbliche di servizi alla persona o la trasformazione in persone giuridiche private;
nell'ambito del riassetto delle istituzioni, peraltro, le Ipab operanti nel settore socio-assistenziale, nel rispetto delle finalità e specificità statutarie, sono state inserite nel sistema integrato di interventi e servizi sociali, di cui all'articolo 22 della legge n. 328 del 2000, definiti quali livelli essenziali delle prestazioni;
da una parte, dunque, è stata prevista la trasformazione delle Ipab in aziende pubbliche di servizi alla persona dotate di autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, operanti con criteri imprenditoriali secondo l'indirizzo impartito dagli organi di governo (Capo II); dall'altra, in via residuale per le altre istituzioni, è stata stabilita la trasformazione in fondazioni o associazioni di diritto privato (Capo III), senza fini lucrativi e perseguenti scopi di utilità sociale;
il decreto legislativo, dunque, ha stabilito le norme generali sul riordino, rinviando spesse volte alla legge regionale o ad atti amministrativi regionali la definizione di modalità, criteri, determinazioni in materia di controlli interni o successivi, contabilità, ricognizione patrimoniale di beni mobili ed immobili, gestione e attività amministrativa;
per ambedue le ipotesi (trasformazione in aziende pubbliche di servizi alla persona o in fondazioni o associazioni di diritto privato) il legislatore statale ha fissato un termine di compimento di due anni dall'entrata in vigore del decreto medesimo (avvenuta il 16 giugno 2001; rispettivamente: articolo 5, comma 1, primo periodo, e articolo 16, comma 1, primo periodo), con una differenza: per le aziende pubbliche, difatti, è stato previsto che i procedimenti per la trasformazione fossero disciplinati dalle Regioni con modalità e termini che ne consentissero la conclusione entro il termine di 30 mesi dall'entrata in vigore del decreto delegato. Per le persone giuridiche di diritto privato, invece, laddove il termine biennale fosse stato disatteso, è stato previsto l'intervento di un commissario ad acta di nomina regionale. In ogni caso, i procedimenti di riordino delle istituzioni di cui alla legge n. 6972 del 1890 si sarebbe dovuti concludere entro la fine del 2003;
nell'ambito della disciplina del riassetto, dunque, sono presenti numerosi rinvii relativi all'intervento delle Regioni su numerose materie: in taluni casi la materia sarebbe dovuta necessariamente essere riservata alla legge (controlli su statuti, regolamenti organizzativi interni, gestione amministrativa e qualità delle prestazioni erogate); in altri, la scelta sull'utilizzo dello strumento legislativo o amministrativo sarebbe stata rimessa alla decisione dell'organo competente (ad esempio, in materia di attivazione di poteri sostitutivi per le ipotesi di una "accertata inattività" nel procedimento di trasformazione delle Ipab o nel caso di trasferimento a terzi di diritti reali su immobili);
in alcuni casi, tuttavia, le scelte effettuate dal legislatore statale sono apparse piuttosto "ambigue". Invero, casi evidenti sono rappresentati dall'articolo 20, comma 2, del decreto delegato, che sembra non riservare alla legge regionale la disciplina dell'intervento sostitutivo in caso di "gravi violazioni di legge, di statuto o di regolamento, di gravi irregolarità nella gestione amministrativa e patrimoniale delle aziende pubbliche di servizi alla persona, nonché di irregolare costituzione dell'organo di governo" oppure dall'articolo 2, comma 2, in merito alla disciplina delle modalità di apporto delle Ipab al sistema integrato di servizi sociali e socio-sanitari o alla definizione delle risorse regionali eventualmente disponibili;
considerato che, a parere dei proponenti del presente atto di indirizzo:
la normativa regionale sulle Ipab, nonostante fosse indispensabile intervenire entro i confini del riparto delle competenze assegnate ai diversi livelli di governo, appare del tutto frammentata, disorganica e disomogenea;
difatti, mentre alcune Regioni hanno provveduto dando seguito alle previsioni del decreto legislativo, ve sono altre che hanno provveduto con atti, anche di natura legislativa, che non hanno assolutamente rispettato le riserve stabilite dal legislatore statale (si vedano, per esempio, le leggi regionali di Lazio e Basilicata, rispettivamente n. 15 del 2007, art. 10, e n. 15 del 2012). Vieppiù, alcune Regioni (per esempio la Regione Piemonte, con la legge regionale n. 12 del 2017) sono intervenute nella materia con un ritardo assolutamente non giustificabile rispetto ai termini stabiliti;
per tali ragioni, comparando la legislazione regionale vigente, vi è una disciplina del tutto disomogenea e disorganica: in alcune Regioni le funzioni di controllo e vigilanza non sono state disciplinate, è il caso di quelle in cui non è stata adottata una legge organica di riferimento, oppure, qualora lo fossero state con atti amministrativi, tali atti non sono stati autorizzati dalla legge (contravvenendo, dunque, alle riserve di legge regionale in materia di controlli previste dagli articoli 7, comma 5, 12 e 14, comma 3, del decreto legislativo n. 207 del 2001);
per tali evidenze, dunque, al fine di ottenere un quadro esaustivo sullo stato di attuazione dei procedimenti di riordino delle Ipab, appare assolutamente necessario reperire quante più informazioni possibile e dettagliate sugli esiti generali del riassetto, in primo luogo per avere contezza dell'eventuale fallimento nell'inserimento delle aziende nei sistemi integrati regionali di servizi sociali;
nel particolare, si intende conoscere, sull'intero territorio della Repubblica, il compimento degli iter di trasformazione delle istituzioni compiuti nelle singole Regioni, nonché l'attuazione dei controlli sulla gestione dei patrimoni mobiliari e immobiliari e sulle condizioni economiche e dei bilanci;
lo Stato, difatti, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 207 del 2001 (di poco antecedente rispetto alla riforma costituzionale del Titolo V) e la contestuale abrogazione della legge n. 6972 del 1890, ha affidato alle Regioni le fondamentali funzioni di controllo e vigilanza sul settore, in precedenza afferenti al Ministero dell'interno, per quanto concerne "l'alta sorveglianza" e il "regolare andamento" delle Ipab, e alle prefetture, per quanto riguarda le "inchieste sugli uffici e gli atti amministrativi" e la "verifica dello stato di cassa dei tesorieri";
considerato, infine, che:
l'attuale situazione sulla gestione delle istituzioni di beneficenza e assistenza aventi natura pubblicistica appare, per quanto si apprende anche a mezzo degli organi di informazione, una "nebulosa astratta";
a tal fine, si riporta un solo caso emblematico, esempio lampante della situazione delineata: la Regione Calabria non è a conoscenza, per esplicita ammissione del dipartimento competente, del numero delle Ipab che hanno mantenuto il regime pubblicistico, non essendo trasformate in aziende pubbliche di servizi alla persona;
nel caso della Calabria, o di altre Regioni in cui manchi la legge regionale, è superfluo affermare che, mancando l'ambito oggettivo di applicazione della normativa di riferimento, è conseguentemente certa l'assenza dei dovuti controlli da parte dell'ente competente;
in tal caso sarebbe intollerabile riscontrare, laddove accertata, una carenza permanente delle funzioni di controllo e vigilanza protratta nel tempo, per quanto riguarda la trasformazione delle Ipab sia in aziende pubbliche di servizi alla persona sia in persone giuridiche private (si pensi, per queste ultime, ai controlli effettuati dalle Regioni ai sensi dell'articolo 18, comma 3, del decreto legislativo n. 201 del 2007, sugli atti di dismissione, vendita o costituzione di diritti reali su beni delle istituzioni originariamente destinati alla realizzazione di finalità istituzionali);
è indispensabile, dunque, nel quadro dell'unità e della tutela giuridica ed economica della Repubblica che lo Stato si attivi, a fronte di una situazione incerta e frammentata, per accertare l'effettiva sussistenza o la carenza delle attività istituzionali di assistenza, essendo tale compito affidato dalla legge ad enti con personalità di diritto pubblico,
impegna il Governo:
1) in attuazione del principio costituzionale di leale collaborazione e di quello di cooperazione tra livelli di governo, in primo luogo nell'ottica della tutela delle prestazioni, determinate quali livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, a consultare gli enti territoriali competenti al fine di acquisire, nel termine di sei mesi dall'invio della richiesta, un quadro complessivo ed esaustivo contenente le informazioni sull'attuazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 207 del 2001, comportanti l'esercizio dei poteri regionali o degli altri enti locali in materia di controlli, gestione amministrativa, patrimoniale ed economico-finanziaria, con il fine di verificare lo stato dell'attuazione, nel territorio della Repubblica, dei procedimenti di riordino del settore delle Ipab e gli atti consequenziali, nel rispetto dell'autonomia normativa e statutaria degli enti pubblici territoriali e non territoriali coinvolti;
2) a valutare, all'esito delle risultanze delle attività citate ed in caso di accertate ed acclarate inadempienze, il ricorso alla procedura di cui all'articolo 8 della legge n. 131 del 2003, attuativo dell'articolo 120 della Costituzione, con lo scopo principale di promuovere e potenziare quegli interventi che costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi;
3) a valutare l'opportunità di intervenire con un'iniziativa legislativa ai sensi dell'articolo 71 della Costituzione, ai fini della riconduzione delle funzioni di controllo e vigilanza sull'amministrazione e sulla gestione degli enti pubblici sorti a seguito dei processi di trasformazione nell'alveo della competenza dello Stato, eventualmente prevedendo la nascita di un'autorità amministrativa indipendente presso cui istituire un registro unico delle aziende aventi natura pubblicistica.
(1-00075)
FAZZOLARI, CIRIANI, RAUTI, BALBONI, BERTACCO, LA PIETRA, TOTARO, RUSPANDINI, NASTRI, IANNONE - Il Senato,
premesso che:
il Venezuela vive da tempo una gravissima crisi politica ed economica;
Nicolas Maduro è stato riconfermato presidente da elezioni farsa il 20 maggio 2018 e la sua elezione è stata ampiamente contestata e ritenuta illegittima, sia dalla comunità venezuelana che da quella internazionale;
nelle piazze regna il caos con continui scontri fra manifestanti anti-governativi, sostenitori di Maduro e forze di polizia, con gravissimi bilanci tra morti e arrestati;
il Venezuela è ormai ad un passo dalla guerra civile e si contano centinaia di feriti e decine di morti negli scontri di piazza; la violenza è allarmante, la criminalità è fuori controllo e la repressione governativa è sempre più violenta: sono 7.357 i casi di tortura e trattamenti crudeli registrati soltanto nel 2017 e ad oggi ci sono circa 230 prigionieri politici e oltre 7.300 persone hanno processi penali aperti per motivi politici;
il Paese è afflitto altresì da una gravissima recessione per cui, secondo le aspettative a lungo termine del Fondo monetario internazionale, il PIL dello Stato latinoamericano continuerà a contrarsi almeno fino al 2023, mentre l'inflazione ha superato il milione per cento alla fine del 2018;
il costo della vita è insostenibile, i beni alimentari scarseggiano e un abitante su tre soffre di malnutrizione, mentre 3 milioni di persone sono ridotte completamente in miseria;
l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) ha annunciato che sono circa 2,3 milioni i venezuelani che hanno abbandonato il Paese negli ultimi anni, un milione solo tra il 2015 e il 2017 a seguito dell'acuirsi della crisi politica, economica e sociale che attraversa il Paese (un venezuelano su 20);
ogni giorno muoiono persone per mancanza di cure mediche, sia per lo smantellamento del sistema sanitario, sia per la mancanza di medicinali e attrezzature;
il collasso dell'attività economica (si pensi che la produzione petrolifera nazionale, una delle più ricche del mondo, è crollata da 2,5 milioni di barili al giorno nel 2015 a 1,1 milioni di barili a novembre 2018), l'iperinflazione e il crescente deterioramento dell'offerta di beni pubblici (salute, elettricità, acqua, trasporti e sicurezza), aggiunti alla carenza di cibo a prezzi agevolati, genera grandi flussi migratori;
considerato che:
la comunità di italiani in Venezuela è importante e numerosa; su una popolazione totale di quasi 32 milioni di abitanti, ben 150.000 sono cittadini italiani e circa 2 milioni di origine italiana;
sono migliaia le richieste di cittadinanza italiana avanzate negli ultimi anni e, di queste, solo una minima parte ha ricevuto risposta;
gli italiani in Venezuela oggi non riescono nemmeno a ottenere il rinnovo di un passaporto o a portare avanti una richiesta di cittadinanza, visto che è quasi impossibile prenotare un appuntamento attraverso il sistema on line, al punto che si è creata una rete di gestori o intermediari che vende illegalmente gli appuntamenti;
comunque i tempi per l'ottenimento della cittadinanza sono lunghissimi e molti gli ostacoli burocratici che vi si interpongono;
la comunità di italiani in Venezuela, importante e numerosa, attraverso le proprie associazioni, si è appellata ai massimi rappresentanti della madrepatria, chiedendo aiuto e sostegno,
impegna il Governo:
1) a garantire la celere evasione delle richieste di cittadinanza presentate da cittadini venezuelani di ceppo italiano attraverso l'adozione di efficaci misure anche di carattere economico e finanziario;
2) a incrementare presso la rete consolare in Venezuela le risorse umane necessarie per accogliere le domande di rimpatrio in Italia e accelerare i procedimenti di riconoscimento della cittadinanza in favore dei cittadini venezuelani in possesso dello status civitatis italiano;
3) a concedere il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, ai cittadini venezuelani di ceppo italiano che hanno presentato richiesta di cittadinanza italiana e che sono ancora in attesa di conoscerne l'esito.
(1-00076)
FAZZOLARI, DE BERTOLDI, LA RUSSA, CIRIANI, BALBONI, GARNERO SANTANCHE', RAUTI, LA PIETRA, TOTARO, RUSPANDINI, NASTRI, IANNONE, BERTACCO - Il Senato,
premesso che:
l'Italia è il terzo Stato al mondo per consistenza di riserve auree (dopo Stati Uniti e Germania) con 2.451,8 tonnellate di oro, pari, oggi, ad una somma di circa 110 miliardi di euro, che, pur con qualche oscillazione, cresce tendenzialmente di anno in anno;
le riserve auree detenute dalla Banca d'Italia, costituite prevalentemente da lingotti (95.493) e, per una parte minore, da monete, sono fra le più cospicue al mondo;
questo oro è custodito prevalentemente nei caveau della Banca d'Italia e, in parte, all'estero, presso alcune banche centrali;
le riserve auree, in seguito alla sospensione del regime di convertibilità dei biglietti di banca «in oro o, a scelta della banca medesima, in divise su paesi esteri nei quali sia vigente la convertibilità dei biglietti di banca in oro», prevista dal regio decreto-legge 21 dicembre 1927, n. 2325, hanno svolto una funzione essenziale per il governo della bilancia dei pagamenti e, quindi, dell'esposizione dell'Italia verso l'estero e, pertanto, anche di garanzia dell'indipendenza e della sovranità del popolo italiano;
sulla base degli studi di alcuni costituzionalisti, l'analisi della normativa sinora vigente induce a ritenere che si tratti di beni pubblici di natura quasi demaniale, destinati ad uso di utilità generale, che la Banca d'Italia non avrebbe più titolo di detenere, essendo la sua funzione monetaria confluita in quella affidata ormai alla Banca centrale europea;
a giudizio dei proponenti del presente atto di indirizzo l'oro in questione, appartenendo agli italiani, dovrebbe quindi essere restituito allo Stato;
il direttore generare della Banca d'Italia, Salvatore Rossi, in un'intervista rilasciata su "La7" ha dichiarato che, con l'ingresso nell'euro, ad avere il potere di stabilire a chi appartenga l'oro della Banca d'Italia è la Banca centrale europea a cui è stata ceduta la sovranità quando è stato creato l'euro;
considerato che:
l'articolo 127, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea stabilisce che tra i compiti da assolvere tramite il SEBC (sistema europeo di banche centrali) vi siano la detenzione e la gestione delle riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;
le norme europee parlano di detenzione, sia esplicitamente nel titolo dell'articolo 31, sia nella disposizione dell'articolo 31.2, che fa riferimento alle «attività di riserva in valuta che restano alle banche centrali nazionali dopo i trasferimenti», con ciò non evidenziando alcuna supponibile ingerenza circa la proprietà e il titolo in forza del quale le banche centrali nazionali detengono tali riserve, ivi comprese quelle auree, lasciando così sul campo del diritto domestico la determinazione della questione;
se è vero che le norme relative all'attività di gestione devono interpretarsi nel senso che la Banca d'Italia gestisce e detiene, ad esclusivo titolo di deposito, le riserve auree, rimanendo impregiudicato il diritto di proprietà dello Stato italiano su dette riserve, comprese quelle detenute all'estero, tuttavia esse non appaiono sufficientemente esplicite nell'affermare la permanenza della proprietà dell'oro in questione in capo allo Stato italiano;
una specificazione su questo punto si rende necessaria, vista la natura ibrida assunta dalla Banca d'Italia nel corso degli anni, in conseguenza dei numerosi interventi legislativi stratificatisi,
impegna il Governo:
1) a valutare la tempestiva adozione di un atto normativo che ribadisca, in maniera esplicita, che le riserve auree sono di proprietà dello Stato italiano e non della Banca d'Italia;
2) ad adottare le iniziative opportune affinché le riserve auree eventualmente ancora detenute all'estero siano fatte rientrare nel territorio nazionale.
(1-00077)
Interrogazioni
MISIANI, ASTORRE, CIRINNA', PARENTE - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Premesso che:
il 15 gennaio 2019, il Dipartimento delle finanze e della Ragioneria generale dello Stato ha diramato un preoccupante comunicato stampa sull'andamento degli incassi da attività di accertamento e controllo;
secondo quanto riportato, nel periodo gennaio-novembre 2018 il gettito relativo agli incassi da attività di accertamento e controllo ha registrato una flessione rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente (748 milioni di euro in meno, pari a 7,3 per cento in meno). Tale decremento è principalmente riconducibile all'andamento delle entrate da accertamento e controllo relativo alle imposte dirette, per le quali il confronto con lo stesso periodo del 2017 risulta non omogeneo, considerando che nel 2017 sono affluite le consistenti entrate della "Definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione (rottamazione)" introdotta dall'articolo 6 del decreto-legge n. 193 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 225 del 2016;
da notizie raccolte, anche i 7,4 miliardi di euro del 2017 dovuti all'attività di riscossione dei ruoli da parte dell'Agenzia delle entrate-riscossione, composti da rottamazione e attività ordinaria, sarebbero diminuiti a 5-6 miliardi di euro;
nel complesso, rispetto ai 20,1 miliardi di euro di incassi dalla lotta all'evasione registrati nel 2017, si prefigura nel 2018 una diminuzione degli incassi di circa 3 miliardi di euro;
le ragioni di tale andamento sono essenzialmente quattro: la prima riguarda l'andamento ordinario del gettito fiscale, che è stato influenzato negativamente dall'annuncio del "condono tombale" e che ha spinto numerosi contribuenti ad evadere; la seconda motivazione riguarda il comportamento dei contribuenti che a fronte dell'accertamento recapitato dall'Agenzia delle entrate hanno preferito non versare quanto dovuto in attesa di aderire al condono; la terza si intreccia con l'interruzione dei pagamenti relativi alle rottamazioni in corso in attesa di aderire alla rottamazione ter; la quarta motivazione risiede nella fuga dal pagamento di quanto dovuto per la rottamazione dopo la prima rata di pagamento;
i dati ufficiali definitivi relativi all'anno 2018 sull'andamento degli incassi derivanti dalla lotta all'evasione non sono stati ancora resi pubblici;
l'atto di indirizzo alle strutture fiscali da parte del Ministro dell'economia e delle finanze in tema di lotta all'evasione fiscale non è stato ancora adottato, lasciando tali strutture prive di qualsiasi riferimento nelle azioni da intraprendere per contrastare l'evasione fiscale e per recuperare gettito sottratto alle entrate tributarie,
si chiede di sapere:
quali siano le valutazioni del Ministro in indirizzo sui fatti descritti;
se intenda comunicare, con sollecitudine, i dati ufficiali sull'andamento degli incassi dalla lotta all'evasione relativi all'anno 2018;
quali iniziative intenda assumere per assicurare gli equilibri di finanza pubblica, qualora sia confermata una perdita di gettito dalla lotta all'evasione di ammontare pari a circa 3 miliardi di euro;
se intenda adottare, e in che tempi, l'atto di indirizzo alle strutture fiscali in tema di lotta all'evasione fiscale, al fine di consentire alle stesse di agire con adeguati indirizzi nell'azione di contrasto all'evasione fiscale e di recuperare gettito sottratto dagli evasori alle entrate tributarie.
(3-00580)
TOTARO - Ai Ministri della giustizia e dell'interno. - Premesso che:
risulta la morte del giovane Duccio Dini avvenuta a Firenze via Canova, travolto da auto guidate da rom impegnati in una feroce resa di conti tra loro, mentre si recava come ogni giorno al lavoro;
alcuni di questi rom abitavano in case popolari date loro dal Comune di Firenze;
alcuni di costoro sono stati arrestati nel corso delle indagini per omicidio;
risulta, nonostante le dichiarazioni del sindaco Nardella in merito alla revisione delle assegnazioni, che le loro famiglie abitino ancora in quelle case;
anche recentemente gli stessi soggetti erano stati denunciati più volte da cittadini residenti in zona per violenze e furti;
nei condomini dove risiedevano vi erano state diverse denunce verso di loro e loro congiunti per violenza e disturbo;
visto che:
sono stati concessi gli arresti domiciliari a tutti i coinvolti in questo assassinio ed essi sono tornati a vivere nelle case popolari assegnate dal Comune;
il decreto cosiddetto svuota carceri (decreto-legge n. 146 del 2013) crea la paradossale situazione del venir meno della pena, emersa nelle circostanze della morte di Duccio Dini, ma avvenuta in migliaia di altri casi;
considerato che:
il sindaco, pur avendo più volte dichiarato di voler intervenire, continua a permettere loro e alle famiglie di stare in quelle abitazioni, senza chiedere la revoca dell'attribuzione, pur avendo avuto anche molte segnalazioni di episodi di violenza verso altri condomini;
ad oggi in realtà non è stato fatto niente e gli assassini di Duccio Dini sono tornati a vivere nelle case del Comune a loro precedentemente assegnate,
si chiede di sapere:
quali iniziative intenda prendere il Governo per giungere alla abrogazione o alla modifica dei provvedimenti svuota carceri approvati dai precedenti Governi Renzi, Letta e Gentiloni;
quali iniziative voglia adottare per affrontare la situazione dell'ordine pubblico a Firenze;
quali provvedimenti intenda prendere per tutelare i cittadini che vivono nelle case popolari, visto che il Comune non sembra in grado di garantire il rispetto dell'ordine e della legalità in quei luoghi di sua proprietà;
quali iniziative intenda prendere il Ministro della giustizia per limitare la concessione dei domiciliari a soggetti di comprovata pericolosità sociale;
quali iniziative intenda prendere a sostegno della famiglia Dini e rispetto al forte desiderio di giustizia della stessa e di tutta la comunità fiorentina.
(3-00581)
BRUZZONE - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Premesso che:
è in corso dal maggio 2018 la procedura di revisione del documento della Commissione europea "Key Concepts", che stabilisce le date di fine riproduzione e inizio migrazione pre nuziale per le specie di uccelli degli allegati 2A E 2B della direttiva 147/2009/CE;
in Italia, fin dal 2001, si assiste ad una situazione, che si può definire "paradossale", poiché le date di migrazione pre nuziale per varie specie sono anticipate di settimane e a volte anche di un mese e mezzo rispetto a quelle dei Paesi del bacino del Mediterraneo, come Francia, Spagna, Grecia, Cipro, Malta, Croazia, e anche di altri Paesi dell'Europa meridionale, come Romania e Bulgaria;
sembra che la responsabilità di questa disparità sia da attribuire all'ISPRA, che nel 2001 ha redatto i Key Concepts italiani in difformità rispetto a quelli degli altri Stati del bacino del Mediterraneo;
in Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Croazia, Romania, Bulgaria, Cipro la stagione di caccia per alcune specie si chiude addirittura il 28 febbraio, ovvero dai quindici giorni ad un mese dopo rispetto alla data fissata in Italia, che è al più tardi il 31 gennaio;
il caso EU PILOT 6955/14/ENVI prevede che le attività venatorie praticate in diverse regioni italiane non sarebbero compatibili con la normativa dell'Unione europea, dal momento che alcune specie di uccelli selvatici sarebbero cacciate in fase di migrazione pre nuziale;
una revisione dei Key Concepts consentirebbe di sanare la situazione per le uniche tre specie per cui esiste una difformità tra la legge nazionale e quella europea, riuscendo a mantenere così la chiusura dell'attività venatoria al 31 gennaio;
il processo di revisione dei Key Concepts in Italia è stato condotto con notevole ritardo e, a parere dell'interrogante, con modalità affrettate e non sempre corrette, che non hanno consentito la necessaria condivisione con il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, il Dipartimento delle politiche europee, le Regioni e i portatori d'interesse;
l'articolo 1, comma 7-bis, della legge n. 157 del 1992 prevede espressamente la concertazione con il Ministero delle politiche agricole e l'invio alla Commissione europea dei dati riguardanti le ricerche sull'avifauna da parte del Dipartimento delle politiche europee;
a parere dell'interrogante il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sembra aver agito autonomamente, superando quanto disposto dalla legge vigente, inviando alla Commissione europea un database che propone addirittura un arretramento dei Key Concepts italiani, con la conseguenza di un ulteriore anticipo nella chiusura della stagione venatoria, fino addirittura a 30 giorni prima rispetto al 31 gennaio;
risulta all'interrogante che il Ministero dell'ambiente ed ISPRA non abbiano proposto alcuna modifica dei Key Concepts, ma sembrano essersi limitati solamente a contraddire quanto proposto da Regioni e Ministero delle politiche agricole, evidentemente ritenendo corrette le disposizioni vigenti;
risulta che il database inviato alla Commissione europea contenga 18 "rapporti tecnici ISPRA" e nessuna pubblicazione scientifica recente, sulla base di dati scientifici più attendibili e più aggiornati, su riviste accreditate dal mondo scientifico, mentre la Commissione europea richiede in primo luogo riferimenti bibliografici di riviste scientifiche con comitato di controllo;
al contrario la posizione del Ministero delle politiche agricole e delle Regioni italiane è sostenuta da 6 pubblicazioni scientifiche su riviste accreditate dal mondo accademico internazionale, i cui risultati dimostrano in modo uniforme che la migrazione delle 5 specie oggetto delle richieste di modifica avviene in febbraio e non in gennaio;
i risultati di queste ricerche concordano con quanto espresso nei Key Concepts degli altri Paesi dell'Unione europea del bacino del Mediterraneo, avvalorandone le conclusioni biologiche,
si chiede di sapere:
quali siano le motivazioni secondo le quali il Ministero dell'ambiente sembrerebbe avere agito in difformità con quanto previsto dall'articolo 1, comma 7-bis, della legge n. 157 del 1992, non condividendo con il Ministero delle politiche agricole e il Dipartimento delle politiche europee il database, prima che questo fosse inviato alla Commissione europea;
se il Ministro in indirizzo non ravvisi la necessità di rivedere al più presto, stanti anche le pubblicazioni su riviste accreditate dal mondo accademico internazionale, il documento inviato alla Commissione europea, anche in virtù del fatto che questo sembra non essere stato condiviso, sia proceduralmente, che nel merito, con i Ministri competenti.
(3-00582)
DE BERTOLDI, LA PIETRA - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Premesso che:
il comparto delle scommesse sportive attraversa, ormai da molti anni, una situazione d'incertezza totale sia per i piccoli imprenditori del settore che decidono di avviare l'apertura di un'agenzia di scommesse, ottenendo una convenzione da uno dei concessionari di licenze, sia per i bookmaker stessi;
le condizioni di evidente inefficienza sono causate da un sistema normativo poco chiaro, quasi sempre non in sintonia con le direttive europee, nonché in generale dai palesi dubbi normativi sulla liceità di iniziare questo genere di attività nel territorio nazionale. Inoltre, il regime di monopolio ancora vigente in Italia porta ogni anno ingenti sanzioni per il nostro Paese da parte dell'Unione europea;
il panorama normativo italiano attuale rileva, infatti, che le concessioni delle licenze già scadute nell'anno 2015 sono state prorogate, impedendo di fatto l'accesso al mercato dei giochi e scommesse ad altre società non ancora operanti nel territorio italiano, determinando di conseguenza un numero sempre maggiore di ricorsi giudiziari;
lo Stato, inoltre, ha disposto a riguardo due sanatorie, probabilmente con il mero intento di incrementare le entrate correnti, che hanno consentito alle società non in regola, operanti in Italia attraverso CED o CTD (centro elaborazione dati, centro di trasmissione dati), di praticare comunque l'attività di raccolta di giochi e scommesse, senza tuttavia considerare che si andava di fatto ad equiparare le società che fino a quel momento avevano evaso il fisco a quelle che invece avevano sempre corrisposto il dovuto, e ciò ha portato un considerevole aumento dell'attività giudiziaria;
all'interno di tale scenario, molte società (ex CED) hanno inoltre tentato di aggirare le normative italiane, iniziando l'attività come "punto di vendita ricarica" (PVR), con prodotti autorizzati dai Monopoli di Stato, inserendo successivamente all'interno delle stesse strutture commerciali "siti.com" abusivi. Tale situazione sta consentendo a questi centri di operare liberamente utilizzando di fatto siti internet illegali e privi di licenze italiane o europee, poiché, trattandosi di attività accessorie ed apparendo comunque come autorizzati dai Monopoli di Stato, non sono assoggettati ai controlli tipici delle agenzie di scommesse, né devono rispettare tutti i vincoli in tema di distanze dai punti sensibili;
gli interroganti al riguardo evidenziano come, a livello europeo, la situazione complessiva sia nettamente diversa, se si valuta infatti come nessuno Stato abbia manifestato il proliferare di reti parallele illegali, e ciò con ogni probabilità è dovuto a regole certe e severe nei confronti dei trasgressori, che sono di conseguenza obbligati a rispettare le normative vigenti nello Stato in cui operano;
in Germania, ad esempio, non sono previste norme che impongano distanze minime dai punti ritenuti sensibili, ed inoltre coloro che operano senza licenza rischiano di subire pene detentive. Sono previsti, inoltre, obblighi formativi in capo ai titolari e ai collaboratori delle agenzie di giochi e scommesse, così da consentire loro di intervenire in modo adeguato in situazioni di difficoltà legate alla dipendenza patologica dal gioco d'azzardo. Tali prescrizioni si intendono a totale ed esclusiva tutela degli stessi scommettitori, e sono previste sanzioni anche penali in caso di mancata osservanza di questi obblighi;
gli interroganti evidenziano, pertanto, come il susseguirsi di normative settoriali, frammentarie ed inadeguate nel settore dei giochi e scommesse abbia ulteriormente dilatato le numerose e articolate problematiche legate a tale settore, comportando un aumento dell'evasione fiscale e dei casi di ludopatia, ottenendo quindi risultati diametralmente opposti rispetto a quelli auspicati;
gli effetti negativi e penalizzanti, a parere degli interroganti, hanno determinato complessivamente una riduzione delle entrate tributarie per l'amministrazione dello Stato e l'impossibilità di introdurre nuovi bandi per le licenze delle concessioni, bloccando il potenziale interesse verso il nostro territorio di società internazionali, e alimentando confusione e disorientamento nell'opinione pubblica;
a giudizio degli interroganti risulta pertanto urgente e indifferibile rivisitare nel complesso la normativa, attraverso interventi chiari che vadano a riformare completamente il settore dei giochi e scommesse,
si chiede di sapere:
quali valutazioni di competenza il Ministro in indirizzo intenda esprimere con riferimento a quanto esposto;
se non convenga che le numerose e articolate criticità necessitino di rapide misure d'intervento finalizzate ad un complessivo riordino normativo dei giochi e delle scommesse, sia dal punto di vista fiscale, sia sotto il profilo autorizzativo e concessorio, il cui stato attuale sta determinando, come detto, evidenti complessità in ambito socioeconomico;
quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere, al fine di rivisitare la normativa e sostenere, al contempo, un importante comparto economico del Paese, dall'indotto rilevante, le cui condizioni attuali evidenziano un quadro normativo generale complesso e disorganico.
(3-00583)
L'ABBATE - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Premesso che:
nel mese di dicembre 2018 a Katowice, in Polonia, si è tenuta la conferenza delle parti sul clima, la COP24, che ha rappresentato una congiuntura importante in quanto si è svolta in concomitanza con una serie di "scadenze" legate al calendario dell'accordo di Parigi (COP21), quali la pubblicazione del primo rapporto IPCC sul riscaldamento globale e l'avvio di quello che viene definito il "dialogo facilitativo" per promuovere nuovi impegni di riduzione delle emissioni;
l'IPCC (Intergovermental panel on climate change) ha presentato, nell'ottobre 2018, il suo speciale report che, per la prima volta, ha valutato gli impatti del cambiamento climatico sul target di 1,5 gradi centigradi di aumento delle temperature globali. Basato su prove e dati scientifici, il documento ha dimostrato che il riscaldamento globale indotto dall'uomo ha già raggiunto un grado centigrado sopra rispetto ai livelli preindustriali e che sta crescendo, approssimativamente, di 0,2 gradi centigradi a decade. L'IPCC ha confermato che, fermandosi ad un aumento di un grado, circa il 4 per cento dei territori globali potrebbe subire dei cambiamenti radicali nell'ecosistema. Tale cifra è destinata a più che triplicare (13 per cento) nel caso di un incremento di temperatura pari a 2 gradi centigradi;
la conferenza si è conclusa con l'approvazione del manuale operativo per l'attuazione dell'Accordo di Parigi, il "rulebook", che ha stabilito, fra l'altro, l'utilizzo delle nuove linee guida nella valutazione dei gas climalteranti prodotti e la redazione da parte degli Stati membri di un inventario delle emissioni, con scadenza biennale;
considerato che:
con il climate change, i ghiacciai si stanno sciogliendo, provocando un innalzamento del livello del mare, che potrebbe giungere fino a 7 metri. Gli italiani non possono che essere fortemente preoccupati, immaginando gli impatti potenzialmente apocalittici e disastrosi per le regioni insulari, la Sicilia, la Sardegna, e per quelle come la Puglia che hanno sviluppato la loro economia e gli insediamenti urbani sulle coste. Tutto il Mediterraneo è a forte rischio, è già noto l'aumento della fascia di desertificazione dovuto al cambiamento climatico, che attraversa ben 10 Paesi africani, e del corridoio di siccità del sud America, e le conseguenze che ne derivano;
ci saranno inoltre effetti sulle risorse idriche, sul territorio e sugli ecosistemi. Vi sono già state eccezionali gelate che hanno devastato l'agricoltura pugliese. L'innalzamento delle temperature medie e massime sommato agli squilibri meteorologici influenzeranno la geografia delle colture e delle tecniche agricole, causando l'abbandono di crescenti porzioni di territorio, divenute oramai incoltivabili;
entro il 2030 è possibile prevedere in Italia un calo del 30 per cento del fabbisogno energetico legato al riscaldamento e un aumento del 72 per cento legato alla climatizzazione e alla refrigerazione;
il rischio idrogeologico è destinato ad aumentare a causa del riscaldamento globale. Periodi prolungati di siccità, riducono la capacità di assorbimento del terreno, trasformando i fenomeni meteorologici più violenti in vere e proprie catastrofi naturali. Attualmente, i costi correlati al dissesto idrogeologico del territorio italiano sono stimati in circa 2,5 miliardi di euro all'anno, ma la cifra è destinata a lievitare nel corso dei prossimi decenni come anche i costi legati al contenimento degli incendi e alla messa in sicurezza dei territori;
ritenuto che riuscire a mitigare gli effetti del cambiamento climatico e a governarne le cause non sia solo un dovere morale nei confronti delle future generazioni, ma anche una priorità strategica per l'economia nazionale italiana,
si chiede di sapere:
quali iniziative il Ministro in indirizzo intenda adottare o abbia già adottato sul piano nazionale ed internazionale per contrastare le conseguenze del riscaldamento globale;
quali politiche di mitigazione finalizzate alla riduzione delle emissioni di gas-serra, e politiche di adattamento, volte alla minimizzazione degli impatti derivanti dai mutamenti del clima, intenda adottare;
quale tipo di strategia intenda adottare o abbia già adottato al fine di garantire la decarbonizzazione del sistema energetico nazionale, obiettivo inserito nel piano nazionale integrato energia e clima.
(3-00585)
BELLANOVA, MARCUCCI, VALENTE, CUCCA, D'ALFONSO, FARAONE, FEDELI, MAGORNO, MARGIOTTA, MESSINA Assuntela, PITTELLA, STEFANO, SUDANO - Al Ministro per il Sud. - Premesso che:
il contratto di Governo Lega-M5S ha dedicato al Sud poche righe nelle quali le parti contraenti hanno deciso, contrariamente al passato, di non individuare specifiche misure per il "Mezzogiorno". I primi otto mesi di Governo hanno confermato gli indirizzi contenuti nel contratto, evidenziando l'assenza di nuove iniziative e di provvedimenti dedicati al sostegno e al rilancio delle aree territoriali del Mezzogiorno. Il piano nazionale delle riforme, allegato alla Nota di aggiornamento al DEF 2018, diversamente da quanto accaduto in passato, non ha dedicato passaggi programmatici al Mezzogiorno;
nella legge di bilancio per il 2019 non sono state introdotte misure specifiche per il Mezzogiorno, salvo la proroga dell'incentivo all'occupazione nel Sud Italia introdotto dal precedente Governo e l'agevolazione fiscale per i pensionati da fonte estera che trasferiscono la loro residenza nel Mezzogiorno. Al contrario su Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia graveranno consistenti tagli di spesa, resi necessari per coprire interventi onerosi come il reddito di cittadinanza, che andranno a colpire le risorse nazionali destinate ai cofinanziamenti per le politiche comunitarie (850 milioni di euro nel 2019), e il Fondo sviluppo e coesione (800 milioni di euro). A questi si aggiunge l'abrogazione del credito di imposta relativo alle deduzioni forfettarie in materia di Irap, riconosciute in favore di chi impiega lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, e la mancata proroga del credito d'imposta per investimenti in beni strumentali riconosciuto ad imprese con strutture produttive nel Mezzogiorno (300 milioni di euro);
le misure relative al bonus-malus per l'acquisto di automobili nuove stanno danneggiando il comparto automotive italiano e in particolare le produzioni di automobili negli stabilimenti dislocati al Sud (in particolare gli stabilimenti di Cassino, Melfi e Pomigliano d'Arco). Le altre misure contenute nella legge di bilancio per il 2019 e negli altri provvedimenti si limitano a confermare o rimodulare interventi già adottati nella XVII Legislatura;
considerato che:
colmare il divario tra Nord e Sud e garantire uguali opportunità nelle diverse aree del Paese è la condizione indispensabile per una ripresa duratura dello sviluppo non solo del Mezzogiorno ma per l'intero Paese. Nel corso degli ultimi 4 anni, sono state adottate politiche che hanno configurato una strategia coerente per ricostruire e allargare la base produttiva: dagli investimenti pubblici in infrastrutture, ambiente e cultura contenuti nei patti per il Sud fino al credito d'imposta per i nuovi investimenti (4 miliardi di euro di investimenti generati nel 2017), dal sostegno all'imprenditorialità giovanile ("Resto al Sud") e innovativa, ai grandi contratti di sviluppo, dal prolungamento degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni all'istituzione delle zone economiche speciali nelle principali realtà portuali e retroportuali, senza dimenticare gli strumenti di "Industria 4.0", potenziati per le aree del Mezzogiorno;
l'adozione di tali provvedimenti ha innescato una dinamica positiva, testimoniata dal miglioramento di vari indicatori economici evidenziati dall'Istat e dall'ultimo rapporto annuale dello Svimez: in particolare è cresciuta nel Mezzogiorno la capacità degli investimenti pubblici di generare reddito e occupazione. Tali risultati necessitano di essere implementati e rafforzati e l'atteggiamento assunto dal Governo, al contrario, rischia di vanificare gli sforzi sostenuti nel corso della XVII Legislatura e di riportare il Mezzogiorno in una situazione di grave gap di prodotto e di emergenza occupazionale rispetto al resto del Paese e dell'Europa;
i principali nemici del Sud restano l'assistenzialismo e la suggestione di politiche ed interventi che non risolleverebbero affatto le condizioni di quest'area strategica per il Paese e l'Europa;
nel Mezzogiorno occorre in primo luogo adottare politiche del lavoro calibrate per arrestare l'emigrazione dei giovani, per creare nuova occupazione e per favorire il reinserimento di chi oggi non lavora, un mix di politiche attive del lavoro che non possono essere sostituite con efficacia da interventi come il reddito di cittadinanza. Accanto alle politiche attive per il lavoro, occorrono interventi incentrati su: una maggiore qualità, trasparenza ed efficacia della pubblica amministrazione; un sistema giudiziario più veloce ed efficiente; un miglioramento degli standard dell'istruzione e della sanità; un rafforzamento della rete infrastrutturale, dagli aeroporti alle ferrovie, dalle strade all'intermodalità; un investimento sull'accesso alle nuove tecnologie; un welfare in grado di sostenere l'occupazione femminile; un piano per arginare lo spopolamento delle aree interne; politiche che puntino al rafforzamento del capitale umano, dagli asili nido al tempo pieno nelle scuole, dal contrasto alla povertà educativa al diritto allo studio, fino alla formazione più avanzata. E ancora investimenti in innovazione e ricerca. Il tutto in un quadro di promozione e tutela della legalità, per sconfiggere le mafie e la corruzione,
si chiede di sapere:
quali iniziative urgenti il Ministro in indirizzo intenda adottare nei prossimi mesi per il sostegno e il rilancio del Mezzogiorno, anche in considerazione del forte rallentamento in atto della crescita economica nazionale;
se fra queste vi siano: a) interventi per reintegrare le risorse nazionali destinate ai cofinanziamenti per le politiche comunitarie, che hanno subito con l'ultima legge di bilancio un taglio di 850 milioni di euro nel 2019, e le risorse del Fondo sviluppo e coesione, che hanno subito un taglio di 800 milioni; b) interventi per prorogare il credito d'imposta per investimenti in beni strumentali riconosciuto ad imprese con strutture produttive nel Mezzogiorno; c) interventi per ripristinare il credito di imposta relativo alle deduzioni forfettarie in materia di Irap riconosciute in favore di chi impiega lavoratori dipendenti a tempo indeterminato; d) interventi per garantire la piena attuazione, l'accelerazione e lo sviluppo degli interventi già predisposti nel corso degli ultimi anni nei patti per il Sud, con particolare riguardo agli interventi relativi ad infrastrutture, ambiente, attrattori culturali e contratti di sviluppo; e) interventi per garantire l'immediato avvio operativo delle zone economiche speciali nelle aree già individuate; f) iniziative per garantire l'effettiva addizionalità degli interventi della politica di coesione attraverso l'applicazione rigorosa della clausola del 34 per cento per gli stanziamenti in conto capitale ordinario; g) interventi per rafforzare il sistema di welfare, per contrastare la povertà educativa nelle aree marginali, per sviluppare i servizi all'infanzia, l'istruzione e l'università;
se il Governo sia intenzionato ad adottare politiche industriali e politiche del lavoro calibrate per creare nuova occupazione nei territori del Mezzogiorno, arrestare l'emigrazione dei giovani e favorire il reinserimento in quei territori di chi oggi non lavora senza dover subire, come previsto con il reddito di cittadinanza, "congrue offerte di lavoro" a grandi distanze dal luogo di residenza.
(3-00586)
BERNINI, MALAN, CONZATTI, CALIENDO, DAL MAS, GHEDINI, MODENA, GALLIANI, GALLONE, GIAMMANCO, LONARDO, MALLEGNI, MANGIALAVORI, MOLES, RIZZOTTI, RONZULLI, VITALI, PICHETTO FRATIN, AIMI, ALDERISI, BARACHINI, BARBONI, BATTISTONI, BERARDI, BERUTTI, BIASOTTI, BINETTI, CANGINI, CARBONE, CAUSIN, CESARO, CRAXI, DAMIANI, DE POLI, DE SIANO, FANTETTI, FAZZONE, FERRO, FLORIS, GASPARRI, GIRO, MASINI, MESSINA Alfredo, MINUTO, PAGANO, PAPATHEU, PAROLI, PEROSINO, QUAGLIARIELLO, ROMANI, ROSSI, SACCONE, SCHIFANI, SCIASCIA, SERAFINI, SICLARI, STABILE, TESTOR, TIRABOSCHI, TOFFANIN - Al Ministro della giustizia. - Premesso che:
all'esito di un lavoro tecnico durato oltre quattro anni, sviluppatosi anzitutto in seno alla "Commissione Rordorf", il 10 gennaio 2019 il Consiglio dei ministri, acquisito il prescritto parere non vincolante delle competenti Commissioni di Camera e Senato, ha approvato il testo definitivo, destinato alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, del nuovo codice della crisi di impresa;
senza che mai la questione fosse stata anche soltanto ipotizzata nei lunghi anni di lavoro tecnico preparatorio di questa importante e delicata riforma, il testo approvato dal Consiglio dei ministri aggiunge gli iscritti all'Albo dei consulenti del lavoro a quelli iscritti all'Albo degli avvocati e all'Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili tra coloro che possono essere nominati per svolgere le funzioni di curatore e liquidatore nelle crisi di impresa;
non essendoci mai stato un reale dibattito sul punto, sono totalmente ignote le valutazioni tecniche e giuridiche che hanno determinato questa scelta "last minute" da parte del Consiglio dei ministri;
come sottolineato anche in alcuni articoli di stampa, sia specializzata che generalista, lo svolgimento di tali funzioni da parte dei consulenti del lavoro esula completamente dall'oggetto della loro professione (articolo 2 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, recante le norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro) e, cosa ancor più significativa, l'esame di Stato per diventare consulente del lavoro non contempla né elementi di diritto commerciale, né elementi di diritto fallimentare, entrambi ben presenti invece nelle rispettive prove di esame di Stato delle due professioni (avvocati e commercialisti) che tradizionalmente svolgono le funzioni di curatori e liquidatori nelle crisi d'impresa;
la stessa relazione tecnica che ha accompagnato lo schema di articolato in Consiglio dei ministri recita in modo perentorio: "non si condivide l'osservazione, considerato che il compito di curatore, commissario o liquidatore richiedono competenze contabili e di gestione dell'attività di impresa e della liquidazione che non rientrano nell'ambito delle competenze tipiche del consulente del lavoro. Peraltro, quando la procedura dovesse richiedere tali competenze, il tribunale potrà avvalersi del potere che gli è attribuito dall'art. 49, comma 3, lettera b), di affiancare al curatore, immediatamente, esperti per l'esecuzione di compiti specifici";
senza dunque alcuna traccia delle relative ragioni tecniche e giuridiche a fondamento della decisione politica adottata, sono state attribuite a una professione funzioni ad essa estranee su materie che non rientrano tra quelle oggetto dell'esame di Stato per accedere al titolo professionale di consulente del lavoro;
da autorevoli agenzie di stampa, si apprende che la mattina dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri, con tempismo perfetto, il Presidente del Consiglio dei ministri Conte e il vice Presidente del Consiglio dei ministri Di Maio si sono recati ad annunciare la "lieta novella" agli Stati Generali dei consulenti del lavoro, dove, con un trasporto degno più di un iscritto all'Albo dei consulenti del lavoro che non a un Ministro della Repubblica, equidistante tra le tante categorie professionali portatrici di interessi altrettanto legittimi quanto divergenti, quest'ultimo ha dichiarato in particolare: "Sono contento del fatto che, nell'ambito della riforma fallimentare che ieri è passata in Cdm, anche i consulenti del lavoro potranno accedere alla figura del curatore. Questo è un ruolo che fa fare un altro passo avanti a un Ordine professionale che un miglio alla volta, un miglio alla volta, sta accrescendo le proprie competenze",
si chiede di sapere quali siano le ragioni tecniche e giuridiche che hanno portato il Dicastero della giustizia a condividere la decisione di estendere la funzione di curatore e liquidatore nelle crisi d'impresa agli iscritti all'Albo dei consulenti del lavoro, nonostante un secco e motivato parere contrario delle strutture tecniche dello stesso Ministero, onde fugare che si tratti di decisione eminentemente politica, fortemente e immotivatamente voluta da componenti apicali dell'Esecutivo, che immediatamente si sono intestati politicamente quella che, in assenza di parere tecnico favorevole da parte del competente Ministero, palesa in modo a giudizio degli interroganti addirittura sfacciato la propria natura di entusiastica risposta a sollecitazione puramente lobbistica.
(3-00587)
Interrogazioni orali con carattere d'urgenza ai sensi dell'articolo 151 del Regolamento
BERNINI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. - Premesso che:
nelle giornate del 2 e del 3 febbraio 2019, numerose aree del Nord Italia sono state colpite da una critica ondata di maltempo;
in Emilia-Romagna, nel bolognese, si sono verificate diverse piene ed esondazioni: la zona più colpita è stata quella intorno a Castel Maggiore, ma anche il quartiere di Borgo Panigale e il comune di Argelato sono stati fortemente danneggiati. L'esondazione del Reno ha portato ad allontanare dalle proprie abitazioni almeno 300 persone, mentre quelle ricoverate per principio di ipotermia sono state 10, tra cui sei carabinieri. Diversi e numerosi i disagi: dalle case allagate, ai danni ingenti per le aziende agricole, al black out che per diverse ore ha interessato interi territori;
consta all'interrogante che, nei pressi dell'argine rotto, a Castel Maggiore, sia stato aperto un cantiere, allestito tra settembre e ottobre 2018, proprio per mettere in sicurezza l'argine stesso, i cui lavori sarebbero stati interrotti in attesa della primavera. Su tale circostanza permangono numerosi dubbi e perplessità, soprattutto in ordine all'adeguatezza del cantiere;
per tali eventi la Regione Emilia-Romagna ha annunciato di aver chiesto lo stato di emergenza. Oltre agli eventi legati all'esondazione del Reno, sono stati segnalati anche il gelicidio nel piacentino, diverse frane nel reggiano, cedimenti nel modenese;
le organizzazioni agricole hanno già lanciato l'allarme per gli ingenti danni causati dall'esondazione. Stanti le prime stime fornite, i danni sarebbero quantificabili in diversi milioni di euro;
Coldiretti ha stimato danni per un ammontare pari a 9 milioni di euro, mentre più di 200 ettari di terreno sarebbero stati colpiti dall'inondazione, che ha causato il deterioramento delle colture (in particolare grano ed erba medica), l'allagamento di numerosi magazzini e mezzi agricoli;
occorre, inoltre, considerare il rischio di congelamento che le basse temperature potrebbero causare, con ulteriore nocumento per le coltivazioni, in particolare quelle più delicate come i germogli di grano;
Confagricoltura ha chiesto di accertare in fretta le responsabilità legate alla mancata messa in sicurezza dell'argine, e di risarcire i danni alle imprese: in particolare l'organizzazione agricola ha chiesto di estendere l'esonero del pagamento Imu a tutti i proprietari di terreni e fabbricati coinvolti dall'esondazione e l'azzeramento dei contributi previdenziali dei lavoratori autonomi e datori di lavoro e contributi consortili dovuti per lo scolo e per il beneficio di disponibilità irrigua;
CNA, invece, solo nelle prime ore avrebbe conteggiato almeno 10 aziende agricole fortemente danneggiate e ingenti danni dovuti all'allagamento di case, fabbricati e magazzini;
l'Emilia-Romagna, come da recente studio di Confagricoltura, risulta essere la regione maggiormente esposta a rischio idraulico, con una percentuale pari al 92,3 della superficie totale,
si chiede di sapere:
se e con quali tempistiche il Governo intenda intervenire per dare riscontro della richiesta di stato di emergenza avanzata dalla Regione Emilia-Romagna;
quali misure di sostegno e di defiscalizzazione e quali forme di risarcimento intenda mettere in campo per le aziende agricole danneggiate dalla piena e per le famiglie costrette ad abbandonare le proprie abitazioni;
quali iniziative di competenza intenda assumere per incrementare i fondi destinati alle politiche di prevenzione del rischio idraulico;
di quali informazioni disponga rispetto all'avvio di procedure volte ad accertare eventuali responsabilità per quanto avvenuto, con particolare riguardo alla rottura degli argini e alla tracimazione del fiume Reno nel punto in cui risultava aperto un cantiere.
(3-00579)
AIROLA, LOMUTI, GIARRUSSO, RICCIARDI, PARAGONE, MANTOVANI, BOTTICI, GAUDIANO - Ai Ministri della giustizia e dell'economia e delle finanze. - Premesso che:
ogni consiglio dell'ordine regionale tiene l'albo professionale di categoria che è ripartito, ai sensi dell'art. 1 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, in due elenchi: il primo relativo ai giornalisti professionisti (coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista) e il secondo comprendente i giornalisti pubblicisti (coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi);
annessi all'albo dei giornalisti sono alcuni elenchi speciali nei quali vengono iscritti (art. 28) i giornalisti stranieri che operano in Italia, nonché i direttori che, pur non esercitando l'attività di giornalista, assumono la qualifica di direttore responsabile di periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico, esclusi quelli sportivi e cinematografici:
i praticanti, cioè "coloro che intendano avviarsi alla professione giornalistica", vengono iscritti in un apposito "registro dei praticanti" (art. 33), e devono svolgere il praticantato per 18 mesi "presso un quotidiano, o presso il servizio giornalistico della radio o della televisione, o presso un'agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinari, o presso un periodico a diffusione nazionale e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari" (art. 34);
possono diventare giornalisti professionisti solo coloro che hanno svolto almeno 18 mesi di praticantato in una redazione nella quale lavorano già altri professionisti (almeno 3), inquadrati e retribuiti secondo il contratto nazionale di lavoro giornalistico. Successivamente devono superare un esame di idoneità professionale;
la prova, obbligatoria per l'ammissione nell'elenco dei giornalisti professionisti, si tiene a Roma in due sessioni, organizzate dall'ordine. Secondo la forma attuale, in vigore dal 1973, l'esame consiste in una prova scritta, della durata di 8 ore, e una prova orale. La commissione esaminatrice è presieduta da un magistrato;
gli artt. 28 e 36 della legge n. 69 del 1963 disciplinano l'iscrizione nell'elenco speciale dei giornalisti stranieri. Il giornalista straniero deve presentare, presso l'ordine regionale di residenza, i documenti previsti dalla legge, e deve altresì comprovare il possesso della qualificazione professionale mediante esibizione, al consiglio dell'ordine regionale di residenza, di una documentazione da cui risulti che il richiedente abbia esercitato la professione giornalistica in conformità alle leggi dello Stato di appartenenza (art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 4 febbraio 1965, n. 115);
per le pubblicazioni quotidiane o periodiche di carattere giornalistico a diffusione nazionale e per tutte le altre pubblicazioni periodiche, la direzione e la vice direzione devono essere affidate a giornalisti professionisti o pubblicisti (art. 46 della legge n. 69 del 1963);
considerato che, per quanto risulta agli interroganti:
a seguito degli articoli di giornali e portali on line gli interroganti sono venuti a conoscenza, così come l'opinione pubblica, che la signora Iman Sabbah, già cittadina israeliana, si è iscritta nel 2002 nell'elenco dei giornalisti stranieri al consiglio dell'ordine dei giornalisti del Lazio;
la signora Sabbah, che nel frattempo ha acquisito anche la cittadinanza italiana, avrebbe dovuto comunicare al consiglio dell'ordine di appartenenza questa notizia perché, come prevede la legge citata, tutti gli italiani che desiderano acquisire l'abilitazione professionale di giornalista devono fare un praticantato di 18 mesi e superare un esame di Stato. Solo allora il candidato che ha superato l'esame può iscriversi all'elenco dei giornalisti professionisti, requisito necessario e indispensabile per esercitare in modo esclusivo la professione in Italia, soprattutto presso la Rai dove nelle testate giornalistiche sono tutti iscritti nell'elenco dei professionisti proprio per garantire sia all'azienda che all'utente che le notizie vengono raccolte ed elaborate da personale altamente qualificato e giuridicamente in linea con leggi e normative vigenti. Pertanto, il consiglio dell'ordine del Lazio, se fosse in possesso dell'informazione dell'acquisita cittadinanza italiana di un iscritto all'elenco stranieri, sarebbe tenuto a chiedere al giornalista straniero di seguire il suddetto iter;
attualmente la signora Iman Sabbah, nonostante sia assunta alla Rai con contratto giornalistico, non risulta iscritta né all'elenco dei pubblicisti né a quello dei professionisti in quanto sprovvista dei requisiti (il fatto che i cittadini extracomunitari o comunitari non possano transitare dall'elenco stranieri agli elenchi dei pubblicisti o dei professionisti è confermato dal fatto che per alcuni anni è stata operativa una commissione presso il consiglio dell'ordine nazionale, presieduta da Gilberto Evangelisti, il cui compito era proprio quello di valutare le richieste di giornalisti stranieri di accedere all'elenco dei professionisti, previo esame di Stato);
risulta che, assunta nel 2003 dopo meno di un biennio di precariato a RaiMed, la signora Sabbah sia stata promossa a tempo di record caposervizio prima e vice caporedattore successivamente;
nel 2018, infine, ella ha superato tutti gli altri candidati al "job posting" per la corrispondenza di Parigi e, dopo pochi mesi, a parere degli interroganti con stupefacente quanto imbarazzante facilità, è stata chiamata dal direttore di Rai Parlamento, Antonio Preziosi, in qualità di vicedirettore;
in mancanza di un'idonea qualifica per la signora Iman Sabbah potrebbe profilarsi l'ipotesi delittuosa prevista e punita dall'art. 348 del codice penale,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intendano adottare per verificare se la signora Iman Sabbah abbia comunicato la notizia dell'acquisita cittadinanza italiana al consiglio dell'ordine del Lazio e se quest'ultimo, conseguentemente, abbia richiesto alla medesima di sostenere la prova di idoneità professionale per l'iscrizione all'elenco dei giornalisti professionisti;
se intendano, nei limiti delle proprie attribuzioni, accertare se la signora Sabbah, in possesso della doppia cittadinanza israeliana e italiana, sia nelle condizioni giuridiche per esercitare la professione all'interno dell'azienda e se le promozioni dalla medesima acquisite in pochi anni (caposervizio, vicecaporedattore, corrispondente nella sede di Parigi) non siano viziate dalla carenza o dall'assenza dei requisiti di legge e siano avvenute nel rispetto del merito, della trasparenza e delle regole deontologiche anche relativamente all'iscrizione nell'elenco dei professionisti come prevede la citata legge istitutiva del consigli dell'ordine dei giornalisti;
se intendano infine controllare se presso il consiglio dell'ordine del Lazio e il consiglio nazionale risultino iscritti altri giornalisti stranieri, nella medesima condizione della signora Sabbah, che lavorano alla Rai senza aver sostenuto l'esame di Stato come richiesto per tutti i giornalisti italiani.
(3-00584)
MARCUCCI, MALPEZZI, MIRABELLI, VALENTE, FERRARI, COLLINA, BINI, CIRINNA', ALFIERI, ASTORRE, BELLANOVA, BITI, BOLDRINI, BONIFAZI, COMINCINI, CUCCA, D'ALFONSO, D'ARIENZO, FARAONE, FEDELI, FERRAZZI, GARAVINI, GIACOBBE, GINETTI, GRIMANI, IORI, LAUS, MAGORNO, MANCA, MARGIOTTA, MARINO, MESSINA Assuntela, MISIANI, NANNICINI, PARENTE, PARRINI, PATRIARCA, PINOTTI, PITTELLA, RAMPI, RENZI, RICHETTI, ROJC, ROSSOMANDO, SBROLLINI, STEFANO, SUDANO, TARICCO, VATTUONE, VERDUCCI, ZANDA - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Premesso che:
come riportato da diversi organi di stampa i due partiti di maggioranza del Governo, Lega e Movimento 5 Stelle, avrebbero concluso un accordo per nominare il Ministro per gli affari europei, Paolo Savona, alla presidenza della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob);
a giudizio degli interroganti, la nomina mostra marcati profili di illegittimità secondo la diversa normativa succedutasi negli anni in materia di incompatibilità per l'incarico a ruoli di vertice di diversi enti pubblici anche economici dei membri del Governo o di personale dirigenziale in quiescenza;
l'articolo 1, commi 2 e 3, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, recante "Disposizioni relative al mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli azionari", convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, come modificato dalla legge 4 giugno 1981, n. 281, dispongono che: "La Commissione nazionale per le società e la borsa ha personalità giuridica di diritto pubblico e piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge. La Commissione è composta da un presidente e da quattro membri, scelti tra persone di specifica e comprovata competenza ed esperienza e di indiscussa moralità e indipendenza, nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso";
tali disposizioni sono state successivamente confermate dalle diverse normative succedutesi nel tempo. A tal riguardo occorre evidenziare come la legge 20 luglio 2004, n. 215, recante "Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi in materia d'incompatibilità", all'articolo 2, comma 1, lettera b), stabilisce che "Il titolare di cariche di governo, nello svolgimento del proprio incarico, non può ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate in enti di diritto pubblico, anche economici" e successivamente al comma 4 afferma che: " L'incompatibilità prevista dalle disposizioni di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1 perdura per dodici mesi dal termine della carica di governo nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici";
l'articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, come modificato dall'articolo 17, comma 3, della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante "Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche", prevede il divieto per la Consob di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza e per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferme restando la gratuità e la durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile. Al riguardo, occorre evidenziare come il limite di durata di un anno appare agli interroganti palesemente in contrasto con la durata della carica di presidente della Consob fissata in sette anni;
a quanto detto si aggiunga che il ministro Savona già nel mese di giugno 2018 aveva creato una situazione di grave imbarazzo istituzionale, presentando le dimissioni da presidente di "Euklid Ltd" solo successivamente al giuramento quale ministro del Governo Conte, e a seguito di diverse inchieste giornalistiche che ne avevano denunciato l'incompatibilità. Al riguardo, val la pena ricordare che Euklid Ltd è una compagnia che fornisce algoritmi e analisi dei dati economici al fine di dare indicazioni in materia di investimento nei mercati, e ad essa sono collegati i due fondi Euklid Master Fund ed Euklid Feeder Fund, entrambi con sede in Lussemburgo. Ebbene, il ministro Savona era presidente di Euklid Ltd, codirettore di Euklid Master Fund e manager di Euklid Feeder Fund,
si chiede di sapere se il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga doveroso e urgente attenersi, nell'indicazione del candidato alla presidenza della Consob, al rispetto dei rigorosi requisiti di legge, che, in maniera chiara e incontrovertibile, alla luce dei fatti esposti, rendono impossibile la nomina del ministro Savona.
(3-00588)
Interrogazioni con richiesta di risposta scritta
MALLEGNI - Ai Ministri della salute e per gli affari regionali e le autonomie. - Premesso che, a quanto risulta all'interrogante:
in data 31 ottobre 2018, è stata pubblicata la delibera n. 978 del direttore generale della USL Toscana Nord Ovest concernente la ridefinizione del numero dei posti letto della medicina interna e delle medicine specialistiche;
la delibera non prevede un aumento complessivo dei posti letto in dotazione all'ospedale "Versilia", ma solo una trasformazione dei posti letto di alcune specialistiche in posti letto di medicina interna;
gli operatori sanitari e gli utenti hanno diverse volte sollevato degli interrogativi riconducibili all'inadeguatezza del numero complessivo dei posti letto presenti all'ospedale unico Versilia e all'insufficienza degli organici necessari a far fronte alle crescenti necessità della popolazione versiliese;
a fronte dell'attenzione continua agli standard contenuti nel decreto ministeriale n. 70 del 2015 si continua a sottovalutare il riferimento, presente nello stesso decreto ministeriale, di 3,7 posti letto per 1.000 abitanti così come la soglia di 3,15 posti letto per 1.000 abitanti ridefinita dalla delibera della Giunta regionale toscana n. 1235/2012;
come si evince dalla delibera dell'USL, la riorganizzazione è volta a rispondere alle richieste di ricovero del pronto soccorso, tuttavia il rischio è quello di una progressiva dequalificazione delle medicine specialistiche in vista della creazione di un unico reparto di medicina interna e questo comporterebbe un complessivo svilimento del ruolo dell'ospedale, come da tempo paventato dagli operatori del settore,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti;
se non ritengano che la ridistribuzione dei posti letto, così come prevista dalla delibera del direttore generale dell'azienda USL Toscana Nord Ovest, non sia dettata esclusivamente da ragioni contabilistiche e non vada quindi a discapito dell'attenzione rivolta alle specificità di alcune categorie di paziente, ad esempio quelli oncologici, mettendo a repentaglio anche la reputazione dell'ospedale unico Versilia e più in generale, quando questa diventasse una prassi comune, del sistema sanitario nazionale;
se, in base ai riferimenti normativi citati, non ritengano necessario approfondire l'argomento e attivarsi per sospendere l'efficacia della delibera citata.
(4-01203)
IANNONE - Al Ministro della giustizia. - Premesso che, a quanto risulta all'interrogante:
il SAPPE denuncia una catena interminabile di violenza nelle carceri della Campania per l'irresponsabile sfrontatezza nella violazione delle regole da parte di taluni detenuti;
in pochi giorni sono stati registrati aggressioni e rinvenimento di droga e telefonini: nella casa circondariale di Salerno sono stati rinvenuti ben 8 cellulari perfettamente funzionanti in possesso dei detenuti e nascosti nelle celle nei posti più impensati, rinvenimenti avvenuti con l'ausilio di rinforzi provenienti da altre sedi;
è stata rinvenuta della droga nelle parti intime dei familiari dei detenuti ai colloqui o plichi lanciati dall'esterno verso l'interno del carcere, contenenti droga e cellulari;
è stata registrata una violenta aggressione avvenuta a Salerno ad un detenuto da parte di altri con un una rudimentale arma da taglio composta da una lametta ed un manico;
questa aggressione ha mandato all'ospedale un detenuto con un orecchio reciso, un vero e proprio regolamento di conti,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di questi gravi fatti e se ritenga che la casa circondariale di Salerno non necessiti di rinforzare, con maggiori dotazioni di uomini e mezzi, il fondamentale compito svolto dalla Polizia penitenziaria.
(4-01204)
BRIZIARELLI - Al Ministro per la pubblica amministrazione. - Premesso che, a quanto risulta all'interrogante:
il 4 gennaio 2019 il responsabile dell'ufficio stampa del Comune di Palermo si sarebbe rivolto in modo offensivo sui social network nei confronti del Ministro dell'interno, Matteo Salvini;
rispondendo ad un tweet del Ministro, il dipendente comunale avrebbe commentato utilizzando un'espressione ingiuriosa, prontamente stigmatizzata dal leader leghista, che ne ha rilevato la scarsa professionalità;
considerato che:
il "testo unico dei doveri del giornalista", approvato dal consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti nelle riunioni del 15-17 dicembre 2015 e del 26-28 gennaio 2016, prevede, tra l'altro, che il giornalista debba rispettare il prestigio e il decoro dell'ordine e delle sue istituzioni e debba applicare i principi deontologici nell'uso di tutti gli strumenti di comunicazione, ivi inclusi i social network;
l'articolo 10 del codice di comportamento dei dipendenti pubblici, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, ai sensi dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come sostituito dall'articolo 1, comma 44, della legge 6 novembre 2012, n. 190, dispone che, nei rapporti privati, il dipendente non deve assumere nessun comportamento che possa nuocere all'immagine dell'amministrazione;
rilevato che:
il sindaco di Palermo ha dichiarato pubblicamente di essere stato informato della vicenda e di aver conseguentemente dato incarico al segretario generale dell'ente, al fine di valutare l'opportunità di adottare provvedimenti disciplinari;
un dipendente pubblico che si rivolge pubblicamente ad un Ministro della Repubblica in termini offensivi nuoce all'immagine dell'amministrazione di appartenenza, oltre a gettare discredito su una delle principali cariche istituzionali,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia informato dei fatti richiamati;
quali iniziative di propria competenza intenda assumere al fine di assicurare che i pubblici dipendenti operino nel rispetto delle norme deontologiche richiamate e, in ogni caso, in modo da non recare nocumento all'immagine della pubblica amministrazione e delle cariche istituzionali.
(4-01205)
CRUCIOLI - Al Ministro della giustizia. - Premesso che:
in data 7 ottobre 2015 il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria pro tempore dava notizia al presidente del Tribunale di Savona e al procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona del piano di ammodernamento del patrimonio penitenziario edilizio che avrebbe portato alla chiusura della casa circondariale "Sant'Agostino" di Savona con contestuale edificazione di una nuova struttura in prossimità della città e ricollocamento dei detenuti in attesa di giudizio presso l'istituto penitenziario di Genova "Marassi";
con decreto del Ministro della giustizia 28 dicembre 2015 veniva soppressa la casa circondariale Sant'Agostino di Savona;
in data 19 gennaio 2016 il provveditorato regionale per la Liguria (Servizio della performance delle strutture penitenziarie) relazionava in merito al sopralluogo presso tale istituto, al fine di verificare la messa in sicurezza dei luoghi, per proseguire con le attività di restituzione dell'immobile all'Agenzia del demanio e del territorio;
con decreto n. 2308 del 22 gennaio 2016 il provveditorato Piemonte-Liguria-Valle d'Aosta del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria provvedeva all'istituzione dell'ufficio stralcio della soppressa casa circondariale presso la scuola di formazione e aggiornamento del Corpo di Polizia e del personale dell'amministrazione penitenziaria di Cairo Montenotte "Andrea Schivo";
in data 3 giugno 2016 si concludevano le operazioni di dismissione con la chiusura definitiva della struttura;
considerato che:
i detenuti in attesa di giudizio residenti nella casa circondariale di Savona sono stati ricollocati presso l'istituto penitenziario di Marassi, già in parte sovraffollato;
ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, in corso di conversione da parte del Parlamento, rubricato "Misure urgenti in materia di edilizia penitenziaria", entrato in vigore il 15 dicembre 2018, sono state assegnate nuove funzioni al personale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di cui all'articolo 35, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395, per far fronte all'emergenza determinata dal progressivo sovraffollamento delle strutture carcerarie e per consentire una più celere attuazione del piano di edilizia penitenziaria,
si chiede di sapere:
quali siano le intenzioni del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria circa la realizzazione di una nuova casa circondariale nel savonese, anche alla luce del programma dei lavori di cui all'articolo 7 del decreto-legge n. 135, attualmente in fase di elaborazione;
quale sia la futura destinazione d'uso dell'ex casa circondariale di Savona ad oggi in proprietà dell'Agenzia del demanio.
(4-01206)
FATTORI, TRENTACOSTE, NATURALE, MOLLAME - Ai Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze. - Premesso che, a quanto risulta agli interroganti:
l'ente attualmente denominato "consorzio di Lavinio S. Olivo e S. Anastasio" è stato costituito con deliberazione del Consiglio comunale di Anzio (Roma) del 25 luglio 1951 con il diverso nome "consorzio di Lavinio S. Olivo";
nella seduta del 7 aprile 1970 della Camera dei deputati, durante la discussione parlamentare, su richiesta dell'on. Averardi, riguardante la natura giuridica del consorzio, il Ministro dell'interno pro tempore Restivo dichiarò che le opere realizzate dal consorzio non presentavano le caratteristiche specificatamente e analiticamente richieste dall'articolo 21 del testo unico delle spese idrauliche di cui al regio decreto 25 luglio 1904, n. 523, per l'attribuzione della qualifica di consorzio. Ciò perché l'attività svolta dal consorzio è quasi esclusivamente indirizzata alla costruzione di strade e di altri servizi che si riferiscono ad opere di urbanizzazione e lottizzazione della zona. In quell'occasione precisò, inoltre, che anche la Prefettura di Roma aveva accertato che gli scopi prefissi e riportati dallo statuto consortile configuravano finalità estranee alla ragion d'essere di un consorzio di natura pubblica; di conseguenza, su parere dell'Avvocatura dello Stato, la stessa Prefettura, con nota del 6 marzo 1964, n. 1750, aveva già comunicato al consorzio la sua natura di ente di diritto privato;
considerato che, per quanto risulta agli interroganti:
dal contesto della citata delibera comunale non risultano approvati dal competente Consiglio comunale di Anzio: l'elenco degli utenti, il piano di spesa ed il piano di ripartizione di quest'ultima, come tassativamente stabilito dall'articolo 2 del decreto-legge luogotenenziale 1° settembre 1918, n. 1446, e dall'articolo 21 del testo unico citato. Inoltre, non esiste traccia dell'omologazione da parte del prefetto della stessa deliberazione comunale, nonostante il chiaro disposto dell'ultimo comma del citato articolo 21 del testo unico, espressamente richiamato nella deliberazione comunale. Lo stesso Comune di Anzio, a chi chiede delucidazioni sulla liceità di tali "tributi", risponderebbe di non essere a conoscenza di questi ruoli e se gli stessi siano dovuti, implicitamente ammettendo di non esercitare alcun controllo. Ciò, però, non gli evita di elargire, mediante convenzione approvata solo con delibera di Giunta, un contributo annuale che varia dagli 85.000 ai 180.000 euro;
da più di 50 anni il consorzio incasserebbe da cittadini proprietari di immobili, prime e seconde case, ignari o consapevoli, erroneamente definiti associati, somme di danaro, che verrebbero, secondo la versione di parte, utilizzate per effettuare la manutenzione delle strade. Al riguardo vengono emesse cartelle di pagamento per oneri consortili aventi tributo 0810;
le cartelle esattoriali riportano importi che comprendono spese non meglio identificate ed emesse direttamente dalle organizzazioni consortili, contrariamente a quanto sancito dal decreto-legge luogotenenziale n. 1446 del 1918, affidando la loro riscossione direttamente ad Equitalia, ora Agenzia delle entrate-riscossione. Tale processo, compresa la preventiva verifica dei bilanci del consorzio, dovrebbe invece essere di assoluta pertinenza del Comune di riferimento;
i cittadini coinvolti, riuniti in comitato, contestano l'utilizzo improprio del tributo 0810 da parte dei consorzi, dal momento che soltanto i Comuni potrebbero ricorrere a tale forma di riscossione; osservano, altresì, che i consorzi obbligatori stradali, qualora fossero realmente costituiti e riconosciuti (e questo non sarebbe il caso), non sono assolutamente definibili come enti impositori, poiché hanno natura pubblicistica e non pubblica;
a rafforzare ulteriormente la natura non pubblica del consorzio è in seguito intervenuta la sentenza del TAR Lazio n. 1653/1997, che ha nuovamente ribadito la sua natura privatistica;
considerato inoltre che, a parere degli interroganti:
si viola il principio dell'uguaglianza territoriale, in quanto solo chi ha delle proprietà nell'area consortile è costretto a pagare, oltre alle normali tasse, anche un'ulteriore quota con cadenza annuale. Inoltre, è sconosciuto il metodo di formulazione dell'importo delle cartelle esattoriali e chi ne controlli la correttezza;
il consorzio non risulterebbe legalmente costituito; la denominazione "consorzio di Lavinio S. Olivo e S. Anastasio" è inesistente. L'unico ente consortile legalmente costituito è il "consorzio di Lavinio S. Olivo" con sede a Roma, consorzio volontario che nasceva nel 1950 dall'unione di tre cooperative con scopi di lottizzazione del territorio, e a tale attività fu attribuita la sua partita IVA;
i destinatari delle cartelle esattoriali inviate da Equitalia, ora Agenzia delle entrate-riscossione, per conto del consorzio, subiscono di fatto lo status di "consorziati coatti", non esistendo documenti che stabiliscano il pagamento di una tassa, a seguito dell'acquisto di un immobile o terreno, ad un ente che è stato dichiarato di diritto privato e volontario e che nel corso degli anni ha autonomamente cambiato denominazione e confini e che, inoltre, non è sottoposto a nessun tipo di controllo. È utile sottolineare che negli anni sono stati ripetutamente richiesti, da molti consorziati, senza alcuna risposta, i documenti che dimostrino la giustezza dell'imposizione e come quest'ultima venisse formulata. A tal proposito si richiama quanto disposto dall'art. 23 della Costituzione, che stabilisce che "Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge";
il consorzio ed Equitalia, pur a conoscenza dell'evidenziata situazione, perseverano nell'invio di cartelle esattoriali;
considerato infine che risulta agli interroganti che verrebbero applicati, in maniera casuale e dopo diversi mesi dall'emissione dell'ultima cartella, alcuni "fermi amministrativi" senza che sia comunicata l'avvenuta effettuazione agli interessati, creando, in tal modo, uno stato d'animo di prostrazione perché il cittadino, soggetto a tale incertezza e limitazione della propria libertà personale, si sente vessato, minacciato e privato della propria autonomia e tranquillità. Ciò risulterà, a parere degli interroganti, ancor più dirompente in futuro alla luce dei rafforzati poteri impositivi attribuiti all'Agenzia delle entrate-riscossione,
si chiede di sapere:
se un ente, la cui natura pubblica è disconosciuta direttamente o indirettamente, possa imporre, a giudizio degli interroganti in maniera impropria, il tributo 0810, utilizzando la collaborazione e di conseguenza le procedure esecutive e coercitive dell'Agenzia delle entrate, senza che nessuno eserciti il benché minimo controllo sui suoi atti e, addirittura, senza che si conosca come vengano formati i ruoli di cui si impone il pagamento;
se i Ministri in indirizzo intendano attivarsi, nei limiti delle proprie attribuzioni, affinché sia chiarito a chi sia devoluto il controllo di un ente come il consorzio di Lavinio S. Olivo e S. Anastasio, in considerazione del fatto che sia la Prefettura di Roma, che la Regione Lazio, che il Comune di Anzio non eserciterebbero di fatto alcun tipo controllo su di esso;
se considerino legittimo che il Comune di Anzio stipuli con deliberazione di Giunta convenzioni che comportano l'erogazione di cospicui contributi al consorzio in questione.
(4-01207)
DE BONIS - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Premesso che, a quanto risulta all'interrogante:
il comune di Pomarico (Matera) il 29 gennaio 2019 è stato colpito da un vasto movimento franoso che ha interessato una parte rilevante del centro storico;
nessuna persona, per fortuna, è rimasta coinvolta nel crollo di alcune abitazioni. Le case, già precedentemente sgomberate, sono venute giù in seguito alla frana che ne aveva compromesso la stabilità;
la zona interessata, a valle di corso Vittorio Emanuele, era transennata e, secondo i tecnici del Comune e i Vigili del fuoco, il movimento franoso era in atto da qualche tempo, complici le piogge insistenti cadute nella zona e lo scivolamento della sezione di terreno interessato, che sarebbe stato accelerato dalle condizioni meteorologiche;
nella nota del Comune si legge che "Il fronte della frana ha una larghezza di cento metri ed una profondità di trenta e si estende per centinaia di metri sino al canale Pezzillo";
il sindaco Francesco Mancini ha emesso delle ordinanze d'interdizione al traffico della viabilità compromessa ed ha ordinato lo sgombero di abitazioni e di alcune attività commerciali. Lo scivolamento del terreno ha provocato ''gravi ed estese lesioni alle infrastrutture urbane (strade, marciapiedi, muretti di protezione), alle murature portanti di alcune abitazioni ed a locali ubicati a ridosso della strada'', riporta la relazione tecnica;
anche la Giunta regionale della Basilicata si è riunita a Potenza il 4 febbraio ed ha deliberato, su proposta dell'assessore per le infrastrutture e la mobilità di richiedere alla Presidenza del Consiglio dei ministri "per il tramite del Dipartimento nazionale della Protezione civile" la dichiarazione dello stato di emergenza per il territorio del Comune;
nel provvedimento viene ricordato che "la Regione Basilicata ha già provveduto allo stanziamento di un importo di 160 mila euro, per far fronte alle prime spese relative al soccorso alla popolazione". "Valutati i risultati dei sopralluoghi effettuati che hanno messo in evidenza - è specificato nella delibera - l'ampiezza e complessità del fenomeno in atto" la Giunta regionale, su sollecitazione anche del sindaco di Pomarico ha stabilito di inoltrare la richiesta di dichiarazione di stato di emergenza, affinché vengano disposti "immediati interventi per la messa in sicurezza dell'area interessata dal vasto movimento franoso";
nella stessa seduta, la Giunta ha richiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri la dichiarazione di stato di emergenza per il territorio regionale colpito "da avversità atmosferiche". "Le eccezionali nevicate verificatesi a partire dal 24 gennaio, è spiegato nella delibera di Giunta, hanno interessato gran parte del territorio regionale ed in particolare le zone nord occidentali e provocato l'interruzione di servizi pubblici essenziali, con grave disagio per le popolazioni interessate, con interruzioni in molti punti della rete viaria statale e provinciale, con significativi blocchi della circolazione stradale e ferroviaria sulla linea Potenza-Foggia e Appulo-Lucana e con l'interruzione dell'erogazione dell'energia elettrica che ha interessato per diversi giorni circa 30.000 utenze";
viene sottolineato anche che la Regione "per garantire un primo parziale ristoro" di parte delle spese sostenute per i vari interventi "ha provveduto ad individuare risorse finanziarie pari a 150 mila euro". Resta, però, necessaria la dichiarazione di stato di emergenza "per disporre immediati interventi per la messa in sicurezza delle aree interessate";
il 2 febbraio si è recato sul posto anche il capo Dipartimento nazionale di protezione civile, Angelo Borrelli, per fare un sopralluogo nell'area interessata dai crolli e per incontrare le autorità locali di protezione civile,
si chiede di sapere quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere al fine di riconoscere lo stato di emergenza in favore del Comune di Pomarico, attivando la Commissione nazionale grandi rischi per porre in sicurezza il centro abitato e promuovere interventi di consolidamento del territorio, nonché per riconoscere misure di ristoro danni per i soggetti interessati.
(4-01208)
GASPARRI - Al Ministro dell'interno. - Premesso che:
a quanto risulta all'interrogante, da diverso tempo il sindaco di Castelnuovo di Porto (Roma) era stato avvisato dalle autorità competenti della chiusura del Cara;
il decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, recante "Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili", ha previsto lo stanziamento di 600 milioni di euro per i Cara e risulta che a Castelnuovo siano arrivati circa 900.000 euro negli ultimi 2 anni;
i consiglieri di minoranza hanno presentato alcune interrogazioni per accedere alla documentazione della Prefettura, con cui si comunicano le linee guida per spendere tali fondi;
a quanto risulta, il sindaco avrebbe risposto di non essere in possesso di tale documento e avrebbe giustificato la spesa di 450.000 euro all'anno per pagare le utenze del Comune,
si chiede di sapere:
se quanto risulta all'interrogante corrisponda a realtà;
quali siano le linee guida inviate dalla Prefettura al Comune di Castelnuovo di Porto;
come siano stati spesi eventualmente i fondi e se il modo rispetti dette linee guida.
(4-01209)
DE BERTOLDI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze. - Premesso che:
nel corso dell'audizione dei rappresentanti della Consob nell'ambito dell'istruttoria sul disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge n. 1 del 2019, recante misure urgenti a sostegno della banca Carige SpA, Cassa di risparmio di Genova e Imperia, il presidente vicario della medesima Consob Anna Genovese ha fornito dichiarazioni a giudizio dell'interrogante poco trasparenti in relazione al risanamento dell'istituto ligure, ed in particolare sulla natura dei crediti deteriorati e il peso dei crediti multimilionari rispetto ai mutui di modesta entità;
durante l'intervento, a seguito della domanda posta dall'interrogante in merito all'attività svolta, non ha mostrato sufficiente chiarezza nel fugare qualsiasi dubbio riguardo a possibili conflitti di interessi nella gestione della delicata vicenda Carige, che potrebbero coinvolgerla;
a giudizio dell'interrogante, risulta indispensabile che pervengano rassicurazioni oggettive ed esplicite da parte del soggetto decisionale, in un momento in cui il vertice della Consob deve ancora essere nominato dal Governo, non avendo peraltro alcuna garanzia dei componenti della Commissione, considerata soprattutto la situazione attuale particolarmente delicata, in tema di autorità di controllo sui mercati finanziari e sugli istituti bancari,
si chiede di sapere:
quali valutazioni di competenza il Governo intenda esprimere con riferimento a quanto esposto;
se sia a conoscenza di eventuali rapporti tra la professoressa Genovese e lo studio legale Zoppini, precedenti alla sua nomina, considerato che tra i clienti di tale studio vi sono molte tra le principali società quotate e i principali intermediari oggetto di controllo da parte della Consob;
se non ritenga che ciò costituisca una situazione di potenziale conflitto di interessi che imporrebbe, e avrebbe dovuto imporre, alla professoressa Genovese di astenersi ogni qual volta la Commissione, di cui fa parte dal 2014, ha votato relativamente a pratiche o istruttorie nelle quali una parte è o era rappresenta dallo studio Zoppini;
se non ritenga, altresì, che tale situazione sia aggravata dalla circostanza che, in qualità di presidente vicario della Consob, la professoressa Genovese sovraintende all'attività istruttoria, coordina gli uffici dell'Autorità e fissa l'ordine del giorno delle riunioni della Commissione che presiede, elemento di incompatibilità con la nomina a presidente della Consob, trovandosi quindi nella condizione di influenzare sensibilmente proprio le decisioni dalle quali si dovrebbe astenere;
se non ritenga a tal fine opportuno procedere immediatamente con la proposta per la nomina del nuovo presidente della Consob, al fine di superare l'attuazione situazione, ripristinare il plenum del quorum e prevenire l'adozione di atti potenzialmente viziati da situazioni di conflitto di interessi, al fine di tutelare i risparmiatori e la Commissione stessa;
se non ritenga infine opportuno avviare, in una fase successiva, le opportune e necessarie verifiche in relazione all'effettiva sussistenza o meno in capo alla professoressa Genovese in merito ai requisiti richiesti per la sua carica di componente della Consob.
(4-01210)
LANNUTTI, PATUANELLI, TAVERNA, PERILLI, MORRA, SILERI, L'ABBATE, PUGLIA, LOMUTI, BOTTO, DESSI', DONNO, PRESUTTO, FERRARA, LUPO, PESCO, DI NICOLA, CATALFO, LEONE, FENU, MOLLAME, CRUCIOLI, LANZI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia. - Premesso che:
il 14 settembre 2018 la professoressa Anna Genovese (nominata commissario Consob con decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2014 su proposta del Presidente del Consiglio pro tempore Matteo Renzi), ai sensi dell'art. 6 del regolamento di organizzazione Consob, ha assunto la carica di presidente vicario della Consob, in qualità di commissario con maggiore anzianità di istituzione, a seguito delle dimissioni del presidente dottor Mario Nava, incarico di vicario che aveva già ricoperto nel periodo intercorso tra le dimissioni del presidente Vegas e l'assunzione della carica da parte del presidente Nava (ovvero, dal dicembre 2017 ad aprile 2018);
all'atto della sua nomina a commissario, la professoressa Genovese è stata oggetto di valutazione, da parte degli organi competenti, come previsto dalla legge n. 216 del 1974, con riferimento alla sua compatibilità con tale carica, ma tale valutazione è stata condotta avendo a riguardo la qualifica di commissario, che prevede poteri e compiti diversi (e inferiori) da quelli del presidente, il quale, ai sensi dell'art. 5, comma 1, del regolamento di organizzazione e funzionamento della Consob, "sovraintende all'attività istruttoria" (lett. b)), "convoca la Commissione, stabilisce l'ordine del giorno, ne dirige i lavori e vigila sull'attuazione delle deliberazioni della stessa" (lett. c)) e "dà istruzioni sul funzionamento degli uffici e direttive per il loro coordinamento" (lett. e));
da notizie pubblicate da mezzi di informazione nonché ricavate dal curriculum vitae della professoressa Genovese, prima di tale incarico la stessa risultava titolare di docenza come professore ordinario presso l'università di Verona, nonché svolgeva la propria attività professionale di avvocato presso lo studio legale dell'avvocato Andrea Zoppini di Roma, con sede in piazza di Spagna; dalle stesse notizie pubblicate dai mass media è emerso che tale studio legale avrebbe patrocinato, e continuerebbe a patrocinare per conto di propri clienti, molti procedimenti di competenza della Consob; l'art. 3, comma 1, del regolamento di organizzazione della Consob, prevede che, all'atto della loro nomina, i membri della commissione rilascino una dichiarazione di insussistenza di situazioni di conflitto di interessi, assumendosi la responsabilità di non versare in alcuna delle situazioni di incompatibilità di cui all'articolo 1, comma 5, del decreto-legge n. 95 del 1974, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 216 del 1974, e successive modifiche e integrazioni;
considerato che, a quanto risulta agli interroganti:
la professoressa Genovese ha accettato di rivestire la carica di presidente vicario, omettendo di dichiarare che, stante i suoi rapporti con lo studio Zoppini, non poteva rivestire tale ruolo, omissione che reitera quelle già compiute nel 2014, all'atto della sua nomina a commissario, e nel 2017, quando per la prima volta ha assunto il ruolo di presidente vicario; la violazione (reiterata) dell'obbligo di dichiarare eventuali situazioni di conflitto d'interessi mina i presupposti stessi della nomina della professoressa Genovese, in quanto contrasta con l'art. 1, comma 3, della legge n. 216 del 1974, in base al quale è richiesto che i membri della commissione siano in possesso di requisiti di "indiscussa moralità e indipendenza", incompatibili con comportamenti omissivi e con rapporti che generano conflitto di interessi; conseguentemente, gli atti assunti dalla Consob nei periodi durante i quali la Genovese è stata vicario sono potenzialmente invalidi;
a prescindere dalle possibili omesse dichiarazioni sui conflitti di interessi, tenuto conto del potere spettante al presidente vicario di fissare l'ordine del giorno delle pratiche in discussione in commissione, ove la professoressa Genovese decidesse per ipotesi di postergare la discussione di una pratica che vede coinvolto lo studio Zoppini, dovrebbe anticipare la discussione di un'altra pratica, e viceversa; perciò i vizi derivanti da conflitto di interessi potrebbero investire non solo le decisioni della Commissione, che hanno ad oggetto le pratiche in cui è coinvolto lo studio Zoppini, ma anche le altre istruttorie di vigilanza della Consob;
inoltre, tenuto conto del potere spettante al presidente vicario di fornire istruzioni sul funzionamento degli uffici e direttive per il loro coordinamento, il necessario esercizio di tali funzioni da parte della Genovese, nelle attività degli uffici Consob che hanno ad oggetto pratiche nelle quali vengono trattati interessi o situazioni rappresentate o difese dallo studio citato, presuppone che tali pratiche siano viziate dalla possibile situazione di conflitto di interessi; l'art. 5 del codice etico per i componenti della Consob, approvato con delibera n. 17444 del 4 agosto 2010, dispone che "nei casi di conflitto, anche solo apparente, i Componenti della Commissione si astengono dall'assumere o dal concorrere ad assumere decisioni nonché dal compiere atti che coinvolgano, direttamente o indirettamente, interessi finanziari e non finanziari propri e, per quanto è dato conoscere, del coniuge, di conviventi, di parenti entro il terzo grado o affini entro il secondo. Il Componente, previa acquisizione del parere del Garante etico previsto dall'art. 8, decide in ordine all'astensione, all'uopo rendendo al Collegio motivata dichiarazione" (comma 2); l'art. 6-bis della legge n. 241 del 1990 espressamente prevede che "il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale"; come chiarito da numerose pronunce ANAC, nonché dal piano nazionale anticorruzione, tale disposizione persegue una finalità di prevenzione che si realizza mediante l'astensione dalla partecipazione alla decisione del titolare dell'interesse, che potrebbe porsi in conflitto con l'interesse perseguito, mediante l'esercizio della funzione o con l'interesse di cui sono portatori il destinatario del procedimento, gli altri interessati e i contro interessati; il decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013, recante "Regolamento codice di comportamento dei dipendenti pubblici", stabilisce all'art. 7 l'obbligo di astensione in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza; nella regolamentazione dei soggetti che operano nella finanza, c'è vasta normativa volta ad evitare conflitti di interessi, che prende lo spunto proprio dalla legge istitutiva della stessa Consob;
l'art. 1 della legge n. 216 del 1974 prevede tra i requisiti necessari a ricoprire la carica di commissario e quella di presidente, l'"indiscussa indipendenza". In materia finanziaria i criteri per la valutazione dell'indipendenza sono ben riassunti dalla comunicazione Consob DEM/10046789 del 20 maggio 2010, che recepisce e declina i principi contenuti nel testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, e successive modificazioni, e nella raccomandazione della Commissione europea 2005/162/CE, mirante a garantire che detti criteri siano improntati alla prevalenza della sostanza sulla forma, al fine di evitare situazioni di conflitto di interessi e garantire l'assenza di relazioni tali da condizionare realmente l'autonomia di giudizio: a) l'art. 3 del codice di autodisciplina 2006 delle società quotate che definisce il requisito di indipendenza "nel senso che non intrattengano né hanno di recente intrattenuto neppure indirettamente con l'emittente o con soggetti legati all'emittente relazioni tali da condizionare attualmente l'autonomia di giudizio"; b) la raccomandazione della Commissione europea concernente l'indipendenza degli amministratori,
si chiede di sapere:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti riferiti;
se non ritenga opportuno attivare le procedure ispettive e conoscitive previste dall'ordinamento, al fine di meglio accertare i profili di propria competenza.
(4-01211)
DI PIAZZA - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Premesso che:
l'Unione sportiva città di Palermo, nota come Palermo Calcio o Palermo, è una società calcistica italiana con sede nella città siciliana;
si apprende dal comunicato ufficiale della società del 29 gennaio 2019 che sarebbe avvenuto il passaggio di proprietà delle azioni dell'Unione sportiva città di Palermo SpA dalla Gasda Srl di M. Zamparini alla società Palermo football club SpA;
in queste ultime settimane fonti di stampa hanno riportato che la squadra sarebbe già formalmente esclusa dalle società del calcio italiano professionistico e dal prossimo campionato, a meno di salvataggi da parte della Federazione italiana gioco calcio (Figc) con un cambio in corsa e retroattivo delle regole federali, in quanto mancherebbe il deposito di documenti sulla solidità finanziaria come riportato da "Il Sole-24ore" del 29 gennaio. Ciò in quanto sembrerebbe sussistere una violazione del regolamento della Figc di attuazione dei principi in materia di acquisizione di partecipazioni societarie a livello professionistico di cui al comunicato ufficiale n. 189/A del 26 marzo 2015, secondo cui i soggetti acquirenti una quota azionaria maggiore del 10 per cento di una società di calcio operante nei campionati italiani devono soddisfare specifici requisiti di onorabilità e di solidità finanziaria. Nello specifico è necessario non aver subito condanne definitive per reati puniti con pene edittali sopra i 5 anni, per i reati di cui alla legge n. 401 del 1989 e alla legge n. 376 del 2000, per truffa o appropriazione indebita e l'obbligo di possedere un certificato antimafia "pulito";
per quanto riguarda i requisiti di solidità finanziaria, il regolamento Figc impone agli acquirenti di presentare alla lega di riferimento la dichiarazione di almeno un istituto di credito con il quale abbiano rapporti economici da almeno un anno, che attesti che l'acquirente dispone di buona base finanziaria, che è meritevole, sotto il profilo bancario, di adeguato fido e che è soggetto senz'altro valido in ordine agli impegni che assume;
inoltre, dispone che la documentazione attestante i requisiti indicati dovrà essere presentata alla lega entro 30 giorni dall'acquisizione della partecipazione; questi requisiti sono essenziali affinché la Figc possa affiliare il club e ammetterlo a disputare i campionati;
successivamente la società Palermo calcio ha chiarito che la mancanza delle informazioni riguardanti l'organizzazione societaria è dovuta ai tempi tecnici di lavorazione, ai ritardi e a normative che rimandano l'aggiornamento della composizione dei soci alla data di presentazione del bilancio, e ha precisato che le comunicazioni della documentazione richiesta dei soci di riferimento e degli amministratori, nonché le lettere di buon standing finanziario dei soci di riferimento inviate alla lega di serie B dal Palermo football club SpA sarebbero state fornite nei tempi previsti;
il sindaco di Palermo ha chiesto di avviare ogni opportuna verifica ed accertamento volti a fornire al Consiglio comunale informazioni puntuali e dettagliate circa la solidità societaria e le garanzie fornite, affinché il principale impianto sportivo cittadino sia tutelato e fruito in modo corretto;
considerato che:
alla chiusura del calciomercato, il club non si è rinforzato e si sono registrate incomprensioni tra la nuova proprietà e la dirigenza dell'area tecnica;
la squadra è entrata in crisi dal punto di vista sportivo, perdendo il primato in classifica, e al termine dell'incontro pareggiato con il Foggia il giocatore Bellusci ha dichiarato che i giocatori sono senza certezze per il futuro, che non sono a conoscenza di chi sia il proprietario e che si ritengono soli;
considerato infine che Clive Richardson e John Michael Treacy hanno rassegnato formalmente le dimissioni dalle rispettive cariche di presidente e consigliere e che verrà convocata l'assemblea per procedere alla nomina del nuovo consiglio d'amministrazione della società,
si chiede di sapere:
se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti descritti e se intenda attivare tutte le interlocuzioni del caso con il Coni e le sue federazioni al fine di valutare la trasparenza e la piena conformità giuridico-economica della cessione della proprietà della società Unione sportiva città di Palermo SpA;
se ritenga opportuno assumere iniziative per quanto di propria competenza al fine di salvaguardare l'indotto economico, la dignità della città e dei suoi tifosi, i valori dello sport e il regolare svolgimento del campionato in corso.
(4-01212)
DE BONIS - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Premesso che:
la strada statale 655 "Bradanica" è un'arteria stradale concepita per collegare i capoluoghi di provincia di Matera e Foggia, connettendo due importanti zone delle regioni Puglia e Basilicata;
la strada permetterà alla città dei Sassi, capitale europea della cultura 2019, di essere ancor più collegata con le principali arterie nazionali, quali ad esempio l'autostrada A14, raggiungibile in tempi brevi una volta che la Bradanica sarà ufficialmente completata;
considerato che:
l'arteria stradale fu inizialmente finanziata dalla Cassa del Mezzogiorno, però, con il passare degli anni, i lavori non hanno portato al completamento dell'opera;
la strada, opera emblematica per i ritardi e le interruzioni susseguitesi nel tempo, ad oltre 40 anni dall'avvio dei primi lavori, è infatti tutt'altro che conclusa e percorribile per la sua interezza. Una strada assolutamente vetusta nella sua stessa concezione progettuale e che sconta, quindi, inevitabilmente, tutti gli anni che sono trascorsi sino ad oggi e che la vedono, pertanto, chiaramente inadeguata rispetto agli standard attuali;
in tutto questo, uno dei tratti che per alcune vicissitudini non era stato ancora completato è quello che ricade nel comune di Matera e, finalmente, a fine aprile 2018 sono stati aperti i primi 8 chilometri del tratto materano della Bradanica, degli 11,5 complessivi che dovevano essere ancora ultimati. Per la precisione, ora è percorribile il tratto che va dallo svincolo provvisorio per la strada provinciale Timmari-Santa Chiara allo svincolo di Matera centro per l'abitato di Matera e per la strada statale 7;
all'apertura degli 8 chilometri, l'Anas specificò però che "sono stati aperti al traffico in modalità provvisoria di cantiere, con limitazione della velocità a 60 km/h, nelle more della attuazione degli impianti d'illuminazione e sono costituiti da una carreggiata di 10,50 metri, con due corsie da 3,75 metri ciascuna e due banchine laterali da 1,50 metri";
l'ente nazionale per le strade, inoltre, assicurò che "entro quest'anno [quindi entro il 2018] è prevista la messa in esercizio degli ulteriori 3,5 km, che costituiranno il completamento dell'intera nuova infrastruttura di 11,5 km". Ad oggi però, al 31 gennaio 2019, i rimanenti 3,5 chilometri non hanno ancora visto la luce;
il caso della Bradanica è una "storia infinita" e il pensiero dell'interrogante va, tra l'altro, a quei lavoratori che hanno perso un'importante occasione di lavoro a causa del fermo del cantiere, in una terra già avara di opportunità;
l'altra emergenza che l'interrogante segnala è l'inadeguatezza della strada statale 658 Potenza-Melfi, riconosciuta come la strada statale lucana più percorsa e la seconda per indice di mortalità, i cui ultimi lavori appaltati, anche quando saranno finalmente conclusi (cosa che nessuno è in grado di quantificare con precisione) non potranno costituire la soluzione efficace e definitiva ai notevoli volumi di traffico leggero e pesante ed alle conseguenti esigenze di sicurezza nella percorrenza;
tenuto conto che:
il 24 maggio 2018, all'assessore per le infrastrutture e mobilità della Regione Basilicata, Carmine Miranda Castelgrande, l'Anas precisò che "non corrispondono al vero le notizie relative ad ipotetici 'soldi finiti' o a 'chiusure di cantiere', evidenziando che, a causa di alcune problematiche tecniche emerse durante i lavori - tra cui il movimento franoso al km 143,300 - e per un più complesso intervento di consolidamento delle fondazioni del viadotto Santo Stefano, situato nel tratto di circa 3,5 km, non ancora aperto al traffico, è in corso di redazione una perizia di variante. Per questa perizia - chiarì l'Anas all'Assessore regionale - è già disponibile la copertura finanziaria e, dopo l'approvazione della medesima, si potrà procedere al completamento dei lavori ed all'apertura al traffico del restante tratto di 3 km circa". A tale rassicurazione, però, non è stato dato ancora riscontro;
a luglio 2018, al Ministro per il Sud Lezzi in visita a Matera fu invece comunicato che l'intervento sulla statale 655 "Bradanica", una volta completato, avrebbe garantito il collegamento con le strade statali 96, 96 bis, 93 "Appulo Lucana", 658 "Potenza-Melfi" e le autostrade A16 "Napoli-Canosa" a Candela e A14 "Bologna-Taranto", in provincia di Foggia;
l'Anas, purtroppo, ad oggi nulla fa sapere sull'ultimazione della Bradanica, lotto di La Martella, un silenzio che crea nuovi timori a distanza di più di otto mesi dalle garanzie sul completamento dell'infrastruttura;
la Bradanica è arteria primaria ed importante per lo sviluppo dell'area in cui ricade e, in generale, per l'intera regione in quanto, completata, condurrà da Foggia a Taranto e alla strada statale Jonica,
si chiede di sapere:
quali siano i motivi per i quali, ad oggi, non si è provveduto a completare i lavori;
quali siano i tempi entro i quali si prevede l'ultimazione;
se il Ministro in indirizzo non ritenga che sia il caso di intervenire, con atti di competenza, presso l'Anas e presso la Regione al fine di velocizzare il più possibile il perfezionamento, così da consentire un migliore collegamento tra la regione Basilicata e le regioni limitrofe.
(4-01213)
PELLEGRINI Marco, MORRA, GIARRUSSO, CAMPAGNA, CORRADO, ENDRIZZI, LANNUTTI, URRARO, GRASSI, GARRUTI, ACCOTO, DONNO, GALLICCHIO, DELL'OLIO, LOMUTI, LUPO, MAIORINO, NATURALE, PERILLI, PESCO, PIARULLI, PIRRO, PRESUTTO - Al Ministro dell'interno. - Premesso che, secondo quanto risulta agli interroganti:
dagli anni '70, in provincia di Foggia, operano pericolosi e spietati sodalizi criminosi di stampo mafioso che, nel corso dei decenni, ponendo in essere una serie di attività delittuose sempre più pervicaci e invasive, hanno di fatto conseguito il controllo militare di buona parte del territorio. Queste organizzazioni operano nell'ambito del traffico internazionale degli stupefacenti (in cui sono diventati leader nazionali per ciò che riguarda marijuana e hashish) e sono, altresì, dedite a estorsioni, grandi rapine a portavalori, furti a caveau, traffico di rifiuti e armi, usura, truffe alle assicurazioni, eccetera. I diversi clan si dividono le zone di influenza della provincia;
queste compagini criminose costituiscono, nel loro insieme, la cosiddetta quarta mafia come ormai è definita da tutti gli addetti ai lavori. Ma, al contempo, questa quarta mafia è sconosciuta all'opinione pubblica nazionale anche perché i principali media l'hanno ignorata per decenni, almeno fino al 2017 quando si sono verificati due gravissimi episodi, uno a San Severo (colpi di arma da fuoco contro mezzi della Polizia di Stato) l'altro a San Marco in Lamis il 9 agosto 2017 (duplice omicidio dei fratelli Luciani, due cittadini innocenti e inermi);
come si legge nella risoluzione in materia di analisi del fenomeno mafioso e criticità per l'amministrazione della giustizia negli uffici giudiziari operanti nella provincia di Foggia nel settore della criminalità organizzata (approvata dal Consiglio superiore della magistratura con delibera consiliare del 18 ottobre 2017), l'80 per cento degli oltre 300 omicidi di mafia commessi negli ultimi 35 anni è rimasto impunito. E ancora si legge: «In taluni contesti del foggiano il radicamento socio-culturale del sistema mafioso è così forte da produrre una generalizzata e assoluta omertà che, talvolta, trasmoda nella connivenza se non addirittura nel consenso. A riprova di questo deve evidenziarsi che, dal 2007, non si hanno collaboratori di giustizia interni ai circuiti associativi». La risoluzione, inoltre, evidenzia la «capillare presenza sul territorio dei gruppi organizzati e il ricorso alla estrema violenza come abituale metodo dell'operatività delittuosa, il che ha determinato nella società civile una forte assoggettamento al crimine, che, sul versante giudiziario, si traduce in comportamenti omertosi delle vittime con conseguenti difficoltà investigative e di accertamento giudiziale. (...) Le denunce sono pressoché inesistenti e i pochi cittadini che le presentano quasi sempre in sede processuale ritrattano (...). Gli imprenditori, nel corso degli anni, sono passati da un assoggettamento estorsivo di tipo violento, ad un atteggiamento di volontaria sottomissione al sistema mafioso: spesso, infatti, è lo stesso imprenditore che si reca autonomamente dal mafioso per pagare il pizzo, anticipandone in tal modo la richiesta. E all'origine di tali iniziative degli imprenditori non vi è la finalità di lucrare vantaggi, ma la consapevolezza che l'agibilità del percorso esistenziale, economico, sociale e familiare non può affrancarsi dalla protezione mafiosa (...). La mafia garganica si presenta come particolarmente cruenta e non si accontenta di uccidere, usando di norma cancellare anche la memoria della vita soppressa. I cadaveri infatti sono spesso bruciati o buttati nelle grave, veri e propri cimiteri di mafia (…). Il fenomeno mafioso è, quindi, nell'insieme, compatto, feroce, profondamente radicato sul territorio, su cui esercita un vero e proprio controllo militare»;
la scia di sangue, purtroppo, non si è interrotta, tanto che nel 2017 si sono contati 20 omicidi, mentre nel 2018 se ne sono registrati 4 a Vieste (nell'ambito di una guerra di mafia) e, ultimi in ordine di tempo, uno a Foggia e uno a San Severo. Quest'ultimo è avvenuto in pieno giorno, i banditi hanno esploso circa 50 colpi, il tutto con modalità cruente ed eclatanti, palesemente intimidatorie nei confronti della cittadinanza;
recenti indagini della Direzione distrettuale antimafia di Bari hanno portato all'arresto di numerosi esponenti apicali dei clan Moretti-Pellegrino-Lanza e Sinesi-Francavilla (appartenenti alla "Società", ossia alla mafia della città capoluogo), oltre ad altri arresti che hanno colpito le compagini criminali di San Severo e Cerignola;
ciononostante o, forse, anche in conseguenza di questi arresti e del vuoto di potere creatosi nella criminalità mafiosa operante a Foggia, si stanno registrando nel 2019 numerosi attentati dinamitardi nei confronti di diversi esercizi commerciali, di cui tre nell'ultima settimana. La volontà di prostrare psicologicamente la cittadinanza foggiana e di incutere il terrore tra gli operatori economici, al fine di poterli più facilmente sottoporre ad estorsione, è evidente;
tali gravi atti intimidatori fanno seguito ad altri attentati dinamitardi, risalenti a qualche settimana o mese fa, ai danni dell'autovettura del comandante della stazione dei Carabinieri di Cerignola, o di quella di un maresciallo di Corato (Bari), o di un dirigente del Comune di Monte Sant'Angelo, ente recentemente sciolto per infiltrazioni mafiose e poi tornato al voto;
considerato, infine, che nella XVII Legislatura veniva presentata, in data 27 gennaio 2016, dal deputato Giuseppe D'Ambrosio la risoluzione 7-00894 in I Commissione (Affari costituzionali), cui si impegnava il Governo ad assumere iniziative per istituire una sezione operativa della Direzione investigativa antimafia, con una dotazione organica adeguata, pari ad almeno 20 unità di personale specializzato, presso la città di Foggia; e sempre nella scorsa Legislatura, la senatrice Daniela Donno, in data 27 novembre 2017, presentava l'atto di sindacato ispettivo 4-08428, rimasto privo di riscontro, che interrogava il Ministro dell'interno pro tempore sul medesimo tema,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative voglia mettere in atto per contrastare l'offensiva mafiosa in provincia di Foggia;
se ritenga necessario aumentare l'organico delle forze dell'ordine presenti in tutta la provincia per meglio contrastare l'attacco mafioso a organismi dello Stato, ai cittadini e agli operatori economici;
quali provvedimenti intenda adottare in riferimento all'istituzione a Foggia di una sezione operativa dislocata della Direzione investigativa antimafia.
(4-01214)
CONZATTI - Al Ministro della giustizia. -
(4-01215)
(Già 3-00576)
Interrogazioni, già assegnate a Commissioni permanenti, da svolgere in Assemblea
L'interrogazione 3-00560, del senatore Durnwalder, precedentemente assegnata per lo svolgimento alla 2ª Commissione permanente (Giustizia), sarà svolta in Assemblea, in accoglimento della richiesta formulata in tal senso dall'interrogante.
Interrogazioni, da svolgere in Commissione
A norma dell'articolo 147 del Regolamento, la seguente interrogazione sarà svolta presso la Commissione permanente:
6ª Commissione permanente (Finanze e tesoro):
3-00583 dei senatori De Bertoldi e La Pietra, sulla situazione del comparto delle scommesse sportive.