Legislatura 18ª - Disegno di legge n. 214
Azioni disponibili
Onorevoli Senatori. – Fin dai tempi di Cesare Balbo e dalle parole della relazione che accompagnava la prima legge elettorale dell'Italia unita si riscontra la tendenza – perdurante fino ai giorni nostri – a considerare la legge elettorale come il pivot della macchina istituzionale. Già da allora si è radicata l'illusione che attraverso l'adozione di un determinato sistema elettorale si sarebbe potuto di volta in volta risolvere problemi, rendere stabile l'instabile, indirizzare il corso degli eventi, sciogliere nodi altrimenti inestricabili. Così attraverso il ping pong tra sistema maggioritario e modello proporzionale, nell'ambito del dibattito sulle mille sfumature possibili sui sistemi elettorali misti sembra essersi altresì affermato un nuovo sport nazionale: sparare sulla legge elettorale di volta in volta vigente salvo poi scoprire in quella successiva pecche ancora peggiori. Ne hanno fatto le spese il cosiddetto Mattarellum, poi la legge proporzionale con premio di maggioranza che addirittura si è guadagnata l'epiteto di Porcellum, e anche l'attuale sistema, nato nell'emergenza di un vuoto legislativo colmato da due sentenze della Corte Costituzionale pronunziate in tempi differenti e per questo non omogenee, sembra inscrivere la sua sorte nel medesimo solco.
L'ultima tornata elettorale ha dipinto un quadro molto chiaro. È plasticamente evidente che con le regole vigenti non sia scaturita dalle urne una chiara maggioranza di governo. D'altro canto, tuttavia, con gli attuali rapporti di forza tra gli schieramenti politici, e considerando i paletti invalicabili dettati dalla Consulta, la designazione di una compagine omogenea di governo è un risultato difficilmente conseguibile qualunque sistema elettorali si adotti.
Ecco perché si dovrebbe trarre giovamento da ciò che la storia politica del nostro Paese ci ha insegnato, evitando di usare – ancora una volta – la legge elettorale come comodo alibi sul quale scaricare tutta la responsabilità di un sistema instabile, ed evitando ancor più di illudersi che la sola modifica del sistema di voto sia sufficiente a tirarci fuori dall'immobilismo istituzionale o a produrre esiti differenti nell'eventualità di una nuova elezione ravvicinata.
Appare ora inevitabile la presa di consapevolezza che sia necessaria una riforma più ampia che investa il Parlamento e soprattutto la forma di governo e soltanto a valle, e in modo coerente, la legge elettorale.
Nonostante appaia poco realistico riaprire in questa legislatura il capitolo della grande riforma costituzionale, può essere considerata realizzabile l'idea di ridurre il numero dei parlamentari in misura proporzionale fra Camera e Senato e di razionalizzare attraverso una commissione di conciliazione i tempi del sistema bicamerale e il funzionamento del procedimento legislativo. Sarebbe inoltre auspicabile rimettere in campo parallelamente l'ipotesi di inserire l'elezione diretta del vertice dell'esecutivo, realizzabile tanto con il presidenzialismo quanto con il premierato, e una nuova correlata legge elettorale, non trascurando, ovviamente, di prevedere l'attivazione degli opportuni contrappesi a seconda del sistema prescelto. Appare questa la sola possibile e concreta strada per dare autentica stabilità all'Italia.
Il presente disegno di legge costituzionale intende dare applicazione a quanto esposto proponendo una sensibile riduzione del numero dei parlamentari, dagli attuali 945 (630 deputati e 315 senatori) a 600 (400 deputati e + 200 senatori), nella consapevolezza che un tale intervento potrebbe contribuire a rendere il nostro bicameralismo meno rissoso e conflittuale e il procedimento legislativo più agile e spedito, nonché consentire di ridurre opportunamente i costi della politica senza forzare le disposizioni costituzionali e la certezza del diritto.