Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 1-00425
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Atto n. 1-00425
Pubblicato il 4 giugno 2015, nella seduta n. 460
PANIZZA , BATTISTA , LONGO Fausto Guilherme , ROMANO , DALLA ZUANNA , LO GIUDICE , MANCONI , MASTRANGELI , PAGLIARI , PEZZOPANE
Il Senato,
premesso che:
Enrico «Chico» Forti è un italiano che da 15 anni si trova in carcere a Miami, condannato all'ergastolo e accusato di un omicidio che non è stato provato abbia commesso;
è stato condannato in base a un processo che non può chiamarsi tale, in quanto si è trattato di un processo indiziario, senza prove e basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale;
«La Corte non ha prove che lei signor Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale! », è questa la frase che il giudice Victoria Platzer ha proferito in chiusura del processo di Enrico Forti; il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami, ma a suo carico non è mai stata prodotta alcuna prova forense oggettiva;
Enrico Forti attende ormai da 14 anni un'opportunità per dimostrare la sua innocenza ma finora tutti gli appelli proposti per la revisione del suo processo sono stati rifiutati senza motivazione;
Chico nasce a Trento l'8 febbraio 1959 e vive in famiglia fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978; in seguito si trasferisce a Bologna dove frequenta l'Isef per ottenere una laurea in educazione fisica. All'inizio degli anni Ottanta, Chico diventa uno dei pionieri del windsurf, ottenendo risultati a livello mondiale. La sua simpatia e voglia di vivere, il buonumore e la comicità estrema in un batter d'occhio fanno di lui un vero e proprio personaggio nel circuito internazionale. Negli anni Novanta, si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un'attività di filmaker e presentatore televisivo; in seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è proprio svolgendo questa attività che conosce Anthony John Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo sull'isola di Ibiza, in Spagna;
alla fine del 1997, Anthony John Pike viaggia alla volta di Miami, ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto l'abitazione di Enrico Forti. I due erano stati «amiconi» ai tempi dorati dell'albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore;
Knott era stato condannato in Germania a 6 anni di detenzione per truffe miliardarie. Sparito durante un periodo di libertà vigilata, ricomparve a Miami, dove svolgeva, sotto falsi documenti procuratigli da Pike, un'attività di copertura come «istruttore di tennis»; in realtà continuava la sua «professione» di truffatore. L'ultima accusa fu proprio quella tentata ai danni di Enrico Forti, convocando Anthony John Pike a Miami con l'intento di vendere il citato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre un anno;
durante questa trattativa, compare Dale Pike, figlio di Anthony, che in passato era stato allontanato dall'albergo di Ibiza per gravi dissapori con il padre;
Dale Pike doveva lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi non accertati, e ricorse all'aiuto del padre, trovandosi in questo stato di necessità completamente privo di denaro. Anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità finanziaria e chiese l'aiuto di Enrico Forti, con il quale era entrato in trattative per la compravendita dell'albergo. Forti fu disponibile e alla fine del mese di gennaio 1998 pagò a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla Spagna. Quindici giorni più tardi, Anthony Pike telefonò nuovamente ad Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in compagnia del figlio Dale;
il giorno del loro arrivo fu programmato per domenica 15 febbraio 1998. Convinse nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare i biglietti aerei ed anche questa volta Forti acconsentì a pagare i biglietti ad ambedue;
il giorno prima della partenza, Anthony fece un'ultima telefonata ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo, 18 febbraio. Suo figlio Dale, invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiese a Forti di andarlo a prendere all'aeroporto per ospitarlo a casa sua. Forti acconsentì, ma, dopo il suo incontro con Dale all'aeroporto, quest'ultimo gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e con i quali avrebbe trascorso alcuni giorni, in attesa dell'arrivo del padre. Forti quindi diede un passaggio a Dale fino al luogo da lui indicato e lo lasciò al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica. Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, era durato circa una mezz'ora;
il giorno 16 febbraio 1998 un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio dove Enrico Forti lo aveva lasciato. Era stato ucciso con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, denudato completamente, ma con vicino il cartellino verde di cui viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti. C'erano anche altri oggetti personali per cui fu semplice l'identificazione. La morte fu fatta risalire tra le ore 20 e le 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti; al processo Enrico venne accusato e condannato come «mandante» dell'omicidio;
le accuse mosse contro Enrico Forti si basarono tutte sul fatto che in un primo momento egli tacque sulla circostanza dell'arrivo di Dale Pike domenica 15 febbraio 1998 ed omise la verità sul loro incontro all'aeroporto di Miami;
nei giorni che seguirono, i fatti dimostrarono come Enrico Forti non fosse stato affatto preoccupato della sorte di Dale Pike. Fu soltanto mercoledì 18 febbraio a New York, dove si era recato per l'incontro con il padre, che apprese la notizia dell'omicidio;
saltato l'appuntamento con Anthony Pike e non avendo più sue notizie, Forti tornò immediatamente a Miami ed il giorno seguente, 19 febbraio, si recò spontaneamente al dipartimento di Polizia per rispondere ad una convocazione come persona informata dei fatti. Fu durante tale convocazione (che si rivelò poi un vero e proprio interrogatorio come maggior indiziato per l'omicidio) che la Polizia lo informò falsamente che oltre a Dale, anche il padre Anthony era stato trovato ucciso a New York. Anthony Pike, invece, era vivo e vegeto e sotto protezione della Polizia stessa dal giorno precedente. Terrorizzato dal precipitare degli avvenimenti, Forti negò di aver incontrato Dale Pike;
la sera del 20 febbraio 1998, ormai resosi conto della gravità della situazione, tornò alla Polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d'affari con il padre della vittima;
ingenuamente, si presentò senza l'assistenza di un legale, anche per la garanzia avuta da un ex capo della squadra omicidi da lui conosciuto, che lo aveva assicurato trattarsi solamente di fornire alcuni chiarimenti per aiutare le indagini della Polizia;
invece in quell'occasione venne immediatamente arrestato e sottoposto ad un massacrante interrogatorio per 14 ore, durante il quale ammise di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio nelle ore precedenti il suo omicidio e di averlo accompagnato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican a Virginia Key;
nell'immediatezza del primo arresto, Enrico Forti era stato accusato di frode, circonvenzione d'incapace e concorso in omicidio. La giuria però fu fuorviata ed ingannata nel suo giudizio finale, perché non venne mai informata che Enrico Forti in precedenza era già stato completamente assolto dalle accuse di frode e circonvenzione d'incapace. Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato infatti scagionato da tutti i capi d'accusa che riguardavano la frode; scorrettamente, invece, la frode fu usata come movente nel processo per omicidio;
si è scoperto che l'albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo non era più suo: una truffa vera e propria. Anthony Pike stesso lo aveva ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, ma l'accusatore lo tenne nascosto alla giuria;
le indagini per l'omicidio di Dale Pike vennero affidate al prosecutor Reid Rubin e il pubblico ministero venne informato da Gary Schiaffo (il leader investigator nel caso Cunanan) sulla persona di Chico Forti e fu messo al corrente dell'inchiesta dal Forti realizzata sul caso Versace/Cunanan, dove venivano messe in dubbio le dichiarazioni della polizia di Miami e dove l'attacco alla casa galleggiante era considerato una clamorosa messinscena;
le indagini preliminari furono affidate ai detective Catherine Carter e Confessor Gonzales che, stranamente, facevano parte della squadra investigativa di Schiaffo. In seguito, la conduzione del processo ad Enrico Forti fu affidata alla giudice Victoria Platzer, anche lei membro della squadra di Schiaffo prima di essere nominata giudice;
il pubblico ministero Reid Rubin non ha sicuramente lasciato nulla all'improvvisazione, dato che ha impiegato ben 28 mesi per preparare la sua arringa finale: un record per i tribunali americani; normalmente qualsiasi processo si esaurisce entro 6 mesi dalla sua istruttoria;
Rubin ha avuto l'incredibile vantaggio di pronunciare la sua arringa finale senza che la difesa potesse replicare, in modo che qualsiasi teoria lui intendesse proporre alla giuria, vera o presunta, o basandosi esclusivamente su una fantasiosa ricostruzione dei fatti, non era più contestabile;
il rito del processo americano prevede che l'ultima parola spetti di diritto all'accusa quando l'imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere, oppure non è chiamato al banco dei testimoni, ma Enrico Forti non ne era al corrente. Lo sapeva ovviamente il pubblico ministero, che ha sfruttato questa opportunità puntando tutte le sue chance proprio nello spazio finale a lui concesso, approfittando anche del fatto che la giuria deve decidere il suo verdetto basandosi esclusivamente sulla propria memoria del dibattimento. Logico, quindi, che nella mente dei giurati rimangano impresse più le ultime parole dell'accusa che non quelle della difesa. A maggior ragione questo si verifica quando l'oratore è particolarmente bravo e non c'è dubbio che Reid Rubin lo sia;
ma la responsabilità più grave della vicenda ricade sugli avvocati della difesa: anche loro conoscevano questa regola. La spiegazione data dai legali nel consigliare Enrico Forti di non presentarsi alla sbarra fu: «Tu hai detto una bugia, quindi sei esposto al massacro di immagine che l'accusatore può dare di te ai giurati. Quindi meglio non rischiare. Inoltre, non essendoci prove, nessuna giuria al mondo potrà emettere un verdetto di colpevolezza nei tuoi confronti! ». Anche l'accusatore, quindi, non ha ritenuto di dover chiamare Enrico Forti alla sbarra;
dopo la conclusione dell'arringa dell'accusa la giuria popolare si ritirò nella camera di consiglio e solo poche ore bastarono ai giurati per emettere un verdetto di colpevolezza;
la morte civile inflitta ad Enrico Forti in definitiva si basa solamente su una «sensazione»; in seguito, nonostante si fosse in grado di dimostrare ampiamente che Enrico Forti era rimasto vittima di un clamoroso errore giudiziario, 5 appelli presentati per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie corti, senza alcuna motivazione né opinione;
il 30 aprile 2002, dopo il rifiuto della revisione del processo, un incredibile fatto venne casualmente alla luce. A Ira Loewy, avvocato dello studio legale incaricato della difesa di Enrico Forti, venne contestata un'assoluta inefficienza nella difesa di Chico tale da far sospettare una collusione con l'accusa;
oltre al processo di Enrico Forti, Loewy lavorava per un altro caso, come sostituto procuratore aggiunto presso il dipartimento criminale, in un ufficio adiacente a quello dell'accusatore Reid Rubin. Ciò costituiva un chiaro conflitto d'interessi, richiamato anche dalla giudice del processo in una specifica udienza. Benché Loewy avesse assunto l'impegno di informare il suo assistito Enrico Forti della situazione, non ottemperò mai a questo obbligo. Scoperta casualmente 3 anni più tardi questa illegale procedura, Loewy presentò, per giustificarsi, la fotocopia di un documento di autorizzazione a procedere firmata da Enrico Forti. Di questo documento non si è mai trovato l'originale, non è mai stato allegato agli atti del processo, la firma in calce non è di Enrico Forti e quindi non si è mai voluto o potuto verificarne l'autenticità;
la responsabilità più grave di Ira Loewy è quella di aver concesso l'ultima parola all'accusa nella fase finale del processo; infatti, non facendo deporre Chico Forti, Loewy concesse un enorme vantaggio all'accusa e Reid Rubin ebbe la possibilità di esporre alla giuria una sequenza di prove circostanziali senza alcun sostegno probatorio. La giuria, infatti, può fare affidamento soltanto sulla propria memoria relativamente alle situazioni prospettate durante il processo, per cui al momento del ritiro in camera di consiglio pesano in modo determinante le ultime affermazioni ascoltate;
ad Enrico Forti è stato negato il diritto allo speed trial (processo veloce entro 20 giorni dall'arresto) per avvenuta scadenza dei termini di legge (6 mesi) dalla prima accusa all'arresto (20 mesi). Il diritto allo speed trial gli è stato negato perché è stata applicata la «regola Williams», cioè l'esistenza di una diretta connessione tra l'ottenimento di un illecito guadagno, la truffa e la consumazione dell'omicidio. Questa regola avrebbe dovuto essere revocata, perché Enrico Forti era già stato assolto dall'accusa di frode in un precedente processo;
la deposizione rilasciata da Forti come testimone, durante la quale disse la bugia sul suo incontro con Dale Pike, avrebbe dovuto essere annullata perché coperta dai cosiddetti diritti Miranda che prevedono l'assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine; infatti, tali diritti gli furono negati nonostante al momento della deposizione fosse già il principale indiziato per l'omicidio;
l'accusatore ha anche, in maniera ad avviso dei firmatari della presente mozione colpevole e scorretta, ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine, secondo il quale la truffa non avrebbe dovuto essere usata come movente e, in tal modo, la giuria fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale;
si è violata anche la double Jeopardy, secondo la quale se un imputato è già stato assolto da un'accusa in un precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro processo;
a Chico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna: i Paesi firmatari di questa Convenzione garantiscono l'immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio;
è prevista, inoltre, anche l'automatica simultanea comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso; il Consolato italiano venne, invece, a conoscenza del primo arresto di Enrico Forti casualmente dai giornali ben 9 giorni dopo. Alla protesta ufficiale che ne seguì, la Polizia inviò una lettera di scuse per «l'involontaria» omissione;
preso atto che:
Ferdinando Imposimato, suo legale italiano, e la criminologa Roberta Bruzzone presentarono nel maggio 2012 un report al Ministro degli affari esteri pro tempore, Giulio Maria Terzi di Santagata, che contiene le motivazioni per la richiesta di revisione;
il Ministro degli affari esteri pro tempore, Emma Bonino, aveva a sua volta espresso l'attivo interessamento del Governo italiano sul caso Forti;
in Trentino, terra di origine di Forti, da anni si è spontaneamente organizzato un forte e diffuso movimento d'opinione, che ha portato alla costituzione di un attivissimo comitato "Amici di Chico Forti", finalizzato a chiedere giustizia per il connazionale;
anche molte personalità del mondo dell'impresa, della politica, del sociale e dello spettacolo si sono unite ed attivate per chiedere la revisione del processo;
purtroppo la richiesta di un nuovo processo può avvenire solo ed esclusivamente sulla base di una newly discovered evidence: una nuova prova determinante, che, se presentata nel dibattimento, ne avrebbe potuto modificare l'esito e che, si dimostri, non poteva essere trovata al tempo del processo. Tutte le prove, anche a sua discolpa, che sono passate o avrebbero potuto passare davanti ad una corte, sono procedural defaulted e, quindi, non valgono;
alla Camera dei deputati è stata approvata, nella seduta del 24 settembre 2014, a stragrande maggioranza, un analogo atto di indirizzo (testo unificato delle mozioni 1-00291 a prima firma di Mauro Ottobre e altri e 1-00460 a prima firma di Emanuela Corda e altri), che impegna, tra le altre cose, il Governo ad assumere in ogni sede qualsiasi iniziativa di competenza volta a tutelare il concittadino Enrico Forti, come più volte in precedenza il Governo italiano ha ritenuto di dover fare in difesa di altri concittadini condannati e detenuti all'estero, considerato anche il fatto che lo Stato italiano intrattiene con il Governo degli Stati uniti ottimi rapporti diplomatici che hanno portato anche di recente alla soluzione di casi giudiziari controversi,
impegna il Governo:
1) a valutare la possibilità di promuovere un incontro tra il Ministro della giustizia italiano ed il Ministro della giustizia degli Stati Uniti d'America, allo scopo di acquisire informazioni, per quanto di competenza e nel pieno rispetto della giustizia americana, sulle numerose circostanze che fanno supporre, a giudizio di molti, che la difesa sia stata alquanto deficitaria per probabili conflitti di interesse e ottenere così una revisione del processo, considerato che la condanna all'ergastolo inflitta a Enrico Forti, detenuto in Florida dall'11 ottobre 1999, violerebbe i più basilari principi del giusto processo.