Legislatura 17ª - Dossier n. 159

Senato della RepubblicaXVII LEGISLATURA
N. 159
Nota Breve

Servizio studi

La Corte penale internazionale al tempo dell'incertezza

  1. L'istituzione della Corte e i suoi attuali sviluppi

La Corte penale internazionale (CPI) è la prima giurisdizione internazionale permanente competente a giudicare persone accusate di crimini internazionali. L'istituzione di questo organismo rappresenta il punto d'arrivo di un lungo processo di definizione della natura della responsabilità penale internazionale e delle condizioni del suo esercizio. Il riconoscimento dell'esistenza di crimini internazionali, così come, su un altro piano, l'ammissibilità di una "giurisdizione universale" nei confronti di alcuni fatti, hanno origini risalenti, ma si sono a lungo scontrati col rispetto della sovranità nazionale.

Il progetto di una Corte penale internazionale inizia a prendere corpo nel periodo tra le due guerre mondiali, in seno alla Società delle Nazioni. Nel frattempo, nel Trattato di pace di Versailles, nel 1919, viene introdotto un articolo che prevede di giudicare, di fronte ad un Tribunale internazionale, l'ex imperatore della Germania, Guglielmo II, per "offesa suprema contro la morale internazionale e l'autorità sacra dei Trattati"(1) . La previsione non verrà però mai applicata. Non così nel secondo dopoguerra, quando i due tribunali istituiti dalle potenze vincitrici, a Norimberga e a Tokyo, giudicarono e condannarono singoli individui, organi dei Paesi sconfitti. Il contesto del dopoguerra è sicuramente favorevole ad una ripresa d'interesse per la riflessione e l'azione politico-diplomatica su questi temi. Con la nascita delle Nazioni unite riprende vigore l'iniziativa di creare una giurisdizione penale internazionale, individuando anche i crimini che quest'organo sarebbe chiamato a giudicare. La Commissione del diritto internazionale viene incaricata di preparare un progetto di statuto. Il clima della guerra fredda, oltre che una serie di difficoltà di merito - ad esempio per l'individuazione del crimine di aggressione - comportano però una lunga sospensione di questi lavori. Negli anni Ottanta, in un contesto internazionale parzialmente nuovo, i due progetti hanno un nuovo impulso, su iniziativa dell'Assemblea generale dell'Onu. Riprende l'attività di riflessione e di elaborazione. Negli anni Novanta vengono istituiti, con risoluzioni del Consiglio di sicurezza (ex capo VII della Carta del'Onu), due tribunali ad hoc, lontani parenti di quelli sorti subito dopo la guerra. Il primo è quello per la l'ex Yugoslavia, competente a giudicare le persone presunte responsabili di "gravi violazioni del diritto umanitario internazionale" commesse in quel territorio dal 1991. Nel novembre del 1994 è la volta del Tribunale penale internazionale competente a giudicare i crimini compiuti in Ruanda, o da cittadini ruandesi nei Paesi limitrofi, tra il 1° gennaio e il 31 dicembre del 1994. Il quasi concomitante avvio dei due tribunali dà nuovo slancio anche all'idea originaria di una Corte penale internazionale, che sia però permanente, precedente ai fatti e senza limiti spaziali precostituiti. Nel dicembre del 1994 l'Assemblea generale delle Nazioni unite istituisce un nuovo Comitato preparatorio. Questo riprende il precedente progetto elaborato dalla Commissione di diritto internazionale, aggiornandolo, sopratutto per gli aspetti di diritto sostanziale, alla luce delle codificazioni compiute con gli statuti dei due tribunali ad hoc. Il progetto, ulteriormente modificato, viene poi sottoposto, in base ad una risoluzione dell'Assemblea generale, ad una conferenza diplomatica convocata a Roma nell'estate del 1998. Dopo cinque settimane di lavori complessi e non privi di difficoltà, lo Statuto della Corte viene approvato il 17 luglio(2) . Il testo entra in vigore il 1° luglio del 2002, con il raggiungimento della sessantesima ratifica(3) .

Non è certo questa la sede per un bilancio delle attività della Corte dell'Aja, quindici anni dopo l'entrata in vigore dello Statuto, né per una disamina dei vari procedimenti attualmente in corso(4) . Nemmeno si può dar conto delle difficoltà che la sua azione ha incontrato in alcune delle crisi drammatiche di questi anni (prima tra tutte quella siriana), tanto da far emergere la proposta di modificare, su questi temi, le regole di votazione del Consiglio di sicurezza(5) . Si può però segnalare che il sistema instaurato a Roma sembra attraversare una fase di grande difficoltà. Si può discutere se essa dipenda dalle modalità con cui tale organo svolge i suoi compiti o piuttosto dai mutevoli e turbolenti assetti delle relazione internazionali. E' comunque diffusa l'impressione che l'entusiasmo che aveva accompagnato la firma e l'entrata in vigore dello Statuto sia un po' svanito.

Sicuramente è una fase difficile per quanto riguarda la partecipazione dei Paesi alla Corte. Il suo processo di "allargamento", infatti, cioè la ratifica del suo Statuto da parte di nuovi Paesi, procede ormai da qualche anno molto a rilento. Dopo la forte crescita di nuove adesioni negli anni immediatamente successivi alla firma dello Statuto e alla sua entrata in vigore (con un picco nel 2002 e nel 2003, con circa 40 nuove adesioni per ciascun anno), il numero delle nuove adesioni è molto ridotto. Negli ultimi 5 anni hanno aderito alla Corte soltanto quattro nuovi Paesi. Tra questi, accanto a Guatemala, Costa d'Avorio e El Salvador, c'è anche la Palestina, che ha aderito alla Corte, in una situazione del tutto particolare, dopo la definizione del suo status nel sistema delle Nazioni Unite. Da un lato questo rallentamento ha ovviamente motivazioni fisiologiche, considerato che i Paesi che aderiscono sono ormai 124(6) . Ma è stato anche notato che la Corte penale sembra aver ridotto la sua potenziale forza attrattiva, anche per un certo mutamento del quadro generale delle relazioni internazionali(7) . Occorre anche considerare che ancora non aderiscono alla Corte una serie di Stati di grande rilievo internazionale. Dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, aderiscono alla Corte solo il Regno Unito e la Francia(8) . Gli Stati Uniti, dopo aver proceduto alla firma dello Statuto negli ultimissimi giorni della presidenza Clinton, hanno poi ritirato tale adesione(9) . Non aderiscono alla Corte neanche Cina e Russia, così come altri Stati importanti e popolosi (tra cui India, Indonesia, Pakistan, Turchia e così via).

La giurisdizione della Corte, poi, non è accettata nella grande maggioranza del mondo arabo, che mantiene ancora un atteggiamento di grande diffidenza nei confronti di questo, come di altri strumenti del sistema di giustizia internazionale. Prima del 2006 soltanto tre Paesi di quest'area (di cui due molto piccoli) avevano ratificato lo Statuto di Roma, cioè Giordania, Gibuti e Isole Comore. Ad essi si è più recentemente aggiunta la Tunisia, che ha aderito alla Corte subito dopo l'avvio della transizione democratica, nel giugno del 2011(10) .

Più grave del rallentamento delle nuove adesioni è poi il fenomeno di Paesi che criticano esplicitamente l'operato della Corte, annunciano l'abbandono o, addirittura, l'abbandonano veramente. Il 16 novembre scorso, dopo la pubblicazione delle conclusioni preliminari delle indagini dell'Ufficio del Procuratore sul conflitto in Ucraina, la Russia ha annunciato la sua intenzione di ritirare la firma dallo Statuto della Corte. Si tratta di un gesto poco più simbolico, considerato che la Russia non ha mai ratificato lo Statuto della Corte, ma comunque di una certa rilevanza a livello politico. Il Cremlino accusa la Corte di scarsa efficacia e, soprattutto di scarsa indipendenza, oltre che di accanimento nei sui confronti(11) . Quasi contemporaneamente il nuovo presidente delle Filippine, Duterte, si è detto pronto ad abbandonare la Corte (cui il suo Paese ha aderito nel 2011), in risposta alle critiche rivolte alla spietata lotta contro i trafficanti di droga avviata dal suo governo(12) .

Ma è nel continente africano che un certo sentimento di sfiducia nei confronti della Corte, spesso, ovviamente, alimentato strumentalmente, si sta sviluppando nel modo più preoccupante(13) . Alla fine del 2016, tre Paesi africani, Sudafrica, Burundi e Gambia, hanno formalmente notificato il loro ritiro dalla Corte(14) . Altri Paesi hanno più volte dichiarato la loro intenzione di abbandonare lo Statuto di Roma (tra questi Kenya, Uganda)(15) . Per il Burundi la decisione sembra legata all'apertura di un fascicolo sulle responsabilità del governo del Presidente Nkurunziza nei disordini scoppiati dopo il suo annuncio di voler correre per un terzo mandato(16) . In Gambia la decisione di uscire dallo Statuto era stata assunta dal governo Jammeh, che accusava i giudici dell'Aja di parzialità e di non assumere iniziative nei confronti dei Paesi occidentali, tanto da arrivare a definire la Corte penale "una corte internazionale caucasica, per la persecuzione e l'umiliazione delle persone di colore, in particolare degli africani"(17) . La scelta è stata però revocata, nel febbraio di quest'anno, dal nuovo Presidente, Adama Barrow, che è riuscito ad assumere le sue funzioni dopo una complessa e drammatica transizione col suo predecessore(18) .

In Sudafrica, uno dei Paesi leader del continente, la decisione del governo di avviare al procedura per lasciare la Corte era stata una conseguenza della visita nel Paese del presidente sudanese Bashir, nel giugno del 2015. Nonostante gli obblighi derivanti dalla sua adesione alla Corte, le autorità sudafricane non avevano proceduto all'arresto di Bashir, come invece richiesto dall'Aja, con l'argomentazione che tale scelta avrebbe minato gli sforzi del Paese di porsi come soggetto mediatore delle crisi del continente, tra cui appunto quella sudanese, con gli strumenti della politica e della diplomazia(19) . Il percorso di abbandono dello Statuto di Roma è stato però interrotto da una decisione giudiziaria interna. Investita del caso da un partito di opposizione, il 22 febbraio scorso l'Alta Corte sudafricana ha infatti invalidato la decisione, sul presupposto che il governo non aveva la disponibilità di denunciare il trattato senza avere l'autorizzazione del Parlamento. La vicenda è abbastanza significativa ed è stata paragonata alla recente decisione della Corte Suprema del Regno Unito sull'uscita del Paese dall'Unione europea. In entrambi i casi si trattava di stabilire l'esistenza o meno del potere dell'esecutivo di ritirarsi da un accordo internazionale, senza il consenso del Parlamento, che tale accordo aveva autorizzato a ratificare. In mancanza di una specifica previsione costituzionale, i giudici sudafricani hanno stabilito che la procedura per la denuncia di una trattato deve ricalcare quella per la sua ratifica, e dunque deve prevedere un'autorizzazione parlamentare.(20)

In attesa di possibili evoluzioni della vicenda sudafricana(21) , il fenomeno dell'abbandono della Corte sembra dunque circoscriversi. Resta il fatto che è stato rotto un tabù: l'uscita dalla Corte è diventata una prospettiva concreta per i governi critici nei confronti del suo operato o, più semplicemente, interessati a garantirsi un margine maggiore di impunità. Anche la principale organizzazione regionale, l'Unione Africana è intervenuta sulla questione in modo ambivalente. Nel documento approvato nella sua recente Assemblea in Etiopia (il 30 e 31 gennaio 2017), l'organizzazione, pure in modo non unanime, ha dichiarato "pieno sostegno" alla decisione "sovrana" di lasciare al Corte assunta (in quel momento) da Sudafrica, Gambia e Burundi. Tali decisioni sono accolte, nel documento, come primo passo "pionieristico" della più ampia "withdrawal strategy" proposta, anche se in modo "non vincolante", ai suoi membri (e cui si dà ampio risalto in un documento di lavoro allegato)(22) . Proprio questi passaggi hanno giustificato una lettura dei risultati dell'Assemblea africana come un invito a tutti gli Stati membri ad abbandonare la Corte(23) . La discussione comunque è aperta, e i prossimi mesi potranno dare ulteriori indicazioni sul suo sviluppo.

  1. Lo Statuto di Roma e il funzionamento della Corte

A differenza dei due tribunali ad hoc istituti degli anni Novanta, la Corte penale internazionale non è propriamente un organo delle Nazioni unite, ma un soggetto autonomo, dotato di una propria personalità giuridica internazionale. Tale configurazione, se sottolinea il suo carattere di indipendenza, non nega ovviamente una strettissima relazione tra la Corte e il sistema Onu (affermata del resto molto chiaramente nello Statuto e confermato da un apposito accordo di collegamento(24) ). La stessa istituzione della Corte, come si è visto, trova del resto in gran parte origine nell'iniziativa delle Nazioni unite, mentre il Consiglio di sicurezza svolge un ruolo importante nel suo funzionamento.

La Corte è composta da 18 giudici, scelti tra persone in possesso dei requisiti di nomina ai più alti uffici giudiziari nei paesi di provenienza. I giudici sono eletti per nove anni dall’Assemblea degli Stati parti, con criteri che tengano conto di una adeguata rappresentanza dei vari sistemi giuridici, una distribuzione delle provenienze geografiche e una proporzione tra i sessi. Il Presidente e i Vice Presidenti sono scelti dagli stessi giudici, per tre anni, e sono rinnovabili una sola volta.

L’Assemblea degli Stati parti è composta da un rappresentante per ciascun Paese membro, e, oltre al potere di eleggere i giudici, ha importanti compiti nell'amministrazione e nella gestione finanziaria della struttura. Essa può anche impartire alla Presidenza, al Procuratore e al Cancelliere orientamenti generali per l'amministrazione della Corte. Tra le sue altre funzioni c'è quella di esaminare le raccomandazioni della Commissione preparatoria e i rapporti dell'Ufficio di Presidenza, oltre ad ogni questione relativa alla mancanza di cooperazione da parte degli Stati. L'Assemblea elegge anche il Procuratore e i Procuratori aggiunti, che devono avere gli stessi requisiti dei giudici, e restano in carica per nove anni, e non sono rileggibili. Essa ha poi ha anche una importante funzione nel procedimento di revisione dello Statuto perché può approvare modifiche da sottoporre poi alla ratifica degli Stati membri.

I rapporti tra la Corte e gli Stati nazionali sono ispirati ai due principi della complementarietà e della collaborazione. Secondo il principio della complementarietà, a cui lo Statuto fa riferimento fin nel suo preambolo, la Corte non può essere attivata se lo Stato che ha giurisdizione su un determinato caso sta svolgendo indagini o sta esercitando l'azione penale oppure se abbia già svolto indagini e abbia deciso di non procedere contro le persone accusate dei fatti. L'irricevibilità da parte della Corte viene però meno se allo Stato competente manca la "volontà" o l'effettiva "capacità" di svolgere le indagini e di perseguire le persone coinvolte oppure se la decisione di non procedere sia dovuta ad assenza di volontà o di capacità da parte dello Stato. In applicazione del principio del ne bis in idem il caso è irricevibile anche se le persone sono state già giudicate per gli stessi fatti, sempre che tale procedimento si sia svolto rispettando i criteri dell'equo processo e dell'imparzialità e non sia stato motivato dall'intento di sottrarre il caso alla giurisdizione della CPI. A conferma di questo principio di complementarietà, viene stabilito che il Procuratore, prima di iniziare un'inchiesta, informa tutti gli Stati parte e quelli che potrebbero comunque avere giurisdizione sui fatti. Al di là di questi casi, la Corte può comunque valutare che il caso non sia "particolarmente grave" da giustificare l'avvio di un procedimento(25) .

Il principio della cooperazione da parte degli Stati deriva per necessità dal fatto che la Corte non possiede strumenti autonomi per procedere alla raccolta di prove e di testimonianze, per svolgere altre attività di indagine e procedere all'arresto delle persone sottoposte al suo giudizio. Per tutte queste attività è necessaria la collaborazione degli Stati parti (o che comunque hanno accettano la giurisdizione della Corte per il caso concreto), i quali devono anche provvedere agli opportuni adattamenti del proprio ordinamento interno(26) .

Per quanto riguarda il suo ambito di giurisdizione, la Corte può esercitare le sue attività se il fatto si è svolto nel territorio di uno Stato parte, oppure se le persone accusate dei fatti abbiano la nazionalità di uno Stato parte. In questi due casi, che sono alternativi, la competenza della Corte è automatica, nel senso che il consenso dello Stato è considerato implicito nel fatto di aver ratificato lo Statuto di Roma. Nel caso in cui non operi nessuno dei due criteri di collegamento, la Corte può tuttavia attivarsi se lo Stato interessato dai fatti (per territorio o per nazionalità), che non sia parte, dichiari di accettare la competenza della Corte sul caso concreto, impegnandosi a prestare la collaborazione necessaria.

In questo senso la giurisdizione della Corte non può definirsi "universale", ma presuppone sempre il consenso (e poi la collaborazione) degli Stati. Unica eccezione a questo principio è quello in cui la Corte sia attivata dal Consiglio di sicurezza, quando questi segnali, in base al Capitolo VII della Carta dell'Onu, una situazione nella quale siano stati commessi crimini rientranti nella giurisdizione della Corte(27) .

Così come può chiederle di attivarsi, il Consiglio di sicurezza può anche chiedere alla Corte di sospendere le sue attività per un anno (rinnovabile), qualora valuti che l'indagine su un determinato caso possa interferire con il suo compito di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale(28) .

Ai sensi del suo Statuto la Corte ha una competenza materiale che riguarda: a) il genocidio; b) i crimini contro l'umanità; c) i crimini di guerra; d) l'aggressione. Si tratta, evidentemente, dei crimini di maggiore rilevanza per la comunità internazionale, riconosciuti ormai come tali dal diritto consuetudinario. Non sono stati invece inclusi nella competenza della Corte una serie di altri crimini, di cui pure si era discusso durante la Conferenza di Roma o nei suoi lavori preparatori, come ad esempio il traffico di droga, il terrorismo internazionale, il mercenarismo e i gravi danni ambientali (pure parzialmente richiamati tra i crimini di guerra)(29) .

La definizione di genocidio accolta dallo Statuto ricalca quella della Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio del 1948. L'articolo 6 punisce infatti una serie di atti compiuti "nell'intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso".

I crimini contro l'umanità consistono in una serie di comportamenti delittuosi, elencati nell'articolo 7, che siano commessi "nell'ambito di un sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell'attacco". Come è stato sottolineato, se da un lato non si può trattare di comportamenti di carattere episodico, dall'altro non c'è bisogno di alcun nesso tra la commissione di questi crimini e la presenza di un conflitto, interno o internazionale.

Per i crimini di guerra la Corte può giudicare una serie di atti, elencati dall'articolo 8, quando siano compiuti come parte di un piano o di un disegno politico o come parte di una serie di crimini analoghi commessi su larga scala. Lo Statuto poi dettaglia, con riferimento alle diverse fonti pattizie di riferimento, i crimini commessi in relazione a conflitti internazionali o a conflitti interni.

A differenza degli altri reati di competenza della Corte, l'aggressione non era definita dalla versione originaria dello Statuto (e dunque non poteva costituire l'oggetto di un procedimento giudiziario). Durante la Conferenza di Roma, infatti, non era stato possibile raggiungere un accordo sulla definizione di tale crimine, che rappresenta del resto una delle questioni più controverse del diritto internazionale. Pur stabilendo la competenza della Corte anche per questo crimine, si era ritenuto di rinviarne la possibilità di esercizio al momento in cui la definizione sarebbe stata introdotta, con un emendamento, nel testo del Trattato. Questa modifica è stata poi realizzata nel 2010, nell'ambito della prima Conferenza di Revisione, svoltasi a Kampala, in Uganda. Sono stati quindi introdotti nello Statuto da un lato l'articolo 8-bis, che fornisce la definizione del crimine di aggressione; e dall'altro gli articoli 15-bis e 15-ter, che riguardano l'esercizio della giurisdizione della Corte in quest'ambito(30) .

  1. La clausola di (parziale) "opt out" dell'articolo 124 e la sua cancellazione

Una recente modifica dello Statuto di Roma vede ora impegnati gli Stati Parte, e dunque anche l'Italia, nella rispettive procedure di ratifica.

Per ciò che riguarda i crimini di guerra, lo Statuto di Roma prevede una clausola di temporanea (e parziale) esclusione della competenza della Corte, attivabile dagli Stati.

Recita infatti l'articolo 124:

"Nonostante le disposizioni dell'articolo 12, paragrafo 1, uno Stato che diviene parte al presente Statuto può, nei sette anni successivi all'entrata in vigore dello Statuto nei suoi confronti, dichiarare di non accettare la competenza della Corte per quanto riguarda la categoria di reati di cui all'articolo 8 quando sia allegato che un reato é stato commesso sul suo territorio o da suoi cittadini. Tale dichiarazione può essere ritirata in qualsiasi momento.

Le disposizioni del presente articolo saranno riesaminate nella Conferenza di revisione prevista all'articolo 123, paragrafo 1".

La previsione è espressione delle preoccupazioni manifestate, prima e durante i lavori della Conferenza di Roma, da diversi Stati, e in particolare dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, per l'assenza di previsioni che consentissero agli Stati di limitare la giurisdizione della Corte. Francia e Stati Uniti, in particolare, lamentavano l'assenza di garanzie nei confronti di possibili incriminazioni delle truppe impegnate all'estero in missioni di peace keeping(31) . Le modalità con cui questa previsione è stata introdotta nello Statuto sono di un certo interesse. Né la bozza di Statuto elaborata dalla Commissione per il diritto internazionale nel 1994, né la bozza sottoposta dal Comitato preparatorio della Conferenza di Roma, infatti, contenevano una norma del genere. La previsione è stata introdotta negli ultimi giorni di lavoro della Conferenza di Roma, dedicati ai temi della giurisdizione della Corte, delicatissimi e non ancora assolutamente risolti nelle fasi preparatorie,. Proprio la Francia, appena tre giorni prima della conclusione della conferenza, presentò una proposta informale per consentire agli Stati di sottrarre alla Corte, per singole circostanze, la giurisdizione sui propri cittadini. A seguire, il Regno unito, raccogliendo le stesse preoccupazioni, propose un "protocollo opzionale" per consentire agli Stati di escludere i propri cittadini dalla giurisdizione della Corte, per crimini contro l'umanità e per crimini di guerra, per un periodo, rinnovabile, di dieci anni. Tutti i membri non permanenti del Consiglio di sicurezza appoggiarono la proposta, che fu formalizzata dagli Stati uniti. La reazione dei Paesi c.d. "like minded" (cioè più propensi a rafforzare la Corte) fu opera soprattutto della Germania, che contropropose una bozza che riduceva i termini della clausola, limitandola ai soli crimini di guerra, e a soli tre anni, non rinnovabili. Un compromesso tra le diverse proposte ha prodotto la versione poi racchiusa nell'articolo 124(32) .

Si tratta un'esenzione che: a) riguarda solo uno degli ambiti di competenza della Corte (i crimini di guerra): b) può essere attivata solo nel momento in cui lo Stato diventa parte dello Statuto; c) può valere per un periodo massimo di sette anni; d) non può essere invocata per i procedimenti avviati su inziativa del Consiglio di Sicurezza. Fino ad oggi gli unici due Paesi che l'hanno invocato sono stati la Francia e la Colombia(33) . I due casi sono molto diversi tra loro. La Francia, come abbiamo visto, aveva svolto un ruolo importante, nella Conferenza di Roma, per inserire nello Statuto una clausola di limitazione delle competenze della Corte. Accanto all'intento di fornire una protezione alle proprie truppe impiegate all'estero, la decisione di invocare la clausola rispecchiava, da parte francese, una certa incertezza su come la Corte avrebbe funzionato. La Francia insomma, decise di aspettare e di vedere la Corte all'opera(34) . Evidentemente rassicurata dai primi anni di azione dei giudici dell'Aja, la Francia ha poi deciso di rinunciare alla clausola, alcuni mesi prima della scadenza del termine. Molto diverso il contesto della Colombia, che nel 2002, quando ha ratificato lo Statuto di Roma, era sconvolta da un conflitto interno di gravissime proporzioni. Qui, evidentemente, l'attenzione non era rivolta ai possibili pregiudizi nei confronti dei cittadini colombiani all'estero, quanto piuttosto alla situazione interna del Paese. In questo caso la clausola di esclusione è rimasta in vigore fino alla sua naturale scadenza settennale(35) . Attualmente, dunque, la clausola dell'articolo 124 non è in vigore per nessun Paese.

La dottrina internazionalistica non ha mancato di evidenziare alcune possibili criticità della previsione. In primo luogo è stato evidenziato un possibile contrasto tra la clausola in esame e l'articolo 120 dello Statuto che, con affermazione netta e perentoria, stabilisce che "nessuna riserva può essere apportata al presente Statuto"(36) . E' stato anche sottolineato che la norma potrebbe provocare una situazione di discriminazione tra i cittadini di due diversi Paesi che compiano gli stessi atti in un medesimo territorio, "sfavorendo" addirittura i cittadini di Stati non Parte(37) . Si è poi discusso sugli effetti temporali della dichiarazione di riserva(38) . Secondo altri autori, infine, alcune delle fattispecie che rientrano nei crimini di guerra potrebbero o anche essere considerate come crimini contro l'umanità e dunque rientrare nella giursdizione della Corte sotto altra veste(39) . Ovviamente, come visto in precedenza, le motivazioni per l'introduzione della clausola sono state prevalentemente di natura politica. L'introduzione della previsione ha avuto un ruolo essenziale per consentire l'adesione alla Corte della Francia, anche se non è riuscita ad ottenere lo stesso risultato per gli Stati Uniti. L'articolo 124 potrebbe aver avuto effetti positivi anche nel contenuto dello Statuto, evitando ad esempio che venisse adottato un impianto più restrittivo nella definizione della punibilità dei crimini di guerra(40) .

Lo stesso articolo 124, come si è visto, prevede un singolare "obbligo" di un suo riesame, prevedendo che la norma sia soggetta all'attenzione della prima Conferenza di revisione. Rispettando tale mandato, la previsione è stata sottoposta ad un riesame da parte della Conferenza di Kampala del 2010. Qui l'insistenza della Francia e di altri Paesi (anche non parte dello Statuto, come Cina ed Iran) hanno prevalso sul fronte, apparentemente maggioritario, che si era espresso per la cancellazione della previsione. C'è da dire che la Conferenza doveva affontare temi molto più delicati, come la definizione del crimine di aggressione, e dunque la discussione sull'articolo 124 ha finito per passare in secondo piano. Alla fine la decisione è stata di mantenerlo in vigore così com'era, anche se, nella risoluzione adottata, la Conferenza ha fatto riferimento alla necessita di "assicurare l'integrità dello Statuto di Roma", sottolineando la natura transitoria della clausola(41) . Si è trattato solo di un rinvio. La decisione di cancellare la previsione è stata poi assunta, per consenso, dall'Assemblea degli Stati Parti del novembre del 2015. Il Report del Gruppo di lavoro sugli emendamenti dà conto della discussione sul tema. Per quanto riguarda il profilo procedurale, nonostante la natura di "disposizione transitoria" dell'articolo 124 abbia fatto ipotizzare percorsi speciali, la proposta è stata di seguire l'ordinaria procedura ex articolo 121 dello Statuto. Sul merito della decisione si sono confrontate le due posizioni tradizionali sul tema. Da un lato c'erano gli Stati che ritenevano che l'articolo 124 potesse incoraggiare nuove ratifiche e dunque "contribuire all'universalità dello Statuto di Roma". Dall'altro quelli, maggioritari, che ritenevano che tale effetto fosse solo teorico, visto che, dopo i casi francese e colombiano, entrambi risalenti al 2003, nessun altro Stato aveva utilizzato la clausola. Non vi era dunque motivo, secondo questa posizione, per non cancellare una norma che comunque rappresentava una possibile limitazione alla competenza della Corte. La proposta di cancellazione è stata dunque fatta propria, per consenso, dall'Assemblea degli Stati.

Si è dunque passati alla fase della ratifica da parte degli Stati. Secondo l'articolo 121, comma 4, dello Statuto, la modifica entrerà in vigore un anno dopo la ratifica da parte dei 7/8 degli Stati parte(42) . Ad oggi l'emendamento risulta ratificato soltanto da tre paesi,cioè Finlandia, Norvegia e Slovacchia. Si tratta indubbiamente di una soglia molto alta, anche perché, non trattandosi di modifica di cruciale importanza, non è detto che tutti i Paesi percepiscano come importante una sua rapida ratifica(43) . Gli Stati Parte, peraltro, sono chiamati a cancellare una possibilità che comunque non possono più esercitare, considerato che l'articolo 124 può essere invocato solo nel momento in cui si aderisce alla Corte. In questo senso l'Assemblea degli Stati Parte ha effettuato una decisione che incide direttamente solo sui suoi membri futuri.

a cura di F. Petrangeli


1) Per questo riferimento, e per una ricostruzione di questo percorso storico, cfr. O.Ferrajolo, Corte penale internazionale. Lo statuto, in Enciclopedia Giuridica, vol. XI, 2002. Su questo vedi anche A. Cassese, From Nuremberg to Rome: International Military Tribunals to the International Criminal Court, in A. Cassese, P. Gaeta, J.Jones (eds), The Rome Statute of the International Court: A Commentary, Oxford, 2002.

2) Per un'analisi dello svolgimento della Conferenza, vedi, tra gli altri, P.Kirsch, D. Robinson, Reaching Agreement at the Rome Conference, in A. Cassese, P. Gaeta, J.Jones (eds), citato alla nota precedente.

3) L'Italia ha ratificato lo Statuto con la legge n. 232 del 1999. Vedi anche il Dossier n.1163 del Servizio Studi del Senato, La sessantesima ratifica dello Statuto della Corte penale internazionale, 2002.

4) Per le inchieste attualmente al vaglio della Corte vedi https://www.icc-cpi.int/pages/situations.aspx. Per le attività di indagini preliminare vedi invece il Report on Preliminary Examination Activities, pubblicato dall'Ufficio del Procuratrice della Corte il 14 novembre 2016: https://www.icc-cpi.int/iccdocs/otp/161114-otp-rep-pe_eng.pdf.

5) In particolare limitando la possibilità per i Membri permanenti di porre il veto sull'attivazione della Corte. Su questi temi M. Arcari, A Vetoed International Criminal Justice? Cursory Remarks on the Current Relationship Between the UN Security Council ant International Criminal Courts and Tribunals, Diritti umani e diritto internazionale, 2016, che dà conto del sostegno espresso a questa ipotesi da diversi Capi di Stato e di Governo in sede di Assemblea generale Onu. L'autore riferisce anche le riflessioni sull'opportunità di tornare ad utilizzare tribunali ad hoc o specializzati, nella speranza che essi possano superare alcune difficoltà incontrate dalla CPI nel suo lavoro.

6) L'elenco aggiornato su
https://asp.icccpi.int/en_menus/asp/states%20parties/Pages/the%20states%20parties%20to%20the%20rome%20statute.aspx.

7) Così, ad esempio A. Zimmermann, Finally... Or Would Rather Less Have Been More?, Journal of International Criminal Justice, 2016, 517.

8) Questo Paese, come si vedrà più avanti, ha peraltro aderito alla Corte invocando la clausola dell'art.124 dello Statuto.

9) V. Nemane, I. Gunjal, Article 124 of the Rome Statute of the International Criminal Court: "Transitional Provision" or "The Right to (Conveniente) Opt-out", International Criminal Law Review, 2015, 954.

10) Per il principio della irretroattività la Corte non è comunque competente a giudicare per i fatti precedenti a questa data. Sul (difficile) rapporto dei Paesi arabi con la Corte, anche in riferimento al fenomeno delle c.d. "primavere arabe", cfr. F.Mégret, The International Criminal Court, the "Arab Spring" and Its Aftermath, Diritti umani e diritto internazionale, 2016, 375ss.

11) Sulla questione https://www.nytimes.com/2016/11/17/world/europe/russia-withdraws-from-international-criminal-court-calling-it-one-sided.html?_r=2.

12) Vedi su http://www.reuters.com/article/us-philippines-duterte-icc-idUSKBN13C0GS.

13) L'argomento sempre utilizzato da chi esprime questa posizione è che 9 dei 10 procedimenti attualmente al giudizio riguardano Paesi africani (il decino riguarda la Georgia). Il primo autore di dottrina che ha sposato l'argomento secondo cui la prevalenza assoluta dei procedimenti in atto all'Aja attiene a paesi africani è stato Solomon Dersso, Unplanned obsolescence: The ICC and the African Union, Al Jazeera, 11 october 2013, su http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2013/10/unplanned-obsolescence-icc-african-union-2013109132928711722.html.

14) Secondo l'art.127, co. 1, dello Statuto di Roma, la dichiarazione di uno Stato di ritirarsi dallo Statuto acquista efficacia un anno dopo la sua notificazione, a meno che nella dichiarazione sia previsto un termine più lungo.

15) http://www.slate.com/blogs/the_slatest/2016/11/16/international_criminal_court_continues_to_disintegrate_as_russia_pulls_out.html

16) Per le attività della Corte in relazione a questo Paese vedi il Report on Preliminary Examination Activities pubblicato dalla Procuratrice della Corte il 14 novembre 2016: https://www.icc-cpi.int/iccdocs/otp/161114-otp-rep-pe_eng.pdf.

17) Vedi la notizia su http://www.aljazeera.com/news/2016/10/gambia-withdraws-international-criminal-court-161026041436188.html. Peraltro attualmente il Procuratore della CPI, Fatou Bensouda, è cittadina proprio del Gambia, oltre che ex ministro della Giustizia.

18) Informazioni su http://www.standardmedia.co.ke/article/2001229467/gambia-s-president-adama-barrow-revokes-plan-to-withdraw-from-icc. Come si legge nel testo, il nuovo Presidente ha anche annunciato di voler riportare il Paese all'interno del Commonwhealth, da cui era uscito, per volontà del suo predecessore, nel 2013.

19) Da tale atteggiamento del governo sudafricano è scaturito un procedimento presso la CPI per mancata cooperazione.

20) La Corte sudafricana non ha invece preso posizione sul contenuto, del tutto particolare, del trattato in questione, la cui denuncia, secondo i ricorrenti sarebbe stata da considerarsi di per sé incostituzionale, perché avrebbe l'effetto di ridurre la protezione e la promozione dei diritti umani. Sulla vicenda vedi la precisa ricostruzione su http://www.ejiltalk.org/unconstitutional-and-invalid-south-africas-withdrawal-from-the-icc-barred-for-now/.

21) Per ora, il 7 marzo scorso, il Sudafrica ha notificato la decisione di revocare la sua precedente dichiarazione di ritirarsi dalla CPI, https://www.icc-cpi.int//Pages/item.aspx?name=pr1285. Il 13 marzo il governo ha ritirato il progetto di legge che intendeva cancellare le norme di adattamento dell'ordinamento interno allo Statuto della Corte, http://www.news24.com/SouthAfrica/News/rome-statute-repeal-bill-withdrawn-from-parliament-20170314. Per ora, dunque, la prospettiva di uscita dalla Corte sembra allontanarsi.

22) Per il testo della risoluzione dell'Assemblea dell'Unione africana del gennaio 2017 vedi https://www.hrw.org/sites/default/files/supporting_resources/assembly_au_draft_dec._1__19_xxviii_e.pdf_19_xxviii_e.pdf.
Per il testo del documento sulla "Withdrawal Strategy" vedi https://www.hrw.org/sites/default/files/supporting_resources/icc_withdrawal_strategy_jan._2017.pdf.
Per la discussione che, sempre sul tema dei rapporti con la CPI, si era svolta ad un precedente vertice dell'Unione Africana, nel 2013, vedi http://www.ejiltalk.org/the-aus-extraordinary-summit-decisions-on-africa-icc-relationship/.

23) Altri commentatori hanno invece evidenziato che nel documento, oltre alla richiesta di sospendere l'ordine di arresto per il Presidente sudanese Bashir, c'è anche uno stimolo ai paesi africani a intensificare gli sforzi per un'azione di riforma delle competenze e della struttura della Corte, raccordandola con le attività della Corte Africana di Giustizia e dei Diritti umani.

24) Che è del 2004 e si trova su http://www.icc-cpi.int/pages/item.aspx?name=icc-un-rel-agr.

25) Per una valutazione di "non gravità" da parte del Procuratore e per i suoi esiti vedi, su un caso celebre, C. Meloni, The ICC preliminary examination on the Flottilla situation: An opportunity to contextualise gravity, QIL, 2016, 3ss. L'articolo affronta anche il tema dei poteri del Procuratore nella valutazione sull'esercizio dell'azione di fronte alla Corte. Sul punto anche il Report per il 2016 dell'Ufficio del Procuratore, citato in precedenza.

26) Sul tema cfr. A. Ciampi, Il meccanismo di cooperazione della Corte penale internazionale alla prova dei fatti: che cosa, e perché, non ha funzionato, Diritti umani e diritto internazionale, 2015, 151ss.

27) In questo caso si prescinde dal consenso dello Stato interessato. In alternativa, la Corte può essere attivata da uno Stato parte (indipendentemente dalla sua relazione con i fatti e le persone in questione) o da un'iniziativa motu proprio del Procuratore, che (autorizzato da un'apposita Sezione della Corte) può avviare indagini sulla base di informazioni in suo possesso.

28) Su questa previsione, che viene da molti ritenuta lesiva dell'indipendenza della CPI, cfr. M. Arcari, La Risoluzione 1422 (2002) relativa ai rapporti tra Corte penale internazionale e forze di peace keeping: (nuovi) problemi di legittimità dell'azione del Consiglio di sicurezza, in Rivista diritto internazionale, 2002, 723ss.

29) Su quelli che definisce "missing crimes", cioè i crimini non ricompresi nella versione finale dello Statuto, cfr. P. Robinson, The Missing Crimes, in A. Cassese, P. Gaeta, J. Jones (eds), cit.,497ss.

30) Sul tema, oltre che sui lavori della Conferenza di revisione, vedi R. Clark, Amendments to the Rome Statute of the International Criminal Court Considered at the first Review Conference on the Court, Gottingen Journal of International Law, 2010, 689 ss.

31) Sulla questione, ma non solo, vedi anche il Dossier n.232 del Servizio Studi del Senato della Repubblica, La problematica relativa all'entrata in funzione della Corte penale internazionale, 2002.

32) Sui lavori della Conferenza di Roma in relazione all'art.124, oltre che per un commento sul testo, A. Zimmermann, Article 124,in O.Triffterer, K.Ambos (eds), Rome Statute of the International Criminal Court, A Commentary, 2016, Beck Hart Nomos. (che è il commento più completo e aggiornato all'articolo) e V. Nemane, I. Gunjal, Article 124 of the Rome Statute of the International Criminal Court: "Transitional Provision" or "The Right to (Conveniente) Opt-out", International Criminal Law Review, 2015, 949ss.

33) Le dichiarazione dei due Paesi sono riportate in Zimmerann nel testo citato nella nota precedente, 1771. Secondo quanto riporta, tra gli altri, S. Tabak, Article 124, War Crimes, and the development of the Rome Statute, Georgetown Journal of International Law, 2009, 1094, al momento di aderire allo Statuto, nel 2004, il Governo del Burundi aveva annunciato di voler attivare la clausola, anche se poi aderì senza invocare l'articolo 124.

34) Così S. Tabax, cit., 1087.

35) Anche sulla vicenda colombiana vedi ancora Tabak, cit., che indica, tra le motivazioni della dichiarazione colombiana, lo stretto rapporto con gli Stati uniti, il forte sentimento di orgoglio nazionale e, infine, le connessioni tra il governo e i gruppi paramilitari attivi nel Paese. Per l'opinione per cui la dichiarazione colombiana aveva invece come obiettivo principale quello favorire il processo di pace negoziato cfr. Zimmermann, Article 124, cit, 1771.

36) Sul teme cfr, Tabak, cit, 1074ss; e Nemane, Gunjal, cit, 956, che si soffermano sugli possibili effetti dell'art.124 sull'esercizio della giurisdizione della Corte. Sono invece ritenute ammissibili, ed in effetti espresse da diversi Paesi, le dichiarazioni interpretative.

37) Se uno Stato A, Parte dello Statuto, invoca infatti la clausola dell'articolo 124, nel suo territorio potrebbero essere esclusi dalla giurisdizione della Corte (per i crimini di guerra) solo i suoi cittadini, ma non i cittadini di un'altro Stato B, anche se non Parte. Sul tema Tabak, cit, 1084

38) Su tema vedi Zimmerman, Finally..., cit, 516 e Tabak, cit, 1082.

39) Vedi ancora Tabak, cit, 1077.

40) G. Venturini, War Crimes in International Armed Conflict, in M. Politi, G. Nesi (eds), The Rome Statute of the International Criminal Court: A Challange to Impunity, Adelshot, 2001

41) Sui lavori della conferenza cfr. Clark, cit, 691s.

42) L'elenco aggiornato su https://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=XVIII-10-c&chapter=18&clang=_fr.

43) Peraltro, come rileva Zimmerman, cit, 515; si deve ritenere che essa includa anche gli Stati che accedono alla Corte dopo l'approvazione dell'emendamento (ad esempio El Salvador, che ha ratificato lo Statuto nel marzo del 2016).