Legislatura 17ª - Disegno di legge n. 1030
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Onorevoli Senatori. -- Nonostante siano trascorsi oltre trentacinque anni, il sequestro e l'uccisione di Aldo Moro rappresentano una delle pagine più dolorose e ancora in parte misteriose della storia dell'Italia repubblicana. Si è appreso dagli organi di informazione che agli inizi di agosto (il giorno 5 per essere precisi) è stato presentato alla Camera dei deputati il testo della proposta di istituzione di una Commissione parlamentare monocamerale d'inchiesta sulla vicenda.
Che la materia meriti oggi un ulteriore approfondimento in sede politico-parlamentare può essere condivisibile ma di certo questo nobile e, se vogliamo, necessario obiettivo potrà essere meglio perseguibile tramite un organismo bicamerale, per consentire ad entrambi i rami del Parlamento di lavorare agli stessi fini.
Ma vi è di più. La tragedia della strage di via Mario Fani, il rapimento e infine l'omicidio dell'allora presidente della Democrazia Cristiana, già presidente del Consiglio e Ministro degli esteri, rappresenta uno snodo cruciale nella storia del nostro Paese nel dopoguerra, una sorta di punto di non ritorno di natura istituzionale, politica e sociale che non può essere certo trattato sotto il profilo della conventio ad excludendum nei confronti del Senato. Fra l'altro, vorrebbe dire mancanza di rispetto ai quattro processi ad oggi istruiti e alle due Commissioni parlamentari d'inchiesta che del caso si sono occupate.
Se il Parlamento intende, legittimamente e doverosamente, compiere un ultimo, grande sforzo per capire perché l'onorevole Aldo Moro venne rapito dalle Brigate Rosse, cosa accadde in quei cinquantacinque giorni di orribile prigionia e, soprattutto, scoprire se vi furono ingerenze, interferenze o negligenze nella gestione del caso, allora suonerebbe quasi come uno sgarbo istituzionale verso il Senato della Repubblica l’ipotesi di commissione d'inchiesta monocamerale.
Ecco perché riteniamo doveroso correggere il tiro e presentare un disegno di legge istitutivo di una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta bicamerale sul caso Moro e più in generale sul fenomeno del terrorismo in Italia, radicandola nei due rami del Parlamento, con la speranza che possa raccogliere il più ampio consenso fra tutte le forze politiche rappresentate. È vero, a distanza di così tanti anni, ancora tante sono le incongruenze e le lacune nella ricostruzione generale dei fatti, soprattutto sulla condotta di alcuni terroristi che nulla hanno fatto per dissipare dubbi e interrogativi. Il Caso Moro, da questo punto di vista, è una pagina di storia costellata da troppi lati oscuri e misteri per poter entrare serenamente nei libri di testo di storia. Serve un grande lavoro di ricostruzione storica, serio e metodico, lontano dalle febbrili agitazioni ideologiche e da teoremi preconfezionati.
Il Parlamento, va ricordato, ha tentato a più riprese di scrivere una pagina conclusiva su questo tragico tema, cercando con i poteri e con gli strumenti che aveva di volta in volta di pervenire a una verità condivisa e credibile, ma ha sempre fallito. La Commissione Moro (istituita alla fine del 1979, in tempi ancora di «guerra fredda»), nonostante l'impegno e lo sforzo durati anni ha scontato tutti i limiti e gli impedimenti di quel preciso momento storico. Il lavoro venne in parte proseguito dalla Commissione Stragi, istituita la prima volta nel 1988 e rimasta attiva (attraverso una serie di proroghe) fino al marzo del 2001. La Commissione Stragi nacque, vale la pena sottolinearlo, come Commissione monocamerale e con tale assetto esaurì rapidamente i propri lavori per lasciare il campo a un organismo d'inchiesta bicamerale Nel dettaglio, con la legge 23 novembre 1979, n. 597, fu istituita una commissione espressamente dedicata all'evento: la «Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia», la cui attività si è svolta nel corso dell'VIII legislatura (1979-1983); mentre con la legge 17 maggio 1988, n. 172, venne istituita la «Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi» -- conosciuta anche come Commissione Stragi -- di cui un intero filone degli oltre trenta fu dedicato al «caso Moro». L'attività iniziale di quella Commissione si svolse nel corso della X legislatura (1987-1992), proseguendo nel corso delle tre legislature successive, la XI (1992-1994), la XII (1994-1996) e la XIII (1996-2001). Quest'ultima, la Commissione Stragi, concluse i propri lavori senza approdare ad una relazione finale, con profondo rammarico del suo presidente Giovanni Pellegrino.
Ulteriori approfondimenti su altri piani furono svolti dalla tanto discussa Commissione Mitrokhin, la quale acquisì -- anche attraverso rogatorie internazionali -- rilevanti documenti non solo sul caso Moro, ma anche sui collegamenti internazionali delle Brigate Rosse. Rispetto al passato, oggi avremmo veramente la possibilità di poter svolgere un accertamento della verità con poteri, cognizioni, strumenti e capacità del tutto nuove. Il mutato scenario politico nazionale, il progressivo percorso di integrazione europea, il crollo dei regimi dell'Est e con esso l'apertura degli archivi di quei Paesi che componevano il cosiddetto blocco sovietico, le cosiddette «primavere arabe» che stanno modificando profondamente gli equilibri e gli assetti nel Mediterraneo (basti pensare all'uscita di scena di personaggi come Saddam Hussein, Gheddafi, Hosni Mubarak e alla crisi del regime di Assad in Siria), nonché la riforma del segreto di Stato introdotta con la legge 3 agosto 2007, n. 124, costituiscono oggi delle straordinarie opportunità per un autentico organismo d'inchiesta parlamentare che intenda risalire a fatti e crimini che risalgono a prima del crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989).
Le indagini della magistratura da un lato e le inchieste parlamentari dall'altro, hanno scontato i limiti imposti dal blocco della «guerra fredda», dalla contrapposizione ideologica (che ha avuto effetti profondi soprattutto in Italia), dalla non circolazione delle informazioni, dalla chiusura degli archivi, dalla rigidità delle norme sulla tutela del segreto di Stato e dall'assenza, all'epoca di quelle inchieste, di un sistema aperto di diffusione delle informazioni che ora viceversa offre internet.
Ripetiamo, l'idea di costituire una Commissione bicamerale d'inchiesta sul Caso Moro e sul fenomeno del terrorismo in Italia offre un'opportunità storica e politica di straordinaria importanza, soprattutto perché -- oggi rispetto al passato -- l'indagine potrà avvalersi di nuove conoscenze, nuove tecnologie e, soprattutto, potrà interrogare archivi nazionali ed esteri all'epoca inaccessibili. Purché un'eventuale nuova indagine parlamentare sia condotta da un organismo che rappresenti tutto il Parlamento e non solo una sua componente.
Le varie Commissioni d'inchiesta che si sono succedute nelle varie legislature, nel trattare l'argomento, hanno di fatto mancato l'obiettivo finale, chiudendo i propri lavori con ricostruzioni in gran parte lacunose e imprecise. Per dare risposta agli interrogativi ancora esistenti, la vicenda Moro va riportata al più ampio contesto in cui ebbe a maturare. Non si può circoscriverla a una banale sequenza di errori, omissioni, negligenze o interferenze più o meno attribuibili ai vari apparati dello Stato italiano. E parlando di Aldo Moro e dell'eventualità di una sua liberazione, l'argomento forse ancora maggiormente popolato da ombre e da misteri, la futura commissione d'inchiesta dovrà esaminare a fondo il controverso tema del cosiddetto «lodo Moro» che -- ancora oggi -- presenta molti aspetti e questioni di estrema attualità, con particolare riferimento ai rapporti che il nostro Paese ha mantenuto con i principali Stati arabi del Mediterraneo.
Moro, agli inizi degli anni Settanta, fu l'artefice di accordi segreti, una vera e propria diplomazia parallela, con la galassia della resistenza palestinese, al fine di mettere al riparo la nostra fragile democrazia e il nostro oscillante Stato dalle minacce del terrorismo all'epoca estremamente diffuso e pericoloso, garantendo contemporaneamente all'Italia le indispensabili forniture energetiche. In almeno sei lettere scritte durante la prigionia nel «carcere del popolo», Moro evocò quell'accordo ritenendo che potesse rappresentare un modello per una trattativa, pur con una controparte costituita da un gruppo terroristico, finalizzata alla sua liberazione incruenta. Trattativa che probabilmente venne impostata, seppure attraverso canali non ufficiali, ma dei cui percorsi e protagonisti ben poco ancora si è accertato.
Se vi dovrà essere una nuova Commissione d'inchiesta parlamentare, questa non dovrà essere istituita contro qualcuno o qualcosa, ma per conseguire solo l'accertamento della verità. Una nuova commissione d'inchiesta sul Caso Moro, dunque, anche se a così tanti anni di distanza dai fatti, non rappresenterebbe un inutile e sterile «déjà vu» che potrebbe al più interessare persone che hanno vissuto quegli eventi, ma può essere un'occasione unica per far finalmente luce e chiarezza su un periodo cruciale della nostra storia, uno snodo politico e sociale che ha condizionato lo sviluppo stesso della nostra democrazia.
Rispetto ad altri Paesi, il nostro purtroppo non può vantare ancora oggi una interpretazione largamente condivisa della propria storia nazionale. Il che è tuttora causa di contrapposizioni e di rancori frenanti un'evoluzione veramente civile e democratica. Ma significato e compito dei Parlamenti, e più in generale delle istituzioni rappresentative, dovrebbe essere proprio quello di lavorare per attenuare le ragioni di tali contrapposizioni e di tali rancori. Di qui l'iniziativa di ricorrere all'antico e sempre moderno strumento dell'istituzione di una commissione d'inchiesta nitidamente bicamerale, che rispetti e valorizzi quel che la nostra Costituzione definisce «Parlamento».