Premesso che:
il decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, disciplina la possibilità di prescrivere ed erogare a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN) medicinali da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata nel nostro Paese. Nello specifico, il comma 4 dell'articolo 1 stabilisce che "Qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a totale carico del SSN, a partire dal 1° gennaio 1997, i medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale, i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica e i medicinali da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata, inseriti in un apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione unica del farmaco"; la CUF è stata sostituita dall'Agenzia italiana del farmaco, istituita nel 2003;
il successivo decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, cosiddetto decreto Di Bella, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94, al comma 2 dell'articolo 3 stabilisce che: "In singoli casi il medico può, sotto la propria responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un'indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, ovvero riconosciuta agli effetti dell'applicazione dell'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536, convertito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 648, qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già stata approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale";
la legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), all'articolo 1, comma 796, lettera z), stabilisce in materia di farmaci off label che: " la disposizione di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94, non è applicabile al ricorso a terapie farmacologiche a carico del Servizio sanitario nazionale che, nell'ambito dei presidi ospedalieri o di altre strutture e interventi sanitari, assuma carattere diffuso e sistematico e si configuri, al di fuori delle condizioni di autorizzazione all'immissione in commercio, quale alternativa terapeutica rivolta a pazienti portatori di patologie per le quali risultino autorizzati farmaci recanti specifica indicazione al trattamento. Il ricorso a tali terapie è consentito solo nell'ambito delle sperimentazioni cliniche dei medicinali di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211, e successive modificazioni";
la legge finanziaria per il 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244), all'articolo 2, comma 348, stabilisce che "In nessun caso il medico curante può prescrivere, per il trattamento di una determinata patologia, un medicinale di cui non è autorizzato il commercio quando sul proposto impiego del medicinale non siano disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazioni cliniche di fase seconda";
la disposizione contenuta nella finanziaria del 2007 vieta, dunque, le prescrizioni off-label, a carico del SSN, in forma diffusa e sistematica, mentre quella presente nella finanziaria 2008 pone il divieto di prescrivere farmaci off label se non sono disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazione clinica di fase seconda. Tali disposizioni hanno un fine prettamente di contenimento della spesa sanitaria pubblica, dato il contesto nel quale sono inserite, pertanto non sono finalizzate a garantire l'appropriatezza terapeutica dei farmaci;
il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante "Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute" ha introdotto una disposizione all'articolo 11, comma 3 (successivamente soppressa dalla legge di conversione dell'8 novembre 2012, n. 189), la quale prevedeva che, per venire incontro a mere esigenze di contenimento della spesa farmaceutica, qualora fosse stata disponibile un'alternativa terapeutica mediante l'impiego di farmaci autorizzati, la presenza nell'apposito elenco del medicinale non autorizzato era ammessa soltanto nel caso in cui, a giudizio della Commissione tecnico-scientifica dell'Aifa, il medicinale possedesse un profilo di sicurezza, con riferimento all'impiego proposto, non inferiore a quella del farmaco autorizzato e quest'ultimo risultasse eccessivamente oneroso per il SSN. Una disposizione che suscita forte contrarietà in quanto a giudizio degli interroganti non è giustificabile l'utilizzo di un farmaco per un'indicazione terapeutica per cui non è autorizzato sulla base di considerazioni di natura meramente finanziaria;
considerato che:
la degenerazione maculare senile (DMS) è una patologia multifattoriale che colpisce la zona centrale della retina, detta macula, e può portare alla perdita completa ed irreversibile della visione centrale. La DMS rappresenta, nei Paesi industrializzati, la principale causa di cecità negli individui al di sopra dei 65 anni. In Italia questa malattia colpisce circa un milione di persone, di cui 260.000 risultano essere affette dalla forma più rapida e devastante: la DMS neovascolare (DMSn). I farmaci anti-angiogenici (più precisamente anti-Vegf) somministrati per via intravitreale rappresentano l'unica terapia per i pazienti con DMSn. I farmaci impiegati per la cura della DMS sono due: il Bevacizumab (Avastin) e Ranibizumab (Lucentis);
il medicinale off label Avastin è stato inserito nell'elenco dei farmaci rimborsabili dal SSN ex decreto-legge n. 536 del 1996 (con determinazione dell'Aifa del 23 maggio 2007, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 28 maggio 2007, n. 122) per il trattamento delle maculopatie essudative e del glaucoma neovascolare. Successivamente, l'Aifa ha provveduto all'esclusione di Avastin dall'elenco dei farmaci rimborsabili per il trattamento off label della degenerazione maculare neovascolare (essudativa) esistendo per questa indicazione farmaci rimborsabili, specificatamente prodotti e approvati (determinazione Aifa 4 marzo 2009 - Modifica della determinazione 23 maggio 2007, relativa all'inserimento del medicinale "Avastin" nell'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del SSN, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 62 del 16 marzo 2009);
in data 18 ottobre 2012, l'Aifa con una delibera ha escluso il medicinale "Bevacizumab (Avastin)" dall'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del SSN istituito ai sensi del decreto-legge n. 536 del 1996 in seguito alle modifiche/integrazioni apportate al paragrafo 4.4 del Riassunto delle caratteristiche del prodotto da parte del CHMP mediante decisione EMA/H/C/000582-II/0044 del 30 agosto 2012;
l'Agenzia con determina del 26 novembre 2012 ha stabilito il regime di rimborsabilità e prezzo a seguito di nuove indicazioni terapeutiche del medicinale per uso umano Lucentis. Ranibizumab (commercializzato con il nome Lucentis) diventa così l'unico farmaco anti-Vegf (fattore di crescita vascolare endoteliale) approvato per 3 indicazioni terapeutiche: trattamento della degenerazione maculare neovascolare (essudativa) correlata all'età (wAMD); trattamento della diminuzione visiva causata dall'edema maculare diabetico (DME); trattamento della diminuzione visiva causata dall'edema maculare secondario ad occlusione venosa retinica (RVO di branca o RVO centrale);
a causa della recente registrazione del farmaco Lucentis per tutte le forme di retinopatie (ex determina Aifa 26 novembre 2012), precedentemente trattate e rimborsate con il costo di Avastin, la spesa per il SSN aumenterebbe esponenzialmente salendo a centinaia di milioni di euro, mentre utilizzando il medicinale Avastin essa potrebbe aggirarsi intorno a 11 milioni di euro all'anno;
considerato inoltre che:
il 6 febbraio 2013 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha deciso di avviare un'istruttoria nei confronti delle multinazionali farmaceutiche Roche e Novartis, per verificare se abbiano posto in essere un'intesa restrittiva della concorrenza nel mercato dei farmaci destinati alla cura di patologie oftalmiche quali la degenerazione maculare senile, con un danno al SSN di oltre 400 milioni di euro. I due farmaci, l'off label Avastin e l'on label Lucentis, sono venduti ad un prezzo sensibilmente differente: l'Avastin ha un costo di poco meno 15 euro a fiala, mentre Lucentis ha un costo attuale di 902 euro a fiala cui sommare l'Iva (ex determina Aifa 26 novembre 2012), dopo la recente rinegoziazione del prezzo che in precedenza era di 1.100 euro più Iva;
negli Stati Uniti, Avastin viene utilizzato nel 60 per cento dei pazienti. In Inghilterra e Germania nel 40 per cento in Spagna ed in Italia (fino ad oggi) nel 90 per cento dei casi;
la Società oftalmologica Italiana ha lanciato di recente l'allarme della presenza di circa 200.000 pazienti che in Italia non avrebbero più diritto di accesso a questa cura primaria e questo danneggerebbe la loro salute, potendo altresì provocare il rischio di un impressionante flusso di terapie cross-border all'interno degli Stati dell'Unione europea;
diversi dati clinici indicano una sostanziale equivalenza tra Bevacizumab (Avastin) e Ranibizumab (Lucentis), mentre appare ingiustificabile l'enorme divario di costo tra i due farmaci. L'equivalenza e l'efficacia dei due farmaci nel trattare le retinopatie è dimostrata da numerosi e concordi studi pubblicati sulle più accreditate riviste scientifiche internazionali che hanno monitorato pazienti per più anni consecutivi di trattamento, quali ad esempio lo studio Catt condotto su 1208 pazienti dal National eye institute americano e pubblicato dal prestigioso New England journal of medicine in data 28 aprile 2011, o ancora lo studio Ivan condotto su 610 pazienti nel Regno Unito;
da dichiarazioni stampa nel gennaio 2012 Roche e Novartis hanno minacciato, visti gli ingenti crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione e la difficoltà di ottenere i pagamenti delle forniture, di sospendere l'erogazione dei loro farmaci sia all'Italia sia ad altri Stati europei;
pende il giudizio della Corte costituzionale sulla questione di legittimità sollevata dal Tar dell'Emilia-Romagna Sez. di Bologna (ordinanza collegiale n. 378/2012), nell'ambito di un contenzioso che vede coinvolte Novartis contro la Regione, in merito alla prescrivibilità, da parte di medici del Servizio sanitario regionale, di Avastin in sostituzione di Lucentis,
si chiede di sapere:
quali provvedimenti i Ministri in indirizzo intendano adottare alla luce della recente delibera dell'Agenzia italiana del farmaco del 18 ottobre 2012, la quale ha escluso il medicinale Bevacizumab (Avastin) dall'elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale, istituito ai sensi del decreto-legge n. 536 del 1996 a tutela di migliaia di pazienti che non hanno più diritto di accesso a questa cura primaria;
se, vista la determina Aifa del 26 novembre 2012 che ha stabilito il regime di rimborsabilità e prezzo del farmaco Lucentis, possano indicare il costo della spesa sostenuta dal 1° gennaio 2013 al 1° aprile 2013 sulla base della determina e l'ammontare di spesa calcolato per lo stesso intervallo di tempo qualora fosse utilizzato e rimborsato a carico del SSN Avastin anziché Lucentis;
constatato che, secondo l'attuale quadro normativo nazionale, il riconoscimento come farmaco on label di Lucentis rende indisponibile il farmaco Avastin, sebbene a tutt'oggi la terapia maggiormente attuata nel mondo sia proprio quella fatta utilizzando l'Avastin in modalità off label, qualora l'ammontare di spesa per Lucentis sia maggiore di Avastin, di indicare come il Governo intenda far fronte al maggior costo per i servizi sanitari regionali derivanti dalla determina Aifa del 26 novembre 2012.
il sistema trasfusionale italiano, parte integrante del Sistema sanitario nazionale (SSN), eroga prestazioni di diagnosi e cura di medicina trasfusionale e realizza attività di produzione che comprendono, oltre agli emocomponenti ad uso trasfusionale, anche la raccolta del plasma e il trattamento e la conservazione delle cellule staminali emopoietiche;
la legge 21 ottobre 2005, n. 219, ha ridisegnato il sistema nazionale per lo svolgimento delle attività trasfusionali, per dotarsi di strumenti organizzativi diretti a conseguire l'autosufficienza nazionale di sangue ed emocomponenti, in armonia con i principi fondanti del SSN;
l'organizzazione a rete del modello italiano, in cui il Ministero indica i principi e gli obiettivi fondamentali che le Regioni sono chiamate a perseguire nel rispetto delle autonomie, con il coinvolgimento del servizio sanitario e delle associazioni di volontariato, è considerato a livello internazionale uno dei migliori possibili;
la rete dei servizi trasfusionali è delocalizzata su base territoriale e le strutture regionali di coordinamento sono individuate dalle Regioni. I servizi trasfusionali sono autorizzati dalle Regioni e dalle Province autonome in conformità ai requisiti minimi organizzativi, strutturali e tecnologici e sono per legge affiliati agli ospedali;
la raccolta di sangue può essere esternalizzata solo ad associazioni accreditate di donatori sotto la direzione tecnica dei servizi trasfusionali;
le autorità sanitarie del Governo e delle Regioni hanno il compito e l'impegno di promuovere una donazione periodica, non remunerata, responsabile e volontaria che grazie alle associazioni volontarie conta 1.722.503 donatori, il 71 per cento dei quali AVIS, il 15 per cento di altre associazioni, il 14 per cento non associati;
attualmente l'Italia è ai primi posti in Europa per la quantità di plasma raccolta e inviato all'unica azienda farmaceutica oggi autorizzata alla lavorazione industriale; esso costituisce la materia prima per la produzione, attraverso processi di separazione e frazionamento industriale, di medicinali plasmaderivati, alcuni dei quali rappresentano veri e propri farmaci "salva-vita";
l'accordo stipulato in sede di Conferenza permanente tra lo Stato, le Regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano del 16 dicembre 2010 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficialedel 17 maggio 2011, n. 113, supplemento ordinario n. 124) stabilisce: i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie dei servizi trasfusionali e delle unità di raccolta del sangue e degli emocomponenti, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera a), e dell'articolo 19, comma 1, della legge 21 ottobre 2005, n. 219, che reca la disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati;
il modello per le visite di verifica dei servizi trasfusionali e delle unità di raccolta del sangue e degli emocompenenti, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 20 dicembre 2007, n. 261, di revisione del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 191, recante attuazione della direttiva 2002/98/CE che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti;
il comma 1, lettera a), del citato articolo 6 prevede che con uno o più accordi tra Governo, Regioni e Province autonome sanciti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sia promossa l'erogazione uniforme dei livelli essenziali di assistenza in materia di attività trasfusionali, anche attraverso la qualificazione dei servizi trasfusionali, confermando la natura di struttura pubblica dei presìdi e delle strutture addetti alle attività trasfusionali, l'omogeneizzazione e standardizzazione della organizzazione delle stesse nonché delle unità di raccolta, delle frigoemoteche e delle banche degli emocomponenti di gruppo raro e per le emergenze e di cellule staminali;
i requisiti minimi organizzativi, strutturali e tecnologici delle strutture trasfusionali per gli ambiti territoriali coincidenti almeno con le aziende unità sanitarie locali sono altresì definiti, e periodicamente aggiornati, sulla base di ulteriori accordi;
il 25 luglio 2012 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ha approvato l'accordo che stabilisce le "Linee guida per l'accreditamento dei servizi trasfusionali e delle unità di raccolta del sangue e degli emocomponenti";
il percorso per la qualificazione del sistema trasfusionale italiano comporta che le Regioni e le pubbliche amministrazioni adeguino le strutture trasfusionali regionali in conformità ai requisiti di cui al citato accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010 e alle citate linee guida per l'accreditamento di cui all'articolo 20 della legge n. 219, effettuando gli accreditamenti entro il 31 dicembre 2014,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza di quali e quante siano le Regioni che ad oggi hanno completato il percorso di accreditamento, quelle che si presume lo possano completare entro la data prestabilita e quelle che probabilmente non saranno in grado di rispettare la scadenza del 31 dicembre 2014.
il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante la riorganizzazione dell'associazione italiana della croce rossa (CRI), ha disposto la sua trasformazione da ente pubblico in società privata;
il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 agosto 2013, n. 125, all'art. 4, comma 10-ter, statuisce la trasformazione dei comitati locali e provinciali esistenti alla data del 31 dicembre 2013, ad eccezione dei comitati delle province autonome di Trento e Bolzano, alla data del 1° gennaio 2014 (poi prorogata al 1° gennaio 2015), in persone giuridiche di diritto privato;
dunque, i comitati locali e provinciali esistenti alla data del 31 dicembre 2014, ad eccezione di quelli delle province autonome di Trento e Bolzano, assumono, alla data del 1° gennaio 2015, la personalità giuridica di diritto privato;
in data 18 dicembre 2013, il comitato centrale della Croce rossa italiana, nella persona del presidente, ha emanato con urgenza la circolare n. 74940 contenente le linee guida per il processo di riorganizzazione su base privatistica della CRI, ritenendo erroneamente che i comitati locali e provinciali dovessero procedervi dal 1° gennaio 2014;
in data 27 dicembre 2013 il direttore generale della CRI ha altresì emanato la determinazione direttoriale n. 101, notificata a tutta la struttura centrale e periferica, contenente la delega ai direttori regionali a procedere agli adempimenti relativi al personale e alla cassa di cui alla citata circolare n. 74940;
il tutto viola le disposizioni di cui all'articolo 1-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 178 del 2012, così come modificato dall'art. 4, commi 10-ter e 10-quater, del decreto-legge n. 101, che prevedono l'emanazione di un decreto non regolamentare del Ministro della salute di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e la semplificazione per stabilire le modalità organizzative e funzionali dell'associazione anche con riferimento alla sua base associativa privatizzata;
tanto la determinazione direttoriale quanto gli atti prodromici e consequenziali violano, dunque, il dettato normativo di cui al decreto legislativo n. 178 del 2012;
tale violazione di legge incide sui rapporti lavorativi dei dipendenti della Croce rossa italiana e sulle vicende economico-contabili dei comitati locali e provinciali che invece sarebbero maggiormente garantiti da un regolare e ponderato processo di transizione assicurato dall'emanazione del previsto decreto ministeriale;
tale violazione impedisce ai comitati di avvalersi dei tempi di transizione e di trasformazione opportunamente previsti della normativa, che garantirebbero la salvaguardia delle casse, del patrimonio immobiliare e dei loro poteri;
la circolare, di fatto, deresponsabilizza la CRI nei confronti dei lavoratori fino ad oggi alle sue dipendenze presso i propri comitati locali e provinciali, attribuendo, viceversa, prematuramente oneri economici e giuridici ai comitati del tutto depotenziati finanziariamente;
contro questo atto sono in corso procedimenti amministrativi e giudiziari,
si chiede di sapere quali provvedimenti urgenti il Ministro in indirizzo intenda adottare per garantire il rispetto della normativa e la tutela dei rapporti lavorativi dei dipendenti dei comitati locali e provinciali.