Al Ministro della giustizia - Premesso che:
il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti ed organizzazioni di assistenza sociale o volontariato;
la prestazione di lavoro, ai sensi del decreto ministeriale 26 marzo 2001, viene svolta a favore di persone affette da HIV, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex detenuti ed extracomunitari. Tale prestazione lavorativa può essere svolta nel settore della protezione civile, della tutela del patrimonio pubblico e ambientale o in ambiti pertinenti alla specifica professionalità del condannato;
l'attività viene svolta presso gli enti che hanno sottoscritto con il Ministero, o con i presidenti dei Tribunali delegati, le convenzioni previste dall'art. 1, comma 1, del decreto ministeriale 26 marzo 2001 che disciplinano le modalità di svolgimento del lavoro nonché le modalità di raccordo con le autorità incaricate di svolgere le attività di verifica;
considerato che:
in Italia l'intero sistema penitenziario incide sul bilancio dello Stato complessivamente per 2.800.000.000 euro all'anno e ogni singolo detenuto in carcere costa, comprese le spese di sicurezza, circa 4.000 euro al mese, ovvero circa 100-200 euro al giorno per detenuto;
i detenuti trascorrono la maggior parte del loro tempo in cella, senza essere impiegati in alcuna attività;
i detenuti, oltre a comportare un costo per lo Stato che li mantiene, devono affrontare le spese processuali, i risarcimenti alle vittime ed eventuali multe e ammende;
la recidiva dopo il carcere è del 70 per cento; se i detenuti fossero impiegati in attività lavorative utili anche alla formazione professionale, tale tasso si ridurrebbe notevolmente e si abbatterebbero i costi di manutenzione delle carceri;
considerato inoltre che:
a parere di Nicola Gratteri, procuratore aggiunto del Tribunale di Reggio Calabria, i detenuti andrebbero trattati come i tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche, cioè facendoli lavorare per la loro stessa rieducazione;
attualmente le spese per il mantenimento sono partecipate esclusivamente dai detenuti che lavorano, cioè lo 0,6 per cento del totale dei reclusi;
a parere degli interroganti, sarebbe necessario occupare i detenuti (a costo zero), anche per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture carcerarie e nella erogazione dei servizi che vedono come destinatari i detenuti stessi,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza della situazione;
quali siano i motivi per cui i detenuti non vengono impiegati in lavori di pubblica utilità;
quali provvedimenti intenda adottare al fine di dare piena attuazione alla normativa che consente il lavoro volontario dei detenuti, anche al fine di consentire agli stessi di essere rieducati, formati e reinseriti nella società e permettere alla comunità di usufruire dei benefici derivanti dalla loro attività lavorativa;
se e con quali modalità intenda procedere, limitatamente alle sue competenze, nel dare piena applicazione al lavoro volontario e non retribuito in carcere, in quanto componente essenziale del processo di rieducazione costituzionalmente garantito;
quali iniziative intenda intraprendere per incentivare gli enti pubblici a ricorrere al lavoro di pubblica utilità.