SERRA , BLUNDO , GIARRUSSO , BUCCARELLA , PAGLINI , DONNO - Al Ministro della salute. -
Premesso che i laureati in Medicina e chirurgia, iscritti al corso di laurea prima del 31 dicembre 1991 ed abilitati all'esercizio professionale, sono ammessi, in caso di domanda in soprannumero, ai corsi di formazione specifica in Medicina generale (MMG), di cui al decreto legislativo n. 368 del 1999 e successive modificazioni; tuttavia non hanno diritto alla borsa di studio e possono svolgere attività libero-professionale compatibile con gli obblighi formativi;
considerato che:
in virtù della disposizione normativa citata, le Regioni dispongono annualmente la pubblicazione di un apposito avviso pubblico per coloro che sono in soprannumero al corso. Nell'anno in corso, però, per il triennio 2015-2018, la Regione Emilia-Romagna non ha pubblicato tale avviso, al contrario di altre Regioni che, invece, hanno adempiuto a tale incombenza;
risulta agli interroganti che l'Assessorato per le politiche per la salute dell'Emilia-Romagna aveva confermato che il citato avviso pubblico sarebbe stato pubblicato e che i ritardi erano dovuti solo a problemi burocratici di prassi. Successivamente, a metà del mese di settembre 2015 si è appreso, per le vie brevi, da alcuni laureati che il bando non sarebbe stato pubblicato per ragioni di natura economica;
considerato inoltre che, a quanto risulta agli interroganti:
diverse Regioni, fra le altre la Sardegna, la Puglia, il Piemonte, la Liguria, l'Abruzzo e la Campania, pubblicavano il bando nei tempi utili ai fini dell'iscrizione al corso per tutti coloro che risultavano in soprannumero. Attualmente, tali bandi, pubblicati nel luglio 2015, risultano scaduti;
risulta evidente, a parere degli interroganti, che l'operato della Regione Emilia-Romagna ha, quanto meno, arrecato grave disagio a molti giovani laureati in Medicina e chirurgia, ai quali è stata, nei fatti, impedita o resa maggiormente onerosa una libera e consapevole decisione, volta alla scelta di iscrizione ai medesimi corsi in altre regioni,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e se, nell'ambito delle proprie competenze, abbia adottato dei provvedimenti o intenda adottarne al fine di affrontare e risolvere le criticità evidenziate.
PUPPATO , GRANAIOLA , BERTUZZI , PIGNEDOLI , ALBANO , FASIOLO , DALLA TOR , MATTESINI - Ai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e della salute. -
Premesso che:
con atto di sindacato ispettivo 3-02465 del 22 dicembre 2015 indirizzato al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a prima firma della senatrice Puppato veniva richiesto se i Ministri fossero a conoscenza della richiesta di ri-registrazione dell'insetticida Insegar da parte della società Syngenta e quali misure sarebbero state adottate per la tutela della bachicoltura;
nella seduta n. 169 della 9ª Commissione permanente (Agricoltura e produzione agroalimentare) del Senato, il viceministro Andrea Oliviero rispondeva all'atto, asserendo il recepimento della direttiva 2009/128/CE all'interno dell'ordinamento nazionale e la conseguente approvazione del piano d'azione nazionale che prevede "soluzioni migliorative che concorrono ad un uso più corretto e sostenibile dei prodotti fitosanitari con l'obiettivo di tutelare la salute umana e l'ambiente attraverso la riduzione del loro impatto" e che l'immissione di tali prodotti è disciplinata dal regolamento (UE) n. 119/2009;
in Italia il prodotto Insegar è autorizzato su melo, pesco, vite e olivo, con l'indicazione che "non può essere impiegato su colture distanti meno di 12 km da coltivazioni di gelso destinate al baco da seta e dai luoghi di allevamento del baco stesso";
nella medesima risposta si diceva altresì che la "fase di valutazione (…) rientra nell'ambito delle competenze del Ministero della salute";
negli ultimi anni, dopo un netto declino verificatosi alla fine del secolo scorso, si è assistito in Italia al rilancio della filiera agro-industriale della sericoltura. Pur restando alla Cina una posizione di sostanziale monopolio della produzione di seta greggia, il peggioramento della sua qualità e la drastica diminuzione delle quantità prodotte a causa essenzialmente del grave inquinamento del territorio e dell'abbandono delle campagne a seguito del forte processo di industrializzazione unito alla competizione delle colture alimentari nei confronti della bachicoltura, la domanda proveniente dall'industria tessile europea ha determinato un nuovo interesse nello sviluppo della gelsi-bachicoltura, in Italia come in altri Paesi europei, determinando un aumento della produzione europea;
come evidenziato dal CREA (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) nel corso dell'audizione tenutasi presso la 9ª Commissione permanente del Senato il 28 aprile 2015, la crescente richiesta di seta greggia di qualità da parte dell'industria serica italiana (che da sola consuma più dell'80 per cento del totale della seta importata in Europa), francese, svizzera e britannica, assieme ai progressi compiuti nelle attività di ricerca ed innovazione connesse alla gelsi-bachicoltura, hanno offerto a tale attività e ai connessi processi agroindustriali un alto potenziale di sviluppo;
nello sviluppo di tale attività l'Italia risulta, inoltre, particolarmente favorita grazie alla presenza della più importante industria serica a livello europeo e alle eccellenti conoscenze tecniche acquisite nel tempo in tale settore, oltre che per la presenza di un patrimonio di risorse genetiche sia di baco da seta che di gelso (la banca di germoplasma che conserva circa 190 razze di baco da seta e 60 cultivar di gelso esistente a Padova);
è da sottolineare, in ogni caso, che la gelsi-bachicoltura può essere praticata esclusivamente in aree non inquinate e soprattutto non contaminate dall'uso massiccio di pesticidi; per tali motivi, dovrebbe essere primario interesse delle istituzioni interessate al nuovo sviluppo della filiera garantire il corretto uso di insetticidi in agricoltura e procedere al divieto di utilizzazione di sostanze che danneggiano un'attività agroindustriale in crescita e con ottime potenzialità di sviluppo, anche occupazionale;
rilevato che:
è stata avanzata, come detto, dalla società Syngenta la richiesta di nuova registrazione dell'insetticida Insegar presso il Ministero della salute, a seguito della valutazione effettuata a livello europeo per il reinserimento della sostanza attiva in esso contenuta (fenoxycarb) nell'allegato I (elenco delle sostanze attive autorizzate ad essere incorporate nei prodotti fitosanitari) della direttiva 91/414/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari;
di fatto, Insegar è autorizzato, oltre che in Italia, anche in altri Paesi europei (tra cui Francia, Grecia, Spagna), ed è in corso il processo di nuova registrazione;
il fenoxycarb è un regolatore di crescita degli insetti, utilizzato per la lotta ai lepidotteri nocivi alle colture; esso, tuttavia, ha effetti estremamente dannosi per il baco da seta, dal momento che ne altera l'equilibrio ormonale e ne impedisce l'imbozzolamento;
proprio per tali motivi, l'utilizzo di Insegar era stato progressivamente vietato, sul territorio italiano, anche a seguito degli enormi danni provocati alla bachicoltura italiana, che è stata, nel corso degli anni '90, praticamente azzerata anche e soprattutto a causa dell'utilizzo del fitofarmaco; Insegar ha d'altronde conseguenze più generali dal punto di vista ambientale sull'entomofauna selvatica, come evidenziato dal CREA, avendo causato la scomparsa di alcune specie di lepidotteri dal Nord Italia;
considerato altresì che:
la modificazione nella formulazione dell'insetticida (da polvere bagnabile a granuli idrodisperdibili), seppure possa risultare in un miglioramento della sicurezza per la salute dell'utilizzatore, non produrrà effetti diversi sulla "deriva" del prodotto medesimo, con conseguenze estremamente pesanti su bachi da seta e api, dal momento che questo è attivo sui bachi da seta nell'ordine di picogrammi;
la Syngenta, interpellata dal CREA in merito, non ha ritenuto di produrre evidenze scientifiche che potessero garantire un impatto attenuato rispetto al passato su ambiente e bachicoltura; al contrario, in parte avallando le preoccupazioni, ha proposto di condividere le misure di mitigazione decise dalle autorità competenti per gestire il rischio a livello territoriale;
la passata esperienza dell'utilizzo di Insegar sul territorio italiano sta a dimostrare, tuttavia, la difficoltà di mettere in atto misure di mitigazione veramente efficaci, dato l'effetto del fenoxycarb sui lepidotteri anche a dosi infinitesimali;
considerato infine che:
l'eventuale autorizzazione alla ripresa dell'utilizzo di Insegar sul territorio italiano deve essere valutata, al di là del piano prettamente formale, sulla base dell'impatto dell'insetticida non solo sull'ambiente e su alcune specie di entomofauna presenti sul territorio italiano (con particolare attenzione al baco da seta) ma anche sul danno potenziale ad un settore economico attualmente in crescita, con conseguenze sugli investimenti che industria ed agricoltura stanno mettendo in atto;
è estremamente urgente, in sede di valutazione dell'eventuale nuova registrazione di Insegar, effettuare un'approfondita valutazione del rischio, ambientale, economico e sociale, derivante da una nuova diffusione sul territorio nazionale,
si chiede di sapere:
a quale punto sia il processo di valutazione della commissione consultiva dei prodotti fitosanitari;
se il Ministero della salute, nel corso del processo di nuova registrazione, stia tenendo in debito conto sia quanto avvenuto nel settore della gelsi-bachicoltura prima del divieto di utilizzo sul territorio nazionale, sia dei rischi derivanti dal ritorno al suo utilizzo in mancanza di risolutive modifiche nella composizione dell'insetticida tali da garantire per il futuro;
in caso di esito positivo del processo di riregistrazione, quali misure di mitigazione e contenimento i Ministri in indirizzo intendano imporre, anche al fine di fornire maggiori garanzie a coloro che hanno investito nel settore.
BIANCONI - Al Ministro della salute. -
la malattia policistica renale autosomica dominante (autosomal dominant polycystic Kidney disease, ADPKD) è una patologia ereditaria cronica e progressiva, caratterizzata dalla proliferazione di cisti (ossia di sacche piene di liquido, nei reni e in altri organi, specialmente nel fegato), che colpisce circa 12 milioni di persone nel mondo;
le cisti si formano continuamente durante tutta la vita, portando all'aumento delle dimensioni dei reni stessi (in media del 5-6 per cento all'anno);
è una delle malattie ereditarie più comuni, potenzialmente pericolosa per la vita, ed è fra le principali cause di insufficienza renale;
i pazienti con ADPKD possono sviluppare nelle fasi iniziali della malattia altre complicanze dovute allo sviluppo delle cisti e all'ingrossamento del rene, quali: ipertensione, dolore ai reni, infezioni del tratto urinario, ematuria macroscopica e calcoli renali, aneurismi intracranici, malattia valvolare cardiaca e infertilità;
le complicanze correlate all'ADPKD hanno un impatto negativo sulla qualità di vita sia nei pazienti in stadio precoce, sia nei pazienti in stadio avanzato così come sulla sopravvivenza;
infatti, l'aspettativa media di vita per pazienti con la malattia policistica renale è di circa 65,6 anni, una media di 17,5 anni inferiore a quella della popolazione generale;
questo conferma che l'ADPKD è una malattia dalla grave severità con una prognosi long-term infausta;
ad oggi non esistono farmaci registrati per il trattamento del rene policistico in Italia;
il trapianto di rene e la dialisi rappresentano le uniche alternative terapeutiche per i pazienti con ADPKD che raggiungono lo stadio terminale del rene (ESRD);
l'interrogante è venuta a conoscenza a mezzo stampa che un farmaco è stato approvato dall'AIFA, ma classificato come non rimborsabile in classe C, prescrivibile solo da nefrologi e internisti, su ricetta non ripetibile, da richiedere ogni mese dopo un controllo medico ospedaliero;
c'è stata grande delusione nella comunità delle persone colpite dalla patologia;
il costo della terapia non è sostenibile per la maggior parte dei pazienti e delle loro famiglie, e di conseguenza i malati non potranno accedere alla cura;
esiste uno studio condotto dalla Società italiana di nefrologia, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità e l'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri, che ha calcolato un costo diretto annuo del trattamento di un paziente in dialisi stimabile da un minimo di 29.800 euro, per quelli in dialisi peritoneale, fino a un massimo di 43.800 euro, per quelli in emodialisi e la possibilità di ritardare almeno di 5 anni la progressione del danno renale per il 10 per cento dei soggetti dallo stadio III allo stadio IV e di procrastinare, sempre di 5 anni, l'invio dei pazienti in dialisi permetterebbe al SSN di risparmiare risorse per 2,5 miliardi di euro,
quali strategie il Ministro in indirizzo intenda proporre per la presa in carico del paziente;
quali azioni intenda percorrere per agevolare l'accesso alla cura;
come intenda fronteggiare i costi per la dialisi, che rappresenta la voce di spesa maggiore per la gestione di questi pazienti;
se tale patologia sia stata inserita nei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA);
se ritenga necessario un nuovo aggiornamento dei parametri d'invalidità della malattia.